Papa Francesco (1936-2025) tra le braccia del Padre
Un giorno di maggio del 2013, dopo che papa Francesco era stato eletto vescovo di Roma, io, che ero vescovo in Sudafrica, ho pensato di scrivergli, raccontandogli come la sua elezione fosse stata accolta nella nostra parte del mondo.
Il nunzio apostolico mi assicurò che la lettera sarebbe arrivata a lui e non a uno dei suoi segretari. E fu proprio così. Circa un mese dopo ricevetti una sua risposta scritta a mano. Non me lo sarei mai aspettato.
A luglio Papa Francesco si è recato a Rio de Janeiro per la Giornata mondiale della gioventù e ha chiesto di organizzare un evento speciale per chi arrivava dall’Argentina (una folla enorme, come potete immaginare!). Dato che io sono Argentino, i vescovi mi hanno invitato a unirmi a loro.
All’arrivo del papa in cattedrale, i vescovi argentini lo hanno salutato con entusiasmo (era la prima volta che lo incontravamo come Papa!). Mi sono presentato non aspettandomi che si ricordasse di me. Mi ha detto: «Hai ricevuto la mia lettera?».
È stato travolgente. In mezzo a tutto ciò che stava accadendo intorno a lui, come poteva ricordarlo?
Al di là delle sue omelie, dei suoi discorsi e dei suoi documenti, si potrebbero scrivere pagine e pagine sul fatto che facesse sentire unica ai suoi occhi ogni persona che lo incontrava.
Credo che come Sacbc (vescovi di Botswana, Eswatini e Sudafrica) non dimenticheremo mai le due visite ad limina che abbiamo avuto con lui nel 2014 e nel 2023.
Il primo non lo dimenticheremo perché, accogliendoci (in due gruppi in due giorni diversi), ha esordito: «Come si dice nel calcio, il pallone è al centro, chi lo calcia per primo? Di cosa vorresti che parlassimo?».
Era uno spazio aperto per noi per parlare con il successore di Pietro di qualsiasi argomento avessimo nel cuore. Era totalmente nuovo per noi. Ricordo infatti ancora uno dei vescovi che disse dopo l’incontro: «Ho aspettato 20 anni per un momento così».
Il secondo incontro è stato segnato dal fatto di essere stato annullato. Il Papa era in ospedale dopo aver subito un intervento chirurgico importante.
Il giorno in cui è stato dimesso, alcuni di noi si trovavano all’ingresso della sua residenza proprio nel momento in cui è stato riportato dall’ospedale. Mi ha visto e mi ha chiesto se fossimo lì per la visita ad limina e quando ci saremmo incontrati. Ho detto: «L’incontro è stato cancellato. Tu eri in ospedale ma tu sei il Papa e… sei imprevedibile!». Ha salutato gli altri vescovi e poi ha detto: «Dite ai vescovi che potremmo incontrarci dopo pranzo».
Nessuno si aspettava che un uomo di 86 anni trovasse il tempo per noi dopo un intervento chirurgico importante. Eravamo solo noi e lui, nessuna segretaria, nessun protocollo, nessuno a tradurre! Era il vescovo di Roma con i suoi fratelli vescovi nel modo più informale. Non sono stati gli argomenti di cui abbiamo parlato quel pomeriggio a rimanere nei nostri cuori, ma quello che abbiamo visto anche domenica scorsa: il suo dare tutto il suo tempo e le sue energie a tutti i costi.
Attraverso momenti come questi, attraverso le sue lettere personali, telefonate, visite… si è fatto vicino a tutti noi, ha testimoniato la cura amorevole di Dio per ogni persona, ma ha anche, silenziosamente, richiamato tutti noi a prenderci cura gli uni degli altri, ad apprezzare il dono gli uni degli altri e, a noi vescovi, ha mostrato il modo in cui siamo chiamati a prenderci cura di coloro che ci sono stati affidati.
