Oggi abbiamo l’occasione di ringraziare insieme il Signore per il Sermig, che è una specie di grande albero cresciuto a partire da un piccolo seme. Così sono le realtà del Regno di Dio. Il piccolo seme il Signore l’ha gettato a Torino all’inizio degli anni Sessanta. Un tempo molto fecondo, basta pensare al Pontificato di San Giovanni XXIII e al Concilio Vaticano II. In quegli anni sono germogliate nella Chiesa diverse esperienze di servizio e di vita comunitaria, a partire dal Vangelo. E là dove c’è stata una continuità, grazie ad alcune vocazioni che hanno ricevuto risposte generose e fedeli, queste esperienze si sono strutturate e sono cresciute cercando di corrispondere ai segni dei tempi. 

Il Sermig, Servizio Missionario Giovani, è una di queste. È nato a Torino da un gruppo di giovani; ma sarebbe meglio dire: da un gruppo di giovani insieme al Signore Gesù. Del resto, Lui lo disse chiaramente ai suoi discepoli: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5). Dai frutti si vede chiaramente che al Sermig non si è fatto mero attivismo, ma si è lasciato spazio a Lui: a Lui pregato, a Lui adorato, a Lui riconosciuto nei piccoli e nei poveri, a Lui accolto negli emarginati. Sempre Lui, guardando Lui.

Nella storia del Sermig ci sono tanti avvenimenti, tanti gesti che si possono leggere come piccoli e grandi segni di Vangelo vivo. Ma tra tutti questi ce n’è uno che, in questo momento storico, risalta con una forza straordinaria. Mi riferisco alla trasformazione dell’Arsenale Militare di Torino nell’Arsenale della Pace. Questo è un fatto che parla da solo. È un messaggio, purtroppo drammaticamente attuale, che si deve ripetere continuamente.

Anche qui, dobbiamo stare attenti a non “uscire di strada”. L’Arsenale della Pace –come le altre realizzazioni del Sermig, e in generale tutte le opere delle comunità cristiane– è un segno del Vangelo non tanto per i numeri che quantificano l’operazione. Non bisogna fermarsi a questo. L’Arsenale della Pace è frutto del sogno di Dio, potremmo dire della potenza della Parola di Dio. Quella potenza che sentiamo quando ascoltiamo la profezia di Isaia: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, / delle loro lance faranno falci; / una nazione non alzerà più la spada / contro un’altra nazione, / non impareranno più l’arte della guerra» (2,4). Ecco il sogno di Dio che lo Spirito Santo porta avanti nella storia attraverso il suo popolo fedele. Così è stato anche per voi: attraverso la fede e la buona volontà di Ernesto, di sua moglie e del primo gruppo del Sermig è diventato il sogno di tanti giovani. Un sogno che ha mosso braccia e gambe, ha animato i progetti, le azioni e si è concretizzato nella conversione di un arsenale di armi in un arsenale di pace.

E che cosa si “fabbrica” nell’Arsenale della Pace? Che cosa si costruisce? Si fabbricano artigianalmente le armi della pace, che sono l’incontro, il dialogo, l’accoglienza. E in che modo si fabbricano? Attraverso l’esperienza: nell’Arsenale i giovani possono imparare concretamente a incontrare, a dialogare, ad accogliere. Questa è la strada, perché il mondo cambia nella misura in cui noi cambiamo. Mentre i signori della guerra costringono tanti giovani a combattere i loro fratelli e sorelle, ci vogliono luoghi in cui si possa sperimentare la fraternità. Ecco la parola: fraternità. Infatti il Sermig si chiama “fraternità della speranza”. Ma si può dire anche l’inverso, cioè “la speranza della fraternità”. Il sogno che anima i cuori degli amici del Sermig è la speranza di un mondo fraterno. È il “sogno” che ho voluto rilanciare nella Chiesa e nel mondo attraverso l’Enciclica Fratelli tutti (cfr n. 8). Voi condividete già questo sogno, anzi, ne fate parte, contribuite a dargli carne, a dargli mani, occhi, gambe, a dargli vita. Di questo voglio rendere grazie a Dio con voi, perché questa è un’opera che non si può fare senza Dio. Perché la guerra si può fare senza Dio, ma la pace si fa solo con Lui.

