È stata pubblicata dalla Sala Stampa della Santa Sede la catechesi di Papa Francesco preparata per l'udienza generale che si sarebbe dovuta svolgere oggi, 26 febbraio 2025, nell'Aula Paolo VI e che è stata annullata a causa del ricovero del Pontefice al Policlinico Gemelli dal 12 febbraio.
Pubblichiamo di seguito il testo, pensato nell'ambito del ciclo giubilare di catechesi. Nel testo, Francesco sviluppa una riflessione sulla presentazione di Gesù al Tempio e invita a essere come Simeone e Anna, “pellegrini di speranza” con occhi limpidi capaci di vedere oltre le apparenze.
Gesù Cristo nostra speranza
I. L’infanzia di Gesù
7. «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,30). La presentazione di Gesù al Tempio
"Mosso dallo Spirito, [Simeone] si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola» (Lc 2,27-29).
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Contempliamo oggi la bellezza di «Gesù Cristo, nostra speranza» (1Tm 1,1) nel mistero della sua presentazione al Tempio.
Nei racconti dell’infanzia di Gesù, l’evangelista Luca ci mostra l’obbedienza di Maria e Giuseppe alla Legge del Signore e a tutte le sue prescrizioni. In realtà, in Israele non c’era l’obbligo di presentare il bambino al Tempio, ma chi viveva nell’ascolto della Parola del Signore e ad essa desiderava conformarsi, la considerava una prassi preziosa. Così aveva fatto Anna, madre del profeta Samuele, che era sterile; Dio ascoltò la sua preghiera e lei, avuto il figlio, lo condusse al tempio e lo offrì per sempre al Signore (cfr 1Sam 1,24-28).
Il Papa Francesco nell'Aula Paolo VI durante il Giubileo del Mondo della Comunicazione, il 25 gennaio 2025. Foto: Jaime C. Patias
Luca, dunque, racconta il primo atto di culto di Gesù, celebrato nella città santa, Gerusalemme, che sarà la meta di tutto il suo ministero itinerante a partire dal momento in cui prenderà la ferma decisione di salirvi (cfr Lc 9,51), andando incontro al compimento della sua missione.
Maria e Giuseppe non si limitano a innestare Gesù in una storia di famiglia, di popolo, di alleanza con il Signore Dio. Essi si occupano della sua custodia e della sua crescita, e lo introducono nell’atmosfera della fede e del culto. E loro stessi crescono gradualmente nella comprensione di una vocazione che li supera di gran lunga.
Nel Tempio, che è «casa di preghiera» (Lc 19,46), lo Spirito Santo, parla al cuore di un uomo anziano: Simeone, un membro del popolo santo di Dio preparato all’attesa e alla speranza, che nutre il desiderio del compimento delle promesse fatte da Dio a Israele per mezzo dei profeti. Simeone avverte nel Tempio la presenza dell’Unto del Signore, vede la luce che rifulge in mezzo ai popoli immersi «nelle tenebre» (cfr Is 9,1) e va incontro a quel bambino che, come profetizza Isaia, «è nato per noi», è il figlio che «ci è stato dato», il «Principe della pace» (Is 9,5). Simeone abbraccia quel bambino che, piccolo e indifeso, riposa tra le sue braccia; ma è lui, in realtà, a trovare la consolazione e la pienezza della sua esistenza stringendolo a sé. Lo esprime in un cantico pieno di commossa gratitudine, che nella Chiesa è diventato la preghiera al termine della giornata:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,29-32).
Simeone canta la gioia di chi ha visto, di chi ha riconosciuto e può trasmettere ad altri l’incontro con il Salvatore di Israele e delle genti. È testimone della fede, che riceve in dono e comunica agli altri; è testimone della speranza che non delude; è testimone dell’amore di Dio, che riempie di gioia e di pace il cuore dell’uomo. Colmo di questa consolazione spirituale, il vecchio Simeone vede la morte non come la fine, ma come compimento, come pienezza, la attende come “sorella” che non annienta ma introduce nella vita vera che egli ha già pregustato e in cui crede.
