Solo sei mesi fa abbiamo celebrato il centenario della conferenza di Murang’a che ha tratteggiato alcuni aspetti fondamentali del nostro metodo missionario fatto di vicinanza, incontro, dialogo e accompagnamento. Anche oggi la missione, che nasce dall’incontro con Cristo e con i poveri, ci aiuta a definire la nostra identità e a superare i rischi dell’autoreferenzialità. Anche oggi il missionario e la missionaria, alla luce dello Spirito, devono essere audaci e creativi, per ripensarsi al servizio di una missione, urgente come prima e come sempre, ma con caratteristiche ed esigenze nuove come le seguenti:
1. una missione del piccolo resto: il fermento nascosto nella massa di un mondo conflittivo;
2. una missione che deve dare una risposta di spiritualità alla ricerca del sacro e alla nostalgia di Dio;
3. una missione di testimoni della trascendenza e presenza di un Dio compassionevole e misericordioso in società pluralistiche;
4. una missione chiamata a rendere visibili i valori del Vangelo nell’impegno con i poveri, con la giustizia, partecipando ai movimenti che lavorano per la pace, per l’ecologia e per la difesa dei diritti umani;
5. una missione che diventa presente nei posti di frontiera, al servizio degli emarginati, per testimoniare il progetto di Dio e denunciare tutto quello che a lui si oppone;
6. una missione che favorisce la creazione di comunità nuove più semplici, oranti, fraterne, vicine al popolo;
7. una missione che testimonia una nuova umanità a partire dall’impegno con le persone, con i loro diritti umani, con la giustizia in relazione reciproca di genere.
A tutti e a ciascuno: coraggio e avanti in Domino!
Da qualche giorno sto visitando le comunità dell’Angola e con p. Bernard stavo visitando una comunità della quale abbiamo assunto da tre anni la responsabilità pastorale.
Quando esce per visitare i villaggi il padre Bernard porta sempre in macchina un certo numero di attrezzi; la situazione delle strade è tale, specie nel periodo delle piogge, che la prudenza non è mai troppa e quindi bisogna viaggiare equipaggiati per affrontare le situazioni di emergenza che non sono così infrequenti. Anche questa mattina li aveva o li avrebbe dovuti avere.
Poi purtroppo abbiamo scoperto che erano spariti quando con la macchina siamo rimasti bloccati in una pista che le piogge abbondanti di questi giorni avevano trasformato in una specie di torrente fangoso e oggettivamente difficile da transitare.
Tre ruote erano rimaste letteralmente separate dal suolo e invece il differenziale si stava sommergendo nel fango di un dosso troppo elevato per la nostra macchina. Per circa quattro ore abbiamo cercato di lottare con mezzi di fortuna e poi, quando abbiamo visto che non ce l'avremmo potuta fare da soli, abbiamo chiamato alcuni giovani per aiutarci a scavare. Loro l’hanno fatto con così tanto impegno che, sfortuna nostra, hanno forato una gomma!
– Non importa, abbiamo la ruota di scorta... ma senz'aria
Per quel giorno finiva la speranza di ripartire; era quasi notte e quindi abbiamo dormito in macchina con l'acqua che scorreva tutto sotto.
Il giorno dopo, la mattina presto e di buona lena, siamo tornati al villaggio in cerca dell’unico trattore esistente nella zona e di proprietà del villaggio stesso. Scopriamo che questo non si può muovere senza il permesso del capo villaggio e l’assistenza dell’autista autorizzato. Trovare entrambi non è stata una impresa facile ma, con qualche sforzo, riusciamo ad ottenere permesso, autista e trattore. Con la loro assistenza trasciniamo fuori del fango il nostro veicolo e il primo passo è fatto.
A questo punto c'è da sistemare una delle due gomme: ci proviamo con la ruota di scorta che doveva essere solo sgonfia. Gonfiare una ruota in un villaggio senza elettricità, un garage e un meccanico specializzato... non è impresa facile. Per fortuna la missione ha un compressore e una generatore necessario oer farlo funzionare ma... accidenti, nel compressore manca l'olio! Oggi le sorprese non finiscono mai!