* Mons. José Luis Ponce de León, IMC, vescovo di eSwatini. Pubblicato originalmente in: www.rivistamissioniconsolata.it
Serenità, sorriso, attenzione all'altro. Ritratto di un papa papà
Negli anni del mio servizio di responsabilità come superiore generale nell’Istituto Missioni Consolata, ho avuto più occasioni per incontrare Papa Francesco. Non solo insieme agli altri superiori in assemblee tra responsabili, ma anche in momenti personali nei quali si è toccato il cuore della Chiesa e la preoccupazione per diverse situazioni complicate che esigevano un discernimento profondo e ben accorto.
La prima cosa che sempre mi colpiva era la sua calma nell’affrontare temi scottanti e difficili. Papa Francesco non perdeva mai la sua serenità e la sua calma, insieme al suo sorriso. Rimaneva a riflettere silenzioso ma non dava mai segni di esagerata preoccupazione o di una sofferenza esasperata.
Una seconda caratteristica che mi ha sempre colpito era la sua grande umanità, come faceva anche il nostro fondatore, san Giuseppe Allamano, Papa Francesco rimaneva concentrato sulla persona che aveva davanti con le sue problematiche e le sue tematiche, sembrava che il mondo ed il tempo si fermassero per lui danti alla persona che incontrava.
Un terzo elemento caratteristico di papa Bergoglio era il suo essere fuori dagli schemi, sia nel parlare che nell’agire. Portava la sua parola, il suo modo di sentire le situazioni e gli avvenimenti, non parlava da papa ma da papà.
Come ho provato a dire nelle diverse occasioni nelle quali ho avuto la grazia d’incontrarlo, ogni volta ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte al mio fondatore. Non ho avuto la gioia di conoscerlo, ma da quello che ho sentito e letto di lui, mi sembrava «rivivere» nel nostro caro Papa Francesco.
Padre Stefano Camerlengo accanto a papa Francesco e il gruppo dei capitolari. Roma 2023. Foto: Vatican Media
Il ricordo più prezioso che porto nel cuore teneramente di Francesco, è quello di un Papa che ci ha insegnato, e ha insegnato al mondo, l’arte del prendersi cura. Prendersi cura degli altri, della natura, del mondo e di ogni situazione che ognuno vive nella sua storia.
Papa Francesco ha camminato nella nostra storia, scandendo i verbi della carità nella logica del Vangelo: una logica che invita a uscire da se stessi per accogliere l’altro, a riconoscere nell’umanità ferita il volto di Cristo, a trasformare ogni incontro in un’opportunità di amore autentico e gratuito.
Papa Francesco è stato samaritano nei pensieri e nei gesti. Ci ha ricordato che essere Samaritani non è un dono di santità ma un esercizio e un’azione quotidiana, un modo di anticipare il cielo sulla terra.
Grazie caro papa Francesco perché sei stato buon Samaritano in mezzo a noi e ci hai insegnato a essere poeti della carità, testimoni di speranza, artisti della cura e a continuare a far fiorire il mondo sotto il peso leggero del nostro amore.
Riposa in pace e, questa volta, prega tu per noi!
* Padre Stefano Camerlengo, Dianra, Costa d’Avorio, 23 aprile 2025. Pubblicato originalmente in: www.rivistamissioniconsolata.it
Alle ore 13 questo sabato 26 aprile ha avuto inizio il rito, secondo le prescrizioni dell'Ordo Exsequiarum Romani Pontificis, presieduto dal cardinale camerlengo Joseph Kevin Farrell, alla presenza di quanti sono indicati nella relativa Notificazione dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche e dei familiari del Papa defunto e si è concluso alle 13:30
In Piazza San Pietro i funerali di Francesco con la partecipazione di 250 mila persone da tutto il mondo, tra cui diversi capi di Stato e di governo. Celebrazione solenne intervallata dagli applausi della gente dispiegata fino a Castel Sant'Angelo.
