Una riflessione sulla prima giornata di Papa Francesco in Papua Nuova Guinea il 7 settembre 2024
Come si fa a trasmettere ai giovani l’entusiasmo della missione? «Non penso che ci siano “tecniche” per questo...». Nella domanda di James, catechista, e nella risposta che ha ricevuto dal Papa si può cogliere uno dei temi più cari a Francesco. Che cosa c’è all’origine dell’essere missionari? Come si annuncia il Vangelo?
Sono domande valide per ogni luogo e ogni tempo, ma qui, in Papua Nuova Guinea, Paese dove si parlano 841 lingue diverse, sono destinate ad avere un’eco particolare. Incontrando le autorità e la società civile a Port Moresby, il Successore di Pietro aveva ripetuto di essere molto affascinato dalla straordinaria ricchezza culturale e umana di questo arcipelago costellato di isole, dove i collegamenti sono complicati e la catechesi deve fare i conti con una quantità di idiomi differenti che non ha pari al mondo: «Immagino che questa enorme varietà sia una sfida per lo Spirito Santo, che crea l’armonia delle differenze!».
Un bimbo cieco offre un dono al Papa durante incontro con i missionari nella Holy Trinity Humanistic School a Baro
Alla domanda di James, durante l’incontro con i vescovi, il clero, le religiose e i catechisti, il Papa ha risposto riproponendo l’essenziale della testimonianza cristiana, cioè «coltivare e condividere la nostra gioia di essere Chiesa». Francesco ama citare spesso le parole dette dal predecessore Benedetto XVI ad Aparecida nel 2007: «La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per “attrazione”». E nel libro intervista con Gianni Valente (“Senza di Lui non possiamo far nulla”, Lev 2020) ha spiegato che «la missione è opera Sua. È inutile agitarsi. Non serve organizzare noi, non serve urlare. Non servono trovate o stratagemmi. Serve solo chiedere di poter rifare oggi l’esperienza che ti fa dire “abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi”...
Il mandato del Signore di uscire e annunciare il Vangelo preme da dentro, per innamoramento, per attrazione amorosa. Non si segue Cristo e tanto meno si diventa annunciatori di lui e del suo Vangelo per una decisione presa a tavolino, per un attivismo autoindotto. Anche lo slancio missionario può essere fecondo solo se avviene dentro questa attrazione, e la trasmette agli altri».
Di fronte allo spaesamento e alla stanchezza che molti cristiani sperimentano in alcune zone del mondo, solo la testimonianza di peccatori perdonati attratti per amore fa la missione. Altrimenti la Chiesa - e sono sempre parole di Francesco - «diventa un’associazione spirituale. Una multinazionale per lanciare iniziative e messaggi di contenuto etico-religioso», perché «si finisce per addomesticare Cristo. Non dai più testimonianza di ciò che opera Cristo, ma parli a nome di una certa idea di Cristo.
L'incontro del Papa con i vescovi della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone
Un’idea posseduta e addomesticata da te. Organizzi tu le cose, diventi il piccolo impresario della vita ecclesiale, dove tutto avviene secondo programma stabilito, e cioè solo da seguire secondo le istruzioni. Ma non riaccade mai l’incontro con Cristo. Non riaccade più l’incontro che ti aveva toccato il cuore all’inizio».
Nulla è esente da questo rischio: dai progetti pastorali all’organizzazione dei grandi eventi, dalle “tecniche” missionarie per il digitale alla catechesi. Si rischia di dare per scontato l’essenziale, per concentrarsi su modalità, linguaggi, organizzazione.
Ma la risposta più vera alla domanda di James, quella che incarna le parole del Papa, sta nei volti sorridenti e pieni di gioia dei missionari che qui macinano chilometri a piedi, in auto e in aereo, per essere vicini a tutti. Per testimoniare a ogni donna e a ogni uomo di questa terra dalla natura splendida e variopinta, l’amore di Gesù. Perché «se a attirarti è Cristo, se ti muovi e fai le cose perché sei attirato da Cristo, gli altri se ne accorgono senza sforzo. Non c’è bisogno di dimostrarlo, e tanto meno di ostentarlo».