Lo cerchiamo nell'unico negozio di un somalo... e, che fortuna la nostra, ce l'ha e lo possiamo comprare. Quindi non resta se non accendere il generatore, far partire il compressore e gonfiare la ruota ma... il generatore non parte, non fa nemmeno una piega. Forse da troppo tempo non ha ricevuto attenzioni e una manutenzione adeguata.
Si fa avanti un anziano della comunità: lui ha un generatore funzionante, ma senza combustibile. Anche questo è un problema qui a Luacano, perché per approvvigionarsi bisogna raggiungere la città che dista 220 Km e l’unico mezzo per arrivarci è il treno. Dopo non poche preghiere e insistenze riusciamo a trovare qualcuno che ce ne da un po’ e con il prezioso combustibile il generatore si avvia, il compressore funziona ma... la nostra ruota di scorta non si gonfia. Era l’ultimo dei possibili inconvenienti che ci mancava! Anche quella, come l’altra, è bucata; di ruote forate non ne abbiamo una ma due.
Ricorrendo all’inventiva e ai soliti mezzi di emergenza riusciamo miracolosamente a turare la falla... e allora davvero siamo pronti per partire. Con 24 ore di ritardo sulla tabella di marcia, dopo una notte passata all’addiaccio e una giornata trafelata e laboriosa finalmente riusciamo a partire.
Non so se lo dicono con la pretesa di animarci ma alcuni giovani ci ricordano che è ancora andata bene: il compianto vescovo mons. Tirso era rimasto infangato e bloccato tre giorni di seguito.
A Luacano, quando piove, è sempre tutto molto complicato: i missionari non riescono a raggiungere i villaggi più lontani e tante comunità restano senza eucaristia anche per sei o sette mesi.
Luacano, che dista circa 1300 km dalla capitale Luanda, si trova nella diocesi di Luena: da anni sta soffrendo queste situazioni gravi di abbandono e non solo religioso. Il motivo principale è la guerra civile che si è protratta per anni: dal 1968 ogni tanto arrivava qualche sacerdote, saltuariamente riusciva ad arrivare anche il vescovo.
Da tre anni ci sono i Missionari della Consolata e secondo p. Bernard, che è il parroco, abbiamo a che fare con un territorio dove la comunità cattolica sta solo dando i primi passi: ci sono 15 adulti battezzati e una cinquantina di bambini e ragazzi e poi ben 16 chiese pentecostali.
Quante fatiche i missionari devono affrontare! Ma vale la pena soffrire per causa del vangelo. Lo ricordava lo stesso Gesù: "sono venuto perché abbiano vita e ne abbiano in abbondanza". Ci consola il sapere che in altre zone dove la chiesa è cresciuta i missionari hanno affrontato sfide anche peggiori. Speriamo di farcela anche qua; come diceva un vecchio missionario in Tanzania “punda afe mzigo ufike” cioè che l’asino muoia ma il carico arrivi, cioè la buona notizia, il vangelo.
Con zelo e testimonianza i missionari si danno da fare iniziando con la formazione cristiana senza trascurare la promozione umana. Sono solo i primi passi ma un giorno anche la chiesa che è a Luacano fiorirà.
* Padre Godfrey Msumange è consigliere generale per l'Africa
La strada intransitabile "protagonista" di questo racconto
Oggi abbiamo l’occasione di ringraziare insieme il Signore per il Sermig, che è una specie di grande albero cresciuto a partire da un piccolo seme. Così sono le realtà del Regno di Dio. Il piccolo seme il Signore l’ha gettato a Torino all’inizio degli anni Sessanta. Un tempo molto fecondo, basta pensare al Pontificato di San Giovanni XXIII e al Concilio Vaticano II. In quegli anni sono germogliate nella Chiesa diverse esperienze di servizio e di vita comunitaria, a partire dal Vangelo. E là dove c’è stata una continuità, grazie ad alcune vocazioni che hanno ricevuto risposte generose e fedeli, queste esperienze si sono strutturate e sono cresciute cercando di corrispondere ai segni dei tempi.
Il Sermig, Servizio Missionario Giovani, è una di queste. È nato a Torino da un gruppo di giovani; ma sarebbe meglio dire: da un gruppo di giovani insieme al Signore Gesù. Del resto, Lui lo disse chiaramente ai suoi discepoli: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5). Dai frutti si vede chiaramente che al Sermig non si è fatto mero attivismo, ma si è lasciato spazio a Lui: a Lui pregato, a Lui adorato, a Lui riconosciuto nei piccoli e nei poveri, a Lui accolto negli emarginati. Sempre Lui, guardando Lui.
Nella storia del Sermig ci sono tanti avvenimenti, tanti gesti che si possono leggere come piccoli e grandi segni di Vangelo vivo. Ma tra tutti questi ce n’è uno che, in questo momento storico, risalta con una forza straordinaria. Mi riferisco alla trasformazione dell’Arsenale Militare di Torino nell’Arsenale della Pace. Questo è un fatto che parla da solo. È un messaggio, purtroppo drammaticamente attuale, che si deve ripetere continuamente.
Anche qui, dobbiamo stare attenti a non “uscire di strada”. L’Arsenale della Pace –come le altre realizzazioni del Sermig, e in generale tutte le opere delle comunità cristiane– è un segno del Vangelo non tanto per i numeri che quantificano l’operazione. Non bisogna fermarsi a questo. L’Arsenale della Pace è frutto del sogno di Dio, potremmo dire della potenza della Parola di Dio. Quella potenza che sentiamo quando ascoltiamo la profezia di Isaia: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, / delle loro lance faranno falci; / una nazione non alzerà più la spada / contro un’altra nazione, / non impareranno più l’arte della guerra» (2,4). Ecco il sogno di Dio che lo Spirito Santo porta avanti nella storia attraverso il suo popolo fedele. Così è stato anche per voi: attraverso la fede e la buona volontà di Ernesto, di sua moglie e del primo gruppo del Sermig è diventato il sogno di tanti giovani. Un sogno che ha mosso braccia e gambe, ha animato i progetti, le azioni e si è concretizzato nella conversione di un arsenale di armi in un arsenale di pace.
E che cosa si “fabbrica” nell’Arsenale della Pace? Che cosa si costruisce? Si fabbricano artigianalmente le armi della pace, che sono l’incontro, il dialogo, l’accoglienza. E in che modo si fabbricano? Attraverso l’esperienza: nell’Arsenale i giovani possono imparare concretamente a incontrare, a dialogare, ad accogliere. Questa è la strada, perché il mondo cambia nella misura in cui noi cambiamo. Mentre i signori della guerra costringono tanti giovani a combattere i loro fratelli e sorelle, ci vogliono luoghi in cui si possa sperimentare la fraternità. Ecco la parola: fraternità. Infatti il Sermig si chiama “fraternità della speranza”. Ma si può dire anche l’inverso, cioè “la speranza della fraternità”. Il sogno che anima i cuori degli amici del Sermig è la speranza di un mondo fraterno. È il “sogno” che ho voluto rilanciare nella Chiesa e nel mondo attraverso l’Enciclica Fratelli tutti (cfr n. 8). Voi condividete già questo sogno, anzi, ne fate parte, contribuite a dargli carne, a dargli mani, occhi, gambe, a dargli vita. Di questo voglio rendere grazie a Dio con voi, perché questa è un’opera che non si può fare senza Dio. Perché la guerra si può fare senza Dio, ma la pace si fa solo con Lui.
Cari amici del Sermig, non stancatevi mai di costruire l’Arsenale della Pace! Anche se l’opera può sembrare conclusa, in realtà si tratta di un cantiere sempre aperto. Questo voi lo sapete bene, e infatti in questi anni avete dato vita all’Arsenale della Speranza a San Paolo del Brasile, all’Arsenale dell’Incontro a Madaba in Giordania, all’Arsenale dell’Armonia a Pecetto Torinese. Ma tutte queste realtà: la pace, la speranza, l’incontro, l’armonia, si costruiscono solo con lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio. È Lui che crea la pace, la speranza, l’incontro, l’armonia. E i cantieri vanno avanti se chi ci lavora si lascia lavorare dentro dallo Spirito. Voi mi direte: e chi non crede?, e chi non è cristiano? Questo a noi può sembrare un problema, ma certo non lo è per Dio. Lui, il suo Spirito, parla al cuore di chiunque sappia ascoltare. Ogni uomo e donna di buona volontà può lavorare negli Arsenali della pace, della speranza, dell’incontro e dell’armonia.
Tuttavia, ci vuole qualcuno che abbia il cuore ben radicato nel Vangelo. Ci vuole una comunità di fede e di preghiera che tiene acceso il fuoco per tutti. Quel fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra e che ormai arde per sempre (cfr Lc 12,49). E qui si vede anche il senso di una comunità di persone che abbracciano integralmente la vocazione e la missione della fraternità e la portano avanti in maniera stabile.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio tanto per questo incontro, e soprattutto per la vostra testimonianza e il vostro impegno. Andate avanti! La Madonna vi custodisca e vi accompagni. Vi benedico di cuore, e vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie.
Discorso di papa Francesco ai membri del Servizio Missionario Giovani (Sermig), 7 gennaio 2023
Abbiamo appena concluso il mese di ottobre, il mese missionario che, attraverso il messaggio di Papa Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale, ci ricorda e ci aiuta a vivere il fatto che la Chiesa è missionaria per natura.
Nel suo messaggio, il Papa evidenzia tre espressioni chiave che riassumono i fondamenti della vita e della missione dei discepoli: "perché siate miei testimoni", "fino agli estremi confini della terra" e "lo Spirito Santo scega su di voi e voi riceva la sua forza".
Il messaggio indica che in queste espressioni c'è il cuore dell'insegnamento di Gesù ai discepoli in vista della sua missione nel mondo. I discepoli saranno testimoni di Gesù grazie allo Spirito Santo che riceveranno; e sono resi testimoni non per i loro meriti, ma per pura grazia di Dio. Proprio come Gesù è il primo inviato e missionario del Padre, ogni discepolo è chiamato ad essere missionario e testimone di Cristo. E quella comunità di discepoli (la Chiesa) non ha altra missione che evangelizzare il mondo rendendo testimonianza a Cristo.
Come non leggere e adattare questo messaggio di Papa Francesco al momento di Kairos e di grazia che il nostro Istituto sta vivendo in questa fase di preparazione al XIV Capitolo Generale? Se preghiamo per riscoprire la bellezza e l'entusiasmo della nostra missione ad gentes, sarà perché quella bellezza e quell'entusiasmo sono stati diluiti, indeboliti o passati in secondo piano.
Il documento preparatorio del Capitolo ci presenta la realtà mutevole del mondo, della missione, della teologia della missione, dell'Istituto. Nello stesso tempo ci invita, in atteggiamento di ascolto dello Spirito Santo, a non lasciarci scoraggiare di fronte alle nuove sfide che questi cambiamenti generano, a non essere indifferenti alle novità che ci vengono presentate, e a non aver paura di cambiare noi stessi. Sebbene cambino molte delle circostanze che ci circondano, anche se cambia il modo di vedere e di agire la missione, anche se cambiano lo stile di vita, le dinamiche sociali, i progetti politici, le espressioni culturali, il messaggio del Regno di Dio e il mandato di Gesù Cristo ai suoi discepoli è ancora valido.
Ai discepoli è chiesto di vivere la loro vita personale nella chiave della missione. Gesù li invia "ad essere suoi testimoni" non solo per compiere la missione, ma anche e soprattutto per vivere la missione loro affidata; non solo per testimoniarlo, ma soprattutto per essere suoi testimoni. "La prima motivazione per evangelizzare è l'amore di Gesù che abbiamo ricevuto, quell'esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più" (Evangelii gaudium, 264).
L'indicazione "fino ai confini della terra" dovrebbe interrogarci e spingerci ad andare sempre oltre i soliti luoghi. La Chiesa è e sarà sempre in cammino verso nuovi orizzonti geografici, sociali ed esistenziali, verso situazioni umane "limiti" per testimoniare l'amore di Cristo. Come dice la lettera di indicazione al Capitolo, "non possiamo essere missionari 'seduti', ma dobbiamo avere il coraggio di uscire sempre cercando il suo volto".
"Riceveranno la potenza dello Spirito" perché nessuno può rendere piena testimonianza a Cristo senza l'ispirazione e l'aiuto del suo Spirito. Per questo ogni discepolo missionario di Cristo è chiamato ad essere attento alla voce di quello Spirito di Dio per ricevere costantemente la sua forza e la sua ispirazione. E siamo proprio noi, riferendoci al Capitolo Generale, nella fase dell'ascolto della realtà e del discernimento della voce dello Spirito di Dio.
Riscoprire la bellezza e l'entusiasmo della nostra missione ad gentes non è compito esclusivo dei Padri Capitolari, è un dovere di tutti noi, il Capitolo Generale appartiene a tutti noi, e dobbiamo sentirci motivati ad aggiornare e ravvivare il carisma di consolazione così oggi più che mai opportuno che il Beato Fondatore ci ha lasciato in eredità. Questo tempo ci offre nuove opportunità di evangelizzazione e di missione ad gentes e di consolazione. "Camminiamo e collaboriamo, tutti insieme, con grande fiducia nel Signore perché tutto il cammino capitolare sia un tempo di grande semina, un tempo favorevole e fecondo per aiutarci ad essere autentici consacrati per la missione!" (lettera di indicazione), e riscoprire così la bellezza e l'entusiasmo della nostra missione ad gentes.
*Juan Pablo de los Rios è il superiore dei Missionari della Consolata in Colombia
La Missione Giovani è una delle attività che la Gioventù Missionaria della Consolata (JMC) svolge ogni anno con l'obiettivo di rafforzare lo spirito e il carisma della famiglia della Consolata, offrendo ai giovani l'opportunità di vivere la spiritualità e il carisma della missione nei luoghi più bisognosi. Ogni anno l'esperienza si svolge in una città o in un luogo dove la gente sente il desiderio e la sete di Dio.
A causa della pandemia, negli ultimi tre anni l'iniziativa non si è potuta celebrare ma si sono svolti vari incontri online dove ogni giovane ha potuto condividere la propria missione.
In questo Mese Missionario 2022 siamo stati invitati a riflettere sul tema "La Chiesa è missione", con lo slogan "Sarete miei testimoni" (At 1,8), parole tratte dall'ultimo colloquio di Gesù risorto con i suoi discepoli prima della sua Ascensione al cielo, secondo gli Atti degli Apostoli: "Avrete forza quando lo Spirito Santo sarà sceso su di voi; e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). Oggi questa chiamata è rivolta a tutti i cristiani che sono incoraggiati a testimoniare Cristo nel mondo.
Dal 13 al 16 ottobre, con la Missione Giovani, nella città di Jaguararí, seguendo l’invito di Gesù, ci siamo impegnati a proclamare il Vangelo. I giovani che hanno partecipato hanno visitato le famiglie, i malati e le persone più bisognose, benedicendo e pregando con le persone sull'esempio della Madre di Gesù che si affrettò a visitare la cugina Elisabetta, portandole consolazione, gioia e speranza.
Durante la formazione e la preparazione per questa missione concreta i giovani avevano detto: "vogliamo vivere questa esperienza senza paura, ma con la certezza che la Chiesa è Missione, i giovani sono missione. Per questo vogliamo essere testimoni di Gesù in mezzo alla gente e con la gente".
In questa attività abbiamo riunito con gioia circa 40 giovani provenienti dalle città di Jaguarari, Monte Santo e Feira de Santana, disposti ad assumere le parole del nostro Padre Fondatore Giuseppe Allamano: "La missione nella bocca, nella mente e nel cuore". La nostra Madre Consolata, il nostro Beato Giuseppe Allamano, Irene Stefani e Leonella Sgorbatti intercedano per noi.
* Padre Josky Menga, IMC, è coordinatore dell'AMJV in Brasile e animatore a Bahia.