Canti
Jésus le Christ
Ubi caritas
Salmo
Tra una strofa e l’altra si può riprendere un Alleluia.
Ti amo, Signore, mia forza,
mio salvatore, mi hai salvato dalla violenza.
Signore, mia roccia, mia fortezza,
mio liberatore, mio Dio.
Mia rupe, in cui mi rifugio;
mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.
Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato.
Nell’angoscia invocai il Signore,
nell’angoscia gridai al mio Dio:
dal suo tempio ascoltò la mia voce,
a lui, ai suoi orecchi, giunse il mio grido.
Mi assalirono nel giorno della mia sventura,
ma il Signore fu il mio sostegno;
mi portò al largo,
mi liberò perché mi vuol bene.
dal Salmo 18
Lettura
Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Matteo 5,1-12
Canto
Beati voi poveri
Preghiera di frère Alois
Dio di compassione, ti ringraziamo per la vita di frère Roger. In un mondo spesso lacerato dalle violenze, ha creato con la sua vita e quella dei suoi fratelli una parabola di comunione. Ti ringraziamo per la sua testimonianza del Cristo Risorto e per la sua fedeltà fino alla morte.
Manda su di noi il tuo Santo Spirito affinché anche noi siamo dei testimoni di riconciliazione nella nostra vita quotidiana. Facci creature di unità tra i cristiani quando si separano, dei portatori di pace tra i popoli quando si oppongono. Donaci di saper vivere in solidarietà con i più poveri, vicini o lontani.
Con frère Roger vorremmo dirti: Beato chi si abbandona in te, o Dio, nella fiducia del cuore. Tu ci custodisci nella gioia, la semplicità, la misericordia.
Silenzio
Preghiera di lode
Tra un’intenzione e l’altra si può cantare Laudamus te.
O Cristo, hai rivelato l’amore del Padre e sei vivo per sempre, noi ti benediciamo.
Lode a te, Signore risorto.
O Cristo, sei salito verso il Padre tuo e presso di lui intercedi per noi.
Lode a te, Signore risorto.
O Cristo, ti sei fatto vicino ai più piccoli di questo mondo e continui a chiamarli fratelli.
Lode a te, Signore risorto.
O Cristo, come sui tuoi discepoli, soffi su ciascuno di noi il tuo Spirito Santo.
Lode a te, Signore risorto.
O Cristo, ispiri il cuore di tante persone nel mondo ad accogliere dei rifugiati, a venire in aiuto alle vittime di catastrofi naturali, a impegnarsi per la pace e la fraternità.
Lode a te, Signore risorto.
O Cristo, hai chiamato i tuoi discepoli a essere uno affinché il mondo creda. Sostieni gli sforzi di tutti quelli che cercano cammini di unità tra le Chiese cristiane.
Lode a te, Signore risorto.
O Cristo, sei accanto a tutti quelli che operano per la giustizia e per la pace in Siria, in Iraq, in Afghanistan, nel Sud Sudan, a Cuba.
Lode a te, Signore risorto.
Padre Nostro
Canti
“Iglesia que camina con Espírituy desde los pobres”
"Por la necesaria reforma que la Iglesia está desafiada a realizar"
"Iglesia que camina con Espíritu y desde los pobres" es el tema del II Congreso Continental de Teología, organizado por Amerindia Continental con el propósito de reunir a teólogos y teólogas de América Latina y el Caribe, comunidades eclesiales y cristianos/as comprometidos,"para discernir desde la Palabra de Dios la presencia del Espíritu Santo al interior de las prácticas de solidaridad con los excluidos, como raíz de una nueva manera de ser comunidad cristiana y de la necesaria reforma que la Iglesia está desafiada a realizar hoy".
El Congreso se sitúa en consonancia con la Encíclica Programática del papa Francisco, la Evangi Gaudium, y se inspira en la misión programática de Jesús, según el evangelio de Lucas: "El Espíritu del Señor está sobre mí, porque me ha ungido para anunciar la buena noticia a los pobres" (Lc 4,18). Se llevará a cabo en la ciudad de Belo Horizonte, Brasil, del 26 al 30 de octubre de 2015.
En su presentación, el Comité Organizador ha destacado que después del primer Congreso de 2012 en São Leopoldo, al sur de Brasil, que movilizó a la comunidad teológica latinoamericana, "este II Congreso pretende continuar esta movilización, en un momento eclesial nuevo que ha generado cambios en la agenda pastoral y teológica universal, referidos a la ecclesiasemperreformanda. Por eso, el Congreso tendrá como destinatarios no sólo a los teólogos y a las teólogas profesionales, sino a las comunidades cristianas del Continente".
