Reportage da piazza San Pietro
Città del Vaticano. Oggi, 20 ottobre 2024, Giuseppe Allamano è ufficialmente santo. La messa di proclamazione, in piazza San Pietro, nella Giornata Missionaria Mondiale è stata intensissima.
Fin dalle 7 del mattino, a giorno non ancora fatto, lunghe code di pellegrini aspettano ai controlli della polizia, necessari per entrare nella piazza. Il popolo di Giuseppe Allamano è arrivato dai quattro continenti il giorno prima.
Nella coda, tra la gente che si stropiccia gli occhi, si sentono decine di lingue: portoghese, spagnolo, francese, inglese, italiano, kishawili... Ma anche l’Asia c’è, con la Corea, la Mongolia e Taiwan.
Su alcune bacchette viene issata l’immagine del futuro santo, nella sua versione colorata o «pop art», che resta un riferimento tra la marea di teste.
Oggi saranno, infatti, «canonizzati», termine tecnico, anche Elena Guerra, Marie-Léonie Paradis e gli undici martiri di Damasco (Manuel Ruiz e compagni). Ci si distingue anche per il foulard, bianco ma colorato con le 35 bandiere dei paesi dove lavorano i missionari e le missionarie della Consolata, e con l’effige di Allamano e della Consolata. L’organizzazione ha anche previsto per tutti un badge verde con il logo studiato specificamente per questo giorno.
Entriamo tra i primi, dopo il controllo metal detector. La platea davanti alla scalinata di San Pietro è ancora da riempire.
I pellegrini sono assonnati, ma si vede la gioia e l'eccitazione. Molti si salutano, si abbracciano. È spesso un rivedersi dopo anni, talvolta un incontrarsi per la prima volta, entrando subito in sintonia.
Intanto si è fatto giorno. È nuvoloso, ma non piove.
È ancora un momento di attesa, e si approfitta per farsi delle foto, dei video, scambiarsi un contatto o un sorriso. Vediamo una folta delegazione dall’Uganda, poi la bandiera del Kenya (primo paese di missione dei Missionari della Consolata). Il Congo Rdc è presente, così come la Costa d’Avorio.
A un certo punto compare la bandiera del Marocco: è il gruppo di Oujda, del quale fanno parte anche alcune migranti subsahariane. Vediamo anche il gruppo dei laici della Consolata del Portogallo, con le magliette del loro 25° anno di esistenza, i laici del Brasile, Canada, Colombia.... E poi tantissime suore, di svariate età e nazionalità. Così metà della piazza, quella con i posti a sedere, si è riempita.
Intanto, alla sinistra dell’altare si siedono cardinali, vescovi, sacerdoti e i fratelli. Alla destra, invece, le autorità e i diplomatici.
Dopo il rosario in latino, inizia uno scampanio, poi il coro ufficiale intona alcune canzoni diffuse con i potenti altoparlanti in tutta la piazza. L’attesa si fa più intensa tra le migliaia di persone da tutto il pianeta, spaccato di umanità.
Alle 10,20, quasi all’improvviso, arriva Papa Francesco sulla sua carrozzina e si siede sulla poltrona papale. Tenue, quasi sotto voce, sul lato destro della platea, un gruppo di pellegrini intona: «Papa Francesco, papa Francesco». Altri iniziano, è come se il coro si spostasse nello spazio antistante alla basilica, e intanto diventa «Papa Francisco», per culminare con un grande applauso. Nel frattempo è comparso un tenue sole.
Scorgiamo evidente, in prima fila del gruppo di sedie delle autorità, il presidente Sergio Mattarella.
La celebrazione ha inizio. Vengono lette le brevi biografie dei nuovi santi. Quando è nominato Giuseppe Allamano, parte un applauso dalla piazza.
«Vince non chi domina, ma chi serve per amore» dice il Papa nella sua omelia, a commento del Vangelo del giorno. «Gesù svela pensieri nel nostro cuore smascherando, talvolta, i nostri desideri di vanità e di potere».
E poi ci insegna lo «stile di Dio», ovvero il «servizio». Le parole magiche per il Papa sono: «Vicinanza, compassione e tenerezza, applicate all’azione di servire. […] A questo dobbiamo anelare». Uno stile che nasce dall’amore e non ha una scadenza o un limite. «I nuovi santi hanno vissuto questo stile di Gesù: il servizio» continua il Papa.