* Andrea Tornielli. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
Nella cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione a Jakarta, Francesco si rivolge a vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati, seminaristi e catechisti: la fede non si impone, ma si condivide con gioia. E poi spiega il senso della "compassione": non dispensare elemosine ma abbracciare i sogni di giustizia.
"Ciò che manda avanti il mondo non sono i calcoli di interesse, che finiscono in genere col distruggere il creato e dividere le comunità, ma la carità che si dona"
Fede, fraternità, compassione: le tre parole chiave, che costituiscono il motto della visita apostolica nel variegato Paese asiatico composto di ben 1.300 etnie e popoli, sono al centro del discorso pronunciato da Papa Francesco discorso pronunciato da Papa Francesco nella cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione, a Jakarta. Siamo nel cuore della megalopoli, proprio di fronte alla moschea Istiqlal dove domani (stanotte in Italia) si terrà l'incontro interreligioso con la firma della Dichiarazione congiunta con l'imam Nasaruddin Umar. È stato un gesuita architetto, Antonius Dijkmans, a progettare, a fine '900, quello che è il luogo di culto principale per i cattolici indonesiani, oggi più di 8 milioni di fedeli, pari a poco più del 3 percento della popolazione. Al secondo piano della chiesa un museo ne illustra la storia.
Le religiose in ascolto del Papa
In questa prima giornata di permanenza in Indonesia - che finora ha visto impegnato il Pontefice nell'incontro con le autorità e la società civile, al palazzo presidenziale e, successivamente in nunziatura, in quello privato, ormai tradizionale per ogni trasferta papale internazionale, con i gesuiti locali - il Papa torna sui temi del dialogo, dell'amicizia sociale, di come incarnare il Vangelo in un contesto estremamente diversificato. Lo fa dopo aver scandito la necessità di contrastare "l'estremismo e l'intolleranza", di evitare che la fede venga manipolata per fomentare odio e accrescere divisioni. Dinanzi a vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati, consacrate, seminaristi e catechisti, guide pastorali di 37 diocesi, e mentre i presuli celebrano un secolo dalla fondazione della Conferenza episcopale (al 1940 risale invece la consacrazione del primo vescovo indigeno), Francesco si pone in ascolto di chi gli illustra (un prete, una suora e due catechisti) le sfide ordinarie di questo 'piccolo gregge' dell'Asia sud orientale.
Prima di procedere con la lettura del testo preparato, il Papa ascolta l'impegno di cui si fa portavoce il capo dei vescovi, monsignor Antonius Subiantu Bunjamin, nel suo saluto di benvenuto: "Cercheremo sempre più un incontro con Dio che esprima la gioia del Vangelo, crei una cultura dell’incontro in cui vediamo gli altri come fratelli o sorelle e ripristini l’integrità della creazione ascoltando il grido dei poveri e della terra, la nostra Casa comune". Poi si concede alcune sottolineature a braccio in cui rimarca il ruolo cruciale dei catechisti, "la forza della Chiesa". Chiede, in un clima di grande familiarità, quanti siano i seminaristi in assemblea. Evoca l'essenza di una Chiesa veramente sinodale, in cui "ognuno ha il suo compito per far cresere il popolo di Dio", laici e bambini compresi.
Il Papa si compiace di quella connaturale tensione all'unità e alla convivenza pacifica che contraddistingue la cultura indonesiana, certamente non un monolite ma un poliedro. I principi tradizionali della Pancasila, ne sono al tempo stesso riflesso, fondamento e garanzia. Francesco esalta l'enorme ricchezza naturale del Paese e invita a coltivare, dinanzi a questa abbondanza meravigliosa, un cuore grato e responsabile, oltre ogni tentazione di orgoglio. "Guardare a tutto questo con umili occhi di figli ci aiuta a credere, a riconoscerci piccoli e amati", ricorda. E rimanda alle condivisioni ascoltate da chi ha offerto la propria testimonianza, in particolare ha apprezzato la voce di Agnes:
Ce ne ha parlato Agnes, a proposito del nostro rapporto con il creato e con i fratelli, specialmente i più bisognosi, da vivere con uno stile personale e comunitario improntato al rispetto, alla civiltà e all’umanità, con sobrietà e carità francescana.
La cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione a Jakarta
Il Papa, che più volte ricorre a citazioni letterarie, in questa occasione cita un verso del Nobel Wisława Szymborska, poetessa polacca: essere fratelli vuol dire amarsi riconoscendosi «diversi come due gocce d’acqua». Torna, dunque, sul senso della fraternità: accogliersi a vicenda riconoscendosi uguali nella diversità. L'invito, cui già la Chiesa indonesiana tiene molto per costituzione, è di valorizzare sempre l'apporto di tutti, generosamente e in ogni contesto.
[...] Annunciare il Vangelo non vuol dire imporre o contrapporre la propria fede a quella degli altri, ma donare e condividere la gioia dell’incontro con Cristo (cfr 1 Pt 3,15-17), sempre con grande rispetto e affetto fraterno per chiunque. E in questo vi invito a mantenervi sempre così: aperti e amici di tutti – “mano nella mano”, come ha detto don Maxi – profeti di comunione, in un mondo dove sembra invece stia crescendo sempre più la tendenza a dividersi, imporsi e provocarsi a vicenda (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 67).
Francesco si sofferma poi sull'importanza di favorire la più ampia accessibilità, non solo dei testi biblici ma anche degli insegnamenti del magistero, mediante la traduzione nella lingua ufficiale locale, il Bahasa Indonesia. Del resto è ciò che sperano gli stessi operatori pastorali. L'immagine che ha colpito tanto il Papa in cattedrale è quella del ponte, evocata dal catechista Nicholas. Così insiste su quei costruttori di ponti, i catechisti appunto, fondamentali per edificare la Chiesa, senza i quali non si reggerebbe, così come senza i collegamenti tra le migliaia di isole, non ci sarebbe coesione in un arcipelago. Cosa è la fraternità se non un ricamo? E chi è, invece il divisore, chiede ancora Francesco: "Il diavolo".
Un ricamo immenso di fili d’amore che attraversano il mare, superano le barriere e abbracciano ogni diversità, facendo di tutti «un cuore solo e un’anima sola» (cfr At 4,32).
Sacerdoti e religiosi nella cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione a Jakarta
Infine, il Papa precisa il significato della compassione che molto è legata alla fraternità, "il patire con l'altro, bella parola...". Non è una debolezza ma una virtù, non è dispensare elemosine dall'alto di una torre, non è qualcosa che offusca la visione della realtà in un pietismo poco incisivo. Tutt'altro, come è richiamato nella Fratelli tutti: "Vuol dire anche abbracciarne i sogni e desideri di riscatto e di giustizia, prendersene cura, farsene promotori e cooperatori, coinvolgendo anche altri, allargando la “rete” e i confini in un grande dinamismo espansivo di carità". Il Papa invita ad essere attenti al "linguaggio del cuore", ricorda di "toccare" la povertà dell'altro, incrociando per davvero il suo sguardo. "Questo non vuole dire essere comunista, vuol dire carità", insiste ancora a braccio Bergoglio. Sono alcuni aneddoti raccontati dal Papa, che generano anche qualche ilarità nei presenti, ad accompagnare una espressione più volte ripetuta: "Il diavolo entra dalle tasche".
Ciò che manda avanti il mondo non sono i calcoli di interesse - che finiscono in genere col distruggere il creato e dividere le comunità - ma la carità che si dona.
Procedendo con il suo tipico linguaggio per immagini, il Papa si lascia affascinare dal portale della cattedrale per evidenziare su cosa davvero si regge la Chiesa. La roccia è Cristo che "sembra portare il peso di tutta la costruzione", Maria simbolicamente con il suo 'sì' sostiene l'opera. Maria, immagine di fraternità, di accoglienza, icona di compassione. Conclude, il Successore di Pietro, ricordando e facendo proprie le parole del Salmo 96 che San Giovanni Paolo II amò ripetere in questa terra nell'89: Gioiscano le isole tutte.
Anch’io vi rinnovo questa esortazione, e vi incoraggio a continuare la vostra missione forti nella fede, aperti a tutti nella fraternità e vicini a ciascuno nella compassione. Vi benedico e vi ringrazio per il tanto bene che fate ogni giorno! Prego per voi e vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie.
