Il 21 settembre è stata celebrata la festa per i dieci anni di presenza dei Missionari della Consolata a Taiwan. Le celebrazioni si sono svolte con una messa nella parrocchia del Sacro Cuore di Gesù, a Hsinchu, gestita dai missionari dal 2017.

L’inizio

Era il 12 settembre del 2014, quando tre missionari atterravano all’aeroporto Taoyouan di Taipei. Iniziava così l’avventura dell’istituto fondato da Giuseppe Allamano a Taiwan. I tre erano i padri Eugenio Boatella (Spagna), Mathews Odhiambo Owuor (Kenya) e Piero de Maria (Italia).

Oggi i missionari sono sette. Alcuni sono partiti e altri sono arrivati. Padre Jasper Kirimi, keniano, arrivato nel 2017, è l’attuale coordinatore dei missionari della Consolata a Taiwan. Con lui a Hsinchu, lavora padre Caius Moindi, anch’esso keniano.

I padri Bernado Kim (Corea) e Antony Chomba (Kenya) hanno preso in carico la parrocchia san Joseph di Xinpu, una città vicina a Hsinchu, mentre il padre Emanuel Temu (Tanzania) segue da alcuni mesi la parrocchia di Xinfong, la terza gestita dai missionari della Consolata a Taiwan. I padri Thiago Giacinto da Silva (Brasile) e Pablo Souza Martin (Argentina) stanno attualmente studiando la lingua cinese.

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La voce del vescovo

La celebrazione dei dieci anni ha visto la partecipazione del vescovo di Hsinchu, monsignor John Baptist Lee e del pro-chargé d’affaires della Nuziatura apostolica di Cina, Taipei, monsignor Stefano Mazzotti.

Nella lunga omelia, il vescovo Lee ha esordito dicendo: «Oggi è un giorno di gioia nel quale celebriamo dieci anni di contributi e sacrifici dei Missionari della Consolata nella diocesi di Hsinchu. Non si tratta di un periodo lungo nella storia della chiesa di Taiwan, ma una volta arrivati in questa terra ci si scontra con grandi sfide e difficoltà e la Consolata, affrontandole, ci ha manifestato la grazia di Dio. Carente di vocazioni, la diocesi di Hsinchu è molto grata alla generosità della Consolata nell’aiuto al lavoro pastorale».

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Monsignor John Baptist Lee, vescovo di Hsinchu

Il vescovo ha poi sottolineato come sia cambiata l’origine dei missionari: «Il Dicastero per l’evangelizzazione in Vaticano ha visto un grande numero di missionari africani lavorare in Europa, invertendo la regola per cui i missionari arrivati dal vecchio continente andavano a predicare in Africa. Adesso la buona notizia è che li vediamo arrivare in direzione di Taiwan, nella diocesi di Hsinchu».

Monsignor Lee ha chiesto ai cristiani locali di «lavorare con i missionari, supportarli e aiutarli nei bisogni della missione». Perché, ha detto rivolgendosi a loro: «dopotutto, ognuno di voi è un missionario ed è vostro dovere partecipare all’evangelizzazione, vivendo a pieno la sinodalità».

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La Consolata a Taiwan

Padre Jasper Kirimi, arrivato nel 2017, è il coordinatore dei missionari nel paese, dopo la celebrazione e la festa di condivisione ci dice: «è stato emozionante. In primo luogo, perché ho visto questi video con le testimonianze dei missionari che hanno lavorato qui (video di saluto e augurio sono stati mostrati dopo la messa, nda). Ho lavorato con tutti ed è passato un bel po’ di tempo. Quando io sono arrivato, non pensavo di stare tanto così, perché era davvero dura. Imparare questa lingua e la cultura così diversa. Invece sono ancora qui. In secondo luogo, la partecipazione oggi è stata davvero importante. Io penso che la gente sia venuta anche per la Consolata. Questo vuol dire che c’è un nuovo riferimento che aggrega i cristiani di Taiwan ed è proprio la Consolata. Giuseppe Allamano, che sta per diventare santo, penso che non abbia mai immaginato di arrivare fino a questa terra».

Padre Jasper conclude: «Taiwan è molto diversa da Africa e America Latina. Noi siamo qui per imparare un nuovo modo di fare missione».