En este sentido, las ponencias, los talleres y las comunicaciones científicas buscarán abordar tres grandes núcleos temáticos, estrechamente relacionados: Pueblo de Dios, Neumatología, y Reforma de la Iglesia; reconociendo también que "la teología en América Latina se concibe a sí misma como inteligencia crítica de la experiencia de fe de las comunidades eclesiales y de su misión, insertas en un mundo globalizado y excluyente".
Es por eso que el Congreso buscará ofrecer insumos para recuperar algunas prácticas sociales y pastorales significativas, y para desentrañar las interpelaciones del Espíritu desde la realidad y las luchas de los sujetos invisibilizados y excluidos; al tiempo que promoverá una mayor participación de la Iglesia latinoamericana y caribeña en el actual proceso de reforma eclesial, "con propuestas para que las estructuras de las Iglesias locales reconozcan y animen el testimonio evangélico, la opción por los pobres, el permanente discernimiento en el Espíritu y el servicio recíproco en las comunidades cristianas".
Metodológicamente, el Congreso combinará dinámicas y lenguajes entre conferencias, paneles, talleres, comunicaciones científicas, y momentos culturales y celebrativos. Para la orientación de las ponencias y los talleres se ha confirmado la participación de reconocidos/as teólogos/as como Virginia Azcuy, José O. Beozzo, Leonardo Boff, Pablo Bonavía, Víctor Codina, Isabel Corpas, Eduardo De la Serna, Juan Luis Hernández, Juan Hernández Pico, Armando Lampe, Vicenta Mamani, Carlos Mesters, Socorro Martínez, Etel Nina Cáceres, Francisco Orofino, Carlos Schickendantz, Pedro Trigo, Juan Manuel Hurtado, Margot Bremer, Alejandro Ortiz, Afonso Murad, Alirio Cáceres, Sergio Navarro, Alzira Munhoz, Carlos Eduardo Cardozo, Pedro Ribeiro de Oliveira, Paulo Suess, Faustino Teixeira y Marta Zechmeister, entre otros.
La presentación del congreso, con su proceso de preparación, programación y posibilidades de inscripción on-line, así como algunos orientaciones para el alojamiento de los congresistas y la participación la comunidad académica en comunicaciones científicas, se encuentran disponibles en el sitio web: http://amerindiaenlared.org/congreso2015 o a través del correo electrónico de la Secretaría de Amerindia Continental: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Frente al actual pontificado del papa Francisco, los organizadores destacan que "asistimos a una verdadera ‘eclesiogénesis', conducida por el Espíritu, que necesita ser reflexionada más profundamente, a nivel teológico, y ante el imperativo de la ecclesiasemperreformanda". A esto apunta el II Congreso Continental de Teología en Belo Horizonte, del 26 al 30 de octubre de 2015
Pregare con le viscere; l’inoperosità dell’actuosa partecipatio... un invito a Segni della destinazione di F. Riva e P. Sequeri. Appunti di Andrea Lonardo
Fede e/o religione? F. Riva e P. Sequeri tornano su questa possente questione - forse il lascito più famoso del pensiero di K. Barth - nel loro lavoro comune Segni della destinazione[1]
È grande merito epocale del teologo evangelico Karl Barth (1886-1968), quello di avere illustrato, a nostro parere in modo ancor oggi insuperato, l'ambivalenza radicale della religione, che deve essere inquadrata - in una prospettiva rigorosamente teologico-cristiana - nella sua rigorosa necessità e nella sua invalicabile insufficienza.
Non è questa la sede per dilungarci su una tesi, del resto notissima, anche se per lo più fraintesa. Basti rammentare, almeno, la forzatura dell'interpretazione più corrente, che dà per scontata l'idea di una purezza della fede ottenuta mediante la rimozione della religione, come se il tema della dialettica barthiana fosse il superamento della religione medesima.
Barth ha piuttosto sostenuto l'esatto contrario, mettendo esplicitamente in guardia da questa ingenuità. Altra questione è, invece, quella del modo di elaborare teoricamente il senso di quella dialettica, e di svilupparne le implicazioni teologiche. La discussione del suo svolgimento non dovrebbe tuttavia far perdere di vista la verità cristiana dell'assunto fondamentale, che coglie la necessità antropologica insuperabile dell'orizzonte religioso, insieme con la radicale impotenza della religione, in quanto succedaneo della grazia, ad assicurare la qualità della fede[2].
La tesi barthiana della religione come istituzione storica della tangenza fra gli assoluti del desiderio e l'intimità di Dio, di cui la fede rivelata da Gesù Cristo decide la verità, vale in un duplice senso. Da un lato, indica che è l'evento cristologico a decidere la verità della religione, e non il contrario.
Dall'altro lato, stabilisce che la fede cristiana abita necessariamente la religione, pur lottando contro la sua inevitabile tendenza all'autolegittimazione salvifica, perché essa è il luogo storicamente appropriato e insostituibile della proclamazione della salvezza come opera di Dio.
