Ogni volta che pensiamo o parliamo dei santi, l'idea che ci viene in mente è quella di eroi. Consideriamo i santi come eroi, e giustamente. È tuttavia importante differenziare il concetto mondano di eroismo da quello cristiano, se vogliamo attribuire correttamente le giuste qualità ai nostri fratelli e sorelle che sono in cielo.

Per cominciare, il concetto di eroismo è stato utilizzato per la prima volta in campo etico da Aristotele. Fu propagato nel cristianesimo da Sant'Agostino, che lo applicò ai martiri. I martiri furono chiamati eroi perché scelsero di morire invece di peccare. In questo modo, hanno sconfitto il diavolo. In altre parole, la capacità dei martiri di superare la tentazione di voler salvare la propria vita ad ogni costo era paragonata alla sconfitta delle forze del male sempre determinate a portare fuori strada le persone. Per questo i santi erano considerati vincitori.

Con la fine delle persecuzioni, altre persone, che non erano state martiri, iniziarono a essere associate al martirio. Il fatto di vivere correttamente la vita cristiana e quindi di superare le proprie debolezze faceva sì che i cristiani comuni fossero in qualche modo martiri. Venivano chiamati confessori. Si trattava di persone che, a differenza dei martiri che avevano testimoniato Cristo attraverso la loro morte, testimoniavano Cristo attraverso la loro vita virtuosa.

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Purtroppo, il fatto che il concetto di eroismo sia stato ripreso dal contesto pagano comportava molti rischi. Ad esempio, come era possibile paragonare i martiri e gli altri santi agli eroi pagani, la maggior parte dei quali erano considerati eroi per il loro potere di distruzione dei nemici, per la loro vendetta sui precedenti oppressori e per la loro forza di eliminare gli avversari?

In secondo luogo, l'idea degli eroi rischiava di allontanare i santi dalla vita ordinaria dei cristiani. A volte si rischiava di elevare i santi ad altezze irraggiungibili, isolandoli dalla fraternità cristiana. In questo modo quasi si mitizzavano i santi. Peggio ancora, questo concetto di eroismo metteva in ombra l'essenza della santità dei cristiani comuni, presentando l'idea che per essere santi bisognava fare cose straordinarie invece di vivere una vita cristiana ordinaria, aperta e generosa alla grazia di Dio. Questa visione delle cose non facilitava la fruizione della santità. Al contrario, la faceva apparire come un dono inimitabile e con meno significato per la vita dei poveri peccatori.

Lo sfondo del concetto neotestamentario di santità ed eroismo, tuttavia, è diverso dall'eroismo pagano. L'eroe cristiano è colui che, nello sforzo di seguire Gesù, è capace di rinnegare sé stesso, prendere la propria croce ogni giorno e seguire Cristo (Lc 9,23). Il cristiano appartiene a Cristo (Fil 3,12). La sua vita è un mistero di comunione con Cristo. Ogni cristiano è crocifisso con Cristo nel battesimo. La morte di Cristo sulla croce è stata un segno di quanto ci ha amato. Oggi, gli eroi cristiani sono coloro che sono in grado di amare Cristo e i suoi fratelli e sorelle nello stesso modo in cui lui ha amato. Quindi, per essere eroi nel nostro tempo, dobbiamo fare due cose.

In primo luogo, dobbiamo valorizzare la "quotidianità" o la vita di ogni giorno. È facile vivere pienamente e con gioia brevi momenti belli della nostra fede, solo come "un fuoco del momento". Altra cosa è invece vivere il nostro impegno cristiano quotidiano ogni giorno, ogni settimana, ogni mese e per anni. È per questo che Gesù ha parlato di prendere la nostra croce ogni giorno. Richiede costanza, una pazienza duratura e una determinazione incrollabile. È questo il senso della fedeltà.

In secondo luogo, per essere veri eroi in senso cristiano, dobbiamo andare oltre la pratica comune di ogni altro cristiano, nel vivere le virtù cristiane. Il piccolo passo al di là della pratica comune indica l'effetto dello Spirito Santo in noi, perché mostra ciò che non avremmo potuto raggiungere con le nostre capacità. In altre parole, andare oltre la pratica comune di ogni altro cristiano, richiede la collaborazione con lo Spirito del Signore. Chiediamo al Signore di continuare a ispirare le nostre vite per essere eroi cristiani del nostro tempo.