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Dall’Asia

Una delegazione dei missionari della Consolata dalla Mongolia, con padre Dieudonné Mukadi Mukadi (congolese), e dalla Corea, con i padri Pedro Han Kyeong Ho (coreano) e Clement Kinyua Gachoka, superiore della Regione Asia, è venuta a Taiwan per l’occasione.

Secondo padre Clement: «Siamo la presenza più giovane nella diocesi. Dal 2014 a Taiwan sono passati undici missionari della Consolata, che voglio ringraziare tutti per l’apporto che hanno dato.  È una presenza giovane, che ha affrontato tante sfide: la lingua, la cultura, la fatica ad adattarsi. Dall’altra parte c’è stata la perseveranza che hanno avuto e la collaborazione con la chiesa di Hsinchu, a tutti i livelli. La celebrazione dei primi dieci anni ci dà la speranza, che nonostante le sfide, le difficoltà e le paure, il cammino andrà avanti e la presenza sarà significativa».

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Pensando al Beato Giuseppe Allamano, Clement ci dice: «Siamo a un mese dalla canonizzazione e poco più di un anno dai cento anni della sua scomparsa. Penso che sia contento e ci guardi con orgoglio e stima, perché vede che stiamo camminando nella via dei sogni che lui aveva per la missione. Questo ci incoraggia a dare delle risposte alle sfide attuali della chiesa di Hsinchu».

Dopo la celebrazione la festa è continuata ed erano presenti anche i parrocchiani di Xinpu e Xinfong, oltre che diversi amici e membri di congregazioni venute anche dalla capitale Taipei.

* Marco Bello, direttore della rivista Missioni Consolata, da Hsinchu (Taiwan) con l’aiuto di Lucia Ku (per traduzioni).

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Video di saluto inviato dal Consigliere Generale, padre Mathews Odhiambo Owuor, uno dei tre primi missionari ad arrivare in Taiwan nel 2014

Il corso di formazione permanente per i formatori che si è svolto a Roma dal 2 settembre, si è concluso con una messa presieduta dal Superiore Generale, padre James Lengarin nel giorno della memoria della Beata Leonella Sgorbati, martire, questo martedì, 17 settembre.

Durante la celebrazione il Padre Generale ha invitato a guardare all'esempio della vita dei santi, dai quali “possiamo attingere sempre qualcosa”. Questo perché “la nostra vita è sempre un attingere degli altri come esempio da imitare”. Suor Leonella uccisa a Mogadiscio in Somalia il 17 settembre 2006 e proclamata Beata nel 2018, "è una martire perché non ha pensato solo a sé stessa, ma ha pensato sempre a lavorare, a insegnare, a formare infermiere, cioè, a donare la propria vita come missionaria. Alla fine ha dovuto dare ancora di più, fino a dare la propria vita”, ha sottolineato padre Lengarin.

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“Donarsi per gli altri ci spiazza ma è sempre un guadagnare, non è mai una perdita. Per noi, Leonella è una sorella che amava la vita, la missione, una sorella martire. Ecco quello che l’Allamano voleva. Noi siamo una di quelle opere che il Fondatore ha compiuto e lui è contento per questa sorella, è contento per l’evangelizzazione che facciamo, per questo donare noi stessi fino alla fine”, ha evidenziato padre Lengarin nella sua omelia.

Rivolgendosi ai 13 formatori presenti, provenienti dall'Africa, dall'America e dall'Europa, padre Lengarin ha ricordato: “La vostra missione è sempre donarsi, lasciare tutto per donare la vita agli altri perché loro diventino il di più e noi diminuiamo”. Nella formazione oggi, “ci sono tante sfide, ma possiamo sempre andare oltre con la nostra umiltà, la nostra semplicità, il nostro ascolto ed accompagnamento, anche con il nostro silenzio”.

Il Superiore Generale ha poi ricordato che “nel martirio continuiamo la tradizione di Gesù. È un episodio quotidiana perché ogni giorno noi lasciamo qualcosa di noi stessi per donare agli altri…”. Tutto questo per amore. “Un cristiano è colui che ama Gesù e tutti sono fratelli e sorelle, lontani e vicini. Quindi, amare è amare fino in fondo, un amore che ci fa sentire martiri. Allora diventiamo il quinto Vangelo che si realizza nel donare, nell’avvicinarci alla gente. Lasciamoci trasportare dalla Parola di Dio”. Nelle comunità formative, “avete i ragazzi, amateli, per trasmette loro sempre la Parola di Dio”.