La tesi di Barth rischia certo ad ogni passo il surrealismo della scissione radicale fra teologia e antropologia della religione, che il mysterium conjunctionis della cristologia rimuove letteralmente. Ma l'assunto dialettico, che inibisce la metamorfosi della grazia salvifica in dispositivo religioso, è degno di ogni considerazione.
La fede che decide la qualità della religione, da un lato, è anzitutto una fede che si decide per la qualità della religione come luogo in cui l'uomo cerca la salvezza di Dio e si espone all'azione di Dio che la offre. In tal modo, la religione pone la radicale serietà del tema che in nessun altro modo può essere posto: abitandola dialetticamente, il cristiano si espone coraggiosamente alla drammatica della ricerca di Dio, che accomuna l'umano.
La fede evangelica non pensa affatto che abbandonando la religione alla sua ambiguità - la storia della religione è stanza del tesoro e museo degli orrori, San Francesco e il Grande Inquisitore, inestricabilmente - la relazione con Dio possa conseguire la sua definitiva purezza. Al contrario, essa cerca la propria perfezione proprio nella passione del suo modo di abilitare e riabilitare l'esperienza religiosa, della quale urge la purezza, in spirito e verità, che essa stessa non può darsi.
La abita e la riabilita sul campo, rilanciando, proprio con gli strumenti del suo linguaggio e della sua grammatica, l'affectus Dei come origine insondabile, destinazione incorruttibile, causa suprema di ogni justitia Dei: la sola che possa giustificare l'esistenza dell'uomo
Abitandola e riabilitando la, la fede contende la religione, millimetro per millimetro, all'astuzia delle potenze del maligno, come alla prevaricazione dei devoti di professione. La incalza e la sfida, persino, affinché riconosca nella sua stessa tradizione le derive dell'adattamento, dell'ottundimento, del settarismo, della superstizione e della contraddizione.
Il modo in cui la religione annuncia e insieme oscura la verità di cui vive è il lato più enigmatico dell'eredità del peccato dei figli di Adamo, che si riflette inevitabilmente anche sulla immemoriale custodia della originaria relazione creaturale con Dio - in sé sacrosanta - con effetti di fraintendimento pieni di sorprese[3].
Nel prosieguo del discorso i due autori ricordano come la fidanzata di Bonhoeffer gli ricordasse la fisicità dei Salmi:
Maria von Wedemeyer scrive a Bonhoeffer, in una nota lettera, che da «qualche parte nella Bibbia sta scritto che bisogna partecipare con il “cuore e le viscere”» di modo che i «salmi non vengono soltanto pensati con la testa e cantati con la bocca, ma che possono cantare anche le mani e i piedi e tutto il resto»[4].
Illuminante risulta essere una citazione di J.-Y. Lacoste che afferma in Esperienza e assoluto[5]:
definiamo, dunque, la liturgia come attesa o desiderio della parusia nella certezza di una presenza non parusiaca di Dio[6].
La liturgia ricorda all’uomo che il regno non è di questo mondo:
L’«etica vuole il Regno ma non può istituirlo» perché la sua dimora è sempre la storia, luogo terrestre della violenza, del patteggiamento con il male: luogo, con una rilettura escatologica di Kant, del «male radicale». Il teologo ha qui buon gioco, sulla base del dispositivo messo in atto, a far risaltare l’eccedenza che sorpassa l’etica: l’irruzione del perdono, il Dio della promessa[7].
La riflessione di F. Riva e P. Sequeri si sofferma anche a descrivere come la liturgia sia festa che apre la comunità alla scoperta della sua destinazione[8]:
L'universalità della festa è quella di persone che ricordano in un luogo e in un tempo precisi, con azioni specifiche e inconfondibili, l'una all'altra la propria destinazione. L'universalità della festa esce dalla pura razionalità come segno distintivo dell'umano e segue perciò il cammino di una comunità - è sempre una comunità che fa festa -, ma senza scivolare nemmeno lungo i burroni dell'etnicità.
La festa è comunitaria in un senso alternativo rispetto a quello di comunità autoripiegate su se stesse, perché l'aspetto comunitario della festa coincide con l'umano comune, che è l'universale. La comunità della festa non è un comunitarismo ripiegato su se stesso: la festa «non è semplicemente l'essere insieme come tale, ma l'intenzione che unisce tutti e che impedisce loro di cadere in discorsi singoli, o di disperdersi in esperienze vissute singolarmente»[9]
La festa è «comunanza, ed è la rappresentazione di questa comunanza nella sua forma più completa»: non perché nella festa si travasi ciò che precede la festa stessa, ma perché in essa emerge l'eccedenza di una «comunanza non più facilmente determinabile, in un riunirsi per qualcosa, senza che nessuno possa più dire per che cosa ci si raccoglie e ci si riunisce». La festa implica un distacco, che riporta all'unità rispetto alla dispersione del quotidiano, che ricrea comunanza, perché la «festa è sempre di tutti»[10].