* Padre Jonah M. Makau, IMC, frequenta il corso in Cause dei Santi, a Roma.

Le icone nella chiesa

All'inizio di questo mese all'Università Lateranense abbiamo iniziato il corso di iconografia, aprendoci a un mondo che è sconosciuto alla maggioranza dei cristiani.  Stiamo parlando dello studio delle icone o delle rappresentazioni simboliche da non confondere con l'iconologia che, invece, va oltre gli elementi visivi e ne approfondisce il significato storico, culturale e contestuale di questi simboli e immagini. In altre parole, mentre l'iconografia si riferisce allo studio e all'interpretazione dei simboli e delle immagini utilizzati nell'arte, concentrandosi sulla rappresentazione visiva e sul significato che essi trasmettono, l'iconologia si concentra sulla parte socio-culturale degli stessi. Le due parole sono composte iniziano con "icona", che significa immagine.  Infatti, come tali, sia l’iconografia che l’iconologia si occupano di immagini, che però vengono studiate e interpretate da due angolature diverse.

Le immagini hanno una lunga tradizione nella storia delle chiese. Il riconoscimento del cristianesimo da parte dell'imperatore romano Costantino il Grande diede inizio all’”adornamento” delle chiese con icone, che fino ad allora erano riservate all'uso privato. Le icone venivano utilizzate per rappresentare temi della vita di Cristo, di sua madre Maria e scene della Bibbia o della vita dei santi. In questo modo, anche chi non era in grado di leggere la Bibbia (di fatto il popolo non era autorizzato a leggerla), poteva comprendere il mistero dell'autorivelazione di Dio e della sua opera di salvezza. Le figure e le scene rappresentate nelle icone o nelle pitture murali si basavano su informazioni orali tramandate di bocca in bocca tra i fedeli. La prima icona è attribuita all'evangelista Luca e raffigura la Vergine Maria. Nell'VIII secolo e nella prima metà del IX secolo, nell'Impero bizantino, le icone divennero oggetto di un conflitto teologico e politico che causò disordini nell'impero e oltre, separando i fedeli cristiani in due fazioni: i sostenitori del culto delle icone (iconoduli) e dall’altra, i contrari ad ogni forma di culto dele immagini sacre e ne propugnavano la loro distruzione (iconoclasti).

Oggi le icone sono parte integrante dell'espressione della nostra fede. Infatti, proprio come è avvenuto nel corso dei secoli, le icone sono una forma di preghiera e un "mezzo" per pregare perché aiutano i cristiani a riflettere e meditare. Per questo motivo vengono definite "finestra sul cielo", poiché ci aiutano a concentrarci sulle cose divine. Sebbene contengano ancora aspetti materiali, come la pittura e il colore, attraverso di esse ci viene insegnato a non negare la nostra vita fisica, ma a trasformarla, come facevano le persone sante rappresentate dalle icone. È importante ricordare che le icone stesse sono solo venerate, non adorate. Noi adoriamo solo Dio nella Santissima Trinità.

20240311Iconografia2A differenza di un tempo, quando le icone erano uno strumento di catechesi per gli analfabeti, oggi le icone sono quasi dei sacramentali. Ciò significa che rendono presenti gli eventi storici, attraverso la rappresentazione delle realtà divine in forma visibile. Hanno poi trasceso la funzione didattica che offrivano un tempo. Il loro scopo è quello di condurci al di là di ciò che può essere percepito a livello meramente materiale, di risvegliare in noi nuovi sensi e di insegnarci un nuovo tipo di visione, che percepisce l'invisibile nel visibile. Le icone sono anche escatologiche, in quanto immagini di speranza. Ci danno la certezza del mondo che è da venire e della venuta finale di Cristo. Certamente, le icone sono di natura cristologica. L'icona di Cristo è il centro dell'iconografia sacra e il centro dell'icona di Cristo è il mistero pasquale.

