Le reliquie

Il corso sulla causa dei santi mi ha introdotto in un mondo a cui non avevo mai pensato profondamente: le reliquie.

In generale, sembra che, mentre in Europa e in Asia la questione delle reliquie sia ben nota e diffusa, in molte parti dell'Africa non lo è, e probabilmente questo ha contribuito alla mancanza di informazioni sulle stesse in molte persone.

Nella Chiesa, una reliquia è solitamente costituita dai resti fisici o dagli effetti personali di un santo o di un beato. In genere, le reliquie sono conservate a scopo di venerazione, come ricordo tangibile di quella particolare persona (o persone) per tre motivi: primo, perché i corpi dei beati e dei santi sono destinati alla resurrezione. In secondo luogo, perché i corpi dei beati e dei santi sono stati templi dello Spirito Santo durante la loro vita. Terzo, perché i loro corpi erano strumenti della loro santità sulla Terra.

20250121Reliquia4È importante distinguere tra reliquie ed esuvie. Mentre le reliquie appartengono a santi e beati, le esuvie sono resti mortali di Servi di Dio e di persone venerabili, le cui cause di beatificazione e canonizzazione sono in corso. Finché non saranno elevati agli onori degli altari attraverso la beatificazione o la canonizzazione, i loro resti mortali non potranno godere di alcuna venerazione pubblica, né di quei privilegi che sono riservati solo al corpo di coloro che sono stati beatificati o canonizzati.

In generale, le reliquie si dividono in tre classi. La prima classe comprende l'intero corpo del beato o del santo, una parte significativa del corpo o anche le ceneri dopo la cremazione. Le reliquie di seconda classe sono beni che il beato o il santo possedeva. Le reliquie di terza classe sono oggetti che hanno toccato i resti del santo o che hanno avuto a che fare con la tomba del santo.

È interessante notare che la questione dei poteri dei corpi umani non è recente. La realtà è evidente anche nelle Scritture. Nell'Antico Testamento, troviamo alcuni testi che riguardano la questione. Innanzitutto, notiamo che le tombe dei patriarchi di Israele erano rispettate e i loro corpi erano considerati preziosi. In Esodo 13:19, ad esempio, Mosè portò con sé le ossa di Giuseppe quando il popolo d'Israele lasciò l'Egitto. I preziosi resti di Giuseppe non potevano essere lasciati in una terra pagana. In Giosuè 24:32, le stesse ossa di Giuseppe sono sepolte a Sichem nel terreno che Giacobbe aveva acquistato per 100 pezzi d'argento dai figli di Camor, padre di Sichem, e che i figli di Giuseppe avevano ricevuta in eredita. In 2 Re 13:21 scopriamo il potere del corpo morto di un profeta. Mentre un tale veniva seppellito, coloro che lo stavano seppellendo videro un gruppo di Moabiti avvicinarsi a loro, così gettarono il corpo del morto in una tomba vicina. A loro insaputa, si trattava della tomba del profeta Eliseo. Quando il corpo del morto toccò le ossa del profeta Eliseo, l'uomo tornò in vita.

Nel Nuovo Testamento, leggiamo in Mt. 14,35 che quando Gesù visitava dei luoghi, la gente lo pregava di fargli toccare la frangia del suo mantello. Tutti coloro che lo toccavano guarivano dalle loro malattie. Questo è esattamente ciò che accadde alla donna che aveva un'emorragia da 12 anni. Rendendosi conto della vergogna di dover dare spiegazioni a Gesù davanti a tutti e conoscendo le conseguenze di trovarsi in mezzo alla folla mentre era in uno stato considerato impuro, scelse di toccare in silenzio la frangia del mantello di Gesù, credendo che toccandolo avrebbe cambiato la sua vita. La sua fede non la deluse. Tutto funzionò come aveva previsto: fu guarita (Luca 8:41-56). Questi eventi miracolosi non erano associati solo a Gesù e ai profeti. Negli atti degli apostoli, leggiamo che i fazzoletti o i grembiuli che avevano toccato San Paolo, offrivano la guarigione alle persone malate, e in effetti anche gli spiriti maligni uscivano da essi (Atti 19:12). Si tratta di esempi chiari e concreti, che dimostrano come Dio ha dato potere ai corpi di persone che vivevano in stretta relazione con lui.

