A colloquio con l’architetta Daniela Giuliani

A nord della Costa d’Avorio, nella diocesi di Odienné, presso la parrocchia Saint Joseph Mukasa di Dianra-Village dei Missionari della Consolata, su di un piccolo poggetto di pietra rossa, dal 2019 sorge una chiesa che è la più umile delle architetture, ma stupisce chi arriva per il suo simbolismo profondo. L’architetta Daniela Giuliani, della diocesi di Senigallia, in Italia, ci racconta come è nata questa chiesa piena di luce e di colori, dove anche chi non sa leggere, o non conosce la lingua in cui si celebra può partecipare alla vita nuova. «La chiesa parrocchiale Saint Joseph Mukasa di Dianra-Village nasce dalla fede grande del primo catechista Maxime Soro e della sua gente, dalla premura dei padri missionari, dalla generosità di molti, e dal coraggio del mio amico, padre Matteo Pettinari, che mi ha chiesto di dar forma al loro sogno: poter celebrare le meraviglie di Dio in un edificio che potesse annunciare il suo amore per noi. Il cantiere è durato tre anni e ci ha insegnato tanto: nell’ascolto della cultura Senoufo, nella fede della gente semplice, nei materiali locali, nel cammino dei neofiti che a Pasqua ricevono il battesimo e danzano tutta la notte, nelle architetture copte e siriache più vicine alla terra ivoriana. Abbiamo proceduto spesso a tentoni, senza pretendere di capire sempre tutto, disegnare tutto, ma vivendo l’obbedienza alle ispirazioni che piano piano sono cominciate ad arrivare. E con stupore i mattoni impastati uno ad uno sono diventati muri, archi, volte, mai visti a Dianra, ma realizzati da una piccola impresa locale. E poi le mattonelle, scarto di un magazzino di Abidjan, che i catecumeni hanno dapprima sgranato e poi ricomposto, con l’aiuto di alcuni giovani partiti per una esperienza di missione, in forma di pani, di croci, di acqua che dà vita. E infine Sorò, piccolo di statura, arrampicato su trabattelli di fortuna per affrescare le pareti, lui che dipingeva murales e ha voluto usare i suoi tre barattoli di colori da carrozzeria… con una abilità degna dei migliori artisti». 

Nella chiesa di Dianra-Village a prima vista colpiscono i colori: quelli della tonalità della terra a segnare i volumi all’esterno; il blu, il rosso e il giallo oro all’interno, nella navata e nell’abside. Perché questa manifestazione forte dei colori, che, tra l’altro, era presente spesso nella storia della Chiesa quando la fede è stata forte? 

In architettura oggi dominano spesso il bianco, il grigio e le linee essenziali, cercando forse semplicità e purezza dopo l’epoca barocca, ma esprimendo probabilmente anche la realtà dell’uomo contemporaneo, il suo vuoto. La tradizione della Chiesa, dall’altra parte, ci dona esempi straordinari di edifici liturgici pieni di colore e di potenza espressi va. Lo spazio liturgico è spazio abitato, è spazio di relazioni e di incontro. La liturgia che vi si celebra tocca la vita, quella della terra (fatta dell’ocra delle case di terra cruda, del verde delle piantagioni di anacardo, del rosso delle strade impolverate) e quella del cielo, dove il rosso di Dio e il blu dell’umanità danzano insieme, i volti dei santi ci fanno compagnia e l’oro di Dio rende luminosa la vita. Me lo hanno ricordato gli abiti degli amici di Dianra: in questo villaggio, dove non vi sono quadri alle pareti delle case, la loro vita esplode nel colore dei vestiti, che dicono la nostra appartenenza e cambiano colore nei giorni di festa. 

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È proprio la gioia che esprimono questi colori e la luce che pervade la chiesa. Secondo Alexander Schmemann la gioia non è soltanto una componente della nostra fede, ma «la tonalità che pervade tutto», è «la vocazione stessa della Chiesa». Nella gioia, ricorda Schmemann, la Chiesa diventa ciò che essa è. Come può un’architettura trasmettere questa gioia? 