La festa è, appunto, festa.
La comunità fa festa, ma la comunità è a sua volta fatta dalla festa. La festa è un fare la comunità, un allargarla e un ricrearla in qualche modo. Dalla festa non si esclude nessuno, nemmeno lo straniero, nemmeno l'asino e il bue (Dt 5, 12-14), di modo che la «comunità è collegata alla festa perché e quando ne vive il valore intrinseco, la fraternità e l'amicizia che lega tra loro i membri»[11].
La comunanza della festa si esprime quindi sia in una partecipazione corale e comunitaria, sia nella grande attenzione che va prestata alla sua forma: la festa tende all'intima unità dei suoi elementi, di cui denuncia il possibile isolamento l'uno rispetto all'altro. L’unità della festa è, nello stesso tempo, comunità e opera d'arte perché «la liturgia non dice "io", bensì "noi"»: non è «opera del singolo, bensì della totalità dei fedeli. Questa totalità non risulta soltanto dalla somma delle persone, che si trovano in Chiesa in un determinato momento, e non è neppure la "comunità" riunita. Essa si dilata piuttosto oltre i limiti di uno spazio determinato ed abbraccia tutti i credenti della terra intera»[12].
Emerge allora l’assoluta novità dell’eucarestia che restituisce alla comunità la sua ricettività nei confronti dell’azione di Dio[13]:
L’eucaristia forma e riforma la Chiesa, in primo luogo ed essenzialmente perché la ferma intorno al corpo del Signore.
Deve essere enfatizzato il rilievo cruciale di questa parola/gesto, in cui la Chiesa ferma se stessa per ricomporsi nella sua forma originaria, plasmata dalla presenza e dall’azione del Signore. Quella forma cristiana della comunità inoperosa – apparentemente cultuale – non sta semplicemente all’inizio di uno sviluppostorico della ekklesia della fede: essa rimane sulla verticale della permanente restituzione della fede alla differenza evangelica.
Per questo è proprio la liturgia a rivelare la natura della chiesa[14]:
Le mille parole, i mille gesti, le mille relazioni nelle quali la comunità dei discepoli si edifica e svolge la sua missione, interrompono il loro corso normale. Giungono a placarsi, si può dire, fino a ridursi all’essenziale: diventano cenno, memoria, segno, simbolo di loro stessi nella celebrazione dell’eucaristia. Dal papa all’ultimo dei battezzati, l’intera Chiesa fa una sola cosa, uguale per tutti ed essenziale per tutti: si raduna intorno al Corpo del Signore, ascolta la sua parola, si nutre della sua presenza. Proclama semplicemente di non poter fare a meno di questo, e di non poter fare più di questo. Riconosce che nessuna delle sue parole può sostituire quella che il Signore rivolge; né alcuna delle sue opere può trovare la sua destinazione, se il Corpo del Signore non ne definisce l’effettivo legame con la vita di Dio.
Riva e Sequeri citano a questo proposito uno stupendo passaggio di Clemente Alessandrino che afferma[15]:
I cristiani di cui parlo pongono il carattere divino che posseggono nell’assemblea (synagoghé), quando se ne allontanano si fanno in tutto simili alla gente in mezzo alla quale vivono (Clemente di Alessandria, Pedagogus, III, 11,89,3).
La priorità dell’azione di Dio costituisce il motivo dell’inoperosità tipica della partecipazione attiva dei credenti all’eucarestia[16]:
Quando celebra l'eucaristia, la Chiesa intera si raccoglie, sospendendo il tempo, intorno all'intimità abissale di questo mistero, in cui tutto è rinchiuso. La Chiesa rinchiude se stessa nel cerchio della consegna ricevuta. Ne riceve in dono un tempo sospeso, uno spazio sigillato, un sostare inoperoso, che sono la chiave di accesso per la benedizione che quel mistero, in questa forma, porta in sé per tutto il mondo e fino alla fine dei tempi. E l'inoperosità di questo fare («actuosa participatio») che edifica la Chiesa, salva l'immenso volume delle parole e dei gesti in cui si esercita il discepolato della sequela dall'insidia della sostituzione che essi - fatalmente - accumulano. Tutti, qui, con le insegne del loro ministero e i segni del loro carisma, al servizio del Corpo del Signore, fanno rigorosamente l'identica cosa. Eseguono la consegna. Ripetono la parola e il gesto del Signore, in cui tutte le sue parole e i suoi gesti si raccolgono.