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“Allora preghiamo perché come i martiri, il Signore ci conceda la grazia di diventare totalmente liberi, fedelmente spogliati da tutte le cose che ci fanno attaccati a questo mondo per andare oltre, al dipiù. Essere santi per potere essere missionari. Questo è il testamento che l’Allamano ci ha lasciato”.

Dopo aver ringraziato i formatori per il compito al quale l’Istituto li ha chiamati, il Padre Generale ha finalizzato con queste parole: “Vi auguro ogni bene nel vostro servizio di accompagnare questi ragazzi. L’Istituto è sempre con voi in tutto quello che fate”.

Una visione generale del corso

La realizzazione del corso è la prima risposta alle indicazioni del  XIV Capitolo Generale (2023) che aveva chiesto alla Direzione Generale di avviare “una riflessione globale sulla nostra formazione” (XIV CG 42). La programmazione dell’evento è stata organizzata dal Segretariato per la Formazione il cui responsabile è il Consigliere Generale, padre Mathews Odhiambo Owuor. Collaborano in questo ufficio i padri Antonio Rovelli ed Ernesto Viscardi che coordinarono i lavori. Un secondo corso è previsto per settembre 2028.

Oltre ai temi studiati con l'aiuto di esperti, ai momenti di condivisione, preghiera e celebrazione, la Direzione Generale ha fornito ai formatori una panoramica globale dell'Istituto, in particolare della sua organizzazione, programmi di formazione, dell’economia e missione. In questa sezione erano presenti anche il Superiore General, padre James Lengarin e il Consigliere per l’Africa, padre Erasto Mgalama.

Al termine dei lavori, in un video realizzato dal Segretariato per la Comunicazione, il padre Mathews Odhiambo ha commentato le tematiche del programma dei 15 giorni di corso e ha rilasciato la sua valutazione dell'evento. Vedi il video.

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Gruppo dei formatori con la comunità della Casa Generalizia a Roma. Foto: Edilberto Maza

* Padre Jaime C. Patias, IMC, Segretariato per la Comunicazione.

In occasione del mese missionario straordinario di 2019 Battezzati e inviati, padre Matteo Pettinari racconta la sua esperienza nell’ambito del dialogo interreligioso nella missione ad gentes in Costa d’Avorio. Una testimonianza profonda di una scelta missionaria che si traduce nel suo impegno quotidiano per vivere il Vangelo della vita. 

Nella missione di Dianra, diceva padre Matteo, «più che di dialogo, ci piace parlare di fraternità interreligiosa, una fraternità che si fa conversazione sulla vita e intorno alla vita... che si fa servizio della vita. E questo in vari ambiti, ed ecco che questa è la ragione per cui ci piace dar voce ad alcune di queste persone con le quali, in vari ambiti in cui lavoriamo, portiamo avanti questo servizio».

In questo dare voce alla fraternità che si fa conversazione, padre Matteo presenta dei testimoni incarnati in diversi servizi a partire della vicinanza e la globalità di una missione, quella di Dianra, che si fa consolazione. Promozione della donna, salute, ambito educativo sono alcune delle realtà in cui padre Matteo ha dato un volto concreto alla missione ad gentes nel nord della Costa d’Avorio.

Ecco il link per vedere l’integralità del reportage.

* Padre Ariel Tosoni, è missionario in Costa d’Avorio.

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«Si parla di un popolo tollerante, e posso giurare che ce ne sono pochi, se non rari! La tolleranza è un dono piuttosto speciale e scarso. In realtà, è una virtù vitale, che ci aiuta a sopportare individui con modi e opinioni diverse nella vita».

Se c'è una persona tollerante che ho conosciuto, è stato padre Giovanni Bonanomi, deceduto il 03 aprile 2024, alla età di 92 anni.