(Foto: l’immagine della Sacra Famiglia come soggetto dell’azione di Dio e dell’apertura al mondo, all’umanità, alla storia" -Marko Ivan Rupnik)

Purtroppo, oggi stiamo vivendo non solo una crisi dell'arte sacra, ma una crisi dell'arte in generale.  A causa della diminuzione della fede o di ciò che molti definiscono come “cecità spirituale”, la Chiesa (e il mondo) sta affrontando una crisi di proporzioni senza precedenti. Il secolarismo, l'individualismo e il materialismo hanno inibito il senso del sacro nella vita di tanta gente, al punto che gli artisti non rappresentano più l'invisibile attraverso il loro talento come facevano un tempo. Con la monetizzazione dei talenti, gli artisti sono venuti meno alla loro responsabilità di aiutare il mondo a vedere l'invisibile attraverso la pittura con i suoi temi, soggetti presentati con linee, colori e sfumature diverse. È la stessa cosa che è accaduta con la musica. Mentre un tempo gli artisti si consideravano strumenti speciali dell'Invisibile per parlare al suo popolo, oggi ciò che conta è la creatività dell'artista e la somma di denaro che può ricavare da un determinato lavoro.  Stranamente, anche il canto che tradizionalmente si diceva che equivaleva a "pregare due volte", oggi non lo è più.

Nello stesso tempo noi, che in un modo o nell’altro “consumiamo” arte, abbiamo perso il senso della vera bellezza, che parla attraverso le opere d’arte. A conferma di questo facciamo notare che abbiamo perso il senso della qualità e della modestia, per passare a una bellezza esteriore che attrae e che non rimanda più oltre sé stessa. Per molti di noi, più un'immagine è astratta, più è spirituale. Non distinguiamo più tra astrattezza e spiritualità dell'arte. Per questo, siamo pronti a mettere in chiesa qualsiasi immagine, purché abbia un personaggio che assomigli vagamente a Cristo, alla Beata Vergine Maria, ai santi e così via. Abbiamo dimenticato che la nostra fede è autentica nella misura ha un continuo riferimento all'immagine di Dio e dei santi che abbiamo nella mente e nel cuore.

Come ha osservato papa Benedetto XVI, la verità non solo ci rende liberi, ma ci permette anche di vedere. Senza di essa, non potremo vedere la bellezza del cosmo che si manifesta nella armonia dei pianeti. Senza la fede e senza un buon rapporto con Dio, ogni volta che guardiamo un'opera d'arte, non vediamo altro che “del materiale lavorato”. E se non c'è altro che semplice materia, nulla ha davvero importanza, compresa la bellezza. La verità è che il bello è inseparabile dal buono (il bene) e dal vero. È necessario il dono di un nuovo tipo di visione, che non dipenda solo dal vedere con i soli occhi. È importante chiedere al Signore, in questo tempo di Quaresima, di darci una fede capace di vedere, perché solo così possiamo scoprire che Cristo è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di tutta la creazione (Col 1,15).

* Padre Jonah M. Makau, IMC, frequenta il corso in Cause dei Santi all'Università Lateranense a Roma.

Il 3 giugno, nella chiesa cattolica, si celebra la memoria dei martiri dell'Uganda. Sono 22 martiri cristiani cattolici che furono arsi vivi per ordine del re Mwanga II del regno di Buganda tra il 15 novembre 1885 e il 27 gennaio 1887. Per la maggior parte di loro il luogo del martirio fu Namugongo dove attualmente è costruita la basilica in suo onore.

Furono beatificati nel 1920 da papa Benedetto XV e canonizzati il 18 ottobre 1964 da papa Paolo VI. Essendo loro i primi santi canonizzati nell'Africa sub-sahariana, il loro sangue è diventato il seme fecondo del cristianesimo in Africa. In Uganda si celebra una festa nazionale; il loro martirio ha avuto un ruolo enorme nell'unificazione del Paese, nella promozione dell'ecumenismo e del dialogo interreligioso.

La loro influenza sull'evangelizzazione in Africa.