Cari amici del Sermig, non stancatevi mai di costruire l’Arsenale della Pace! Anche se l’opera può sembrare conclusa, in realtà si tratta di un cantiere sempre aperto. Questo voi lo sapete bene, e infatti in questi anni avete dato vita all’Arsenale della Speranza a San Paolo del Brasile, all’Arsenale dell’Incontro a Madaba in Giordania, all’Arsenale dell’Armonia a Pecetto Torinese. Ma tutte queste realtà: la pace, la speranza, l’incontro, l’armonia, si costruiscono solo con lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio. È Lui che crea la pace, la speranza, l’incontro, l’armonia. E i cantieri vanno avanti se chi ci lavora si lascia lavorare dentro dallo Spirito. Voi mi direte: e chi non crede?, e chi non è cristiano? Questo a noi può sembrare un problema, ma certo non lo è per Dio. Lui, il suo Spirito, parla al cuore di chiunque sappia ascoltare. Ogni uomo e donna di buona volontà può lavorare negli Arsenali della pace, della speranza, dell’incontro e dell’armonia.

Tuttavia, ci vuole qualcuno che abbia il cuore ben radicato nel Vangelo. Ci vuole una comunità di fede e di preghiera che tiene acceso il fuoco per tutti. Quel fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra e che ormai arde per sempre (cfr Lc 12,49). E qui si vede anche il senso di una comunità di persone che abbracciano integralmente la vocazione e la missione della fraternità e la portano avanti in maniera stabile.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio tanto per questo incontro, e soprattutto per la vostra testimonianza e il vostro impegno. Andate avanti! La Madonna vi custodisca e vi accompagni. Vi benedico di cuore, e vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie.

Discorso di papa Francesco ai membri del Servizio Missionario Giovani (Sermig), 7 gennaio 2023

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La Missione Giovani è una delle attività che la Gioventù Missionaria della Consolata (JMC) svolge ogni anno con l'obiettivo di rafforzare lo spirito e il carisma della famiglia della Consolata, offrendo ai giovani l'opportunità di vivere la spiritualità e il carisma della missione nei luoghi più bisognosi. Ogni anno l'esperienza si svolge in una città o in un luogo dove la gente sente il desiderio e la sete di Dio.

A causa della pandemia, negli ultimi tre anni l'iniziativa non si è potuta celebrare ma si sono svolti vari incontri online dove ogni giovane ha potuto condividere la propria missione.

In questo Mese Missionario 2022 siamo stati invitati a riflettere sul tema "La Chiesa è missione", con lo slogan "Sarete miei testimoni" (At 1,8), parole tratte dall'ultimo colloquio di Gesù risorto con i suoi discepoli prima della sua Ascensione al cielo, secondo gli Atti degli Apostoli: "Avrete forza quando lo Spirito Santo sarà sceso su di voi; e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). Oggi questa chiamata è rivolta a tutti i cristiani che sono incoraggiati a testimoniare Cristo nel mondo.

Dal 13 al 16 ottobre, con la Missione Giovani, nella città di Jaguararí, seguendo l’invito di Gesù, ci siamo impegnati a proclamare il Vangelo. I giovani che hanno partecipato hanno visitato le famiglie, i malati e le persone più bisognose, benedicendo e pregando con le persone sull'esempio della Madre di Gesù che si affrettò a visitare la cugina Elisabetta, portandole consolazione, gioia e speranza.

Durante la formazione e la preparazione per questa missione concreta i giovani avevano detto: "vogliamo vivere questa esperienza senza paura, ma con la certezza che la Chiesa è Missione, i giovani sono missione. Per questo vogliamo essere testimoni di Gesù in mezzo alla gente e con la gente".

In questa attività abbiamo riunito con gioia circa 40 giovani provenienti dalle città di Jaguarari, Monte Santo e Feira de Santana, disposti ad assumere le parole del nostro Padre Fondatore Giuseppe Allamano: "La missione nella bocca, nella mente e nel cuore". La nostra Madre Consolata, il nostro Beato Giuseppe Allamano, Irene Stefani e Leonella Sgorbatti intercedano per noi.  