* Antonella Palermo - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
Il prefetto del Dicastero per il Clero a poche ore dalla partenza di Francesco per l’Estremo Oriente: sono terre ricche di spiritualità dove il dialogo con le religioni è centrale, annunciarvi il Vangelo conferma la gioia della fede tipica del popolo asiatico
Giusto dieci anni fa dava il benvenuto a Francesco, ospite attesissimo di quella che poteva considerarsi la Gmg asiatica. Dieci anni dopo il cardinale Lazzaro You Heung-sik guida il Dicastero per il Clero, ma il suo cuore di coreano accelera i battiti all’idea del Papa pronto - come farà tra qualche ora - a imbarcarsi di nuovo per l’Asia. Un continente immenso quanto le sue culture e le sue credenze religiose, nel quale radicare la fede è una sfida che procede per inculturazione e, afferma il porporato ai media vaticani, “si sviluppa attraverso nuovi linguaggi e nuovi modelli pastorali”.
Ritengo che il viaggio del Santo Padre in Asia confermi la sua passione per l’Estremo Oriente, che più volte ha manifestato parlando dei suoi primi anni di sacerdozio e del suo desiderio di essere missionario in quelle terre. Più in generale, questo viaggio attesta ancora una volta l’attenzione verso le “periferie”, che Papa Francesco ha spesso raccomandato quasi come una bussola per orientare il cammino di tutta la Chiesa. Si tratta di uno sguardo che non si chiude in se stesso, che non riduce la bellezza e la fantasia del cristianesimo a un unico modo di pregare, di celebrare o di agire nella pastorale ma, al contrario, si allarga oltre i confini, si mette in ascolto di quanto avviene anche in terre e chiese apparentemente “fuori dal centro”, lontane, ma ricche di vita e di spiritualità. Allo stesso tempo, una cifra importante di questo Viaggio riguarda il tema della fraternità; arrivando in quei Paesi il Papa potrà immergersi in un mondo multiculturale, in terre e città in cui si mescolano e convivono persone, culture e tradizioni religiose antiche e diverse, in armonia. Così, Papa Francesco potrà confermare il Popolo di Dio che incontrerà e, allo stesso tempo, portare alla luce questo esempio di fraternità e di condivisione in un mondo ancora lacerato da conflitti, guerre e discordie.
Il Papa durante le operazioni di imbarco a Fiumicino
L’Asia è un continente molto variegato. Il cammino della fede cristiana, da sempre “contaminato” da tante altre spiritualità e incarnato in una cultura così particolare, si sviluppa attraverso nuovi linguaggi, nuovi modelli pastorali e una specifica attenzione al dialogo tra le religioni, inteso anche come cammino unitario dell’umanità verso Dio e partecipazione al Suo progetto di salvezza. In questo senso l’Asia può aiutare anche la fede occidentale a rinnovarsi, a ritrovare vitalità attraverso una nuova evangelizzazione e a crescere nella consapevolezza della missione che noi cristiani abbiamo rispetto al mondo, alla società e alla costruzione di un futuro di pace.
Come sappiamo, da una parte il Vangelo si incarna nella cultura facendone il terreno proprio per poter germogliare e, quindi, accogliendola con benevolenza; allo stesso tempo, l’annuncio del Vangelo è sempre una sfida per la cultura e intende purificarla e accompagnarla in un cammino di crescita che la renda sempre più conforme al progetto di Dio e, quindi, più umana. In questo senso, annunciare il Vangelo in Asia significa confermare la gioia della fede che contraddistingue il popolo asiatico, radicata nella semina di molti missionari e testimoni del Vangelo, ma, contemporaneamente, il cristianesimo è chiamato ad affrontare alcune sfide di tipo culturale: penso specialmente ai giovani, che a volte si lasciano affascinare da modelli culturali e sociali troppo secolarizzati e improntati a una mentalità edonistica e consumistica; ma anche le questioni legate a taluni fenomeni più locali come la magia, la stregoneria, l’utilizzo della violenza come autodifesa, in alcuni casi il tribalismo e l'animismo. Senza dimenticare i problemi che riguardano i poveri, la famiglia e la custodia della vita. In generale, poi, l’aspetto più importante è dato senz’altro dalla testimonianza cristiana, come ha insegnato Sant’Andrea Kim, primo martire coreano, e tanti altri martiri asiatici: dove c’è testimonianza di vita c’è anche annuncio del Vangelo, perché prima delle parole e delle formule è anzitutto la nostra vita a dover manifestare la gioia del Vangelo, per diventare luce che illumina le tenebre del mondo.