Poiché sono stati i primi martiri riconosciuti dalla Chiesa nell'Africa sub-sahariana, la loro testimonianza ha avuto un impatto significativo sulle società di tutto il continente e la loro influenza può essere evidenziata nei seguenti aspetti:

Una nuova era del cristianesimo nel continente africano. A questo proposito Papa Paolo VI disse: “Questi martiri africani aprono una nuova era, non intendiamo certo di persecuzioni e lotte religiose, ma di rigenerazione cristiana e civile. Il sangue di questi martiri è la primizia di questa nuova era africana” (Omelia in occasione della canonizzazione. 18 ottobre 1964). Al momento del suo martirio, la fede cristiano-cattolica non esisteva da molto nell'Africa sub-sahariana. Nel caso dell'Uganda, i missionari d’Africa, conosciuti con il nome di “padri bianchi” per il colore della loro tonaca, non erano da tempo insediati nel Paese: erano arrivati in Uganda nel febbraio 1879 e avevano subito avviato l'evangelizzazione fra i nobili della corte del re Mwanga II. Martiri furono alcuni dei suoi primi catecumeni e il primo martirio avvenne il 15 novembre 1885 quando San Giuseppe Mukasa Balikuddembe fu condannato a morte.

Il motore della sua testimonianza nell'evangelizzazione. Tutti i martiri sono massimi testimoni della fede in Gesù Cristo. Il martirio è la coerenza più profonda tra professione di fede e vita quotidiana e suggella definitivamente la vita dell'uomo configurata con la vita di Cristo. Nel martirio è un vero battesimo di sangue e si compie in modo reale ciò che nel battesimo avviene in modo sacramentale e simbolico: morire insieme a Cristo per risorgere con Lui (Rm 6, 3-11). Sia in Uganda che nel resto del continente africano, la loro testimonianza di Cristo è stata di inestimabile valore, un seme fecondo per l'evangelizzazione del continente africano.

Le vocazioni autoctone. La Chiesa in Uganda e in varie parti dell'Africa crebbe notevolmente in poco tempo dopo l'arrivo dei primi missionari. In Uganda nel 1913 furono ordinati i primi sacerdoti indigeni dell'allora vicariato di Masaka e il 29 ottobre 1939 il papa Pio XII consacrò il primo vescovo: il padre Joseph Kiwanuka del clero di Masaka. In Kenya i primi sacerdoti cattolici autoctoni furono ordinati nel 1927 nell'allora vicariato di Nyeri e la Chiesa della Tanzania produsse il primo cardinale africano: Mons. Laureano Rugambwa che fu nominato da papa Giovanni XXIII nel 1960.

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Altri martiri del continente africano. Dopo di loro, l'elenco dei martiri africani si è allungato in diverse parti del continente. Vogliamo ricordare, ad esempio, il Beato Isidoro Bakanja, martire congolese beatificato il 24 aprile 1994; il Beato Cipriano Iwene Tansi della Nigeria, beatificato il 22 marzo 1998; i Beati Daudi Okelo e Jildo Irwa, catechisti e martiri ugandesi, beatificati il 20 ottobre 2002. Infine le Serve di Dio Luisa Mafu e le sue Compagne Catechiste e i martiri di Guiúa in Mozambico.

Conclusione

Tertulliano disse nell'anno 197 dopo Cristo che "il sangue dei martiri è il seme dei cristiani". Infatti, la testimonianza di fede in Gesù Cristo dei martiri ugandesi è stata un motore di evangelizzazione in varie parti dell'Africa. Loro oggi sono patroni in molte istituzioni educative, istituti di catechesi e province ecclesiastiche. Dei 22 Carlos, Matia e Kizito sono i più riconosciuti: nel 1934 papa Pio XI nominò Carlos Lwanga patrono dei giovani dell'Africa cristiana; Matia Mulumba è patrono dei catechisti e delle famiglie, e Kizito è patrono delle scuole dell'infanzia e primarie.

In paesi come Uganda, Congo, Kenya, Tanzania, Rwanda, è molto comune trovare in quasi ogni famiglia persone con il nome dai martiri ugandesi.

* Lawrence Ssimbwa è missionario della Consolata e lavora con la popolazione afro della diocesi di Bueventura in Colombia.

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