Il “come” ci è insegnato nella liturgia che celebriamo. Noi entriamo con il nostro grigio, il nostro buio, la nostra morte. Ma il Signore fa nuovi noi e tutte le cose. Chi entra dalla porta, che è Cristo, è generato a vita nuova. La chiesa di Dianra è costruita a partire dal fonte battesimale, dove la notte di Pasqua i catecumeni si spogliano dell’abito vecchio e indossano quello di luce. E poi entrano in questa «stanza al piano superiore» dove tutto ci è dato in dono, da quella mano aperta del Padre che è nel punto più alto della chiesa, sopra l’altare. E tutta la vita è attratta dall’oro della Gerusalemme celeste dipinta nell’abside, dove tutto ciò che è oggi fatica e sudore, se vissuto nell’amore, diventa oro pieno di luce. 

Dipinti, mosaici, terracotte, volte a botte e archi... tutto vive in armonia in questo spazio. Ci ricorda le fabbriche delle basiliche, dove l’architetto univa tra di loro diverse arti. Un architetto che accoglie, mette insieme, ascolta, aiuta a discernere, fa partecipare. Perché, secondo Crispino Valenziano, tra tutti gli artisti è proprio l’architetto il «dispositore in globalità con armonia». 

Quello di Dianra era il mio primo cantiere e io ero lontana 7.186 chilometri da lì. Fortunatamente era presente padre Matteo che mi ha insegnato la via della Chiesa: se qualcosa deve parlare di Dio allora deve parlare il linguaggio di Dio, che è la comunione. In chiesa lavoravano non solo artisti con differenti abilità, ma lingue diverse, etnie diverse, religioni diverse. Poteva essere una Babele! Ma lo Spirito ha insegnato a tutti noi la via dell’umiltà, che significa in primo luogo ascoltare l’altro, cercare la sua bellezza, desiderare che possa essere il primo. Chi ha fatto i mosaici a terra con le piastrelle come nelle foto di Parc Guell di Gaudì, chi ha dipinto le pareti guardando i mosaici del Centro Aletti, chi ha costruito la volta a botte senza betoniera, ma catino dopo catino di cemento versato nella cassaforme di legno... non era lì per essere il primo, ma per servire nell’unità. 

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Credo anche io che l’architetto non può essere uno che produce delle cose da solo nel suo laboratorio e poi le offre o quasi le impone al mondo, ma che il suo ruolo sia quello di dare la possibilità di partecipare alla costruzione anche a persone diverse e di lavorare nella comunione, sperimentando la verità della vita nuova. Come faceva per esempio Gaudì che chiedeva l’opinione persino alle persone che incontrava per strada. 

Ogni architetto partecipa dell’azione creatrice di Dio. E questo è un mistero grande. Però possiamo abusare di questo potere e “imp orre” le nostre opere, oppure metterci in ascolto dello Spirito, di quella Sapienza che danzava davanti al Creatore mentre creava il mondo. Per me è stato facile perché era la mia prima architettura. Mi sono ripetuta spesso «quando sono debole è allora che sono forte, perché Tu sei la mia forza!». Si è generativi solo se in relazione. E la relazione è concreta: è non poter usare i materiali che vorresti, è non poter decidere tu le cose, è fidarsi dell’altro anche quando è debole come te. Ma se fai spazio, se ascolti, se ti fai strumento, allora ciò che si edifica non parla più “solo” di te e a te, ma partecipa della bellezza di Dio. 

Avete veramente lavorato insieme! La creatività della Chiesa, dunque, credo possa esprimersi nella bellezza di una chiesa che, anche se semplice, attira gli altri. A Dianra, infatti, in alcune case hanno cominciato a riprodurre ciò che hanno visto realizzare nella chiesa. 

Se un tetto di lamiera, la vernice da carrozzeria, le mattonelle di scarto, possono divenire «la chiesa più bella della Costa d’Avorio» come amano definirla loro, allora anche la loro vita di stenti, le loro case di terra cruda, il loro villaggio, può divenire il più bello della Costa d’Avorio! Nessuno aveva spinto o forzato queste persone a realizzare la stessa cosa che era stata fatta nella chiesa. In realtà la Chiesa non dovrebbe mai forzare. Erano semplicemente sospinti verso la bellezza, affascinati da qualcosa di vivo che poteva suscitare un po’di allegria nei loro cuori. 

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Paolo VI diceva agli artisti che «questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione» e che «la bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini». Ascoltando il suo racconto nasce il pensiero che forse proprio gli artisti e gli architetti cristiani potrebbero ridare all’architettura la sua verità profonda, ciò aiuterebbe anche l’uomo a ritrovare e a confermare la sua verità. 