* Originalmente pubblicato in:www.vaticannews.va
Nel primo discorso presso il Centro Congressi di Trieste, Francesco sottolinea che “l’indifferenza è un cancro della democrazia”, forte l’invito alla partecipazione che va allenata – afferma il Papa - con solidarietà e sussidiarietà perché la fraternità fa fiorire i rapporti sociali. Preoccupa l'astensionismo elettorale
È un discorso sottolineato da molti applausi quello che Papa Francesco rivolge ai partecipanti alla 50.ma Settimana sociale dei cattolici sul tema: “Al cuore della democrazia. Partecipazione tra storia e futuro” che si chiude in questa domenica, 7 luglio, a Trieste. Giunto poco prima delle 8 nella città di frontiera tra l’Italia e i Balcani, il Pontefice intreccia il suo discorso con il ricordo personale, parlando del nonno che aveva combattuto sul Piave e che per primo gli aveva fatto conoscere Trieste.
Francesco si sofferma poi sulla parola “cuore” che declina accanto al termine “democrazia” e citando il Beato Giuseppe Toniolo la lega al bene comune.
È evidente che nel mondo di oggi la democrazia non gode di buona salute. Questo ci interessa e ci preoccupa, perché è in gioco il bene dell’uomo, e niente di ciò che è umano può esserci estraneo.
Da qui l’appello ad una assunzione di responsabilità per “costruire qualcosa di buono nel nostro tempo”, dando “attenzione alla gente che resta fuori o ai margini dei processi”.
Ricordando la Nota Pastorale con cui nel 1988 la Chiesa italiana ha ripristinato le Settimane sociali, il Papa sottolinea la concordanza con la visione promossa dalla Dottrina Sociale della Chiesa, che guarda alle “dimensioni dell’impegno cristiano" e ad "una lettura evangelica dei fenomeni sociali” non solo per l’Italia ma per l’intera società umana.
Così come la crisi della democrazia è trasversale a diverse realtà e Nazioni, allo stesso modo l’atteggiamento della responsabilità nei confronti delle trasformazioni sociali è una chiamata rivolta a tutti i cristiani, ovunque essi si trovino a vivere e ad operare, in ogni parte del mondo.
La crisi della democrazia è vista dal Papa come un cuore ferito. "Costruzione e intelligenza" mostrano un cuore “infartuato” ma preoccupano le diverse forme di esclusione sociale.
Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i vecchi. Questa è la cultura dello scarto. Il potere diventa autoreferenziale, - è una malattia brutta questa - incapace di ascolto e di servizio alle persone.
Ricordando le parole di Aldo Moro per cui lo Stato è democratico se a servizio dell’uomo, Francesco sottolinea come la democrazia è tale se ci sono le condizioni per esprimersi e partecipare.
Nel frattempo a me preoccupa il numero ridotto della gente che è andata a votare. Cosa significa quello? Non è il voto del popolo solamente ma esige che si creino le condizioni perchè tutti si possano esprimere e possano partecipare.
“La partecipazione – afferma il Papa - non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va ‘allenata’, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche”. Il Papa insiste poi sull’apporto che il cristianesimo può dare allo sviluppo culturale e sociale europeo nell’ambito di una corretta relazione fra religione e società:
…promuovendo un dialogo fecondo con la comunità civile e con le istituzioni politiche perché, illuminandoci a vicenda e liberandoci dalle scorie dell’ideologia, possiamo avviare una riflessione comune in special modo sui temi legati alla vita umana e alla dignità della persona. Le ideologie sono seduttrici. Qualcuno le comparava come a quello che a Hamelin suonava il flauto; seducono, ma ti portano a negarti.
In ascolto di Papa Francesco
Fecondi restano i principi di solidarietà e di sussidiarietà. “La democrazia richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal ‘fare il tifo’ al dialogare”. "Ogni persona ha un valore; ogni persona è importante".