E in ciò ricevono salvezza - per loro stessi e per la Chiesa tutta - dall'enormità del peso di parole e opere, eventi e fatti, tempi e storie, che finirebbero per seppellirli, se questa inoperosità non li ripassasse, ogni volta e sempre, nel crogiuolo della morte del Signore e nella frattura della sua risurrezione: che confermano il riscatto dell'orribile peccato del mondo e della modesta resistenza religiosa ad esso. Tale modestia, infatti, riconosciuta come tale di fronte al Corpo dato e al Sangue sparso del Figlio, è posta sotto la protezione della sua fedeltà. E confortata, sostenuta, rallegrata persino, dalla vitalità dello Spirito, che non si nega neppure ai gemiti[17]. E cura la crescita del Regno anche quando dormiamo[18].
La disputa sul privilegio che deve essere accordato alle immagini «ecclesiologiche» - Corpo del Signore, Popolo di Dio - per quanto non priva di giustificazione contingente, deve ormai apparire, nell'odierno kairos, poco più che un esercizio di scuola. Da non insistervi, oltre tutto, per non concedere alle burocrazie dei controlli demografici del sacro temi troppo alti, che non le riguardano.
La presenza del Signore nel suo Corpo proprio, sacrificato per la salvezza dei molti, che accade - in mysterio - precisamente nella celebrazione di questo sacramento, dentro lo spazio della fraternità dei suoi, che sanno di non esserne all'altezza, ripete la contiguità del Corpo del Signore, fra i suoi, con i molti. Il Corpo del Signore presenta un'asimmetria irriducibile alla ekklesia dei discepoli, che coincide con la singolarità del Figlio Gesù. La celebrazione ripete il mistero del suo immeritato darsi, ed essere udito e toccato, senza che ciò possa essere consumato o requisito da nessun cenacolo, né da alcuna generazione.
A questo proposito, Riva e Sequeri ricordano un passaggio di G. Boselli che afferma[19]:
L’assemblea eucaristica nel giorno del Signore rappresenta per la maggioranza dei cristiani l'unico segno di appartenenza alla Chiesa, il solo momento ecclesialmente mediato di comunione con Dio e con i fratelli nella fede. A colui che inizia il cammino catecumenale si chiede: "Che cosa domandi alla Chiesa di Dio?". Egli risponde: "La fede". Questa domanda si ripete idealmente ogni volta che un cristiano è chiamato a darsi ragione del suo convenire in unum con altri cristiani. Se infatti la fede è dono di Dio, la vita della fede si compie all'interno della Chiesa di Dio, in quanto si è pienamente soggetti della fede cristiana solo nella comunione dei credenti. E la vita della fede ciò che in profondità il credente ricerca, in modo a volte inconsapevole, quando interiormente risponde alla chiamata di Dio a prender parte alla comunità liturgica. Per questo l'assemblea eucaristica domenicale è in modo permanente il luogo sacramentale dell'identità cristiana, dove la persona si riceve e si identifica come credente, ricevendo e identificando la propria fede nelle parole e nei gesti rituali che manifestano e comunicano la fede. Oggi i credenti esprimono in modo forte, anche se spesso inarticolato, il bisogno di trovare nella liturgia un luogo dove riconoscersi ed essere costituiti e incessantemente ricostituiti come soggetti della fede» (p. 166) [20].
Note al testo
[1] F. Riva - P. Sequeri, Segni della destinazione. L’ethos occidentale e il sacramento, Cittadella, Assisi, 2009.
[2] P. Sequeri, Karl Barh, in: G. Angelini – S. Macchi, a cura di, La teologia del Novecento. Momenti maggiori e questioni aperte, Glossa, Milano 2008, 113-134.
[3] F. Riva - P. Sequeri, Segni della destinazione. L’ethos occidentale e il sacramento, Cittadella, Assisi, 2009, pp. 38-40.
[4] F. Riva - P. Sequeri, Segni della destinazione. L’ethos occidentale e il sacramento, Cittadella, Assisi, 2009, p. 210.
[5] J.-Y. Lacoste, Esperienza e assoluto. Sull’umanità dell’uomo, Cittadella, Assisi, 2004, p. 98.
[6] F. Riva - P. Sequeri, Segni della destinazione. L’ethos occidentale e il sacramento, Cittadella, Assisi, 2009, p. 226.
[7] F. Riva - P. Sequeri, Segni della destinazione. L’ethos occidentale e il sacramento, Cittadella, Assisi, 2009, p. 231.
[8] F. Riva - P. Sequeri, Segni della destinazione. L’ethos occidentale e il sacramento, Cittadella, Assisi, 2009, pp. 307-308.
[9] Cf. H.G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., 46.
[10] Ivi, 43.