Lavorare in terra di missione ti mette nel cuore gli stessi desideri del Padre: che ogni uomo e ogni donna abbia la vita e l’abbia in abbondanza. E quando risuonano queste parole nel buio di un villaggio dove tutto è povertà, solo ciò che è nell’amore ti sembra essere degno di essere pronunciato e costruito. Sembra che in questa storia stia succedendo qualcosa di tipicamente ecclesiale: una Chiesa locale che cammina insieme, che discerne insieme, che vive la comunione. Si potrebbe concludere che il cammino sinodale è il cammino della costruzione della Chiesa. 

*Andrej Brozovic è architetto, sacerdote e dottore in Missiologia. Questo articolo è stato pubblicato nell'Osservatore Romano martedì 28 febbraio 2023.

Da qualche giorno sto visitando le comunità dell’Angola e con p. Bernard stavo visitando una comunità della quale abbiamo assunto da tre anni la responsabilità pastorale. 

Quando esce per visitare i villaggi il padre Bernard porta sempre in macchina un certo numero di attrezzi; la situazione delle strade è tale, specie nel periodo delle piogge, che la prudenza non è mai troppa e quindi bisogna viaggiare equipaggiati per affrontare le situazioni di emergenza che non sono così infrequenti. Anche questa mattina li aveva o li avrebbe dovuti avere.

Poi purtroppo abbiamo scoperto che erano spariti quando con la macchina siamo rimasti bloccati in una pista che le piogge abbondanti di questi giorni avevano trasformato in una specie di torrente fangoso e oggettivamente difficile da transitare.

Tre ruote erano rimaste letteralmente separate dal suolo e invece il differenziale si stava sommergendo nel fango di un dosso troppo elevato per la nostra macchina. Per circa quattro ore abbiamo cercato di lottare con mezzi di fortuna e poi, quando abbiamo visto che non ce l'avremmo potuta fare da soli, abbiamo chiamato alcuni giovani per aiutarci a scavare. Loro l’hanno fatto con così tanto impegno che, sfortuna nostra, hanno forato una gomma!

– Non importa, abbiamo la ruota di scorta... ma senz'aria

Per quel giorno finiva la speranza di ripartire; era quasi notte e quindi abbiamo dormito in macchina con l'acqua che scorreva tutto sotto. 

Il giorno dopo, la mattina presto e di buona lena, siamo tornati al villaggio in cerca dell’unico trattore esistente nella zona e di proprietà del villaggio stesso. Scopriamo che questo non si può muovere senza il permesso del capo villaggio e l’assistenza dell’autista autorizzato. Trovare entrambi non è stata una impresa facile ma, con qualche sforzo, riusciamo ad ottenere permesso, autista e trattore. Con la loro assistenza trasciniamo fuori del fango il nostro veicolo e il primo passo è fatto.

A questo punto c'è da sistemare una delle due gomme: ci proviamo con la ruota di scorta che doveva essere solo sgonfia. Gonfiare una ruota in un villaggio senza elettricità, un garage e un meccanico specializzato... non è impresa facile. Per fortuna la missione ha un compressore e una generatore necessario oer farlo funzionare ma... accidenti, nel compressore manca l'olio! Oggi le sorprese non finiscono mai!

Lo cerchiamo nell'unico negozio di un somalo... e, che fortuna la nostra, ce l'ha e lo possiamo comprare. Quindi non resta se non accendere il generatore, far partire il compressore e gonfiare la ruota ma... il generatore non parte, non fa nemmeno una piega. Forse da troppo tempo non ha ricevuto attenzioni e una manutenzione adeguata.

Si fa avanti un anziano della comunità: lui ha un generatore funzionante, ma senza combustibile. Anche questo è un problema qui a Luacano, perché per approvvigionarsi bisogna raggiungere la città che dista 220 Km e l’unico mezzo per arrivarci è il treno.  Dopo non poche preghiere e insistenze riusciamo a trovare qualcuno che ce ne da un po’ e con il prezioso combustibile il generatore si avvia, il compressore funziona ma... la nostra ruota di scorta non si gonfia. Era l’ultimo dei possibili inconvenienti che ci mancava! Anche quella, come l’altra, è bucata; di ruote forate non ne abbiamo una ma due. 