Tutti devono sentirsi parte di un progetto di comunità; nessuno deve sentirsi inutile. Certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone ...Mi fermo alla parola assistenzialismo. L’assistenzialismo, soltanto così, è nemico della democrazia e è nemico dell’amore al prossimo. E certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone sono ipocrisia sociale. Non dimentichiamo questo. E cosa c’è dietro questo prendere distanze dalla realtà sociale? C’è l’indifferenza, e l’indifferenza è un cancro della democrazia, un non partecipare.
Papa Francesco, parlando del cuore risanato, elenca numerosi esempi di segni dell’azione dello Spirito Santo che sono espressione di creatività. Ricorda, ad esempio, chi assume nella propria attività una persona con disabilità o le comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale. "Tutte queste cose - afferma - non entrano in una politica senza partecipazione. Il cuore della politica è fare partecipe. E queste sono le cose che fa la partecipazione, un prendersi cura del tutto; non solo la beneficenza, prendersi cura di questo …, no: del tutto!".
La fraternità fa fiorire i rapporti sociali; e d’altra parte il prendersi cura gli uni degli altri richiede il coraggio di pensarsi come popolo…In effetti, «è molto difficile progettare qualcosa di grande a lungo termine se non si ottiene che diventi un sogno collettivo». Una democrazia dal cuore risanato continua a coltivare sogni per il futuro, mette in gioco, chiama al coinvolgimento personale e comunitario. Sognare il futuro. Non avere paura di quello.
L’esortazione del Papa è a non cercare soluzioni facili, ma ad appassionarsi al bene comune e come cristiani “avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico”.
Ci spetta il compito di non manipolare la parola democrazia né di deformarla con titoli vuoti di contenuto, capaci di giustificare qualsiasi azione. La democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e anche dell’ecologia integrale.
I cattolici, sottolinea Francesco, non devono accontentarsi di "una fede marginale o privata", hanno qualcosa da dire, “non per difendere i privilegi”, ma perché devono essere “voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce”, agendo senza la pretesa di essere ascoltati ma avendo “il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico”. “Questo – afferma il Papa - è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause”. "Una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni".
Formiamoci a questo amore, per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile. Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte. E questa è una cosa importante nel nostro agire politico, anche dei pastori nostri: conoscere il popolo, avvicinarsi al popolo. Un politico può essere come un pastore che va davanti al popolo, in mezzo al popolo e dietro al popolo. Davanti al popolo per segnalare un po’ il cammino; in mezzo al popolo, per avere il fiuto del popolo. Un politico che non abbia il fiuto del popolo, è un teorico.
Papa Francesco accanto a monsignor Renna, Presidente del Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali
In conclusione l’invito del Papa al laicato cattolico italiano, sull’esempio di Giorgio la Pira, è quello di alimentare progetti di buona politica che possono far rinascere la speranza. Francesco indica un orizzonte di lavoro, guardando al prossimo Giubileo, invitando a promuovere iniziative di formazione politica e sociale dei giovani, prevedendo luoghi di confronto e di dialogo e favorendo sinergie per il bene comune.
Non smettiamo mai di alimentare la fiducia, certi che il tempo è superiore allo spazio... Tante volte pensiamo che il lavoro politico è prendere spazi, no! È scommettere sul tempo, avviare processi, non prendere luoghi. Il tempo è superiore allo spazio e non dimentichiamo che avviare processi è più saggio di occupare spazi. Io mi raccomando che voi nella vostra vita sociale, abbiate il coraggio di avviare processi, sempre. È la creatività e anche è la legge della vita. Una donna quando fa nascere un figlio, incomincia a avviare un processo e lo accompagna. Anche noi nella politica dobbiamo fare lo stesso.
“Vi benedico – conclude il Papa - e vi auguro di essere artigiani di democrazia e testimoni contagiosi di partecipazione”.
Questo è il ruolo della Chiesa: coinvolgere nella speranza, perché senza di essa si amministra il presente ma non si costruisce il futuro. Senza speranza, saremmo amministratori, equilibristi del presente e non profeti e costruttori del futuro.