[11] A. Rizzi, Il problema del senso e del tempo. Tempo, festa, preghiera, Cittadella Editrice, Assisi 2006, 84.
[12] Cf. H.G. Gadamer, L’attualità del bello, cit., 46; R. Guardini, Lo spirito della liturgia, Morcelliana, Brescia 1996, cap. 2, 47-48.
[13] F. Riva - P. Sequeri, Segni della destinazione. L’ethos occidentale e il sacramento, Cittadella, Assisi, 2009, pp. 384-385.
[14] F. Riva - P. Sequeri, Segni della destinazione. L’ethos occidentale e il sacramento, Cittadella, Assisi, 2009, p. 385.
[15] Citato in F. Riva - P. Sequeri, Segni della destinazione. L’ethos occidentale e il sacramento, Cittadella, Assisi, 2009, p. 385.
[16] Citato in F. Riva - P. Sequeri, Segni della destinazione. L’ethos occidentale e il sacramento, Cittadella, Assisi, 2009, pp. 427-428.
[17] «Sappiamo bene, infatti, che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati» (Rom 8,22-24b).
[18] «Il Regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra: dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa» (Mc 4,26-27).
[19] F. Riva - P. Sequeri, Segni della destinazione. L’ethos occidentale e il sacramento, Cittadella, Assisi, 2009, p. 429.
[20] G. Boselli, Convenire in unum. L’assemblea liturgica nei testi delConcilio: due nodi ancora irrisolti, «Rivista del Clero Italiano» 89 (2008) 165-186.
Fonte: gli scritti.it
Riappropriarsi dell’Incontro
Oggi il nostro andare spesso non è un cammino, ma un vagare sperduto tra troppe cose da fare. Per dare un senso ai nostri passi noi cristiani crediamo di doverci porre in ascolto della chiamata del Signore. E’ la vocazione che Egli non si stanca di proporci e che può dirigere la vita del discepolo. Siamo invitati a diventare consapevoli di questa presenza del Signore che non è lontano da noi incrociando continuamente i nostri passi.
In questo mese pensando alla Giornata per il Seminario Diocesano vogliamo pregare per tutto il seminario con particolare attenzione a chi si trova per la prima volta a far parte di questa famiglia.
Canto d’inizio ed esposizione
Incontro con Dio nell’Eucaristia
Dall’Adoro Te devote (a due cori)
Ti adoriamo devotamente, o Dio nascosto che realmente Ti fai presente in questa figura:
a Te affidiamo completamente i nostri cuori, perché contemplandoTi tutto il resto viene meno.
Viso, tatto e gusto s’ingannano davanti a questo segno, ma ascoltando la Tua Parola si può credere:
crediamo al Figlio di Dio fattoSi carne,
nulla più del Verbo è Verità.
O memoriale della Pasqua del Signore,
pane vivo che dai vita all’uomo,
concedi a noi tuoi fedeli di vivere di Te,
perchè sappiamo assaporare la dolcezza di questo incontro.
Incontro con Dio nella Parola
Dal Libro di Geremia (15, 16-17)
Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore, perché io portavo il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti. Non mi sono seduto per divertirmi nelle brigate di buontemponi, ma spinto dalla tua mano sedevo solitario, poiché mi avevi riempito di sdegno.
All’esperienza di Geremia fa eco il salmo come preghiera di abbandono fiducioso in una Parola che ci legge in profondità.
Sal. 139 - O Dio, Tu mi scruti e mi conosci
Dio non è lontano da ciascuno di noi…
in lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (At 17, 27.28)
Ritornello cantato oppure: Signore, tu ci conosci da sempre.
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri,
mi scruti quando cammino e quando riposo. Rit.
Ti sono note tutte le mie vie;
la mia parola non è ancora sulla lingua
e tu, Signore, già la conosci tutta. Rit.
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo. Rit.
Quanto profondi per me i tuoi pensieri,
quanto grande il loro numero, o Dio;
se li conto sono più della sabbia,
se li credo finiti, con te sono ancora. Rit.
Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore,
provami e conosci i miei pensieri:
vedi se percorro una via di menzogna
e guidami sulla via della vita. Rit. Gloria….
Una Parola che ci chiama a rischiare.
Gesù cammina sulle acque e Pietro con Lui
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 14, 22-33)
Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull’altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: “È un fantasma” e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Pietro gli disse: “Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”.
Ed egli disse: “Vieni! ”. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami! ”. E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato? ”. Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: “Tu sei veramente il Figlio di Dio! ”.