All’Angelus papa Francesco mette l’accento sui popoli indigeni: «La testimonianza di san Giuseppe Allamano ci ricorda la necessaria attenzione verso le popolazioni più fragili e vulnerabili. Penso in particolare al popolo Yanomami, nella foresta amazzonica brasiliana, tra i cui membri è avvenuto proprio il miracolo legato alla sua canonizzazione. Faccio appello alle autorità politiche e civili affinché assicurino la protezione di questi popoli e dei loro diritti fondamentali e contro ogni forma di sfruttamento della loro dignità e dei loro territori».
Il nome «Yanomami», dunque, echeggia in piazza san Pietro, proprio grazie al nuovo Santo.
Papa Francesco conclude con un giro in carrozzina a salutare i cardinali, per poi salire sulla papamobile, e fare un lungo percorso nella piazza. I pellegrini e i fedeli hanno oramai lasciato le loro sedie e si affollano alle transenne per salutare il Santo Padre.
Una volta passato, inizia il lento deflusso di alcune migliaia di persone, mentre gruppi di svariate nazionalità e lingue si fanno le ultime foto sulla piazza, con lo sfondo della Basilica di San Pietro sulla quale spicca lo stendardo di san Giuseppe Allamano.
* Marco Bello, rivista Missioni Consolata.
«Andate e invitate al banchetto tutti» (cfr. Mt 22,9) è il versetto dal quale trae spunto Papa Francesco per il messaggio in vista della Giornata Missionaria Mondiale che celebreremo quest’anno nella domenica 20 ottobre, il giorno della canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano, uomo appassionato della missione ad gentes.
Papa Francesco ci invita a rinnovare il dinamismo missionario di ogni battezzato e ci spinge nuovamente ad essere una “Chiesa in uscita” per rendere accessibile a tutti la possibilità di partecipare al grande banchetto per tutti i popoli annunciato dal profeta Isaia: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Is 25,6).
Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale
Come già per Siria, RD Congo e Sud Sudan, Libano, Afghanistan, Ucraina e Terra Santa dal 2013 al 2023, Francesco indice per il prossimo lunedì, primo anniversario dell'attacco terroristico di Hamas a Israele, una giornata di orazione e astensione di pasti per invocare il dono della pace.
E annuncia una visita domenica 6 ottobre a Santa Maria Maggiore per recitare il Rosario e pregare la Madonna, chiedendo la partecipazione di tutti i membri del Sinodo
Nel crescendo di tensioni nella polveriera mediorientale, tra le bombe e i missili che continuano a piombare nella “martoriata” Ucraina, in mezzo ai tanti piccoli e grandi conflitti che lacerano e affamano i popoli dell'Africa, mentre insomma “i venti della guerra e i fuochi della violenza continuano a sconvolgere interi popoli e Nazioni”, il Papa chiama alle “armi” del digiuno e della preghiera – quelle che la Chiesa indica come potenti - milioni di credenti nel mondo per implorare da Dio il dono della pace in un mondo sull’orlo dell’abisso. Lo fa, il Pontefice, al termine della Messa solenne in Piazza San Pietro per l’apertura della seconda sessione dell’Assemblea generale, annunciando una Giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo il 7 ottobre, primo anniversario dell'attacco terroristico perpetrato da Hamas in Israele che ha fatto esplodere le brutalità a cui da un anno si assiste in Terra Santa. "Chiedo a tutti di vivere una giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo"
Papa Francesco durante la celebrazione eucaristica per l'Inaugurazione della XVI Assemblea Generale del Sinodo
Sempre a fine omelia, il Papa ha annunciato pure una nuova visita nella Basilica di Santa Maria Maggiore il 6 ottobre per elevare alla Madonna una supplica di pace. Un appuntamento spirituale per il quale ha chiesto la partecipazione di tutti i membri del Sinodo riuniti a Roma. "Per invocare dall’intercessione di Maria Santissima il dono della pace, domenica prossima mi recherò nella Basilica di Santa Maria Maggiore dove reciterò il Santo Rosario e rivolgerò alla Vergine un’accorata supplica".