* Benedetta Capelli – Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
“Ecco il faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5)
Indetta da Papa Francesco, Roma ospita questo fine settimana, 25 e 26 maggio 2024, la prima Giornata Mondiale dei Bambini. Un evento straordinario che finalmente metterà al centro, i bambini di tutto il mondo, con la loro presenza ci interpellano e ci chiedono conto di come stiamo trattando il Pianeta e quale futuro stiamo preparando per loro.
Un fine settimana all’insegna dei bambini, saranno loro i protagonisti degli eventi in programma sabato allo Stadio Olimpico, e domenica in Piazza San Pietro abbracceranno il “loro” Papa nella celebrazione della Santa Messa, dove avranno un posto particolare i bambini che provengono da zone dove, purtroppo imperversa la guerra.
Se è vero che tutti siamo importanti davanti a Dio, i bambini manifestano “il desiderio di ognuno di noi di crescere e rinnovarsi”, scrive Papa Francesco nel messaggio di questa giornata, “voi ci ricordate che siamo tutti figli e fratelli, e che nessuno può esistere senza qualcuno che lo metta al mondo, né crescere senza avere altri a cui donare amore e da cui ricevere amore (cfr. Fratelli tutti, 95)”.
Il Papa continua, raccomandando ai bambini di “ascoltare sempre con attenzione i racconti dei grandi: delle vostre mamme, dei papà, dei nonni e dei bisnonni! E nello stesso tempo di non dimenticare chi di voi, ancora così piccolo, già si trova a lottare contro malattie e difficoltà, all’ospedale o a casa, chi è vittima della guerra e della violenza, chi soffre la fame e la sete, chi vive in strada, chi è costretto a fare il soldato o a fuggire come profugo, separato dai suoi genitori, chi non può andare a scuola, chi è vittima di bande criminali, della droga o di altre forme di schiavitù, degli abusi. Insomma, tutti quei bambini a cui ancora oggi con crudeltà viene rubata l’infanzia. Ascoltateli, anzi ascoltiamoli, perché nella loro sofferenza ci parlano della realtà, con gli occhi purificati dalle lacrime e con quel desiderio tenace di bene che nasce nel cuore di chi ha veramente visto quanto è brutto il male”.
L’invito che rivolge ai bambini vale per anche per noi adulti, “per rinnovare noi stessi e il mondo, non basta che stiamo insieme tra noi: è necessario stare uniti a Gesù. Da lui riceviamo tanto coraggio: lui è sempre vicino, il suo Spirito ci precede e ci accompagna sulle vie del mondo. Gesù ci dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5); sono le parole che ho scelto come tema per la vostra prima Giornata Mondiale”.
“Con Gesù possiamo sognare un’umanità nuova e impegnarci per una società più fraterna e attenta alla nostra casa comune, cominciando dalle cose semplici, come salutare gli altri, chiedere permesso, chiedere scusa, dire grazie. Il mondo si trasforma prima di tutto attraverso le cose piccole, senza vergognarsi di fare solo piccoli passi. Anzi, la nostra piccolezza ci ricorda che siamo fragili e che abbiamo bisogno gli uni degli altri, come membra di un unico corpo (cfr Rm 12,5; 1 Cor 12,26)”.
Conclude ricordando che il dono più grande che possiamo fare agli altri “siamo noi stessi, gli uni per gli altri: siamo noi il “regalo di Dio”. Gli altri doni servono, sì, ma solo per stare insieme. Se non li usiamo per questo saremo sempre insoddisfatti e non ci basteranno mai”.
Che questa giornata possa segnare un novo inizio affinché i bambini siano sempre al centro delle scelte dei “grandi del mondo”, ma anche delle nostre attività di evangelizzazione e promozione umana, perché i più indifesi e i più fragili.
Il Papa con un gruppo di bambini durante l'udienza del 6 dicembre. Foto: Ansa
Chiediamo che questo possa realizzarsi con la preghiera con la quale Papa Francesco conclude il suo messaggio.
Insieme a Maria Santissima e a San Giuseppe preghiamo con queste parole:
Vieni, Santo Spirito, mostraci la tua bellezza riflessa nei volti delle bambine e dei bambini della terra. Vieni Gesù, che fai nuove tutte le cose, che sei la via che ci conduce al Padre, vieni e resta con noi. Amen.
* Padre Antonio Rovelli, IMC, Ufficio formazione