Sono stata sua allieva nella fase propedeutica della formazione nel 2002-2003 e posso testimoniare che non solo ci ha accolte e introdotte nella vita religiosa, ma ha anche calmato le nostre paure in quello che era un periodo turbolento. Come assistente di padre Giancarlo Rossi, il Rettore, padre Bonanomi ha dato il miglior esempio di collaborazione e umiltà. Come parte dell'équipe formativa, ha lavorato a stretto contatto con il duro Rettore, trovando tuttavia il modo di non essere prepotente con noi. Il suo dono della tolleranza gli ha fatto capire che molti di noi erano nuovi nell'ambiente religioso e che, quindi, avevamo bisogno di tempo e di incoraggiamento per recuperare il ritardo rispetto a coloro che avevano frequentato i seminari minori. Come padre (padre Bon, lo chiamavamo), era eccellente in questo. Non dava mai per scontato nulla. Era pronto a ripetere più volte qualcosa, finché una persona non capiva. Per lui, tutti potevano essere trasformati in qualcosa di buono. Sembrava credere che chiunque potesse brillare in ciò per cui Dio lo aveva creato, se gli si dava tempo, aiuto e qualche incoraggiamento.

Essendo stati suoi studenti anche in filosofia, molti di noi possono verificare che, se qualcuno era stato licenziato dal seminario da padre Bonanomi, quella persona non era veramente chiamata ad essere un sacerdote, tanto meno un missionario della Consolata.

Bonanomi aveva un cuore d'oro e non ha mai imposto la sua volontà alle persone; eppure non è mai diventato il loro burattino. Il suo dono della tolleranza gli permetteva di essere allo stesso tempo fermo nei principi formativi, eppure abbastanza paterno da far capire, anche allo studente più ostinato, il suo errore. Questa è la complessità del dono della tolleranza; non significa chiudere gli occhi davanti agli errori, ignorandoli, o fingere di non vedere le correzioni necessarie.

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Padre Giovanni Bonanomi e padre Jonah M. Makau a Nairobi, Kenya. Foto: Archivio personale

La tolleranza non è l'accettazione di una situazione, in nome della pace, ma è, invece, ricordare che tutti noi siamo creati in modo diverso e che è necessario collaborare e coesistere in pace e armonia. La tolleranza è la capacità di dare a una persona una seconda, una terza e persino una quarta possibilità; la capacità di vedere un futuro promettente in un giovane turbolento che fa del suo meglio per schivare le sfide della gioventù. A padre Bonanomi è capitato di avere questo raro dono.

Questo non significa che non si sia mai arrabbiato per i nostri comportamenti, ma che sapeva come gestire le frustrazioni della convivenza con giovani in crescita, bisognosi di una costante direzione e correzione. Era veramente degno del titolo di "anziano": anche quando era irritato, sapeva controllare le sue emozioni ed evitare gli sfoghi.

L'opportunità di essere suoi studenti di teologia ci ha fatto capire che stavamo vivendo con un uomo santo. Molti di noi lo ricordano come una persona che insegnava attraverso l’esempio. Anche se può essere vero che «risparmiare la verga rovina il bambino» (Pr 13, 24), padre Bonanomi aveva scelto una saggezza più alta: la tolleranza. Probabilmente era solito meditare molto su Sal 135, 3-5, dove si legge: «Signore, se tu contassi le nostre trasgressioni, chi resterebbe in piedi?»; e sembra che, probabilmente, questo versetto abbia dato peso alle sue decisioni. Aveva capito che Dio tollera il suo popolo, lo perdona e gli dà una nuova possibilità di vivere come suoi figli, con l’aiuto della sua grazia. Questo forse spiega perché padre Bonanomi fosse come un magnete per gli studenti: sembrava irradiare pace e unità, anche in situazioni che avrebbero potuto far crollare la comunità a causa delle tensioni.

Nel ricordare padre John Bonanomi, grande missionario che ha trascorso più di 40 anni in Kenya, dovremmo cercare di essere tolleranti come lui. Che le parole di San Paolo, «tutti hanno peccato e sono venuti meno alla gloria di Dio» (Rm 3, 23-24), ci sveglino dall'ipocrita moralismo, ogni volta che siamo tentati di giudicare duramente gli altri; e che il Signore renda anche noi partecipi del dono della tolleranza.