Riconosci chi ti viene incontro
Il viaggio dei discepoli rappresenta la nostra vita: spesso noi partiamo tranquilli e ci ritroviamo inaspettatamente in acque agitate, bisognosi di aiuto. Il Signore ha dimostrato in molti modi di essere sempre pronto a portarci al di là delle acque: Egli è il nostro Salvatore. Così ci viene incontro proprio quando più abbiamo bisogno di Lui; proprio quando Lo sentiamo più lontano Lui si fa vicino. Ma non è facile riconoscerLo, richiede uno sguardo di fede per non confonderLo con un fantasma. Bisogna ascoltare la Sua Parola, la sola che può illuminare i nostri occhi ed aprirli alla verità. E se riconosciamo di aver incontrato il Signore, allora ci accorgiamo anche che Lui ci invita a seguirLo e a continuare la strada insieme a Lui, come suoi discepoli.
Canto
Entra nella tua camera e prega il Padre nel Silenzio
Dal Vangelo di Matteo (6,5-6)
Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
Nel silenzio di questo momento proviamo a ripensare ai nostri incontri con il Signore. Ci possiamo chiedere:
Dalla lettera Pastorale del Vescovo Cesare:
“Coraggio sono io, non abbiate paura”.
Gesù, congedata la folla, sale sul monte a pregare in solitudine. Sa che solo pregando potrà camminare sulle acque e vincere il mare in tempesta, la potenza del male. La preghiera è l’esito dell’ascolto della parola di Dio, quando da Parola che racconta diviene Parola che ci racconta.
Facciamo pertanto nostre le invocazioni dei poveri del Vangelo, i quali, grazie alla loro preghiera fatta con fede, ottengono guarigione e salvezza.
Facciamo nostre le invocazioni del Vescovo:
(Lette da varie voci e intercalate da un canone)
Signore aumenta la nostra fede (Lc 17,5)….
Credo, aiutami nella mia incredulità (Mc 9,24)….
Comanda che io venga da te sulle acque (Mt 14,28)….
Figlio di Davide abbi pietà di noi (Mt 9,27)….
Di’ soltanto una parola ( Mt 8,8)….
Salvaci Signore siamo perduti (Mt 8,25)….
Non t’importa che moriamo? (Mc 4,38)….
Se vuoi , Signore tu puoi sanarmi (Mt 8,2)….
Signore, che io possa vedere ( Lc 18,41)….
Signore dammi la tua acqua perché non abbia più sete ( Gv 4,15)….
Signore , dacci sempre questo tuo pane ( Gv 6,34)….
Preghiamo insieme
Sono proposte ora delle preghiere dei fedeli da recitare come responsorio, ed alle quali si potranno aggiungere liberamente delle intenzioni, delle suppliche e dei ringraziamenti personali.
L: Signore Gesù, pur non riconoscendoti con i sensi, Ti crediamo presente nell’Eucaristia;
T: donaci di vedere il Tuo volto anche nel volto dei fratelli.
L: Hai incoraggiato Pietro ad avere fiducia in Te;
T: fa’ che sappiamo seguirTi anche quando la Tua chiamata ci sembra impossibile.
L:Hai fondato la tua Chiesa sulla fragilità di Pietro;
T: sostieni nella sua missione il nostro papa Benedetto, perché sappia condurre la Chiesa a Te.
L: Hai posto in mezzo al Tuo popolo i presbiteri perché ne siano i pastori;
T: dona loro la capacità di essere vicini ad ogni uomo.
L: Tu che conosci il cuore dei Tuoi figli;
T: ispira loro il desiderio di fare scelte di vita secondo la tua volontà.
Interventi liberi a cui segue il Padre Nostro.
Benedizione eucaristica e canto finale.
“ Io sono il pane vivo, disceso dal cielo”. Gv. 6,41-52
Continuiamo la meditazione sul discorso eucaristico di Gesù, nella sinagoga di Cafarnao, dopo la moltiplicazione dei pani.
Gesù aveva detto: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete”; questa è l’affermazione centrale del discorso sul “pane di vita” di Gesù.
/ Ora Gesù continua e dice: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo”. Questa affermazione enigmatica di Gesù, non poteva lasciare indifferenti, ma esigeva una presa di posizione da parte della folla che ascoltava, anzi suscita il mormorio scandalizzato della folla e sottolinea la difficoltà che la proposta e la pretesa di Gesù suscita tra gli ebrei. Insomma si è creato un tragico malinteso, e la reazione è appunto la mormorazione.
/ Non possiamo leggere questo discorso di Gesù se non situandolo nello sfondo dell’Esodo e dell’esperienza della manna nel deserto, nell’AT. Sia il tema del cibo di Dio(la manna), sia il tema della mormorazione, si ripetono nei riguardi della persona di Gesù.
/ La folla avrebbe dovuto capire questi segni, e invece resta attaccata ad un livello materiale.
Dopo aver chiesto un “segno” per credere( e l’hanno avuto), ora non solo non credono, ma si scandalizzano fino ad arrivare alla mormorazione.
La pretesa di Gesù di essere “il pane disceso dal cielo” è contrapposta al fatto che essi pretendono di conoscere Gesù e la sua famiglia, dicendo: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?”.
/ Come è strano il cuore dell’uomo! Dopo che Cristo aveva moltiplicato i pani, la folla voleva farlo re! Ora che Cristo dice: “Io sono il pane disceso dal cielo”, cominciano a mormorare! E’ la crisi dello stomaco pieno, del portafoglio gonfio: è la crisi del benessere, dell’indigestione, dell’indifferenza! Per andare da Gesù è indispensabile la fede: non basta dire di conoscere i suoi parenti. Gesù è disceso dal cielo, è il Figlio di Dio incarnato, è il Rivelatore di Dio Padre.
/ Prima di indicare se stesso come “il pane della vita”, Gesù ha voluto condividere il pane degli uomini. Trent’anni di intensa preparazione, in cui ha partecipato ai pasti quotidiani, ai pranzi di festa e di lutto. Trent’anni per cercare di far sentire agli uomini la loro fame essenziale e di far intuire loro il cibo che egli avrebbe offerto. Trent’anni per arrivare a questo punto!. Ora Gesù li ammonisce ad uscire dalla loro incredulità e ad aprirsi ad accogliere il dono di Dio che si rende presente in Lui.
Il pane che ci vuol dare è la sua vita. Il nocciolo dell’incredulità della gente, e forse anche della nostra, consiste nel vedere in Gesù, soltanto colui che ha condiviso il pane degli uomini, non accogliendolo come Colui che ci vuol donare, col pane, anche la propria vita. “Chi crede ha la vita eterna” e chi mangia di Lui avrà la vita eterna.
/ Nel deserto gli ebrei che mangiarono la manna, (figura e simbolo del pane eucaristico), morirono tutti e non entrarono nella terra promessa, per mancanza di fede. Così per noi: cosa sarebbe una comunione “sacramentale” che non fosse comunione “spirituale” di fede con Gesù? Sarebbe un mangiare la “carne” del Figlio dell’uomo alla maniera in cui l’intendevano quelli di Cafarnao, cioè a livello della carne soltanto e nulla più, senza fede. E Gesù dice che la carne, da sola, senza lo Spirito, non giova a nulla. Fede ed Eucaristia sono intimamente connesse e si richiamano a vicenda: perché con la fede credo che Gesù è vivo e presente nel Pane e nel Vino consacrati: mentre l’Eucaristia è nutrimento della fede. “L’Eucaristia fa la Chiesa, e la Chiesa fa l’Eucaristia”.
/ Il pane eucaristico segue le leggi del pane casalingo offerto dal padre di famiglia ai suoi.
Il pane acquista significato perché qualcuno lo ha impastato e cotto: qualcuno lo ha guadagnato, e qualcuno lo mangerà. I genitori procurano ai propri figli il pane, il cibo, i vestiti, con il proprio lavoro. Essi sono pane di vita per i loro figli, non soltanto perché hanno dato loro la vita, ma perché, in qualche modo, sono continuamente “mangiati” dai loro figli. Ora se i genitori e i figli possono dare al pane un significato così profondo, perché Gesù non potrebbe dare al pane eucaristico un significato e una realtà tutta nuova, e farne così la partecipazione della sua vita con il Padre e il segno efficace della sua intima presenza e comunione con coloro che in Lui credono?
/ Tutto il bene spirituale della Chiesa è racchiuso nell’Eucaristia, dove Cristo, nostra Pasqua, è presente e dà la vita agli uomini. L’invito a mangiare di questo pane, è un chiaro accenno alla partecipazione al convito sacrificale dell’Eucaristia.
/ I segni della presenza di Dio accanto al suo popolo in cammino nel deserto, furono particolarmente due: il pane venuto dal cielo(= la manna), e l’acqua scaturita dalla roccia. Questi sono anche i segni attraverso i quali Dio fa sentire la sua presenza efficace in mezzo a noi attraverso l’Eucaristia.
/Così fu per il profeta Elia, che nel deserto fu assistito dall’Angelo del Signore offrendogli una focaccia e dell’acqua, perché proseguisse nel cammino e incontrare Dio all’Oreb.
/ S. Ireneo: “Come da farina secca, senz’acqua, non si può fare una sola pasta e un solo pane, così noi, che eravamo una moltitudine, non potevamo divenire una cosa sola in Cristo Gesù, non potevamo diventare Chiesa, senza l’Acqua venuta dal cielo, cioè senza lo Spirito Santo”.
/ Giovanni Paolo II: “Ecclesia de Eucaristia”: “L’Eucaristia è comunione con Cristo, con il suo Corpo e con il suo Sangue, è partecipazione alla vita eterna di Dio”(n. 75).