Oggi la Chiesa insegna che i santi non sono solo uomini e donne che hanno vissuto vite eroiche per Gesù Cristo, ma sono anche i nostri amici in cielo che intercedono per noi. Chiediamo ai Santi e ai Beati di pregare per noi e per i nostri cari, e di presentare le nostre richieste di preghiera in modo speciale, poiché sono più vicini al Signore di quanto lo siamo noi sulla terra. Pregare davanti alla reliquia di un Santo deve essere fatto per amore e ringraziamento verso il Santo e verso Dio.

20250121Reliquia

Mostriamo la nostra gratitudine per l'intercessione di un santo venerando la sua reliquia con riverenza. La questione della venerazione è molto delicata. Va notato che le reliquie dei Beati o dei Santi non sono magiche. Le reliquie stesse non sono fonte di guarigione, miracoli o grazia. Ciò significa che non devono essere trattate in modo superstizioso. Al contrario, le guarigioni miracolose e la grazia vengono solo da Dio. Ecco perché la genuflessione e il segno della croce dovrebbero essere riservati solo a Gesù Cristo.

Per mantenere la disciplina in questa materia, la Chiesa esige che le reliquie dei beati e dei santi possano essere esposte alla venerazione dei fedeli solo quando sono certificate dall'autorità ecclesiastica che ne garantiscono l'autenticità. Naturalmente, i vescovi diocesani (e coloro che sono equiparati ad essi dal diritto) e la Congregazione per le Cause dei Santi riservano particolare cura e vigilanza per assicurarne la conservazione e la venerazione e per evitarne l'abuso.

Allo stesso modo, le reliquie devono essere conservate in speciali urne sigillate e collocate in luoghi che ne garantiscano la sicurezza, ne rispettino la sacralità e ne promuovano il culto. Mentre continuiamo a ricevere reliquie di santi e beati, siamo invitati a conservarle con dignità e a venerarle con riverenza.

* Padre Jonah M. Makau, IMC, è postulatore e direttore dell’Ufficio Storico

All’inizio del nuovo anno 2025, siamo molto felici. L'anno 2024 rimarrà nella storia come l'anno nel quale il nostro fondatore Giuseppe Allamano fu canonizzato. È una grande pietra miliare nella nostra storia e dovremmo essere orgogliosi di aver vissuto questa esperienza.

La canonizzazione dell’Allamano portò a termine un lungo e faticoso iter, iniziato nel 1944, dopo il Capitolo generale del 1939, che all'unanimità decise di avviare la causa di beatificazione. Da allora fino al momento della canonizzazione l'intero processo è passato fra le mani di cinque postulatori.

La causa di beatificazione dell’Allamano fu iniziata nel 1944 da p. Giacomo Fissore. Nel corso dei decenni passò nelle abili mani di p. Pasqualetti Gottardo, p. Francesco Pavese, p. Pietro Trabucco e p. Giacomo Mazzotti. Il processo si è concluso lo scorso anno durante il “regno” di p. Giacomo Mazzotti come postulatore. Quindi Giuseppe Allamano ha avuto bisogno di 80 anni per diventare santo, grazie alla collaborazione dei nostri missionari, alla preghiera del popolo di Dio e al prezioso lavoro dei postulatori.

Per cominciare è importante sapere chi sia un postulatore. Questi è la persona che guida una causa di beatificazione o canonizzazione attraverso i processi giudiziari richiesti dalla Chiesa cattolica romana. Secondo Santorum Mater - che è l'istruzione per condurre le inchieste diocesane sulle cause dei Santi, il postulatore deve essere esperto di teologia, diritto canonico e storia, oltre che della prassi della Congregazione delle Cause dei Santi (Articolo 12 §4).

20250104Allamano3In realtà però il lavoro di postulazione è soprattutto un'attività collaborativa: una parte importante del suo lavoro è quella di coordinare e guidare ciò che viene dal popolo di Dio che è il vero protagonista al momento di avviare la causa di beatificazione e canonizzazione. L’iniziativa la prende il vescovo diocesano ma il suo primo dovere è quello di accertare che il candidato gode di una ferma e diffusa fama di santità presso il popolo cristiano (Sanctorum Mater 7 § 1). Se manca questo fondamento non bisogna avviare nessun processo di beatificazione.