Il cardinale Re: "Incessante l'impegno per la pace di fronte all'infuriare delle guerre. Ha ricordato con forza che siamo tutti fratelli". Il lungo pellegrinaggio del feretro tra le vie di Roma verso Santa Maria Maggiore
Con chi gli era più vicino scherzava sul fatto di aver detto a Dio che era disponibile ad arrivare “fino a cento anni”, ma poi aggiungeva di non vedere l’ora di incontrare Cristo e la Madonna, la madre, e che in questo giorno del distacco dalla vita terrena avrebbe voluto una “festa”. Ed è stata una festa, intrisa di tutta la sua solennità, la Messa esequiale di Papa Francesco che si è celebrata questa mattina, 26 aprile, in Piazza San Pietro con oltre 250 mila persone venute da ogni parte del mondo, tra cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi, suore, ambasciatori, famiglie, poveri, migranti, giovani e bambini, capi di Stato e di Governo (tra loro anche i presidenti di Stati Uniti e Ucraina, Donald Trump e Volodymyr Zelensky, incontratisi prima dopo tra loro nella Basilica vaticana e poi con Emmanuel Macron e Keir Starmer).
La processione dei sediari con il feretro del Pontefice
“Tutti, tutti, tutti” venuti a dare l’ultimo saluto a un Papa sempre “in mezzo alla gente” e “con il cuore aperto a tutti”, come ha detto il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, durante l’omelia della Messa. Di questa festa restano le immagini, come le tante che hanno costellato questo pontificato. A cominciare dalle mani poggiate sulla bara dei membri di quella che è stata finora la sua “famiglia”: i segretari argentini don Daniel Pellizzon e don Juan Cruz Villalón, quasi due “figli” conosciuti dalla giovinezza a Buenos Aires, e il fedele segretario italiano, il diplomatico don Fabio Salerno; poi gli aiutanti di camera, Piergiorgio Zanetti e Daniele Cherubini e, infine, Massimiliano Strappetti, l’assistente sanitario personale, al suo fianco in tutto il difficile tempo della malattia fino all’ultimo respiro, che ha dato un bacio al feretro prima della uscita sul sagrato. E poi, ancora, tra le immagini: il sole che sorge da dietro l’obelisco e che illumina la bara poggiata su una pedana nel centro della piazza, con sopra il Vangelo sfogliato dal vento come avvenne al funerale del suo predecessore, Giovanni Paolo II, vent’anni fa; le lacrime della gente e dei parenti di sangue; la lunga fila che da San Pietro si è snodata fino a Castel Sant’Angelo, dove molti hanno atteso l'evento dalla notte prima; la bandiera dei ragazzi con la scritta: “Adios padre, maestro y poeta”.
Restano i colori: la porpora dei cardinali, le mitre dorate dei patriarchi delle Chiese orientali, le velette nere delle consorti di sovrani e diplomatici, il copricapo piumato bianco e rosso degli indigeni del Canada. Restano i suoni: il vagito di una neonata nella delegazione argentina, il garrito dei gabbiani mischiato al ronzio dei droni, il Requiem della Schola Cantorum e l’Ora pro eo intonato dalla moltitudine di gente in risposta alle litanie in latino; il “W il Papa”, gridato sommessamente da un uomo tra le prime file.
Ma restano soprattutto gli applausi. Tanti applausi, partiti dal fondo della folla e arrivati come una risacca fino all’altare all’uscita della bara dalla Basilica di San Pietro, alle 10.08, portata in spalla dai sediari pontifici in una processione silenziosa. Applausi andati ad interrompere alcuni passaggi dell’omelia del cardinale Re. Quelli in cui il decano ha ricordato il desiderio di Jorge Mario Bergoglio di una Chiesa che fosse “casa aperta a tutti”, il suo primissimo viaggio a Lampedusa per regalare sollievo in mezzo ad una delle più tremende tragedie migratorie, il suo richiamo a doveri e responsabilità per la Casa comune; l’incessante appello tra la pandemia di Covid e il dramma della guerra: “Nessuno si salva da solo”, implorando pace, pace, pace contro una guerra che – ha detto tante volte – “è sempre una sconfitta”.