Ricorrendo all’inventiva e ai soliti mezzi di emergenza riusciamo miracolosamente a turare la falla... e allora davvero siamo pronti per partire. Con 24 ore di ritardo sulla tabella di marcia, dopo una notte passata all’addiaccio e una giornata trafelata e laboriosa finalmente riusciamo a partire.

Non so se lo dicono con la pretesa di animarci ma alcuni giovani ci ricordano che è ancora andata bene: il compianto vescovo mons. Tirso era rimasto infangato e bloccato tre giorni di seguito.

A Luacano, quando piove, è sempre tutto molto complicato: i missionari non riescono a raggiungere i villaggi più lontani e tante comunità restano senza eucaristia anche per sei o sette mesi.

Luacano, che dista circa 1300 km dalla capitale Luanda, si trova nella diocesi di Luena: da anni sta soffrendo queste situazioni gravi di abbandono e non solo religioso. Il motivo principale è la guerra civile che si è protratta per anni: dal 1968 ogni tanto arrivava qualche sacerdote, saltuariamente riusciva ad arrivare anche il vescovo.

Da tre anni ci sono i Missionari della Consolata e secondo p. Bernard, che è il parroco, abbiamo a che fare con un territorio dove la comunità cattolica sta solo dando i primi passi: ci sono 15 adulti battezzati e una cinquantina di bambini e ragazzi e poi ben 16 chiese pentecostali.

Quante fatiche i missionari devono affrontare! Ma vale la pena soffrire per causa del vangelo. Lo ricordava lo stesso Gesù: "sono venuto perché abbiano vita e ne abbiano in abbondanza". Ci consola il sapere che in altre zone dove la chiesa è cresciuta i missionari hanno affrontato sfide anche peggiori. Speriamo di farcela anche qua; come diceva un vecchio missionario in Tanzania “punda afe mzigo ufike” cioè che l’asino muoia ma il carico arrivi, cioè la buona notizia, il vangelo.

Con zelo e testimonianza i missionari si danno da fare iniziando con la formazione cristiana senza trascurare la promozione umana. Sono solo i primi passi ma un giorno anche la chiesa che è a Luacano fiorirà.

* Padre Godfrey Msumange è consigliere generale per l'Africa

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La strada intransitabile "protagonista" di questo racconto

Il 20 ottobre prossimo, la Missione di Beandrarezona compirà 3 anni dalla sua apertura ufficiale nella Domenica missionaria del 2019. Da allora, la nuova missione affidata alla cura dei Missionari della Consolata ha continuato il suo cammino.

Dopo un periodo di apprendimento della lingua malgascia, di osservazione e comprensione della realtà locale, delle persone e della loro cultura, ci eravamo resi conto che il primo passo necessario in questa missione "al cento per cento Ad Gentes" era quello di costruire una comunità cristiana locale solida e attiva nella fede. È un processo delicato che richiede coraggio, pazienza, creatività, costanza e ottimismo. Questo perché, per molti anni, la gente qui non era abituata a vedere e convivere con missionari e sacerdoti e spesso non c'erano celebrazioni eucaristiche la domenica. È una nuova esperienza per loro contare con la presenza di missionari che risiedono nel loro terriorio.

È in questa dinamica che abbiamo iniziato la visita alle famiglie e ai villaggi e la catechesi per vari gruppi in vista della preparazione alla ricezione dei sacramenti. Così lo scorso lunedì, 12 settembre 2022, è stato un giorno di immensa gioia per la missione di Beandrarezona. C'è stata la prima celebrazione del sacramento del matrimonio nella nostra nuova missione. Tre coppie hanno proclamato pubblicamente il loro "sì" definitivo accogliendosi mutuamente davanti a Dio e all'intera assemblea presente in questo grande atto di fede e di comunione fraterna. Cristiani e non cristiani, cattolici, protestanti e altri, autorità locali e abitanti degli altri villaggi, hanno partecipato alla celebrazione di questo sacramento che non si era mai celebrato nel loro villaggio. Dato il gran numero di persone, la celebrazione eucaristica, presieduta da padre Kizito Mukalazi, parroco e capo del gruppo IMC Madagascar, e concelebrata dai padri Jean Tuluba e Jared Makori, si è tenuta sulla spianata del collegio della missione ancora in costruzione. Uno dei coniugi appartiene a un gruppo protestante autoctono del Madagascar ma sua moglie è cristiana cattolica molto devota con responsabilità nella nostra cappella.