Giornate di digiuno e preghiera per terre lacerate dalle violenze sono una costante del pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Neppure sei mesi dopo dalla sua elezione sul Soglio di Pietro, il 7 settembre 2013, il Papa argentino aveva raccolto in Piazza San Pietro migliaia di persone, cattoliche e non solo, per pregare, con fiaccole, candele, bandiere, per la pace “nell’amata nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo!”. La Siria si trovava allora dinanzi all’eventualità di una guerra feroce, già radicalizzata da oltre un anno e acuita dopo l’attacco a civili con gas nervino. Il conflitto, fortunatamente, non deflagrò mai. Dalla Piazza cuore della cristianità, il giorno prima, si era alzato un grido silenzioso.
Il Papa durante la recita del Rosario a Santa Maria Maggiore
“Abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La guerra è sempre una sconfitta per l’umanità”
Ancora il Papa, con eguale vigore e preoccupazione, il 23 febbraio 2017 aveva invocato un’azione immediata dei cristiani, declinata appunto nella preghiera e nel digiuno, per il Sud Sudan e la Repubblica Democratica del Congo. Le due nazioni africane, che il Pontefice ha visitato personalmente nel gennaio e febbraio 2023, erano e sono tuttora piagate da fame, sfruttamento, emigrazione, violenze. Era il primo venerdì di Quaresima e Papa e Curia avevano terminato gli Esercizi Spirituali. Francesco quel giorno aveva invitato ad unirsi all’evento anche i cristiani di altre Chiese e seguaci delle altre religioni, “nelle modalità che riterranno più opportune, ma tutti insieme”.
Stessa formula usata per invitare i fratelli e le sorelle di altre confessioni nella grande giornata per il Libano, indetta per il 4 settembre 2020, quando il mondo si rialzava a fatica dalla devastante prima ondata di pandemia di Covid-19 ed, esattamente un mese prima, aveva assistito attonito alla esplosione nel porto di Beirut. Un evento di cui il Paese dei Cedri - già appesantito da una crisi politica, sociale ed economica, ora sotto attacco dai raid israeliani e per questo definito dal Papa “un messaggio… martoriato" - paga ancora le conseguenze . Francesco aveva annunciato la Giornata universale per il Libano due giorni prima, all’udienza generale del 2 settembre. Con a fianco un sacerdote che teneva in mano la bandiera libanese, il Papa si appellava a politici e leader religiosi: "Impegnarsi con sincerità e trasparenza nell’opera di ricostruzione, lasciando cadere gli interessi di parte e guardando al bene comune e al futuro della nazione"
La comuntà congolesa di Roma riengrazia il Papa Francesco per la vicinanza e preghiera. Via della Conciliazione, 11 febbraio 2018. Foto: Jaime C. Patias
Ancora nel 2021, il 29 agosto, in quell’estate drammatica per l’Afghanistan, travolto dal violento ritorno al potere dei talebani, da attentati e dalla fuga disperata di centinaia di persone arrivati ad arrampicarsi anche sugli aerei in decollo, Francesco dal Palazzo Apostolico per l’Angelus – ma anche dalla più ampia finestra virtuale del suo account su X @Pontifex – tornava a domandare ai fedeli del mondo di raccogliersi in preghiera e astenersi dai pasti.
Rivolgo un appello a tutti a intensificare la preghiera e a praticare il digiuno. Preghiera e digiuno, preghiera e penitenza, questo è il momento di farlo. Sto parlando sul serio, intensificare la preghiera e praticare il digiuno, chiedendo al Signore misericordia e perdono.
Resta impressa poi nella memoria collettiva la giornata del 2 marzo 2022, un Mercoledì delle Ceneri, in cui il Papa chiese alla Chiesa universale di intensificare il digiuno e la preghiera da rivolgere soprattutto alla Vergine Maria, Regina della Pace, perché “preservi il mondo dalla follia della guerra”. Parole drammaticamente realistiche a neppure una settimana dal primo attacco russo su Kyiv, che ha dato inizio all’orrore – ormai perdurante da circa due anni – in Ucraina.
“Prego tutte le parti coinvolte perché si astengano da ogni azione che provochi ancora più sofferenza alle popolazioni, destabilizzando la convivenza tra le nazioni e screditando il diritto internazionale”
Era quello il primo di migliaia di appelli elevati al cielo in questi anni di guerra a favore del “martoriato” Paese, affidato insieme alla Russia al Cuore Immacolato di Maria in una celebrazione a San Pietro, il 25 marzo dello stesso anno, partecipata da migliaia di fedeli in presenza in Basilica o virtualmente collegati dal mondo.