Tratti della personalità di Jorge Mario Bergoglio, del suo afflato pastorale, della sua “spiccata attenzione alle persone in difficoltà” e della capacità di spendersi “senza misura”, insieme ai momenti salienti dell’intenso pontificato, a cominciare dai viaggi, si sono intrecciate nella omelia del cardinale Re. Il decano ha ringraziato anzitutto quanti sono venuti da numerosi Paesi “ad esprimere affetto, venerazione e stima verso il Papa che ci ha lasciati”. Ma ha ringraziato soprattutto la gente, accorsa numerosissima in questi tre giorni di esposizione della salma del Pontefice nella Basilica vaticana, e ancora più numerosa oggi in Piazza.
Il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione, che abbiamo visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all’eternità, ci dice quanto l’intenso pontificato di Papa Francesco abbia toccato le menti ed i cuori
La partecipazione dei vescovi e dei cardinali
Il cardinale ha snodato poi la sua riflessione a partire da una immagine “che rimarrà nei nostri occhi e nel nostro cuore”, l’ultima immagine pubblica di Francesco la domenica di Pasqua, quando, nonostante i gravi problemi di salute, ha impartito la benedizione Urbi et Orbi dalla loggia della Basilica di San Pietro e poi è sceso in piazza per salutare dalla papamobile scoperta la grande folla. Un segno della volontà di “percorrere questa via di donazione fino all’ultimo giorno della sua vita terrena”.
Tra metafore e memorie, Re è tornato al 13 marzo 2013, giorno dell’elezione sul Soglio di Pietro dell’arcivescovo di Buenos Aires che si presentò con il semplice nome di Francesco. Una scelta – ha sottolineato– che da subito apparve il simbolo “di un programma e di uno stile su cui egli voleva impostare il suo pontificato, cercando di ispirarsi allo spirito di San Francesco d’Assisi”.
I fedeli presenti ai funerali. Foto: Vatican Media
Conservò il suo temperamento e la sua forma di guida pastorale, e diede subito l’impronta della sua forte personalità nel governo della Chiesa, instaurando un contatto diretto con le singole persone e con le popolazioni, desideroso di essere vicino a tutti, con spiccata attenzione alle persone in difficoltà, spendendosi senza misura, in particolare per gli ultimi della terra, gli emarginati
“È stato un Papa in mezzo alla gente con cuore aperto verso tutti” e anche un Papa “attento al nuovo che emergeva nella società ed a quanto lo Spirito Santo suscitava nella Chiesa”, ha detto Re. Questa attenzione e questa vicinanza si sono rese visibili nel vocabolario attraverso il quale il Papa “ha sempre cercato di illuminare con la sapienza del Vangelo i problemi del nostro tempo”. “Aveva grande spontaneità e una maniera informale di rivolgersi a tutti, anche alle persone lontane dalla Chiesa”, ha rammentato il cardinale.
Ricco di calore umano e profondamente sensibile ai drammi odierni, Papa Francesco ha realmente condiviso le ansie, le sofferenze e le speranze del nostro tempo della globalizzazione, e si è donato nel confortare e incoraggiare con un messaggio capace di raggiungere il cuore delle persone in modo diretto e immediato
Un carisma, quello di Francesco, “dell’accoglienza e dell’ascolto”, unito “ad un modo di comportarsi proprio della sensibilità del giorno d’oggi”: è così che “ha toccato i cuori, cercando di risvegliare le energie morali e spirituali”.
“Il primato dell’evangelizzazione” è stato poi la guida del pontificato, così come “la convinzione che la Chiesa è una casa per tutti; una casa dalle porte sempre aperte”. Più volte Papa Francesco ha fatto ricorso all’immagine della “Chiesa come ospedale da campo”. Una Chiesa “desiderosa di prendersi cura con determinazione dei problemi delle persone e dei grandi affanni che lacerano il mondo contemporaneo” e “capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite”.