La fama di santità del servo di Dio è quindi la scintilla che dà inizio a tutto il processo, ed è l'elemento che lo sostiene. Ma cosa significa “fama di santità”? La fama di santità è l'opinione largamente diffusa nel popolo di Dio, sulla purezza e integrità di vita del servo di Dio, e sulla sua pratica eroica delle virtù cristiane (art. 5, § 1). Tale fama di santità deve essere stabile, spontanea e diffusa (art. 7, § 2). Questo è il trucco ed è lì che serve lo sforzo di ciascuno. Sono loro, il popolo di Dio, quelli che riconoscono la vita del servo di Dio come esemplare e degna di imitazione. È il popolo di Dio che conosciuto il servo di Dio, sono loro che devono riconoscere che la persona è idonea all'invocazione.

E in tutto questo anche noi, missionari della Consolata, abbiamo un ruolo da svolgere. In parte dipende anche da noi che i nostri confratelli, per i quali vale la pena avviare una causa di beatificazione, siano conosciuti dal popolo di Dio che serviamo. La loro vita, il loro ministero e il loro servizio devono essere vivi nelle menti delle comunità cristiane al servizio delle quali lavoriamo. Solo così il popolo potrà identificare il valore o la santità di una persona o un confratello e considerarlo degno di intercedere per gli altri.

Il ruolo di ogni missionario della Consolata, con rispetto a questo tema, è quindi in primo luogo quello di aiutare la Direzione Generale a individuare, nelle diverse parti del mondo in cui operiamo, quegli individui che abbiano vissuto in modo eroico il loro impegno missionario ma poi anche diffondere fra i fedeli cristiani la memoria positiva dei nostri confratelli defunti. Se noi missionari per primi parliamo male di un certo confratello defunto, come possiamo poi chiedere ai cristiani di invocarlo? Il popolo di Dio è molto influenzato dalla testimonianza viva dei ministri e ciò che diciamo degli altri conta molto. Se siamo sempre in conflitto e pieni di negatività, come possiamo ispirare a qualcuno la fiducia che il nostro confratello defunto fosse migliore?

C’è anche un terzo aspetto che è importante: vivere noi stessi una vita esemplare. Non possiamo  dimenticare che il popolo di Dio vede nei nostri presunti santi ciò che vede in noi. Se la nostra vita non è attraente, come possiamo convincere i cristiani che un missionario defunto della nostra congregazione ha vissuto una vita esemplare? È probabile che i cristiani associno l'immagine della nostra vita al confratello che desideriamo presentare alla beatificazione, e quindi se ci sarà qualche nostro cattivo esempio, questo rischia di rovinare le possibilità di molti missionari che hanno vissuto veramente una vita ammirevole.

20250104Allamano2

Padre Jonah M. Makau nella Casa di San Giuseppe Cafasso a Castelnuovo Don Bosco

Ciascuno di noi ha il dovere di dimostrare unità e armonia nella comunità che ci è assegnata; il modo in cui viviamo la nostra vita comunitaria è fondamentale. Lo stesso Gesù ha insegnato ai suoi discepoli che le persone li avrebbero riconosciuti come tali se avessero avuto amore gli uni per gli altri (Gv. 13,35). Amarsi gli uni gli altri era quindi sia un criterio che un mezzo di evangelizzazione. È possibile vivere una “buona vita” come missionario, ma non riuscire a essere un membro efficiente di una determinata comunità.

Tutti abbiamo conosciuto missionari che facevano molto, ma vivevano da soli. Il popolo di Dio è molto attento a tali questioni, e quindi ogni questione che sembra andare in contraddizione con gli insegnamenti di Cristo diventa motivo per mettere in dubbio la presunta santità di quella particolare persona. Questo spiega perché la nostra vita deve essere il più possibile autentica.

All'inizio del nuovo anno, l'ufficio di postulazione invita ciascuno di noi ad essere più proattivo nel partecipare alle attività di postulazione, ciascuno nella missione che gli è assegnata.

* Padre Jonah M. Makau, IMC, Direttore Ufficio Storico.

A colloquio con il postulatore della causa di canonizzazione

Il Beato Giuseppe Allamano, nato a Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) il 12 gennaio 1851, morì a Torino il 16 febbraio 1926.

Della figura e del carisma del fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata, sorti rispettivamente nel 1901 e nel 1910, ci ha parlato padre Giacomo Mazzotti (Istituto Missioni Consolata), postulatore generale della causa di canonizzazione.

A che punto è la causa di canonizzazione del vostro fondatore?