La consacrazione di Russia e Ucraina al Cuore Immacolato di Maria
Da ultimo una giornata per “fermarsi” e invocare il dono della pace attraverso l’orazione e astensione dal cibo, il Papa l’ha indetta il 27 ottobre 2023, venti giorni dopo l’orrore deflagrato in Terra Santa e nei giorni conclusivi della prima sessione del Sinodo. In quella occasione, il Papa volle organizzare una veglia in Basilica - denominata “Pacem in Terris”, dal titolo della storica enciclica di Giovanni XXIII di cui ricorrevano i 60 anni - a cui presero parte i membri dell’assise ma anche esponenti delle altre confessioni cristiane e di altre fedi. Quella sera, il Papa, in una cerimonia intima e partecipata, si pose ai piedi della “Madre” chiedendone l'intercessione per il mondo che attraversa “un’ora buia”.
Ora, Madre, prendi ancora una volta l’iniziativa; prendila per noi, in questi tempi lacerati dai conflitti e devastati dalle armi. Volgi il tuo sguardo di misericordia sulla famiglia umana, che ha smarrito la via della pace, che ha preferito Caino ad Abele e, perdendo il senso della fraternità, non ritrova l’atmosfera di casa. Intercedi per il nostro mondo in pericolo e in subbuglio. Insegnaci ad accogliere e a curare la vita – ogni vita umana! – e a ripudiare la follia della guerra, che semina morte e cancella il futuro.
Intenzione di preghiera di ottobre diffusa attraverso la Rete Mondiale di Preghiera del Papa.
* Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va
Nella basilica del Sacro Cuore di Koekelberg, il 28 settembre, Francesco si rivolge a vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati, seminaristi e catechisti invitando all’impegno nell'evangelizzazione in un tempo di crisi: serve coraggio per avviare trasformazioni di consuetudini, modelli e linguaggi della fede. Misericordia e prossimità per chi ha subito abusi.
Una Chiesa “che non chiude mai le porte”, che a tutti offre “un’apertura sull’infinito”, che sa “guardare oltre”. Una Chiesa “serva di tutti senza soggiogare nessuno”, in grado di imparare, con la misericordia, a non rimanere “col cuore di pietra” dinnanzi alle sofferenze delle vittime di abusi. Ancora, una Chiesa capace di aiutare chi sbaglia a rialzarsi, perché esistono errori ma “nessuno è perduto per sempre”.
È questa la Chiesa che Papa Francesco ha indicato come modello ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi, ai consacrati e alle consacrate, ai seminaristi e agli operatori pastorali del Belgio riuniti nella basilica del Sacro Cuore di Koekelberg, a Bruxelles.
Il Pontefice ha raggiunto l’edificio sacro alla periferia della città dopo una tappa fuori programma nella chiesa di Saint-Gille per fare colazione con un gruppo di poveri e rifugiati che gli hanno regalato una birra prodotta nella parrocchia per finanziare le opere caritative. Nel suo percorso in auto lungo il grande spazio verde antistante alla basilica, la quinta più grande al mondo, Francesco benedice diversi bambini che gli vengono avvicinati.
Papa Francesco nella basilica del Sacro Cuore di Koekelberg
Rivolgendosi ai presenti, per descrivere al meglio l’immagine di una Chiesa “che evangelizza, vive la gioia del Vangelo e pratica la misericordia”, Francesco si avvale di una metafora artistica, facendo riferimento a un’opera del pittore belga Magritte, “L’atto di fede”, che rappresenta una porta chiusa dall’interno, ma “sfondata al centro” e “aperta sul cielo. È uno squarcio - descrive - che ci invita ad andare oltre, a volgere lo sguardo in avanti e in alto, a non chiuderci mai in noi stessi”.
Parlando della Chiesa belga, il Papa la definisce “in movimento”, impegnata a trasformare la presenza delle parrocchie sul territorio, a dare un forte impulso alla formazione dei laici e in generale a “essere Comunità vicina alla gente, che accompagna le persone e testimonia con gesti di misericordia”.
Nel suo discorso più volte interrotto da applausi, che prendeva spunto dalle domande poste nel corso delle testimonianze da diversi membri della Chiesa locale, Francesco propone alcune tracce di riflessione sviluppate attorno a tre parole: evangelizzazione, gioia, misericordia.