* Padre Jonah M. Makau, IMC, frequenta il corso in Cause dei Santi, a Roma.

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Nella Missione di Neisu a una trentina di chilometri da Isiro nel nord est della Repubblica Democratica del Congo (RDC), il 18 maggio 2024, si celebrerà il Venticinquesimo Anniversario della morte di padre Oscar José Goapper Pascual, giovane Missionario della Consolata e Medico. Un missionario che “ha lasciato il segno”.

Padre Oscar era figlio di José Elgasto e di Nelly Terma ed era nato il 25 settembre 1951 a Venado Tuerto nella provincia di Santa Fé in Argentina. Suo bisnonno era bretone, cioè, francese ed era emigrato a Buenos Aires dove aveva trovato lavoro presso un ricco allevatore. Il bisnonno poi si era messo in proprio nell’allevamento del bestiame; aveva anche aperto una macelleria vivendo agevolmente, senza diventare ricco.

Dopo le scuole secondarie, Oscar sente la chiamata ad essere missionario, e domanda di entrare dai missionari della Consolata presenti nella sua città. Viene accolto e inviato in Italia per continuare il cammino formativo. Ebbe anche l’occasione di recarsi a Kernével, in Bretagna, dove scopri che la famiglia Goapper era ancora presente e ritrovò con gioia i suoi lontani cugini. Terminato il cammino di formazione, fu ordinato sacerdote a  Torino il 19 giugno 1976. Viene subito inviato in Argentina per essere animatore missionario e formatore.

Nel 1981, scrive al superiore generale per chiedergli di poter finalmente andare in missione, anche se aggiungeva: «Seguire il Signore fedelmente e senza mettere condizioni è vitale per me», manifestando la disponibilità che lo avrà sempre caratterizzato. Pensando che gli sarebbe stato utile in missione, aveva seguito il corso per infermieri professionali; diceva: «Aspetto con impazienza il giorno della partenza, ma sono cosciente che non si può improvvisare la missione».

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Missionario e medico disponibile ad ogni momento anche di notte se un ammalato aveva bisogno di assistenza

Il 27 aprile 1982 arriva finalmente nella missione di Neisu, nel nord est dello Zaire. Padre Oscar si accorse subito della necessità di avere un luogo adatto per curare tanta gente ammalata. In un primo tempo trovò aiuto occasionale da parte del Dottor Leta, direttore della Clinica dell’Est a Isiro . Con l’accordo dei suoi confratelli, padre Antonello Rossi e padre Richard Larose e con l’aiuto di Fratel Domenico Bugatti, decise di seguire la costruzione di un ospedale, anche se sarebbe stata necessaria la presenza di un medico. Diceva al suo superiore «Se non ci sono dei medici laici che vogliono venire a Neisu, diventerò io stesso medico». Con il permesso  del Padre Generale, s’iscrisse alla facoltà di Medicina dell’Università di Milano.

Cominciano lunghi anni di studio, aggiunto all’attività medica e pastorale e padre Oscar  divide il suo tempo, le sue energie e fatiche  tra Europa e Zaire. Finalmente dottore, resta definitivamente a Neisu tra i suoi ammalati.

A quei tempi mi trovavo a Kisangani, piuttosto distante da Neisu, ma ho avuto modo di incontrarlo alcune volte in occasione di qualche viaggio a Isiro e ancora meglio quando venne a Kisangani assieme a suor Cristina, per partecipare a giornate di formazione per i dottori. Come tanti, anch’io fui colpito dalla sua giovialità, apertura e capacità di istaurare subito un rapporto di amicizia.

Raccolgo le testimonianze di padre Lorenzo Farronato e padre Juan Antonio Fraile che l’hanno conosciuto e quella della dottoressa suor Cristina Antolin Tomas, collega di lavoro.

Padre Lorenzo tu che sei stato per lungo tempo a Isiro come parroco e superiore della parrocchia di Sant’Anna, qual è il tuo ricordo di padre Oscar?

Padre Oscar è arrivato a Isiro giovanissimo e ha sostituito padre Venturini nella pastorale nella missione di Neisu con molto entusiasmo. Ci siamo accorti subito che aveva un’attenzione particolare per gli ammalati. Si mise a studiare medicina aiutato dal dott. Leta della Clinica dell’Est e da suor Cristina, anche lei dottore e chirurgo. Oltre l’attenzione agli ammalati ,non dimenticava il suo impegno nella pastorale. A Neisu aveva iniziato a coltivare le erbe che avevano caratteristiche medicinali nuove. Fin da subito mi è rimasta impressa  la figura di questo missionario giovane, semplice, capace, entusiasta, e anche se era Missionario della Consolata, sono tentato di dire: «Come il Comboni, voleva i missionari: santi e capaci». Faceva facilmente amicizia e la coltivava. Grazie alla sua opera, l’Ospedale di Neisu riuscì ad imporsi e divenne importante in tutta la nostra zona.

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Padre Oscar Goapper ha lasciato un segno molto profondo nella missione 

Periodicamente andava in Italia per sostenere gli esami di Medicina, a Milano. In Italia, padre Oscar non perdeva l’occasione di dedicarsi all’Animazione Missionaria. Andò anche a Bassano, dove lavorava mia sorella come infermiera. Il padre impressionò la gente per la sua testimonianza e capacità di donazione. Mia sorella ne rimase colpita ed entusiasta, tanto che coltivò sempre l’amicizia con p. Oscar. Anche negli ambienti ospedalieri sapeva dare una bella testimonianza, e in molte strutture ospedaliere creò belle amicizie.

Un aneddoto simpatico di quel tempo. I capi della motorizzazione vollero revisionare le patenti dei missionari. Passarono per primi gli italiani, l’esaminatore era nervoso e irritato. Arrivò anche padre Senen Gandara. L’esaminatore arrabbiato, lo apostrofò: «Voi italiani…». Senen lo bloccò dicendo: «Calma, io non sono italiano, sono spagnolo”. Arriva padre Oscar e il tipetto, sempre arrabbiato, gli dice: «Ma voi europei…». E Oscar: «Alt e sangue freddo! Sappia che sono del terzo mondo come voi. Vengo dall’Argentina».

Ero a Londra, quando ricevetti la notizia che padre Oscar era morto: rimasi allibito e addolorato. Era un missionario che ha lasciato un segno molto profondo. Ringrazio il Signore di averlo conosciuto 

Anche tu, padre Juan Antonio, hai un bel ricordo di padre Oscar. Avevate un’amicizia favorita agli esordi dalla lingua comune, non è così?

Effettivamente ho conosciuto padre Oscar quando sono arrivato a Isiro nel 1995 e, come ben dici, visto che avevamo la lingua comune, prendevamo sempre l’occasione per mantenerla fresca. Mi invitò a Neisu e ci andai per un paio di giorni per conoscere l’ospedale e il suo lavoro. In seguito, ci andai diverse volte, anche perché io stesso avevo problemi di pelle e lui era un ottimo dottore. Curava non solo con la medicina classica, ma anche con piante medicinali che lui stesso coltivava. Con lui mi trovai subito a mio agio, perché era una persona che sapeva coltivare non solo le piante medicinali ma ancora meglio le amicizie ed era sempre gioioso.

Assieme a padre Oscar lavoravano suor Cristina Antolin Tomas, delle suore domenicane, e pure Luis e Rosa, due dottori spagnoli volontari laici con i missionari della Consolata. Avendo la lingua in comune, era bello ritrovarci assieme e conoscere i nostri rispettivi impegni missionari. Oscar ci comunicava i suoi progetti per cercare soluzioni al problema delle medicine. Quelle importate non sempre erano facilmente reperibili e i costi per la gente erano elevati e, addirittura, proibitivi. Padre Oscar aveva a cuore anche questo problema e di conseguenza trovava nuove soluzioni con l’uso di piante medicinali. Coltivava queste piante lui stesso in un grande campo. Ad esempio, già prima che si sentisse parlare dell’Artemisia come erba medicinale contro la malaria, lui la coltivava e la impiegava nelle cure, facendone pure pubblicità.

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Insegnava alla gente come conoscere le piante, le loro qualità e il loro uso per le diverse cure mediche. Il suo grande desiderio era di curare sempre meglio le persone ammalate. La gente lo stimava e amava. Amico sincero e sempre gioioso, gli piaceva scherzare per rallegrare la compagnia.