Siamo ormai alle ultime battute di un percorso iniziato a Torino nel 1944 e proseguito con la beatificazione di Giuseppe Allamano celebrata in Piazza San Pietro il 7 ottobre 1990 da Giovanni Paolo II. Il secondo miracolo, che porta al processo in corso, fu un evento “strano” capitato pochi anni dopo nella foresta amazzonica brasiliana.

Di cosa si trattò esattamente?
20240221Giacomo

P. Giacomo Mazzotti, IMC, Postulatore Generale

La mattina del 7 febbraio 1996 un indigeno dell’etnia Yanomami, di nome Sorino, mentre si recava a caccia, fu aggredito da un giaguaro che gli perforò il cranio, riducendolo in fin di vita.

Soccorso dalle suore missionarie presenti in un piccolo dispensario nei pressi del villaggio, venne trasportato d’urgenza in città e immediatamente operato, pur essendo flebili le speranze di salvarlo. Superati i primi giorni tra la vita e la morte, sostenuto dall’invocazione accorata e fiduciosa al fondatore, Sorino non solo scampò alla morte ma ritornò alla sua vita consueta di “abitante della foresta”, senza alcuna conseguenza dell’incidente. L’inchiesta diocesana si svolse nel 2021 nello stato brasiliano di Roraima, in piena pandemia.

Gli atti del processo giunsero a Roma e lo scoglio più difficile venne superato quando i membri della commissione medica diedero il loro riscontro positivo circa la guarigione di Sorino, dichiarandola «scientificamente inspiegabile». Ora aspettiamo il giudizio dei consultori teologi e quello dei cardinali e dei vescovi del Dicastero delle cause dei santi. Dovranno riconoscere la guarigione dell’indigeno come un vero miracolo attribuito all’intercessione del nostro Beato.

Quali sono le caratteristiche fondanti che Allamano ha voluto permeassero la sua congregazione?

Queste caratteristiche si possono leggere in un volume che le missionarie della Consolata hanno di recente pubblicato: Il tesoro del nostro carisma. Il titolo rimanda alle parabole di Gesù, dove si parla proprio di tesori e perle. La “perla preziosa” per cui Giuseppe Allamano si appassionò e cercò finché non riuscì a trovarla, cesellarla e custodirla, affidandola ai suoi figli e figlie, è la missione, anzi la missione ad gentes, cioè rivolta a tutti, in particolare a coloro che non sono ancora stati raggiunti dalla Buona Notizia. Altro aspetto a lui caro sta nel desiderio che i missionari realizzino la loro vocazione con uno “squarcio di azzurro” nel cuore, ossia con la Vergine Consolata, del cui santuario torinese Allamano fu per quarantasei anni il rettore e che lui chiamava “la Fondatrice”.

Infine sognava dei missionari di qualità, che avessero cioè come ideale la santità, realizzata e vissuta secondo il suo spirito: con un ardore missionario nel cuore e che non si spaventassero delle fragilità riscontrate in sé e negli altri, non si demoralizzassero per gli insuccessi e non guardassero al futuro con perplessità o paura. Insomma, diciamo noi: gente come lui.

Dove e come operano ora i missionari della Consolata in una Chiesa guidata dall’impronta evangelica di Papa Francesco?

Siamo presenti in circa una trentina di nazioni sparse in Africa, Europa, America e Asia. Dall’Angola al Kenya, all’Uganda, per esempio, dall’Argentina alla Colombia, al Venezuela, dalla Gran Bretagna alla Spagna, alla Polonia, dalla Corea del Sud a Taiwan, alla Mongolia. Credo che la presenza discreta, paziente e lungimirante del Papa e il suo magistero non abbiano lasciato “indenni” i due istituti. L’esortazione apostolica Evangelii gaudium e l’enciclica Fratelli tutti hanno spinto gli ultimi capitoli generali a ripensare la missione nello stile nuovo con cui realizzarla.

Partendo dal “tesoro” carismatico di Giuseppe Allamano non possiamo non rispecchiarci nel volto nuovo di una Chiesa “in uscita, sinodale e che abbraccia tutti”. Sulla traccia del fondatore continuiamo ad annunciare il Vangelo nel servizio compassionevole di consolazione verso i popoli bisognosi (profughi, rifugiati, migranti, indigeni) tramite processi capaci di generare accoglienza, cura pastorale e promozione della dignità umana.

*  Nicola Di Mauro è goirnalista dell'Osservatore Romano. Pubblicato nell’Osservatore Romano, del 19 febbraio 2024, pagina 9.

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