La bara di Papa Francesco. Foto: Jaime C. Patias
“Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi. Costante è stata anche l’insistenza nell’operare a favore dei poveri”, ha evidenziato Re, elencando le visite a Lampedusa, a Lesbo, al confine tra Messico e Stati Uniti. Luoghi, tutti, feriti dal dramma delle migrazioni. Poi l’Iraq, viaggio compiuto nel 2021 “sfidando ogni rischio” e che “resterà nella storia” perché “balsamo sulle ferite aperte della popolazione irachena, che tanto aveva sofferto per l’opera disumana dell’Isis”. Un viaggio anche importante per il dialogo interreligioso, “un’altra dimensione rilevante della sua opera pastorale”.
Papa Francesco ha sempre messo al centro il Vangelo della misericordia, sottolineando ripetutamente che Dio non si stanca di perdonarci: Egli perdona sempre qualunque sia la situazione di chi chiede perdono e ritorna sulla retta via
“Misericordia” e “gioia del Vangelo” altre due parole chiave di questo pontificato: “In contrasto con quella che ha definito ‘la cultura dello scarto’, ha parlato della cultura dell’incontro e della solidarietà”. Anche la “fraternità” ha attraversato tutto il pontificato con toni vibranti. La Fratelli tutti ha cristallizzato questo anelito, con il suo intento di “far rinascere un’aspirazione mondiale alla fraternità” e ricordare che “apparteniamo tutti alla medesima famiglia umana”. Un’altra enciclica rimane simbolica ed è la Laudato si’, per richiamare doveri e corresponsabilità nei riguardi della casa comune, ha detto Re. “Nessuno si salva da solo”, il messaggio centrale, e il Papa lo ha declinato anche nel dramma delle guerre infuriate in questi anni, “con orrori disumani e innumerevoli morti e distruzioni”. Davanti a questo, “Papa Francesco ha incessantemente elevato la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra – diceva - è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole”.
La guerra lascia sempre il mondo peggiore di come era precedentemente: essa è per tutti sempre una dolorosa e tragica sconfitta
Il passaggio della vettura scoperta con la bara di Papa Francesco per le strade di Roma. Foto: Vatican Media
"Ora chiediamo a te di pregare per noi"
Un’eredità enorme, dunque, quella lasciata da Papa Francesco. E oggi tutti pregano “perché Dio lo accolga nell’immensità del suo amore”.
Papa Francesco soleva concludere i suoi discorsi ed i suoi incontri dicendo: “Non dimenticatevi di pregare per me”. Caro Papa Francesco, ora chiediamo a Te di pregare per noi e che dal cielo Tu benedica la Chiesa, benedica Roma, benedica il mondo intero, come domenica scorsa hai fatto dal balcone di questa Basilica in un ultimo abbraccio con tutto il popolo di Dio, ma idealmente anche con l’umanità che cerca la verità con cuore sincero e tiene alta la fiaccola della speranza
Ancora applausi a fine omelia, e anche preghiere in arabo, in cinese, portoghese, polacco. Poi il feretro cosparso di incenso e acqua benedetta, il rito della Ultima Commendatio e della Valedictio, la “Supplicatio” di patriarchi, arcivescovi maggiori e metropoliti delle Chiese orientali cattoliche accanto alla bara ma verso alla bara, con il suggestivo canto: “Concedi il riposo all’anima di questo tuo servo defunto Francesco, vescovo, in un luogo verdeggiante, in un luogo di beatitudine dove non sono più sofferenza, dolore pianto”.
Alcuni bambini portano dei fiori nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Foto: Vatican Media
Le campane di San Pietro hanno suonato alle 12 in punto. Meno di venti minuti dopo si è conclusa la celebrazione e in tanti dalla piazza sono corsi, mentre i sediari portavano il feretro di nuovo all’interno della Basilica, verso la Porta della Preghiera da dove la bara chiusa è uscita sopra un’auto scoperta bianca. Quasi una papamobile ad accompagnarlo nel suo ultimo giro in mezzo al popolo che lo ha atteso numeroso ai lati delle strade di Roma - 150 secondoe le stime - salutando e lacrimando: dall’ingresso del Perugino, passando per il centro storico, fino a San Giovanni in Laterano e, infine, Santa Maria Maggiore. La “sua” Basilica, quella della madre, la Salus Populi Romani, la Vergine che da secoli veglia su Roma e, da oggi, su questo figlio che quando sostava dinanzi a Lei ha sempre avuto sulle labbra una parola: “Grazie”.
* Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano. Pubblicata originalmente in: www.vaticannews.va
L’annuncio del cardinale Makrickas, arciprete coadiutore della Basilica liberiana, ha profondamente commosso l’intera comunità di Cogorno, piccolo borgo affacciato sul mare, dove affondano le radici della famiglia di Francesco. Da lì viene l'ardesia, una pietra “del popolo”, calda e versatile, capace di armonizzarsi con ogni materiale, spesso usata per tracciare sentieri: un simbolo che sembra riflettere i tratti del suo pontificato. “Un’ultima sorpresa, come nel suo stile", commentano i parenti
L’ardesia di Lavagna, nera come l’inchiostro dei ricordi, nasce dalle cave che sormontano il golfo del Tigullio, nel Levante ligure, tra Sestri Levante e la Val Fontanabuona. Dura, coriacea, ma capace di sciogliersi sotto le mani esperte di chi la estrae, gli “spacchini”. Proprio come l’animo dei liguri: spigoloso all’esterno, ma incline a cedere all'emozione. E si sono sciolti davvero i cuori all’annuncio della Sala Stampa della Santa Sede: la tomba di Papa Francesco è stata realizzata con materiali di provenienza ligure, con la sola iscrizione "Franciscus" e la riproduzione della sua croce pettorale. Preparata nel loculo della navata laterale tra la Cappella Paolina (Cappella della Salus Populi Romani) e la Cappella Sforza della basilica liberiana, la tomba è situata nei pressi dell'Altare di San Francesco. Un dettaglio già anticipato dal cardinale Rolandas Makrickas, arciprete coadiutore di Santa Maria Maggiore, in un intervento in tv: Papa Francesco ha espresso il desiderio di essere sepolto in una tomba realizzata con “la pietra ligure, che è la terra dei suoi nonni”.
“Sapevamo delle sue origini”, confessa Enrica Sommariva, vicesindaca di Cogorno, borgo che affaccia sul mare di Lavagna con vista sul promontorio di Portofino. Comune sparso da poco più di 5mila abitanti, da dove si snoda il filo di una storia che unisce il Pontefice al suo desiderio ultimo. Nel Tigullio nasce infatti, il 20 gennaio 1850, Vincenzo Girolamo Sivori. Partito alla volta di Buenos Aires, muore giovane, nel 1882, ma in tempo per conoscere la nipote Regina Maria Sivori, madre di Bergoglio. Di Sivori resta una targa – ovviamente in ardesia – apposta su una tipica casa color pastello, gialla, vicina alla chiesa parrocchiale di San Lorenzo, patrono di Cogorno.
La targa in ardesia apposta a Cogorno, in Liguria, per ricordare le origini di Papa Francesco
Ciò che colpisce è come il Papa abbia spesso celato il suo legame con la Liguria. “Ci eravamo detti: 'Pazienza, porteremo anche solo un granello della nostra terra'. E poi, questa notizia…”. La voce di Sommariva è ancora tremante, l'emozione fresca e vibrante come il profumo della salsedine. Galeotta, nella scoperta delle origini liguri del Papa, è una dote di nozze tra Vincenzo Sivori e Caterina Sturla, i bisnonni di Francesco. Una telefonata da Buenos Aires, un albero genealogico inviato via email, e la sorpresa: Angela Sivori, ancora oggi residente a Cogorno, scopre di essere cugina del Pontefice. A raccontarlo è la figlia, Cristina Cogorno: “Ci ha fatto un grande regalo. Un’ultima sorpresa. Ha detto di voler riposare nella pietra dei suoi nonni. È una cosa bellissima”.