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Fin dal nostro arrivo a Beandrarezona, questa signora era irrequieta perché da tempo desiderava celebrare il matrimonio e suo marito protestante aveva accettato di sposarsi nella Chiesa Cattolica. Il tempo passava e lei era preoccupata che suo marito potesse cambiare idea dal momento che bisognava aspettare così a lungo. Il suo più grande desiderio era quello di poter ricevere l'Eucaristia. Incaricata delle sacristia, preparava ogni giorno la chiesa per la celebrazione nella quale lei stessa non poteva partecipare con pienezza e per quello era particolarmente insistente per la celebrazione del suo matrimonio. È stato emozionante vederla felice con suo marito il giorno della festa.  

Un altro coniuge non era ancora battezzato e quindi ha ricevuto tutti i sacramenti allo stesso tempo.  

È stata una festa per la Chiesa ma anche per tutto il paese che si è riunito attorno agli sposi. La celebrazione è iniziata alle 10.30 e si è conclusa alle 14.30. Poi, secondo le abitudini della gente, la festa comunitaria è seguita fino all'alba del giorno dopo. 

Questo è stato il primo grande e notevole evento della nuova missione di Beandrarezona. Siamo convinti che sarà il primo di molti altri momenti importanti nella vita di questa nuova comunità cristiana e che contribuirà a rafforzare la fede della gente e a qualificare la  nostra presenza e azione missionaria in questo angolo dimenticato del mondo. 

Che la Madre Consolata e il Beato José Allamano ci aiutino a muoverci verso nuovi orizzonti di vita con la gente di Beandrarezona!

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L'evangelizzazione è un compito quotidiano. La missione evangelizzatrice è l’impegno più importante della Chiesa e quello di ogni battezzato; la Chiesa esiste per evangelizzare e che ogni battezzato è un evangelizzatore; entrambi hanno il compito di annunciare Gesù Cristo, l'unico Salvatore del mondo. 

Per poter portare a buon termine questa missione sono indispensabili alcuni elementi che vi voglio illustare.

Passione e entusiasmo per Gesù

"Chi rimane in me e io in lui, porta frutto in abbondanza, perché senza di me non potete far nulla" (cf Gv 15,1-8). Passione per Gesù significa amarlo profondamente: è un impegno quotidiano che porta a considerarlo come punto di riferimento nella vita di chi lo annuncia. L'evangelizzatore deve avere amore per Gesù, passione ed entusiasmo per Lui. L'amore, la passione e l'entusiasmo sono sempre contagiosi. Nessuno può attirare le persone a Gesù se prima non vive personalmente questo entusiasmo, nessuno può dare ciò che non ha.

La passione per Gesù genera la passione di volerlo annunciare agli altri, genera la passione di andare oltre le frontiere, genera il desiderio di donarsi per la causa del regno di Dio.

 Passione per le persone

Un elemento molto importante per l'evangelizzazione è la passione per le persone perché loro sono l'obiettivo dell'evangelizzazione. L'annuncio di Gesù Cristo è rivolto a persone concrete con le caratteristiche proprie di un luogo particolare. Il modello dell'amore preferenziale per le persone è Gesù Cristo che si è fatto uomo per mostrare il volto misericordioso di Dio a tutta l’umanità. Gesù ha dato da mangiare a molti affamati, ha guarito innumerevoli malati e i miracoli che ha compiuto sono sempre stati a favore della gente. Per questo motivo la passione per le persone è la condizione indispensabile per l'evangelizzazione quotidiana nella società di oggi. 

Passione per le persone significa preoccuparsi delle difficoltà che affrontano quotidianamente, avvicinarsi specialmente ai bisogni concreti del povero e questo è il senso di tanto impegno sociale che spesso vediamo accanto all’impegno di evangelizzazione. Per amore alle persone la Chiesa costruisce scuole, cliniche, mense per i poveri, ecc.