* Padre Josky Menga, IMC, è coordinatore dell'AMJV in Brasile e animatore a Bahia.

Castelnuovo Don Bosco è una bella località adagiata sulle colline dell’astigiano e ha dato i natali non solo a San Giovanni Bosco, che le ha dato il nome, ma anche a San Giuseppe Cafasso e a un suo nipote, il beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari della Consolata. Per questo motivo è stata scelta dagli animatori giovanili della parrocchia di Maria Speranza Nostra di Torino, da qualche anno retta da una giovane comunità di Missionari della Consolata, per un momento di preghiera e spiritualità. 

Nei due giorni si è cercato di affrontare le pause che immobilizzano e scoprire, nella storia di ciascuno, i segni di una presenza discreta ma reale che ci incammina e invita alla conversione e la missione.

Il primo momento di preghiera è stato precisamente la meditazione del Salmo 8 che si chiese “che cos'è un uomo...”, “eppure l'hai fatto poco meno degli angeli!”.

Nella piazza del paese, per mezzo di un gioco chiamato "Ninja", abbiamo iniziato un percorso pedagogico e una meditazione sul senso della paura nella nostra vita. 

Ci possono essere due tipi di paure: una immaginaria e una reale. Si parla di paura immaginaria quando qualcosa non concreto ma profondamente insito in noi stessi consuma molte delle nostre energie, e poi c'è la paura reale quando vediamo qualcosa che realmente ci spaventa. Il Signore ci invita a non avere paura, perché la paura blocca, ci ferma, ci immobilizza; lui invece è colui che ci da la forza per andare avanti. In questo tempo di riflessione abbiamo percorso tre tappe: una era focalizzata sulla paura; una sui colori preferiti e l'ultima sullo stesso ricordo di noi stessi.

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Verso sera abbiamo raggiunto la casa di San Giuseppe Cafasso, dove ci aspettava la cena seguita da un altro momento di riflessione, nella piccola cappella della casa, guidata dall'ascolto di una canzone di Niccolò Fabi e da una poesia.

Il centro della nostra riflessione è stata la parola greca Tautotes che è quella che si usa per dire identità: quella parte irrinunciabile di noi stessi che non cambia e permette continuare nel tempo ad essere ciò che siamo sempre stati.

È stata l’occasione di condividere le nostre paure assieme a gusti e immagini che ci rappresentano. È stato un momento specialmente intenso; un animatore ha osservato il coraggio, la determinazione e la disponibilità dei giovani di condividere le loro più significative esperienze di vita.

Domenica mattina l'appuntamento è stato nella cappella della casa del Beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari della Consolata, per iniziare l'esperienza del Deserto. La pedagogia del cammino della vita ha accompagnato la nostra riflessione: tutti siamo coinvolti in un processo di crescita e di sviluppo per essere persone e questo significa che in ogni fase della nostra esistenza sviluppiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere e crescere in armonia e integrità. Qui i ragazzi hanno condiviso alcune domande sui loro genitori, sulla loro nascita, sull'età da 0 a 5 anni, poi da 5 a 10, e poi dall'adolescenza fino all'età attuale. 

Il tutto si è chiuso con la festa della vita. È stato un momento molto profondo di speranza per un futuro più chiaro e migliore. Dopo l'eucaristia, nella quale abbiamo ringraziato per quella parte di vita che abbiamo già percorso, siamo tornati a casa pieni di speranza per iniziare un nuovo anno di cammino insieme per il regno di Dio nell'oratorio di Maria Speranza Nostra.

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Nell’incontro “The economy of Francesco” abbiamo visto una foresta di giovani che sta crescendo e per il momento, anche se il papa dice di fare chiasso, è forse meglio lasciarla crescere silenziosamente ma senza limitare il suo vigore.

Se San Francesco ha fatto della povertà un ideale di vita, dalle scuola francescana sono emerse anche delle teorie economiche che magari non sono molto conosciute ma che sono comunque importanti: dalla scuola francescana nascono, per esempio, le prime forme di microcredito, i monti di pietà; quelle erano le prime forme di aiuto intelligente,  non fatto di doni ma di prestiti che fanno rialzare le persone e generano circoli virtuosi. Ma come è nato tutto questo?

