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205 decessi e 329 casi registrati di contagio. È questo il drammatico bilancio dell’epidemia di ebola che ha colpito le province del Nord-Kivu e dell’Ituri nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Secondo il Ministero della Sanità congolese il bilancio dell’epidemia di quest’anno ha superato quello della prima epidemia, registrata nella storia nel 1976 a Yambuku, nella provincia dell’Equatore, nell’allora Zaire (come si chiamava all’epoca la RDC).

Per il Ministero della Salute congolese, nessun'altra epidemia di Ebola è stata così complessa come quella attuale. L'insicurezza, la densità della popolazione e la resistenza della comunità rendono più difficile il lavoro degli operatori umanitari.

La settimana scorsa, tre agenti della protezione civile e un epidemiologo sono stati brevemente presi in ostaggio da un gruppo di miliziani Mai-Mai nel villaggio di Matembo, tra le città di Beni e Butembo.

In una dichiarazione congiunta, il Dipartimento delle operazioni di mantenimento della pace dell'ONU e l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) denunciano che le squadre di soccorso incontrano forti resistenze da parte delle popolazione della aree colpite dall’epidemia, dove decenni di guerra hanno contribuito “alla diffusione di disinformazione e alimentato la sfiducia di alcune popolazioni locali che sono riluttanti a consentire alle équipe sanitarie di somministrazione i vaccini necessari a bloccare la diffusione della malattia e a seppellire dignitosamente le vittime in sicurezza”

A fine agosto Sua Ecc. Mons. Ecc. Mons. Melchisédech Sikuli Paluku, Vescovo di Butembo-Beni, aveva lanciato un appello alla popolazione perché collaborasse con le autorità sanitarie nel soccorre i malati e nel cercare di bloccare l’epidemia (vedi Fides 1/9/2018). (L.M.)

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08 SL 2 Israeli flag Jerusalem Credit Nick Brundle Shutterstock CNA

Top Catholic prelates in Israel are asking the government to repeal the recent Nation State Law, which they say paves a path for discrimination against non-Jewish citizens.

“Although the law changes very little in practice, it does provide a constitutional and legal basis for discrimination among Israel’s citizens, clearly laying out the principles according to which Jewish citizens are to be privileged over and above other citizens,” the Catholic leaders said in their statement, dated Oct. 31.

“We, as the religious leaders of the Catholic Churches, call on the authorities to rescind this basic law and assure one and all that the state of Israel seeks to promote and protect the welfare and the safety of all its citizens.”

The Nation State Law’s provisions, which have the weight of a constitutional amendment, define Israel as the “historic homeland of the Jewish people” who have “a singular right to national self-determination within it.”

The passage of the law by a 62-55 vote July 19 with the support of Prime Minister Benjamin Netanyahu’s right-wing coalition drew widespread international criticism, including from influential groups like the American Jewish Committee.

Following the passage of the law, the Latin Patriarchate of Jerusalem voiced concern that it had downgraded Arabic from an official language to a language with a “special status.” It also objected to the law’s “commitment to work on the development of Jewish settlement in the land, with no mention of the development of the country for the rest of its inhabitants.”

The Oct. 31 joint statement was signed by more than two dozen Catholic ordinaries of the Holy Land, representing Roman, Syrian, and Armenian Catholic, as well as Greek Melkite churches. Signatories included Archbishop Georges Bacouni of the Melkite Greek Catholic Church in Israel, Maronite Archbishop Moussa El-Hage of Haifa, and Apostolic Administrator of the Latin Patriarchate Pierbattista Pizzaballa.

The bishops warned of the focus on Jewish identity at the expense of equality and democracy.

They particularly criticized a clause in the law that promotes “the development of Jewish settlement as a national value,” saying that by doing so, “the law promotes an inherent discriminatory vision.”

The law ignores the Palestinian Arabs living in the region, as well as the Christian, Muslim, Druze and Baha’i communities – all of whom should be treated as equal citizens, the bishops said. They added that the law violates international law standards.

“As Israelis and as Palestinian Arabs, we seek to be part of a state that promotes justice and peace, security and prosperity for all its citizens,” they emphasized.

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Domenica 23 settembre i “maratoneti del Papa” che fanno parte del team Athletica Vaticana e 100 migranti ospiti della cooperativa “Auxilium” correranno insieme la Half Marathon “Via Pacis” e la “Run For Peace” per lanciare un messaggio di pace e di speranza e per proporre una testimonianza concreta di accoglienza, inclusione e integrazione.

Appuntamento alle ore 9 in Via della Conciliazione con 8000 runner di 42 nazioni, e di tutte le religioni e gli orientamenti culturali. Il percorso della competizione dai forti connotati interreligiosi tocca alcuni significativi luoghi di culto oltre alla Basilica di San Pietro: la Sinagoga, la Moschea e le Chiese ortodossa e valdese.