Fu Fratel Tarcisio, il nostro bravo e santo confratello meccanico (ma non solo), ad annunciarmi la morte improvvisa di padre Oscar. Rimasi stordito e non riuscivo a crederci, anche perché ci eravamo parlati qualche giorno prima. Padre Oscar era conosciutissimo e la notizia per molti era stata una gran botta. Fummo presenti al suo funerale con una folla eccezionale che veniva anche da lontano e molti dei quali erano stati suoi pazienti.

Suor Cristina Antolin Tomas, superiora Generale delle suore domenicane in visita delle sue consorelle a Isiro, così ricorda padre Oscar:

Ho conosciuto padre Oscar nel 1985. Ero giunta a Isiro il mese di luglio di quell’anno. Ho iniziato a lavorare alla Clinica dell’Est con il dott. Leta. Durante quel periodo andavo spesso a Neisu per fare interventi chirurgici, ed è lì che ho conosciuto padre Oscar.

Molto gioioso di carattere, uomo di donazione, sempre pronto a servire. Era disponibile ad ogni momento anche di notte se un ammalato aveva bisogno di assistenza. Ho imparato da lui che prima di eseguire un intervento chirurgico, era indispensabile pregare e domandare a Dio che guidasse le nostre mani, e fosse Lui stesso a guarire i pazienti; una bella abitudine che da allora ho integrato nella mia vita professionale.

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Era un uomo appassionato di Dio e dell’umanità, soprattutto quella sofferente. Profondo nelle sue convinzioni, e lo manifestava nelle omelie e nelle riflessioni. Era anche un amico fedele . Se gli avessi confidato delle cose, le avrebbe tenuto nel suo cuore, e aveva sempre una parola di incoraggiamento e sostegno.

La sua intelligenza e l’amore per gli altri hanno fatto sì che allo stesso tempo riuscisse a realizzare la missione di evangelizzazione e la cura dei malati.  Era appassionato per la medicina, per lui era una grande vocazione. Grande ricercatore, non si conformava soltanto alla medicina tradizionale, ma cercava alternative: medicina naturale, agopuntura… in modo da completare i vuoti della medicina moderna e offrire agli ammalati differenti opportunità per arrivare alla guarigione. Faceva tesoro di tutto quello che poteva essere di aiuto all’ammalato. Molto creativo, aveva continuamente nuove iniziative per fare passi in avanti.

Nei primi tempi, avevo conosciuto l’ospedale di Neisu come un insieme di piccole case in fango e paglia. Solo qualche anno più tardi, era diventato un grande ospedale di riferimento. P. Oscar aveva sempre il sorriso sulle labbra, la dolcezza nelle mani, l’amore e la tenerezza nel cuore. Se si arrabbiava, era sempre per il bene degli ammalati. Quando il personale infermieristico era lento a reagire, o non espletava i suoi compiti con responsabilità… si arrabbiava. Per lui contava sempre il bene dei suoi ammalati e per questo era rigoroso nel lavoro. 

Guariva il corpo e l’anima degli ammalati, pregava molto con loro e dava conforto alle famiglie. Cosciente di essere un intermediario di Dio, si riteneva solo uno strumento attraverso il quale Dio guariva gli ammalati. Si faceva prossimo per tutti.

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La tomba di Padre Oscar Goapper

Ho trascorso molto tempo con lui, visitando gli ammalati, curandoli e intervenendo chirurgicamente secondo il bisogno e le urgenze. Lavorare con padre Oscar era essere complementari. Era bello e gradevole lavorare con lui. Ricordo anche che siamo stati assieme per un mese di formazione medica, a Kisangani e mi era di esempio il suo forte desiderio di sapere, imparare, fare bagaglio di nuove tecniche per rendere un servizio sempre migliore per l’ammalato; era la sua preoccupazione.

Trovandoti con lui, trasmetteva sempre la gioia di vivere, l’entusiasmo. Per dirla tutta, padre Oscar è stato un fratello, un grande amico, un bravo collega e un vero compagno di strada. Grazie di cuore, padre Oscar.

Fr. Duilio Plazzotta, Missionario Comboniano.

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Scuola Padre Oscar Goapper a Santa Fé in Argentina

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