In un dialogo con Papa Francesco nel quale ci chiedevamo come fare per trasformare un sistema economico fondamentalmente iniquo e contaminante inizialmente avevamo pensato mettere attorno a un tavolo i più grandi economisti del mondo oer chiedere una luce. Invece papa Francesco, con la sua solita intuizione, disse: “non credo che le cose possano cambiare in questo modo, forse quel che dobbiamo fare è avviare un processo con chi sta studiando economia, con chi comincia a fare impresa, dobbiamo pensare ai giovani". Tutto questo coincide con il suo stile che preferisce sempre avviare processi.

Così che il primo maggio del 2019 papa Francesco scrive una lettera nella quale convocava ad Assisi giovani economisti ed imprenditori e invitava a fare un patto per cambiare l’economia attuale e dare un’anima all’economia del futuro: "le vostre scuole e le vostre imprese -diceva- sono già cantieri di una nuova umanità ed economia. Proviamo a metterci tutti insieme e cerchiamo di fare delle proposte nuove". 

In poco tempo le domande sono state migliaia e si è reso necessario fare una selezione sulle motivazioni.

Questo evento si sarebbe dovuto celebrare in Marzo 2020 con l'intenzione di innescasse processi. Poi la pandemia ha ribaltato tutto in modo tale che, per non perdere l’entusiasmo dei giovani che si erano iscritti, si sono cominciati prima molti processi e gruppi di lavoro (villaggi tematici) che hanno prodotto tantissimo prima della celebrazione che è stata fatta due settimane fa. 

I nomi dei villaggi erano nomi in tensione mettevano assieme due parole che sembravano opposte: erano per esempio “finanza e umanità”, “lavoro e cura”, “agricoltura e giustizia”, “energia e povertà”, “donne ed economia”, “economa e pace” etc... Li abbiamo divisi in tre gruppi: investigatori, imprenditori ed attivisti. Loro hanno lavorato quasi tre anni senza nemmeno potersi vedere, ma hanno lavorato e hanno anche creato della imprese come le “farms of Francesco”, esperienze di agricoltura sostenibile fatta in un certo modo. È nata anche la “academy” dove sono state messe in comune le rispettive idee di un gruppo tanto giovane come eterogeneo ma sempre ben motivato. 

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Alla fine dell'incontro di The economy of Francesco mi sento di concludere in questo modo: questi giovani ci sono, sono tanti, sanno connettersi, e sono capaci di lavorare insieme facendo cose concrete e, anche se sono di ogni estrazione sociale e spesso di ideologie molto diverse, sanno camminare assieme cercando ciò che unisce e non ciò che divide. 

Quando sono arrivati un piccolo gruppo per organizzare la celebrazione in Assisi sono stati accompagnati in una visita guidata alla basilica superiore di San Francesco dove si ammirano gli affreschi di Giotto sulla vita di San Francesco. La guida diceva che nella serie di affreschi mancava la scena dell’abbraccio di San Francesco al lebbroso perché le persone ricche di Assisi, che finanziavano il lavoro dell'artista, non volevano che si sapesse che ad Assisi ci fossero anche dei lebbrosi. 

Questa osservazione ha portato i ragazzi a dire che i poveri non sono solo scartati dalla storia ma anche dal racconto della storia e che quindi una delle mete della Economy of Francesco era quella di rimettere la scena che non è stata dipinta da Giotto al centro della economia. 

Ad Assisi questi giovani non hanno firmato un appello a nessun governo ma un patto in cui si impegnano in prima persona.

Questo patto dovremmo farlo un po' nostro. Se ognuno fa il suo pezzettino magari riusciamo a rendere queste nostre città e queste nostre terre più abitabili, più inclusive e più giuste.

*Alessandra Smerili è segretaria per il dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. testo tratto dal suo intervento nel Festival della Missione (Milano, 1 ottobre 2022).