Le motivazioni del Papa restano intime, silenziose. Durante il pontificato, mai aveva manifestato così apertamente questo legame con la Liguria. Le sue visite agli avi si erano svolte in Piemonte. Ma due momenti, due lievi tocchi di vita, potrebbero aver lasciato un segno. Il primo, a Genova, nel maggio 2017. "Mia madre aveva 87 anni", ricorda Cristina. "Fino all’ultimo non sapevamo se l’avremmo incontrato. Poi, tre giorni prima, ci hanno chiamati dal Vaticano. Ci siamo messi in fila, sette di noi. E lui ci ha accolti come un cugino venuto proprio dalla 'fine del mondo'". Stringe le mani, sorride, “finalmente conosco i Sivori!” esclama Francesco.
Papa Francesco incontra sua cugina, Angela Sivori, a Genova
Le ardesie donate a Francesco
Il secondo momento si svela tra le note di una banda: era il 2015, la Società Filarmonica di Sestri Levante viene a suonare all'udienza generale del 18 marzo 2015, pochi giorni dopo il secondo anniversario di pontificato del Papa. Tra i presenti, anche il presidente Francesco Gardella. La Filarmonica aveva già suonato per Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ma l'emozione è una di quelle a cui non ci si può abituare. “Un’esperienza meravigliosa, quando è passato ci ha fatto un bellissimo saluto, mi viene ancora la pelle d’oca”, ricorda. Dal Tigullio, una delegazione che comprende diverse autorità politiche locali non si presenta a mani vuote. L’assessore di Cogorno Franca Raffo si fa portatrice di un dono condiviso: un bassorilievo in ardesia, con la chiesa di San Lorenzo, una portatrice di pietra e uno spacchino. Francesco lo riceve in silenzio, ma il gesto lascia il segno. Ora, quel legame taciuto si fa eterno.
Ascolta un estratto dell'intervista a Francesco Gardella
C’è una strana, profonda corrispondenza tra l’ardesia e l’anima di Papa Francesco. Basta ascoltarne la storia, osservarne la materia, seguirne le tracce. E all’improvviso, le analogie si fanno chiare. A tracciarle è Franca Garbarino, presidente del Distretto dell’Ardesia, che raccoglie diciotto cave e dodici aziende sparse sulle alture liguri. «Non si tratta di una pietra nobile", racconta. "È sempre stata la pietra del popolo". Umile, resistente, essenziale. Proprio come lui, il Pontefice, sempre vicino agli ultimi. Un materiale che non si impone, ma accompagna. Lastricava i sentieri, quelli raccontati nei versi di Montale. "È una pietra calda", aggiunge Garbarino. "Se tocchi il marmo, senti il gelo. L’ardesia, invece, restituisce calore". Come una carezza, come una presenza che consola. Il Papa della tenerezza, che non ha avuto paura di chinarsi. E poi c’è il colore. Nero, profondo. Ma mai cupo. «Si abbina con qualsiasi altro materiale", sottolinea Garbarino. L’ardesia non esclude, si adatta. Come il Pontefice, capace di parlare con tutti. Di dialogare con credenti e non, con culture distanti, con chi è in cerca e chi ha perso la strada. Il Distretto ha già dato la sua disponibilità: creare le lastre che accompagneranno Francesco nel suo riposo eterno, o magari certificarne l’autenticità.
L'ardesia donata a Francesco nell'udienza generale del 18 marzo 2015
Cogorno, già toccata da due pontefici – Innocenzo IV e Adriano V, zio e nipote della dinastia Fieschi, famiglia locale – accoglie idealmente anche Francesco. Il paese dei “tre Papi”, avvolto nel profumo del mare e nell’eco della pietra, si prepara a custodire per sempre un frammento di cuore, un granello di radice tenuto nascosto e poi rivelato. Un colpo di scena, l’ultimo. Come quelli con cui Papa Francesco ha accompagnato il mondo fino alla fine del suo cammino terreno.
* Edoardo Giribaldi - Città del Vaticano. Pubblicato originalmente in: www.vaticannews.va