L’evangelizzazione, spiega, è la “prima strada da percorrere”, perché “i cambiamenti della nostra epoca e la crisi della fede che sperimentiamo in Occidente ci hanno spinto a ritornare all’essenziale, cioè al Vangelo” affinché “a tutti venga nuovamente annunciata la buona notizia che Gesù ha portato nel mondo, facendone risplendere tutta la bellezza”. La crisi, tempo “per scuoterci, per interrogarci e per cambiare”, ci mostra che “siamo passati da un cristianesimo sistemato in una cornice sociale ospitale a un cristianesimo ‘di minoranza’, o meglio - precisa Francesco - di testimonianza”.
Questo richiede il coraggio di una conversione ecclesiale, per avviare queste trasformazioni pastorali che riguardano anche le consuetudini, i modelli, i linguaggi della fede, perché siano realmente a servizio dell’evangelizzazione.
Anche ai preti, sottolinea, occorre il “coraggio” di non limitarsi a “conservare o gestire un patrimonio del passato”, ma di essere “pastori innamorati di Cristo” e “attenti a cogliere le domande di Vangelo” mentre “camminano con il Popolo santo di Dio”. Se il Signore “apre i nostri cuori all’incontro con chi è diverso da noi”, il Papa chiarisce che “nella Chiesa c’è spazio per tutti” e “nessuno dev’essere la fotocopia dell’altro. L’unità nella Chiesa non è uniformità, ma è trovare l’armonia delle diversità!”.
In questo senso il processo sinodale, rimarca riferendosi a una precedente testimonianza, “dev’essere un ritorno al Vangelo”, non deve “avere tra le priorità qualche riforma ‘alla moda”’, ma chiedersi come possiamo far arrivare il Vangelo “in una società che non lo ascolta più o si è allontanata dalla fede”.
Religiose ascoltano il Papa
Passando al secondo fulcro del suo intervento, la gioia, Francesco esplicita che non si parla “delle gioie legate a qualcosa di momentaneo”, ma di “una gioia più grande, che accompagna e sostiene la vita anche nei momenti oscuri o dolorosi, e questo è un dono che viene dall’alto, che viene da Dio”.
È la gioia del cuore suscitata dal Vangelo: è sapere che lungo il cammino non siamo soli e che anche nelle situazioni di povertà, di peccato, di afflizione, Dio è vicino, si prende cura di noi e non permetterà alla morte di avere l’ultima parola.
Dal Papa arriva l’esortazione affinché il predicare, il celebrare, il servire e fare apostolato lascino trasparire “la gioia del cuore” e non “il sorriso finto, del momento”. La gioia “è la strada”, e quando la fedeltà “appare difficile” dobbiamo mostrare che essa è un “cammino verso la felicità” perché, “intravedendo dove conduce la strada, si è più pronti a iniziare il cammino”.
Infine, la terza via, quella della misericordia.
Il Vangelo, accolto e condiviso, ricevuto e donato, ci conduce alla gioia perché ci fa scoprire che Dio è il Padre della misericordia, che si commuove per noi, che ci rialza dalle nostre cadute, che non ritira mai il suo amore per noi. Fissiamo nel cuore: mai Dio ritira il suo amore per noi.
Questo, ha proseguito il Pontefice, “a volte può sembrarci ‘ingiusto’, perché noi applichiamo semplicemente la giustizia terrena che dice: ‘chi sbaglia deve pagare’”. Tuttavia, la giustizia di Dio è superiore, e chi ha sbagliato è sì “chiamato a riparare i suoi errori”, ma per guarire nel cuore “ha bisogno dell’amore misericordioso di Dio”, che “perdona tutto” e “perdona sempre”. È con la sua misericordia che Dio “ci giustifica” nel senso che “ci rende giusti, perché ci dona “un cuore nuovo, una vita nuova”.
Il Papa si sofferma anche sulla questione degli abusi: “C’è bisogno di tanta misericordia, per non rimanere col cuore di pietra dinanzi alla sofferenza delle vittime, per far sentire loro la nostra vicinanza", "offrire tutto l’aiuto possibile” e imparare a essere una Chiesa “che si fa serva di tutti” senza “soggiogare nessuno”. “Sì – ripete – perché una radice della violenza consiste nell’abuso di potere, quando usiamo i ruoli che abbiamo per schiacciare gli altri o per manipolarli”.
Il pensiero di Francesco va poi ai carcerati, per i quali la misericordia è un tema cruciale. Quando io entro in un carcere mi domando: perché loro e non io? Gesù ci mostra che Dio non si tiene a distanza dalle nostre ferite e impurità. Egli sa che tutti possiamo sbagliare, ma nessuno è sbagliato. Nessuno è perduto per sempre.