In quel giorno, Simeone non è l’unico a vedere la salvezza fattasi carne nel bambino Gesù. Lo stesso succede anche ad Anna, donna più che ottuagenaria, vedova, tutta dedita al servizio del Tempio e consacrata alla preghiera. Alla vista del bambino, infatti, Anna celebra il Dio d’Israele, che proprio in quel piccolo ha redento il suo popolo, e lo racconta agli altri, diffondendo con generosità la parola profetica. Il canto della redenzione di due anziani sprigiona così l’annuncio del Giubileo per tutto il popolo e per il mondo. Nel Tempio di Gerusalemme si riaccende la speranza nei cuori perché in esso ha fatto il suo ingresso Cristo nostra speranza.
Cari fratelli e sorelle, imitiamo anche noi Simeone ed Anna, questi “pellegrini di speranza” che hanno occhi limpidi capaci di vedere oltre le apparenze, che sanno “fiutare” la presenza di Dio nella piccolezza, che sanno accogliere con gioia la visita di Dio e riaccendere la speranza nel cuore dei fratelli e delle sorelle.
* Ufficio per la Comunicazione con informazioni di Sala Stampa della Santa Sede.
Con il ricovero di Papa Francesco al Policlinico Gemelli che prosegue con le cautele spiegate dallo staff medico che lo ha in cura, gli appuntamenti in programma per questa domenica 23 febbraio, hanno seguito la modalità della settimana precedente.
La Santa Messa nella Basilica Vaticana alle ore 9.00 nella VII Domenica del Tempo Ordinario, in occasione del Giubileo dei Diaconi, è stata presieduta dal cardinale Rino Fisichella, Pro-Prefetto del Dicastero per l'Evangelizzazione, Sezione per le Questioni Fondamentali dell'Evangelizzazione nel Mondo, che ha letto l’omelia preparata dal Santo Padre.
Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’omelia del Santo Padre.
Il perdono, il servizio disinteressato e la comunione
Il messaggio delle Letture che abbiamo ascoltato si potrebbe riassumere con una parola: gratuità. Un termine certamente caro a voi Diaconi, qui raccolti per la celebrazione del Giubileo. Riflettiamo allora su questa dimensione fondamentale della vita cristiana e del vostro ministero, in particolare sotto tre aspetti: il perdono, il servizio disinteressato e la comunione.
Primo: il perdono. L’annuncio del perdono è un compito essenziale del diacono. Esso è infatti elemento indispensabile per ogni cammino ecclesiale e condizione per ogni convivenza umana. Gesù ce ne indica l’esigenza e la portata quando dice: «Amate i vostri nemici» (Lc 6,27). Ed è proprio così: per crescere insieme, condividendo luci e ombre, successi e fallimenti gli uni degli altri, è necessario saper perdonare e chiedere perdono, riallacciando relazioni e non escludendo dal nostro amore nemmeno chi ci colpisce e tradisce. Un mondo dove per gli avversari c’è solo odio è un mondo senza speranza, senza futuro, destinato ad essere dilaniato da guerre, divisioni e vendette senza fine, come purtroppo vediamo anche oggi, a tanti livelli e in varie parti del mondo.
Perdonare, allora, vuol dire preparare al futuro una casa accogliente, sicura, in noi e nelle nostre comunità. E il diacono, investito in prima persona di un ministero che lo porta verso le periferie del mondo, si impegna a vedere – e ad insegnare agli altri a vedere – in tutti, anche in chi sbaglia e fa soffrire, una sorella e un fratello feriti nell’anima, e perciò bisognosi più di chiunque di riconciliazione, di guida e di aiuto. Di questa apertura di cuore ci parla la prima Lettura, presentandoci l’amore leale e generoso di Davide nei confronti di Saul, suo re, ma anche suo persecutore (cfr 1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23).
Ce ne parla pure, in un altro contesto, la morte esemplare del diacono Stefano, che cade sotto i colpi delle pietre perdonando i suoi lapidatori (cfr At 7,60). Ma soprattutto la vediamo in Gesù, modello di ogni diaconia, che sulla croce, “svuotando” sé stesso fino a dare la vita per noi (cfr Fil 2,7), prega per i suoi crocifissori e apre al buon ladrone le porte del Paradiso (cfr Lc 23,34.43).
E veniamo al secondo punto: il servizio disinteressato. Il Signore, nel Vangelo, lo descrive con una frase tanto semplice quanto chiara: «Fate del bene e prestate senza sperarne nulla» (Lc 6,35). Poche parole che portano in sé il buon profumo dell’amicizia. Prima di tutto quella di Dio per noi, ma poi anche la nostra. Per il diacono, tale atteggiamento non è un aspetto accessorio del suo agire, ma una dimensione sostanziale del suo essere. Si consacra infatti ad essere, nel ministero, “scultore” e “pittore” del volto misericordioso del Padre, testimone del mistero di Dio-Trinità.
In molti passi evangelici Gesù parla di sé in questa luce. Lo fa con Filippo, nel cenacolo, poco dopo aver lavato i piedi ai Dodici, dicendogli: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Come pure quando istituisce l’Eucaristia, affermando: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Ma già prima, sulla via di Gerusalemme, quando i suoi discepoli discutevano tra loro su chi fosse il più grande, aveva spiegato loro che «il Figlio dell’uomo […] non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (cfr Mc 10,45).
Fratelli Diaconi, il lavoro gratuito che svolgete, dunque, come espressione della vostra consacrazione alla carità di Cristo, è per voi il primo annuncio della Parola, fonte di fiducia e di gioia per chi vi incontra. Accompagnatelo il più possibile con un sorriso, senza lamentarvi e senza cercare riconoscimenti, gli uni a sostegno degli altri, anche nei rapporti con i Vescovi e i presbiteri, «come espressione di una Chiesa impegnata a crescere nel servizio del Regno con la valorizzazione di tutti i gradi del ministero ordinato» (C.E.I., I Diaconi permanenti nella Chiesa in Italia. Orientamenti e norme, 1993, 55). Il vostro agire concorde e generoso sarà così un ponte che unisce l’Altare alla strada, l’Eucaristia alla vita quotidiana delle persone; la carità sarà la vostra liturgia più bella e la liturgia il vostro più umile servizio.
E veniamo all’ultimo punto: la gratuità come fonte di comunione. Dare senza chiedere nulla in cambio unisce, crea legami, perché esprime e alimenta uno stare insieme che non ha altro fine se non il dono di sé e il bene delle persone. San Lorenzo, vostro patrono, quando gli fu chiesto dai suoi accusatori di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò loro i poveri e disse: «Ecco i nostri tesori!». È così che si costruisce la comunione: dicendo al fratello e alla sorella, con le parole, ma soprattutto coi fatti, personalmente e come comunità: “per noi tu sei importante”, “ti vogliamo bene”, “ti vogliamo partecipe del nostro cammino e della nostra vita”. Questo fate voi: mariti, padri e nonni pronti, nel servizio, ad allargare le vostre famiglie a chi è nel bisogno, là dove vivete.
Così la vostra missione, che vi prende dalla società per immettervi nuovamente in essa e renderla sempre più un luogo accogliente e aperto a tutti, è una delle espressioni più belle di una Chiesa sinodale e “in uscita”.
Tra poco alcuni di voi, ricevendo il sacramento dell’Ordine, “discenderanno” i gradini del ministero. Volutamente dico e sottolineo che “discenderanno”, e non che “ascenderanno”, perché con l’Ordinazione non si sale, ma si scende, ci si fa piccoli, ci si abbassa e ci si spoglia. Per usare le parole di San Paolo, si abbandona, nel servizio, l’“uomo di terra”, e ci si riveste, nella carità, dell’“uomo di cielo” (cfr 1Cor 15,45-49).
Meditiamo tutti su quanto stiamo per fare, mentre ci affidiamo alla Vergine Maria, serva del Signore, e a San Lorenzo, vostro patrono. Ci aiutino loro a vivere ogni nostro ministero con un cuore umile e pieno di amore e ad essere, nella gratuità, apostoli di perdono, servitori disinteressati dei fratelli e costruttori di comunione.
* Ufficio per la Comunicazione con informazioni di Sala Stampa della Santa Sede.