Passione per la vita

"Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Gv 10,10). Gesù, nel suo ministero pubblico, ha predicato il regno di Dio, che è il regno della vita per coloro che vi aderiscono. La passione per le persone si traduce necessariamente nella passione per la vita in pienezza di tutti. Nell'evangelizzazione non può mancare una passione per la vita e l'evangelizzatore deve essere una persona che si appassiona alla vita del popolo, la promuove e la difende contro tutto ciò che la contrasta.

Gesù in innumerevoli occasioni ha sfamato migliaia di persone, ha guarito le malattie di molti, ha scacciato i demoni per alleviare le loro sofferenze, ha riportato in vita i morti. Per questo passione per la vita significa essere la voce di chi non ha voce; difendere i diritti dei poveri e dei vulnerabili nella società; lavorare per la giustizia e sostenere la salvaguardia dell'ambiente; cercare attivamente un mondo migliore, privo di fame, analfabetismo, ingiustizia, violenza.

Conclusione

L'evangelizzazione è un impegno quotidiano e permanente: la Chiesa evangelizza continuamente; gli evangelizzatori, attraverso i loro doni e carismi, annunciano sempre Gesù Cristo. La meta è far si che Cristo sia conosciuto, amato e considerato il punto di riferimento per gli individui, le famiglie e la società in generale.

È necessario che tutti e ciascuno di noi, sacerdoti e laici, giovani e anziani, rispondiamo all'appello di Gesù di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo a tutti gli uomini.

Il mondo ha bisogno di apostoli della nuova evangelizzazione di ogni età, razza, nazionalità e officio, che affermino con la propria vita, in tutti gli ambienti, che il cristianesimo è la via della salvezza e che può viversi pienamente in tutte le realtà terrene.

Un apostolo della nuova evangelizzazione deve possedere certe caratteristiche ed essere:

• Militante. Trasformare l'uomo non è un compito facile, né ci sono formule magiche per raggiungere questo obiettivo. L'apostolo della nuova evangelizzazione concepisce la propria vita come una lotta costante contro le forze del male.

• Magnanimo. L'apostolo sa di essere stato scelto per cose grandi e di non avere tempo per soffermarsi su piccolezze o lamentele. Ha un cuore grande in cui entrano tutti, perché è inviato a predicare a tutti. Nel suo cuore entrano tutte le necessità, miserie, dolori e gioie degli uomini. Sente la Chiesa e il mondo come terra feconda del suo lavoro. Le sue aspirazioni sono grandi, così come grandi sono i suoi desideri di lotta e la sua capacità di amare e di donarsi.

• Tenace, forte e perseverante. La lotta sarà continua. La vittoria non si ottiene in un giorno, né in una settimana o in un anno: bisognerà lottare tutta la vita. Per questo, servono apostoli convinti perché non desistano, perché combattano senza debolezza, perché non si lascino vincere dalla pigrizia, dalla codardia, dalla falsa prudenza o dalle lamentele.

• Realista. L'apostolo deve costruire sulla roccia, conoscere se stesso con tutte le sue qualità e i suoi limiti e conoscere il campo in cui deve evangelizzare e le difficoltà che affronterà. In questo modo potrà fare progetti e programmi che vadano direttamente alla radice dei problemi. L'apostolo non può vivere di sogni, deve lottare nella realtà.

• Efficace nella sua azione. L'apostolo della nuova evangelizzazione mette tutto ciò che è a sua disposizione nel compito di evangelizzare. Non si ferma davanti a costi o sacrifici. Cerca sempre nuove vie per raggiungere ciò che gli è stato affidato.

• Organizzato. Lavora in modo sistematico, in base a un programma che egli stesso ha tracciato. Sa che senza ordine non può esserci efficacia. Riflette prima di agire, delinea obiettivi, analizza difficoltà, pianifica strategie, propone soluzioni, le mette in pratica e valuta i risultati.

• Attento alle opportunità. Sa che in ogni momento si presentano opportunità per evangelizzare.

• Soprannaturale nelle sue aspirazioni. I suoi criteri non sono quelli di questo mondo. Per questo, è capace di intraprendere opere di notevole portata con la fiducia che Dio supplirà ai suoi limiti e gli concederà la grazia per portarle a buon fine. Sa che il protagonista della missione è Dio e che egli è solo un docile strumento nelle mani di Dio.


Estratto di un articolo di Tiempos Nuevos pubblicato da Catholic.net


[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

sources: CATHOLIC.NET

 

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