Il “gemellaggio” tra Athletica Vaticana – la rappresentativa podistica formata da dipendenti della Santa Sede – e “Auxilium” non è occasionale: da aprile, infatti, fanno parte della squadra biancogialla due giovani migranti, accolti in risposta alle indicazioni di Papa Francesco.

"Il nostro tempo ha bisogno sempre più di ponti, e non di muri. Lo sport è un linguaggio universale, che unisce tutti, e possiede anche radici profondamente religiose. Lo sport, come l’arte e la cultura, ci aiuta a ritrovare la nostra comune umanità” dichiara il Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura (a cui è affidata Athletica Vaticana) che ha promosso l'iniziativa con Roma Capitale, in collaborazione con la Federazione italiana di atletica legerra (Fidal).

Monsignor Melchor Sánchez de Toca, sotto-segretario del Pontificio Consiglio della Cultura e presidente di Athletica Vaticana, spiega che “l’evento è stato preparato insieme a fratelli di altre comunità con la volontà di costruire insieme qualcosa”. E a proposito di integrazione e “gemellaggio” con i migranti di “Auxilium”, afferma che “esistono già diverse esperienze positive attraverso lo sport come cambiamento sociale che cambia la vita: è il caso, ad esempio, di molti oratori parrocchiali nei quali la maggior parte dei ragazzi sono figli di immigrati e molti di loro non sono nemmeno cattolici”.

 

In particolare la “Via Pacis” 2018, fa presente monsignor Sánchez de Toca, “si ispira molto alla figura di Nelson Mandela, un grande leader che ha saputo fare dello sport uno strumento di coesione nazionale. Famosa la sua citazione ‘lo sport ha il potere di cambiare il mondo’, ed è vero”. L’appuntamento romano di domenica 23 settembre è stato inserito dalla “Nelson Mandela Foundation” tra gli eventi internazionali commemorativi del centenario della nascita del leader sudafricano, al quale è stata anche dedicata la medaglia dei finisher della “Via Pacis”.

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"Hay bastantes parroquias involucradas, pero tenemos que avanzar", afirma el delegado de Migraciones

Desde que comenzó la crisis de refugiados en Europa en 2015, varias parroquias madrileñas se han movilizado para acoger a inmigrantes, algunas de ellas abriendo sus puertas de forma literal y otras con alternativas como el pago de alquileres o la búsqueda de viviendas cedidas por congregaciones.

"Estoy muy contento", dice a Efe Tarek (nombre ficticio), de 22 años, que hace más de dos llegó con su familia procedente de un país de Oriente Medio para pedir asilo.

Tras agotar los recursos de las administraciones acabaron en la ONG Pueblos Unidos que, a su vez, les puso en contacto con la parroquia de Nuestra Señora de Guadalupe para impulsar una comunidad de acogida entre los feligreses.

La parroquia está involucrada con la acogida a inmigrantes desde que en 2015 el arzobispo de Madrid, Carlos Osoro, instara en una de sus cartas pastorales a ponerse "manos a la obra".

Allí, una de las comunidades de laicos dispuesta a acoger a inmigrantes formó en 2017 la asociación A2I (Ayuda, Acoge e Integra) para dar respuesta a las necesidades de éstos y otros inmigrantes.

Una congregación de religiosas les cedió una casa que no estaban usando en la que Tarek y su familia viven desde el pasado mes de abril.

Los gastos de la vivienda como la luz y el agua corren a cargo de los miembros de la asociación, que también comparten momentos de ocio con el grupo, les acompañan al médico cuando es necesario y les echan una mano con el idioma y los trámites administrativos.

El papeleo es la mayor dificultad para Tarek, que en un castellano bastante correcto agradece todo lo que ha aprendido en España, un país de "oportunidades" en el que acaba de conseguir su primer trabajo en la misma empresa donde hace unos meses hizo un curso de seguridad informática.

"Me apetece seguir en España, voy a tener mi futuro en este país para casarme aquí, trabajar aquí y ayudar a la gente como me ha ayudado", cuenta.

Por su parte, María Eugenia, uno de los miembros de la asociación, integrada por cerca de 30 personas, asegura estar "encantada" y muy "agradecida" de vivir esta experiencia de acogida, que en un principio se prolongará durante dos años.

"Es ayudarles a construirse un futuro, no es darles comida sin más. Estamos haciendo algo con lo que ellos van a poder valerse por sí mismos", explica.

En la parroquia de Nuestra Señora de Europa, próxima a Madrid Río, un grupo de 10 inmigrantes subsaharianos, todos ellos hombres jóvenes, vive desde el pasado 18 de junio en una zona del edificio.

Allí cuentan con una sala para dormir, un salón de actos habilitado como comedor, varios lavabos y una ducha.

Además, hay una habitación donde cada noche duermen dos voluntarios procedentes de la Delegación Diocesana de Migraciones.

Por otro lado, voluntarios de la propia parroquia se encargan de llevar los desayunos y las cenas a los inmigrantes, que pasan el día en la ONG capuchina Sercade, donde comen y reciben clases de español, así como asesoramiento jurídico.