Leggi anche la LETTERA DI PAPA FRANCISCO e il PATTO PER UNA NUOVA ECONOMIA

The economy of Francesco

  • Mag 15, 2024
  • Pubblicato in Notizie

Cari amici giovani economisti, imprenditori e imprenditrici di tutto il mondo,

vi scrivo per invitarvi ad un’iniziativa che ho tanto desiderato: un evento che mi permetta di incontrare chi oggi si sta formando e sta iniziando a studiare e praticare una economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda. Un evento che ci aiuti a stare insieme e conoscerci, e ci conduca a fare un “patto” per cambiare l’attuale economia e dare un’anima all’economia di domani.

Sì, occorre “ri-animare” l’economia! E quale città è più idonea per questa di Assisi, che da secoli è simbolo e messaggio di un umanesimo della fraternità? 

Qui infatti Francesco si spogliò di ogni mondanità per scegliere Dio come stella polare della sua vita, facendosi povero con i poveri, fratello universale. Dalla sua scelta di povertà scaturì anche una visione dell’economia che resta attualissima. Essa può dare speranza al nostro domani, a vantaggio non solo dei più poveri, ma dell’intera umanità. È necessaria,  anzi,  per le sorti di tutto il  pianeta, la nostra casa comune, «sora nostra Madre Terra», come Francesco la chiama nel suo Cantico di Frate Sole.

Nella Lettera Enciclica Laudato si’ ho sottolineato come oggi più che mai tutto è intimamente connesso e la salvaguardia dell’ambiente non può essere disgiunta dalla giustizia verso i poveri e dalla soluzione dei problemi strutturali dell’economia mondiale. Occorre pertanto correggere i modelli di crescita incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente, l’accoglienza della vita, la cura della famiglia, l’equità sociale, la dignità dei lavoratori, i diritti delle generazioni future. 

Francesco d’Assisi è l’esempio per eccellenza della cura per i deboli e di una ecologia integrale. Mi vengono in mente le parole a lui rivolte dal Crocifisso nella chiesetta di San Damiano: «Va’, Francesco, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina». Quella casa da riparare ci riguarda tutti. Riguarda la Chiesa, la società, il cuore di ciascuno di noi. Riguarda sempre di più anche l’ambiente che ha urgente bisogno di una economia sana e di uno sviluppo sostenibile che ne guarisca le ferite e ne assicuri un futuro degno. 

Ho pensato di invitare in modo speciale voi giovani perché, con il vostro desiderio di un avvenire bello e gioioso, voi siete già profezia di un’economia attenta alla persona e all’ambiente.

Carissimi giovani, io so che voi siete capaci di ascoltare col cuore le grida sempre più angoscianti della terra e dei suoi poveri in cerca di aiuto e di responsabilità, cioè di qualcuno che “risponda” e non si volga dall’altra parte. Se ascoltate il vostro cuore, vi sentirete portatori di una cultura coraggiosa e non avrete paura di rischiare e di impegnarvi nella costruzione di una nuova società. Gesù risorto è la nostra forza! Come vi ho detto a Panama e scritto nell’Esortazione apostolica postsinodale Christus vivit: «Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Attraverso di voi entra il futuro nel mondo» (n. 174).

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Le vostre università, le vostre imprese, le vostre organizzazioni sono cantieri di speranza per costruire altri modi di intendere l’economia e il progresso, per combattere la cultura dello scarto, per dare voce a chi non ne ha, per proporre nuovi stili di vita. Finché il nostro sistema economico-sociale produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, non ci potrà essere la festa della fraternità universale.

Per questo desidero incontrarvi ad Assisi**: per promuovere insieme, attraverso un “patto” comune, un processo di cambiamento globale che veda in comunione di intenti non solo quanti hanno il dono della fede, ma tutti gli uomini di buona volontà, al di là delle differenze di credo e di nazionalità, uniti da un ideale di fraternità attento soprattutto ai poveri e agli esclusi. 

1 maggio 2019. memoria di San Giuseppe Lavoratore 

** L'evento era previsto per marzo 2020 poi venne sospeso a causa della pandemia de Covid19 ed è stato celebrato nei giorni 24 settembre 2022 

Testo completo in ITALIANO e in INGLESE

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