È stata pubblicata dalla Sala Stampa della Santa Sede la catechesi di Papa Francesco preparata per l'udienza generale che si sarebbe dovuta svolgere oggi, 19 febbraio 2025, nell'Aula Paolo VI e che è stata annullata a causa del ricovero del Pontefice al Policlinico Gemelli.
Di seguito il testo che, pensato nell'ambito del ciclo giubilare di catechesi su "Gesù Cristo nostra speranza. L'infanzia di Gesù", propone una riflessione sulla "visita dei Magi al Re neonato".
Cari fratelli e sorelle, nei Vangeli dell’infanzia di Gesù c’è un episodio che è proprio della narrazione di Matteo: la visita dei Magi. Attratti dalla comparsa di una stella, che in molte culture è presagio della nascita di persone eccezionali, alcuni sapienti si mettono in viaggio dall’oriente, senza conoscere esattamente la meta del loro andare. Si tratta dei Magi, persone che non appartengono al popolo dell’alleanza. La volta scorsa abbiamo parlato dei pastori di Betlemme, emarginati nella società ebraica perché ritenuti “impuri”; oggi incontriamo un’altra categoria, gli stranieri, che arrivano subito a rendere omaggio al Figlio di Dio entrato nella storia con una regalità del tutto inedita. I Vangeli ci dicono dunque chiaramente che i poveri e gli stranieri sono invitati tra i primi a incontrare il Dio fatto bambino, il Salvatore del mondo.
I Magi sono stati considerati come rappresentanti sia delle razze primigenie, generate dai tre figli di Noè, sia dei tre continenti noti nell’antichità: Asia, Africa ed Europa, sia delle tre fasi della vita umana: giovinezza, maturità e vecchiaia. Al di là di ogni possibile interpretazione, essi sono uomini che non restano fermi ma, come i grandi chiamati della storia biblica, sentono l’invito a muoversi, a mettersi in cammino. Sono uomini che sanno guardare oltre sé stessi, sanno guardare in alto.
Il Papa Francesco nella Sala Clementina durante udienza con i partecipanti del Giubileo del Mondo della Comunicazione, 27 gennaio 2025
L’attrazione per la stella sorta nel cielo li mette in marcia verso la terra di Giuda, fino a Gerusalemme, dove incontrano il re Erode. La loro ingenuità e la loro fiducia nel chiedere informazioni circa il neonato re dei Giudei si scontra con la scaltrezza di Erode, il quale, agitato dalla paura di perdere il trono, subito cerca di vederci chiaro, contattando gli scribi e chiedendo a loro di investigare.
Il potere del regnante terreno mostra in tal modo tutta la sua debolezza. Gli esperti conoscono le Scritture e riferiscono al re il luogo dove, secondo la profezia di Michea, sarebbe nato il capo e pastore del popolo d’Israele (Mi 5,1): la piccola Betlemme e non la grande Gerusalemme! Infatti, come ricorda Paolo ai Corinzi, «quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti» (1Cor 1,27).
Tuttavia gli scribi, che sanno individuare esattamente il luogo di nascita del Messia, indicano la strada agli altri ma loro stessi non si muovono! Non basta, infatti, conoscere i testi profetici per sintonizzarsi con le frequenze divine, bisogna lasciarsi scavare dentro e permettere che la Parola di Dio ravvivi l’anelito alla ricerca, accenda il desiderio di vedere Dio.
A questo punto Erode, di nascosto, come agiscono gli ingannatori e i violenti, chiede ai Magi il momento preciso della comparsa della stella e li incita a proseguire il viaggio e a tornare poi a dargli notizie, perché anche lui possa andare ad adorare il neonato. Per chi è attaccato al potere, Gesù non è la speranza da accogliere, ma una minaccia da eliminare!
Quando i Magi ripartono, la stella riappare e li conduce fino a Gesù, segno che il creato e la parola profetica rappresentano l’alfabeto con cui Dio parla e si lascia trovare. La vista della stella suscita in quegli uomini una gioia incontenibile, perché lo Spirito Santo, che muove il cuore di chiunque cerca Dio con sincerità, lo colma pure di gioia. Entrati in casa, i Magi si prostrano, adorano Gesù e gli offrono doni preziosi, degni di un re, degni di Dio. Perché? Cosa vedono? Scrive un antico autore: vedono «un umile corpicino che il Verbo ha assunto; ma non è loro nascosta la gloria della divinità. Si vede un bimbo infante; ma essi adorano Dio» (Cromazio di Aquileia, Commento al Vangelo di Matteo 5,1). I Magi diventano così i primi credenti tra tutti i pagani, immagine della Chiesa adunata da ogni lingua e nazione.
Cari fratelli e sorelle, mettiamoci anche noi alla scuola dei Magi, di questi “pellegrini di speranza” che, con grande coraggio, hanno rivolto i loro passi, i loro cuori e i loro beni verso Colui che è la speranza non solo d’Israele ma di tutte le genti. Impariamo ad adorare Dio nella sua piccolezza, nella sua regalità che non schiaccia ma rende liberi e capaci di servire con dignità. E offriamogli i doni più belli, per esprimergli la nostra fede e il nostro amore.
* Ufficio per la Comunicazione con informazioni di Sala Stampa della Santa Sede.
Su L'Osservatore Romano una riflessione della prefetta del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica sul contributo dei religiosi alla crescita della sinodalità nella Chiesa
Il Documento Finale del Sinodo sulla sinodalità afferma che: «La vita consacrata è chiamata a interpellare la Chiesa e la società con la propria voce profetica. Nella loro secolare esperienza, le famiglie religiose hanno maturato sperimentate pratiche di vita sinodale e di discernimento comunitario, imparando ad armonizzare i doni individuali e la missione comune. Ordini e Congregazioni, Società di vita apostolica, Istituti secolari, come pure Associazioni, Movimenti e Nuove Comunità hanno uno speciale apporto da dare alla crescita della sinodalità nella Chiesa. Oggi molte comunità di vita consacrata sono un laboratorio di interculturalità che costituisce una profezia per la Chiesa e per il mondo» (DF, 65).
Papa Francesco ha più volte parlato della chiamata a passare dall’io al noi, del bisogno di «incontrarci in un noi che sia più forte della somma di piccole individualità» (Fratelli tutti, 78), della «sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme» (Evangelii Gaudium, 87), dell’«esperienza liberante e responsabile di vivere come Chiesa la “mistica del noi”» (Veritatis gaudium circa le Università e le Facoltà ecclesiastiche, 4). Il processo sinodale ha ripreso, tra altre, l’immagine paolina dell’unico corpo (DF, 16, 21, 26, 27, 36, 57, 88) e «ci ha fatto provare il “gusto spirituale” (EG 268) di essere Popolo di Dio, riunito da ogni tribù, lingua, popolo e nazione, che vive in contesti e culture diverse. Esso non è mai la semplice somma dei Battezzati, ma il soggetto comunitario e storico della sinodalità e della missione» (DF, 17.).
Il Papa durante la celebrazione dei Primi Vespri della Festa della Presentazione del Signor. Foto: Vatican Media
«Tutto è in relazione», «tutto è collegato», «tutto è connesso»: questo è il ritornello che attraversa la Laudato si’ di Papa Francesco. L’immagine del corpo esprime in modo plastico e chiaro la connessione che esiste fra noi: noi creature, noi umani, noi cristiani, noi membra del Corpo di Cristo che è la Chiesa, noi appartenenti a un Istituto di Vita Consacrata, a una Società di Vita Apostolica, a una Famiglia spirituale animata da un carisma unico e originale. Proprio come in un corpo fisico, ogni parte, ogni organo, ogni cellula di un “corpo carismatico” ha influenza sul resto. Ciò che succede in una parte del corpo ha ripercussione sul tutto. E ciò che capita a tutto il corpo come tale, si ripercuote in qualche modo in ogni sua parte.
Nel “corpo carismatico” circola ciò che i membri immettono. Ogni nostro atto e parola, ogni nostro pensiero e sentimento è energia che percorre la fitta rete dei nostri rapporti, e arriva a interessare tutti, perché tutti siamo uniti in un solo corpo, irrorati dallo stesso sangue del carisma vivo. Nessuna parola, nessun gesto, nessun pensiero e sentimento sono neutri: ogni espressione vitale ha conseguenze, nel bene e nel male. Misteriosamente, in virtù del fatto che siamo tutti connessi — a livello profondissimo, di spirito, di carisma — ciò che sento, penso, dico, faccio, desidero, viene immesso nella circolazione del corpo e porta le sue conseguenze, benefiche o malefiche. Accompagnare un “corpo carismatico”, organismo vivente, a esprimere la sua generatività, la sua fecondità, il fine per cui è venuto al mondo, significa anzitutto accompagnarlo a connettersi e riconnettersi continuamente con ciò che lo anima, al carisma. E significa curare ciò che circola all’interno delle connessioni vitali.
Il carisma non è proprietà di un Istituto, di una Società, di una Famiglia carismatica. Esso è dono di Dio al mondo, è Spirito, è Vita. L’Istituto (o Società, o Famiglia) e ogni sorella e fratello che ne è membro, lo riceve come dono gratuito, forza vitale da lasciar scorrere in sé creativamente, liberamente, non certo da “mummificare” o imbalsamare come un pezzo da museo. Nelle parole di Papa Francesco: «Ogni carisma è creativo, non è una statua di museo, no, è creativo. Si tratta di rimanere fedeli alla fonte originaria sforzandosi di ripensarla ed esprimerla in dialogo con le nuove situazioni sociali e culturali. Ha radici ben fisse, ma l’albero cresce in dialogo con la realtà. Quest’opera di aggiornamento è tanto più fruttuosa quanto più viene realizzata armonizzando creatività, saggezza, sensibilità verso tutti e fedeltà alla Chiesa» (Al Movimento dei Focolari, 6 febbraio 2021).
Suor Simona Brambilla, MC. Foto: Jaime C. Patias
L’energia del carisma attraversa ogni cellula del corpo: ogni sorella/fratello ne è portatore ed espressione. Non solo. Il “corpo carismatico”, quale organismo vivo, ha i propri “sensi”, e tra essi il “senso del carisma”, un “fiuto”, per dirla ancora con Papa Francesco, che gli permette di distinguere il profumo del carisma, di sentirne la melodia, di scorgerne la luce, di gustarne il sapore, di riconoscerne il tocco. E di vibrare a contatto con esso, di lasciarsene attrarre e di seguirlo. Come corpo, come organismo. Quanto è importante allora che la/il leader di una Famiglia carismatica, come buon pastore, cammini col gregge «a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro, per tenerla unita, e anche per un’altra ragione: perché il popolo ha “fiuto”!» (Assisi, 4 ottobre 2013).
La vibrazione e il movimento di un organismo in risposta a ciò che il suo “fiuto” e tutti i suoi sensi percepiscono non è semplicemente la somma delle vibrazioni e dei movimenti di ogni sua parte; è ben di più. Un po’ come succede per una sinfonia suonata da un’orchestra: essa non è semplicemente la somma dei vari suoni degli strumenti; è molto di più. Parlando ai neo cardinali durante il Concistoro del 30 settembre 2023, il Santo Padre propose proprio questa immagine, legandola alla sinodalità: «il Collegio Cardinalizio è chiamato ad assomigliare a un’orchestra sinfonica, che rappresenta la sinfonicità e la sinodalità della Chiesa. Dico anche la “sinodalità”, non solo perché siamo alla vigilia della prima Assemblea del Sinodo che ha proprio questo tema, ma perché mi pare che la metafora dell’orchestra possa illuminare bene il carattere sinodale della Chiesa. Una sinfonia vive della sapiente composizione dei timbri dei diversi strumenti: ognuno dà il suo apporto, a volte da solo, a volte unito a qualcun altro, a volte con tutto l’insieme.
La diversità è necessaria, è indispensabile. Ma ogni suono deve concorrere al disegno comune. E per questo è fondamentale l’ascolto reciproco: ogni musicista deve ascoltare gli altri. Se uno ascoltasse solo sé stesso, per quanto sublime possa essere il suo suono, non gioverà alla sinfonia; e lo stesso avverrebbe se una sezione dell’orchestra non ascoltasse le altre, ma suonasse come se fosse da sola, come se fosse il tutto. E il direttore dell’orchestra è al servizio di questa specie di miracolo che ogni volta è l’esecuzione di una sinfonia. Egli deve ascoltare più di tutti gli altri, e nello stesso tempo il suo compito è aiutare ciascuno e tutta l’orchestra a sviluppare al massimo la fedeltà creativa, fedeltà all’opera che si sta eseguendo, ma creativa, capace di dare un’anima a quello spartito, di farlo risuonare nel qui e ora in maniera unica».
L'assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi nell'Aula Paolo VI a Roma. Foto: Jaime C. Patias
Un organismo vitale è necessariamente sempre in movimento, in adattamento e in rinnovamento. Quando il movimento, l’adattamento e il rinnovamento cessano, subentra la morte. Per dirla ancora con Papa Francesco: «chi è fermo finisce per corrompersi. Come l’acqua: quando l’acqua è ferma lì, vengono le zanzare, mettono le uova, e tutto si corrompe. Tutto» (Omelia, Cappella di Casa Santa Marta, 2 ottobre 2018).
La/il leader di una Famiglia di consacrati/e è chiamato a facilitare un continuo ritorno e re-immersione nel carisma, nell’energia vitale che anima il “corpo carismatico”, nella musica che lo sostiene, nelle origini vive e palpitanti da cui è possibile ripartire, essere rilanciati nell’oggi dalla fecondità inesauribile dell’ispirazione da cui si è nati. Allora, la musica può esprimersi oggi nell’orchestra, dando vita e anima allo spartito nel qui ed ora. Allora, sciolto da strutture, geometrie e geografie che forse lo appesantivano, il flusso vitale del carisma può liberarsi in una danza che muove, accende, vivifica l’intero corpo, la Chiesa, il mondo.
* Suor Simona Brambilla, MC, Prefetta del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
Alla fine dell’udienza generale di mercoledì 29 gennaio, il Papa Francesco ha lanciato un forte appello per la pace nella Repubblica Democratica del Congo, in questi giorni nel caos dopo l'assedio dei ribelli sostenuti dal Rwanda alla grande città di Goma nella zona Est del paese innescando poi anche nella capitale Kinshasa tensioni e violenze contro le presenze straniere ritenute in qualche modo conniventi per interessi economici con le milizie ribelli.
Il missionario della Consolata, Fratel Adophe Mulengezi che studia a Roma, in un'intervista a Vatican News, descrive la terribile situazione del Paese.
“Esprimo la mia preoccupazione - ha affermato il Santo Padre - per l’aggravarsi della situazione nella Repubblica Democratica del Congo”, nazione africana da lui stesso visitata nel gennaio 2023, dove mercoledì 29, era previsto l’incontro - convocato dal Kenya - tra il presidente Félix Tshisekedi e l’omologo rwandese Paul Kagame per tentare di risolvere la nuova crisi deflagrata furiosamente in questi giorni nella regione del Nord Kiwu, una zona scossa da trent’anni di violenze tra gruppi armati, violenze mai assopite e ora esplose nuovamente con l’assedio della città di Goma da circa 3.500 ribelli M23 sostenuti dal Rwanda. L’epicentro degli scontri è appunto la città di Goma, dove il Papa – nel primo programma del viaggio, poi rimandato per motivi di salute – aveva espresso il desiderio di recarsi in visita.
Il Papa Francesco nell'udienza generale di mercoledì 29 gennaio. Foto: Vatican Media
“Esorto tutte le parti in conflitto ad impegnarsi per la conclusione delle ostilità e per la salvaguardia della popolazione civile di Goma e delle altre zone interessate dalle operazioni militari. Seguo con apprensione anche quanto accade nella Capitale, Kinshasa, auspicando che cessi quanto prima ogni forma di violenza contro le persone e i loro beni”, ha dichiarato il Santo Padre. Leggi qui il testo integrale delle parole di Papa Francesco
Papa Francesco eleva un appello anche per la capitale Kinshasa da dove testimoni e media locali diffondono notizie di una situazione fuori controllo con le ambasciate estere prese d’assalto e manifestazioni per le strade. A Goma la grave situazione ha visto banche e supermercati svaligiati, ospedali che non riescono più a contenere le vittime (oltre cento i morti e un migliaio i feriti, stando a rapporti ospedalieri), corpi in stato di decomposizione lungo le strade. Molta gente, dopo essere rimasta per tre giorni chiusa in casa, senza elettricità a causa degli incendi, è uscita cautamente in cerca di acqua e cibo.
“Mentre prego per il pronto ristabilimento della pace e della sicurezza, invito le Autorità locali e la Comunità Internazionale al massimo impegno per risolvere con mezzi pacifici la situazione di conflitto”, ha concluso il Papa.
Il missionario della Consolata, Fratel Adophe Mulengezi che studia comunicazione a Roma, in un'intervista a Vatican News, descrive la terribile situazione del Paese.
Dal 1994, la Repubblica Democratica del Congo è afflitta da combattimenti. L'instabilità ha segnato il Paese, mentre diversi gruppi armati combattono per il controllo di porzioni del territorio della nazione africana ricca di minerali.
Fr. Adophe Mulengezi, IMC, descrive la terribile situazione di Goma. Foto: Archivio personale
Negli ultimi giorni, il conflitto si è intensificato. A Goma molti, a causa del rapido aumento della violenza, si trovano confinati nelle loro case. È il caso della famiglia di Fr. Adophe Mulengezi che ha raccontato a Vatican News come la gente di Goma stia vivendo in una “paura intensa, con la città ormai in preda al panico”.
Fr. Adophe non è riuscito ad avere alcun contatto con la sua famiglia da lunedì 27ennaio g, quando le forze ribelli dell'M23 hanno dichiarato di aver conquistato la città di Goma. “Continuo a pregare costantemente per la loro sicurezza”, ha detto, “poiché la situazione è incerta e ‘molti vivono in estrema sofferenza”.
I ribelli dell'M23 hanno preso il controllo dell'aeroporto di Goma. La situazione in città si sta “deteriorando rapidamente” con interruzioni di internet, di corrente elettrica, mancanza di acqua e saccheggi. Fr. Adophe ha spiegato che queste condizioni hanno “lasciato la popolazione in uno stato di vulnerabilità, tagliata fuori dai servizi essenziali e dalle comunicazioni”.
In cerca di sicurezza, gli abitanti delle zone rurali si sono rriversati in città. Lì hanno trovato “un diffuso senso di paura e impotenza”.
In pochi giorni, circa 300.000 persone che vivevano nei campi intorno a Goma sono state sradicate a causa della violenza. L'ufficio di coordinamento degli aiuti delle Nazioni Unite, OCHA, ha riferito che sono stati colpiti un magazzino umanitario e strutture sanitarie.
Il vescovo di Goma, William Gumbi ha pubblicato una lettera, datata il 27 gennaio, dove condanna gli attacchi. Ha inoltre denunciato il bombardamento di un'unità neonatale dell'ospedale generale Charity Matano, che ha causato la morte di alcuni neonati. Mons. Gumbi ha incoraggiato la comunità a mostrare la propria solidarietà con gli sfollati offrendo assistenza e pregando.
Manifestanti davanti all'ambasciata francese danneggiata a Kinshasa durante una marcia. Foto: Vatican Media
Sono passati solo due anni dalla visita di Papa Francesco nel Paese e tuttavia Fr. Adophe ha descritto la situazione come immutata. “È come se stessimo parlando a un contenitore vuoto che non riesce a cogliere il messaggio”, ha lamentato, affermando che, semmai, la situazione è peggiorata.
Per decenni il Paese è stato in guerra e di conseguenza, ha spiegato Fr. Adophe, “non c'è dignità della vita”. “In Congo non si può parlare di dignità della vita”, ha detto: “Non mi è mai piaciuto essere un essere umano in questo Paese che è davvero sommerso nel sangue ovunque”.
Ha chiesto l'aiuto della comunità internazionale per intervenire e sostenere la popolazione della Repubblica Democratica del Congo. La guerra deve finire, ha esortato Fr. Adophe. “Dobbiamo lasciare che Goma e la stessa Repubblica Democratica del Congo, respiri e viva come qualsiasi altra nazione, perché abbiamo il diritto di vivere anche noi. Anche noi abbiamo diritto alla vita come qualsiasi altra nazione”.
* Ufficio Generale per la Comunicazione con informazioni di Vatican News.