"Son muy válidos, se organizan perfectamente, hacen sus turnos de limpieza. Se les ve contentos pero su futuro es incierto a más no poder", cuenta a Efe uno de los sacerdotes de la parroquia.

El grupo fue acogido previamente en la parroquia de Nuestra Señora de las Angustias de Madrid, pero lo trasladaron para repartir el trabajo con otros centros.

La Iglesia católica en Madrid ha dado pasos en su compromiso con este tema desde que Osoro pidiera en su carta pastoral de septiembre de 2015 una respuesta "conjunta y coordinada" a la crisis de refugiados en Europa.

Esto desembocó en la creación de la Mesa por la hospitalidad, integrada por Cáritas, Confer, Sercade, Justicia y Paz, Sant Egidio, Delegación de Migraciones y Pueblos Unidos.

Este órgano, encargado de organizar la oferta de ayuda de instituciones y particulares, se ha reactivado recientemente ante la llegada de más inmigrantes a España.

"Hay bastantes parroquias involucradas, pero tenemos que avanzar", dice a Efe el delegado de Migraciones de la Archidiócesis de Madrid, Rufino García.

El religioso defiende el papel de "hospitalidad" de la Iglesia, aunque cree que no debe suplir a las administraciones, al entender que son las que deberían dar una respuesta en primera instancia en la acogida a inmigrantes.

"Tienen que cumplir sus deberes", reclama.

(RD/Efe)

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Lettera aperta del gruppo dei parenti delle vittime del massacro. “La tragedia del 4 giugno è ormai storia, ma tale disastro rimane irrisolto e le sue ferite devono essere ancora guarite”. In occasione dell’anniversario, i membri sono sottoposti a controlli, arresti domiciliari, viaggi forzati in compagnia delle forze di sicurezza. La paura del regime per “un fragile gruppo di persone vecchie e malate”. Almeno 51 di loro sono morti senza ricevere giustizia.

Le Madri di Tiananmen, il gruppo di parenti delle vittime del massacro operato dall’esercito cinese il 4 giugno 1989, hanno scritto una lettera al presidente Xi Jinping definendo la serie di uccisioni un “crimine contro l’umanità”. Il gruppo chiede a Xi anche di perseguire i responsabili e di ricompensare le vittime.

Nella notte fra il 3 e il 4 giugno 1989, l’esercito cinese “della liberazione del popolo” ha messo fine al movimento di circa un milione fra studenti e operai che da oltre un mese occupava piazza Tiananmen e domandava più democrazia e meno corruzione ai membri del Partito comunista cinese (Pcc). Secondo le stime più attendibili, fra 200 e 2mila persone sono state uccise dai colpi di fucile o stritolati dai carri armati dell’esercito; decine di migliaia arrestati nei giorni seguenti e condannati come “controrivoluzionari” perché attentavano all’egemonia del Partito.

Il Pcc ha sempre difeso il suo operato come annientamento di una “ribellione controrivoluzionaria”. Qualche leader, come Jiang Zemin ha osato dire che il massacro è stato un “male minore”, per far giungere la Cina all’attuale livello di sviluppo economico.

“Nella turbolenta estate del 1989 – si dice – le autorità hanno inviato più di 100mila truppe armate e in tenuta da combattimento per assassinare studenti e civili indifesi in un massacro che si pensava doveva preservare la stabilità nazionale… Questo è stato un crimine contro l’umanità che ha danneggiato in modo serio la nostra reputazione come nazione… La tragedia del 4 giugno è ormai storia, ma tale disastro rimane irrisolto e le sue ferite devono essere ancora guarite”.

Da decine di anni le Madri di Tiananmen continuano a chiedere di fare piena luce su quanto avvenuto; di perseguire i responsabili; di ricompensare i mutilati o i parenti delle vittime, ma finora esse non hanno ottenuto alcuna risposta.

“In questi ultimi 29 anni – continua la lettera - dal governo che è al potere nessuno ci ha mai domandato nulla, nessuno ha chiesto scusa… È come se il massacro che ha scioccato il mondo non fosse mai esistito”.

All’origine, il gruppo era composto da centinaia di genitori e parenti; ora essi sono diventati vecchi e molti di loro – almeno 51 – sono morti senza ricevere giustizia. In occasione dell’anniversario di Tiananmen la polizia li controlla, li costringe agli arresti domiciliari o a fare delle “vacanze”, accompagnati dalle forze di sicurezza. “Sembra – dice la lettera – che questa enorme e potente dittatura del proletariato abbia paura di un fragile gruppo di persone vecchie e malate”.

Le Madri di Tiananmen si rivolgono direttamente a Xi Jinping: “Come leader di questa grande nazione, lei non può non avere a cuore il massacro di Tiananmen, che accadde 29 anni fa. Lei deve prendersi cura delle persone che ne sono state vittime”.

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