Papa Francesco tra la folla
Se “è giusto seguire tutti i percorsi della giustizia terrena e i percorsi umani, psicologici e penali”, la pena per il Papa “dev’essere una medicina”, portare alla guarigione, perché, ribadisce con forza, “bisogna aiutare le persone a rialzarsi, a ritrovare la loro strada nella vita e nella società. Soltanto una volta nella vita di tutti ci è permesso guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a rialzarsi. Solo così. Ricordiamoci: tutti possiamo sbagliare, ma nessuno è sbagliato, nessuno è perduto per sempre. Misericordia – conclude – sempre, sempre misericordia”.
Della chiamata della Chiesa a essere “un segno di comunione e di integrazione” in un Paese “crocevia dell’Europa e del mondo” ha parlato, nel suo saluto al Papa, monsignor Luc Terlinden, arcivescovo di Mechelen-Brussel e presidente della Conferenza episcopale belga.
Il presule mette in evidenza le sfide e le opportunità che “l’accoglienza degli stranieri e la mescolanza delle popolazioni” rappresentano “per la Chiesa, per la pastorale, per la teologia” in un mondo che “sta cambiando profondamente e sta diventando più secolare”.
In particolare il presidente dell’episcopato belga si sofferma sull’importanza di “testimoniare la tenerezza di Dio per ogni essere umano, al di là di ogni frontiera" e di "riconoscere in ognuno una sorella o un fratello”.
* Lorena Leonardi - Città del Vaticano. Originalmente Pubblicato in: www.vaticannews.va
“Dio cammina con il suo popolo”, il tema scelto per l’edizione 2024 che si celebra domenica 29 settembre
La Chiesa celebra ogni anno, nell’ultima domenica di settembre, la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, una tradizione iniziata nel 1914 e giunta quest’anno alla sua 110ª edizione. Questa giornata rappresenta un’occasione significativa per esprimere vicinanza e solidarietà a tutte quelle persone che, per molteplici ragioni, sono costrette a spostarsi e a vivere in condizioni di vulnerabilità. È un momento per pregare per loro e riflettere sulle opportunità che la migrazione può offrire.
Per l’edizione del 2024, che si tiene il 29 settembre, il tema scelto da papa Francesco è “Dio cammina con il suo popolo”. Il Pontefice, richiamando la dimensione sinodale della Chiesa, sottolinea come l’intera comunità dei fedeli sia in cammino, proprio come i migranti di oggi, verso la nostra patria ultima, il Regno dei Cieli.
Papa Francesco invita i cristiani a riscoprire la natura itinerante della Chiesa, identificando nei migranti un’immagine viva del popolo di Dio in cammino verso la terra promessa. In questo senso, il Papa afferma che “Dio precede e accompagna il cammino del suo popolo e di tutti i suoi figli di ogni tempo e luogo”, non solo camminando con loro, ma anche in loro, specialmente nei più poveri, emarginati e vulnerabili. Incontrare il migrante, dunque, diventa un modo per incontrare Cristo stesso, che bussa alla nostra porta nelle vesti dell’affamato, del forestiero, del malato e del carcerato, offrendoci così un’opportunità di salvezza.
Dio, Padre onnipotente,
noi siamo la tua Chiesa pellegrina
in cammino verso il Regno dei Cieli.
Abitiamo ognuno nella sua patria,
ma come fossimo stranieri.
Ogni regione straniera è la nostra patria,
eppure ogni patria per noi è terra straniera.
Viviamo sulla terra,
ma abbiamo la nostra cittadinanza in cielo.
Non permettere che diventiamo padroni
di quella porzione del mondo
che ci hai donato come dimora temporanea.
Aiutaci a non smettere mai di camminare,
assieme ai nostri fratelli e sorelle migranti,
verso la dimora eterna che tu ci hai preparato.
Apri i nostri occhi e il nostro cuore
affinché ogni incontro con chi è nel bisogno,
diventi un incontro con Gesù, tuo Figlio e nostro Signore. Amen
Scarica i materiali in diverse lingue (post grafici, sussidi, kit per la celebrazione della GMMR)
Il sussidio liturgico, con le preghiere dei fedeli
Il Messaggio del Papa per la Giornata
* Con informazioni del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale