«Esiste una specificità del primo annuncio del Vangelo. E quando si riflette sulla missione della Chiesa, io vorrei spezzare una lancia a favore di questa specificità», che «non va evaporata in un discorso troppo generico sulla missione».
Inizia Ottobre, il mese che la Chiesa dedica, oltre che al Rosario, anche alla missione. E il Cardinale Giorgio Marengo, missionario della Consolata, Prefetto apostolico di Ulaanbaatar in Mongolia, approfitta dell’occasione per condividere in una conversazione con l’Agenzia Fides spunti luminosi e carichi di passione apostolica per l’opera missionaria.
Anche quest’anno, come accade spesso, l’”Ottobre missionario” si intreccia coi lavori a Roma della Assemblea del Sinodo dei Vescovi, a cui prende parte anche il Cardinale Marengo. E anche quell’assise è chiamata a fare i conti con l’orizzonte missionario di ogni autentica opera ecclesiale, come traspare fin dal titolo (“Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”).
Card. Giorgio Marengo: La riscoperta della chiamata a essere tutti missionari, iscritta nel battesimo, è stata per molti versi provvidenziale. Ma adesso sembra essersi un po' persa di vista la specificità della vocazione missionaria detta "ad gentes".
È come se, nell'era della globalizzazione e della apparente riduzione delle distanze geografiche, non ci fosse più posto per questo orizzonte dell’opera missionaria. che comporta l'uscita e l'inserimento in contesti umani diversi dal proprio.
La missione a Arvaiheer in Mongolia. Foto: Archivio IMC
Invece, io credo, proprio nel nostro tempo conviene riconoscere che esiste una specificità delle primo annuncio del Vangelo, del Vangelo annunciato a chi non sa proprio cosa sia. Conviene che questa specificità non sia diluita, non venga evaporata in un discorso troppo generico sulla missione. In questo tempo, proprio percepire e tener conto sempre di questa specificità mi sembra vitale per tutta l’opera della Chiesa nel mondo, e per il suo cammino nella storia.
Se appartenere alla Chiesa vuol dire camminare insieme con Gesù e dietro Gesù, la missione può essere descritta e formulata come il “rendere possibile l'incontro con Cristo”.
Questo incontro può sempre avvenire in modi a noi sconosciuti. Ma normalmente l’impatto con una realtà umana rimane necessario. Una realtà umana che faciliti e renda possibile l’incontro con Cristo. Perché sempre questa esperienza si trasmette per attrazione e contatto. E questo dinamismo si manifesta e si percepisce con evidenza soprattutto laddove le possibilità reali di entrare in qualche modo in contatto con la persona di Cristo sono oggettivamente poche. Ad esempio, nei luoghi in cui la Chiesa non c’è o è in uno stato di Chiesa nascente, come nel caso della Mongolia.
Forse non ci sarà più bisogno di grandi numeri come è stato un tempo, e non ci deve scandalizzare che gli Istituti missionari diminuiscano numericamente. Ma pur con minore impatto, resta comunque viva la perenne necessità di annuncio del Vangelo che ha suscitato la nascita di quegli Istituti.
Più che scivolare sull’insidioso terreno delle formule e delle definizioni socio-politiche, quelle che ad esempio fanno riferimento al “nord” e al “sud” del mondo, conviene rimanere ai criteri squisitamente ecclesiali. Questa specificità ha a che vedere con l’esposizione reale all’annuncio del Vangelo. Si tratta di vedere se nei diversi contesti sociali c’è la possibilità di una reale esposizione al Vangelo, perché in quel dato contesto il Vangelo è in qualche modo effettivamente annunciato, o se questo non accade. Tenendo sempre conto di tutte le situazioni particolari e delle loro diversità.
Un conto e vivere in luoghi in cui la Chiesa è istituita con tutti carismi e i ministeri, e un conto è avere una Chiesa con un solo sacerdote autoctono, come accade da noi in Mongolia. Un conto è trovarsi in società estremamente critiche del cristianesimo, per il peso della storia. E un contro è interagire con società che non sono di per se contrarie e ipercritiche verso la Chiesa, perché le loro storie non si sono mai intrecciate.
Nei diversi contesti e situazioni, la missione del primo annuncio è quella che comunque fa sperimentare la novità della fede cristiana. Sia quando ciò avviene in contesti che non si sono storicamente confrontati con essa, sia quando essa viene riscoperta come novità in luoghi dove ha plasmato generazioni precedenti, ma ora è in qualche modo evaporata dall'orizzonte comune.
Dio nostro Padre non ha inviato un messaggio, ma si è fatto carne inviando il suo unico Figlio. Dio si è abbassato fino a abbracciare la condizione umana. E per analogia, anche la missione, da allora, è chiamata a sottomettersi alle leggi del tempo e dello spazio, avendo come modello Gesù.
Se il messaggio di Cristo fosse un mero messaggio, un insegnamento di vita, non ci sarebbe stato bisogno di chiedere a uomini e donne di andare in capo al mondo, come fa Gesù stesso nel Vangelo.
esù è entrato a far parte di un popolo e di una cultura definita. Trent'anni di vita nascosta, tre anni di attività esplicita e tre giorni di passione, che portano alla resurrezione. Tutti quelli che lo seguono sono chiamati a lasciarsi plasmare dallo Spirito Santo per vivere lo stesso mistero. Questa è la missione.
Pensiamo al tempo speso per imparare lingue difficili e lontane, per calarsi profondamente e in maniera rispettosa nelle culture delle persone con cui si convive. Tutto presuppone comprensione, vicinanza amichevole per far crescere un rapporto di fiducia. Gran parte della fatica missionaria è volta proprio a immedesimarsi nel contesto e creare queste condizioni di fiducia reciproca, per poi condividere con altri il nostro tesoro, quello che abbiamo di più caro.
Forse qualcuno oggi può pensare che è più efficace investire in comunicazione per ottenere impatti misurabili sull’opinione pubblica. Ma il Vangelo non si comunica come un’idea o come una delle opzioni di un menù. Questo è marketing. A volte abbiamo la tendenza a fare teorie sulla missione, o a organizzare strategie con azioni sociali o umanitarie che presentiamo come cose utili a quello che chiamiamo “annuncio”. Fino all’illusione di una Chiesa che si costruisce “a progetto”.
La visita del Papa Francesco in Mongolia nel settembre 2023. Foto: Vatican Media
Mi stupisce il crescente interesse di scrittori, giornalisti e studiosi della Chiesa per la nostra piccola Chiesa in Mongolia, nella quale vedono una esperienza di missione simile a quella degli Atti degli Apostoli. Gli Apostoli testimoniavano il Signore Gesù in condizioni di assoluta minoranza rispetto ai contesti sociali e culturali in cui si muovevano. La loro opera aveva connotati di marginalità e di novità. Anche in Mongolia riaccade l’esperienza del primo contatto con il Vangelo da parte di persone e realtà sociali che fino a quel momento non si erano mai confrontate con esso. Chi si interessa alla nostra Chiesa a volte mi dice che dalla frequentazione con la nostra povera e piccola esperienza possono venire vantaggi e ispirazioni anche per le situazioni che si vivono in società post cristiane, dove un comune riferimento anche vago al cristianesimo non può più essere dato per scontato, come era in passato.
A rendere possibile l’incontro con Cristo è sempre il suo Spirito Santo, e non le nostre metodologie o precauzioni. Ma forse il suo lavoro troverà meno ostacoli se coloro che vogliono servire il Vangelo si fanno prossimi ai loro fratelli e sorelle per quello che sono, annunciando la resurrezione di Cristo con discrezione. Il lazzarista padre Giuseppe Gabet nel 1840, dopo il suo primo viaggio nella Mongolia esterna, scriveva a Propaganda Fide: «La prima apparizione degli europei tra i mongoli e i tibetani è un'impresa molto delicata, e il successo della predicazione tra questi popoli dipenderà a lungo dal grado di discrezione dimostrato».
Papa Francesco durante la messa nello Stadio di Singapore ha ricordato una lettera di San Francesco Saverio ai suoi primi compagni gesuiti, in cui il grande missionario parlava della sua voglia di andare in tutte le università del suo tempo a “gridare qua e là come un pazzo” e scuotere gli intellettuali che si intrattenevano in discussioni senza fine, per spingerli a farsi missionari per servire la carità di Cristo. In questo tempo forse serve anche un approfondimento teologico sulla missione, servono percorsi accademici che aiutino a riconoscere e a riproporre la perenne urgenza dell’annuncio del Vangelo, soprattutto in situazioni di prima evangelizzazione. Chissà che per questa via proprio la Pontificia Università, con tutta la sua storia non possa rinnovare e realizzare oggi il sogno di San Francesco Saverio.
Originalmente Pubblicato in: www.fides.org
La celebrazione della V Conferenza della Delegazione dei Missionari della Consolata in Costa d'Avorio programmata per il mese di Aprile scorso si è finalmente svolta dal 23 al 26 settembre 2024 presso il Centro di Animazione Missionaria (CAM) di San Pedro.
L’incontro è stato un momento di revisione totale, di ascolto profondo, e dall’elaborazione di una visione comune per l’avvenire della Delegazione, illuminati dallo Spirito, e richiamando i valori fondamentali, irrinunciabili del nostro carisma di Consolazione.
La Conferenza, programmata per l’Aprile scorso è stata rinviata a Settembre a causa della morte imprevista del Superiore delegato, padre Matteo Pettinari mentre si recava a San Pedro proprio per la preparazione della Conferenza. Questa Conferenza è stata caratterizzata dal rinnovato impegno di ogni missionario a preservare comunione fraterna nello spirito profetico del Vangelo.
I missionari in Costa d'Avorio con gli Amici della Consolata del CAM di San Pedro
Padre Celestino Marandu, attuale superiore della Delegazione, ha aperto la Conferenza e ha sottolineato ai missionari che “la comunione in unità di intenti non si limita a un semplice scambio di idee, ma implica una responsabilità personale e reciproca; un impegno a costruire insieme il presente e il futuro della Consolata in Costa d’Avorio”.
La Conferenza ha permesso agli undici missionari presenti assieme a padre Erasto Colnel Mgalama, Consigliere Generale per l'Africa, di condividere le proprie esperienze e riflessioni, rafforzando così i legami all'interno della comunità della Delegazione.
I missionari hanno convenuto che per portare a termine la loro missione evangelizzatrice è essenziale adottare un approccio collaborativo e uscire dalla propria zona di comfort che neutralizza la grazia di una conversione pastorale e missionaria. Ciò significa ascoltare tutte le voci, soprattutto all'interno della propria comunità locale e lavorare insieme per stabilire linee d'azione chiare, concrete e verificabili.
Così, i missionari hanno rivisitato ed elaborato nuove linee d’azione per integrare questa visione complessiva nelle loro attività missionarie, assicurandosi che ogni membro si senta valorizzato e coinvolto nella costruzione di una missione ad gentes feconda e contestualizzata in terra ivoriana.
L'accoglienza tradizionale offerta dagli Amici della Consolata del CAM di San Pedro che condivide la spiritualità missionaria ricevuta dal Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano, è stata apprezzata da tutti. La loro presenza all’Eucaristia quotidiana e l'accoglienza calorosa, hanno arricchito il clima della Conferenza, e approfondito la collaborazione tra i missionari e gli Amici della Consolata al fine di rafforzare l'opera di evangelizzazione e l’animazione missionaria.
La Conferenza è stata un'occasione preziosa per rafforzare i legami fraterni e promuovere lo spirito di famiglia, permettendoci anche di vivere una vera partecipazione, celebrare una comunione duratura e rivitalizzare la missione ad gentes in modo rinnovato e dinamico.
* Padre Ariel Tosoni, IMC, è missionario argentino nella Costa d’Avorio.
Padre Erasto Mgalama, Consigliere Generale per l'Africa, padre Celestino Marandu e un amico della missione.
Un percorso tematico alla scoperta del Fondatore della famiglia della Consolata: Giuseppe Allamano. La seconda delle parole chiave per comprendere la profondità della sua ispirazione è "missione".
Lo raccontano padre Francesco Bernardi e padre Jacques Kuziala, missionari della Consolata, e suor Raquel del Transito Soria, missionaria della Consolata.
* Una realizzazione di Mediacor con la regia di Luca Olivieri.
L'obiettivo della scuola è quello di contribuire alla formazione dei giovani offrendogli un'istruzione di qualità
I missionari della Consolata sono arrivati in Madagascar il 13 marzo 2019 per lavorare nella diocesi di Ambanja, nel nord-ovest dell'Isola Grande. Dopo un congruo periodo di studio della lingua malgascia, il 20 ottobre 2019 hanno iniziato il loro servizio pastorale nella nuova missione di Beandrarezona, creata con l'arrivo dei primi tre missionari, i padri Jean Tuluba (RD Congo), Jared Makori (Kenya) e Kizito Mukalazi (Uganda).
La nostra missione è l'ultima parrocchia creata nella diocesi e si trova a quasi 1000 chilometri da Antananarivo, la capitale del Paese. Si estende su tre comuni rurali e conta più di 80 villaggi, di cui solo 12 hanno comunità cristiane. I villaggi sono molto distanti tra loro e l’unico mezzo di trasporto possibile per visitarli è la moto, ma nella maggior parte ci si arriva quasi sempre solo a piedi. Per raggiungere alcune comunità dobbiamo camminare fino a 14 ore. Ci vuole forza e determinazione per affrontare le difficoltà delle strade. Dei 2.587.014 abitanti (censimento 2022) della diocesi, solo il 7% della popolazione è cattolica e nella nostra missione i cattolici sono circa il 3% del totale di 21.170 abitanti (censimento 2018). Come si vede, è davvero una missione ad gentes che ha bisogno della nostra presenza e attenzione.
Le attività principali della missione sono le visite alle comunità, la catechesi sacramentale, la formazione dei catechisti, l'animazione missionaria e vocazionale, la formazione dei giovani e dei bambini... La maggioranza della popolazione della nostra missione è costituita da giovani e bambini. Infatti, si stima che il 75% della popolazione del Madagascar sia costituito da giovani e bambini.
Dopo il nostro contatto con la realtà locale, abbiamo notato che a Beandrarezona, che è il centro della missione, e negli altri villaggi, ci sono scuole private e pubbliche: scuole materne, elementari e primo ciclo delle medie, ma mancano le scuole del secondo ciclo delle medie e delle superiori.
Dopo uno scambio di idee con i leaders locali e i genitori, abbiamo sentito la necessità di costruire una scuola secondaria perché i giovani di Beandrarezona e degli altri villaggi vicini sono costretti a lasciare le loro famiglie dopo la scuola primaria per continuare gli studi in città. Questo ha un notevole impatto economico sulle famiglie, che hanno bisogno di più denaro per pagare gli spostamenti, il cibo e l'affitto per i figli mentre il loro income è decisamente inferiore alle spese da sostenere. Di conseguenza, molti giovani abbandonano la scuola per andare lavorare nei campi.
Padre Jean Tuluba durante la inaugurazione della nuova scuola nella missione di Beandrarezona
Così, con l'aiuto del nostro recentemente scomparso confratello, padre Noè Cereda (che il Signore gli conceda l'eterno riposo) e dei suoi amici in Italia, abbiamo iniziato a costruire la scuola nel 2021 dopo l'epidemia di Covid-19. Con molti sacrifici e determinazione la scuola ha preso forma fino al suo completamento quest'anno 2024. Ci sono state molte difficoltà nella realizzazione dell'opera, come il costoso trasporto dei materiali, acquistati ad Antananarivo, la regolarità degli operai, ecc.
Finalmente, il 2 settembre 2024, la scuola è stata ufficialmente inaugurata e aperta con la celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Francis Donatien Randriamalala, vescovo diocesano di Ambanja e con la benedizione dello stabile. Alla celebrazione hanno partecipato altri sacerdoti, religiose, autorità amministrative e politiche locali, rappresentanti delle confessioni religiose locali, cristiani della nostra missione, amici e conoscenti. Il giorno successivo sono iniziate subito le classi con 30 studenti.
Mons. Francis Donatien Randriamalala, vescovo diocesano di Ambanja
Nei loro discorsi, le autorità e i cristiani hanno ringraziato la diocesi per aver invitato i Missionari della Consolata a lavorare nella diocesi, hanno ringraziato per l’opera di padre Noé Cereda e dei sacerdoti venuti in questa missione e per aver costruito una scuola di qualità. La popolazione era pronta a collaborare con noi affinché i loro giovani potessero studiare in buone condizioni e diventare in futuro persone con grandi ruoli nella società.
Abbiamo scelto di gestire la scuola in modo graduale, aprendo una classe all'anno fino al completamento del ciclo triennale. Questo perché il livello di formazione degli studenti è molto basso. Aprire una classe all'anno ci aiuterà ad accompagnare la formazione degli studenti e anche la formazione permanente degli insegnanti.
L'obiettivo della scuola è quello di contribuire alla formazione dei giovani della nostra missione, offrendogli un'istruzione di qualità che dia loro pari opportunità rispetto agli altri giovani delle città. La scuola è un grande strumento di evangelizzazione in molti modi. Sebbene molti giovani non sono molto interessati alla religione, attraverso la scuola possono scoprire il messaggio del Vangelo e anche le loro famiglie possono essere raggiunte.
Tra i primi 30 alunni, luna buona percentuale proviene da altre confessioni religiose. La scuola diventa anche un modo per dialogare con le altre religioni attraverso l'educazione che diamo ai loro figli, dato che fin dall'inizio queste altre confessioni hanno riposto la loro fiducia in noi mandando i loro figli a studiare nella nostra scuola. In questo modo, la scuola non è solo un centro di istruzione, ma anche un luogo di incontro tra le confessioni religiose.
La nostra gratitudine a padre Cereda e ai suoi amici e ai missionari della Consolata per questo grande e prezioso dono ai giovani. Speriamo che questa scuola sia davvero uno strumento di consolazione per la gente di Beandrarezona, affinché possano diventare persone utili alla società malgascia, alla Chiesa e al mondo intero.
Una grande sfida è lo stipendio degli insegnanti. In tutte le scuole pubbliche qui, gli insegnanti sono pagati con le rette degli alunni. Al momento, nella nostra scuola, il denaro versato mensilmente dai genitori dei nostri 30 studenti non è sufficiente per pagare uno stipendio minimo agli insegnanti. Dobbiamo quindi cercare altri mezzi per completare gli stipendi.
Ma di fronte a questa sfida non ci scoraggiamo. Come ci ha insegnato il nostro Padre Fondatore Giuseppe Allamano, confidiamo nella Divina Provvidenza e nell'aiuto dei nostri amici per continuare questa buona opera di consolazione. L'abbiamo iniziata e non può più fermarsi. Lo Spirito Santo, protagonista della missione, e la Vergine Consolata illuminino i nostri passi per camminare sempre con la gente.
* Padre Jean Tuluba, IMC, Missione di Beandrarezona, Madagascar.
Il 21 settembre è stata celebrata la festa per i dieci anni di presenza dei Missionari della Consolata a Taiwan. Le celebrazioni si sono svolte con una messa nella parrocchia del Sacro Cuore di Gesù, a Hsinchu, gestita dai missionari dal 2017.
Era il 12 settembre del 2014, quando tre missionari atterravano all’aeroporto Taoyouan di Taipei. Iniziava così l’avventura dell’istituto fondato da Giuseppe Allamano a Taiwan. I tre erano i padri Eugenio Boatella (Spagna), Mathews Odhiambo Owuor (Kenya) e Piero de Maria (Italia).
Oggi i missionari sono sette. Alcuni sono partiti e altri sono arrivati. Padre Jasper Kirimi, keniano, arrivato nel 2017, è l’attuale coordinatore dei missionari della Consolata a Taiwan. Con lui a Hsinchu, lavora padre Caius Moindi, anch’esso keniano.
I padri Bernado Kim (Corea) e Antony Chomba (Kenya) hanno preso in carico la parrocchia san Joseph di Xinpu, una città vicina a Hsinchu, mentre il padre Emanuel Temu (Tanzania) segue da alcuni mesi la parrocchia di Xinfong, la terza gestita dai missionari della Consolata a Taiwan. I padri Thiago Giacinto da Silva (Brasile) e Pablo Souza Martin (Argentina) stanno attualmente studiando la lingua cinese.
La celebrazione dei dieci anni ha visto la partecipazione del vescovo di Hsinchu, monsignor John Baptist Lee e del pro-chargé d’affaires della Nuziatura apostolica di Cina, Taipei, monsignor Stefano Mazzotti.
Nella lunga omelia, il vescovo Lee ha esordito dicendo: «Oggi è un giorno di gioia nel quale celebriamo dieci anni di contributi e sacrifici dei Missionari della Consolata nella diocesi di Hsinchu. Non si tratta di un periodo lungo nella storia della chiesa di Taiwan, ma una volta arrivati in questa terra ci si scontra con grandi sfide e difficoltà e la Consolata, affrontandole, ci ha manifestato la grazia di Dio. Carente di vocazioni, la diocesi di Hsinchu è molto grata alla generosità della Consolata nell’aiuto al lavoro pastorale».
Monsignor John Baptist Lee, vescovo di Hsinchu
Il vescovo ha poi sottolineato come sia cambiata l’origine dei missionari: «Il Dicastero per l’evangelizzazione in Vaticano ha visto un grande numero di missionari africani lavorare in Europa, invertendo la regola per cui i missionari arrivati dal vecchio continente andavano a predicare in Africa. Adesso la buona notizia è che li vediamo arrivare in direzione di Taiwan, nella diocesi di Hsinchu».
Monsignor Lee ha chiesto ai cristiani locali di «lavorare con i missionari, supportarli e aiutarli nei bisogni della missione». Perché, ha detto rivolgendosi a loro: «dopotutto, ognuno di voi è un missionario ed è vostro dovere partecipare all’evangelizzazione, vivendo a pieno la sinodalità».
Padre Jasper Kirimi, arrivato nel 2017, è il coordinatore dei missionari nel paese, dopo la celebrazione e la festa di condivisione ci dice: «è stato emozionante. In primo luogo, perché ho visto questi video con le testimonianze dei missionari che hanno lavorato qui (video di saluto e augurio sono stati mostrati dopo la messa, nda). Ho lavorato con tutti ed è passato un bel po’ di tempo. Quando io sono arrivato, non pensavo di stare tanto così, perché era davvero dura. Imparare questa lingua e la cultura così diversa. Invece sono ancora qui. In secondo luogo, la partecipazione oggi è stata davvero importante. Io penso che la gente sia venuta anche per la Consolata. Questo vuol dire che c’è un nuovo riferimento che aggrega i cristiani di Taiwan ed è proprio la Consolata. Giuseppe Allamano, che sta per diventare santo, penso che non abbia mai immaginato di arrivare fino a questa terra».
Padre Jasper conclude: «Taiwan è molto diversa da Africa e America Latina. Noi siamo qui per imparare un nuovo modo di fare missione».
Una delegazione dei missionari della Consolata dalla Mongolia, con padre Dieudonné Mukadi Mukadi (congolese), e dalla Corea, con i padri Pedro Han Kyeong Ho (coreano) e Clement Kinyua Gachoka, superiore della Regione Asia, è venuta a Taiwan per l’occasione.
Secondo padre Clement: «Siamo la presenza più giovane nella diocesi. Dal 2014 a Taiwan sono passati undici missionari della Consolata, che voglio ringraziare tutti per l’apporto che hanno dato. È una presenza giovane, che ha affrontato tante sfide: la lingua, la cultura, la fatica ad adattarsi. Dall’altra parte c’è stata la perseveranza che hanno avuto e la collaborazione con la chiesa di Hsinchu, a tutti i livelli. La celebrazione dei primi dieci anni ci dà la speranza, che nonostante le sfide, le difficoltà e le paure, il cammino andrà avanti e la presenza sarà significativa».
Pensando al Beato Giuseppe Allamano, Clement ci dice: «Siamo a un mese dalla canonizzazione e poco più di un anno dai cento anni della sua scomparsa. Penso che sia contento e ci guardi con orgoglio e stima, perché vede che stiamo camminando nella via dei sogni che lui aveva per la missione. Questo ci incoraggia a dare delle risposte alle sfide attuali della chiesa di Hsinchu».
Dopo la celebrazione la festa è continuata ed erano presenti anche i parrocchiani di Xinpu e Xinfong, oltre che diversi amici e membri di congregazioni venute anche dalla capitale Taipei.
* Marco Bello, direttore della rivista Missioni Consolata, da Hsinchu (Taiwan) con l’aiuto di Lucia Ku (per traduzioni).
Video di saluto inviato dal Consigliere Generale, padre Mathews Odhiambo Owuor, uno dei tre primi missionari ad arrivare in Taiwan nel 2014