Sono ormai due mesi che sto frequentando il corso come postulatore e sono giunto alla conclusione che si tratta di una cosa alquanto interessante che non mi sarei mai aspettato di sperimentare in vita mia. Ti insegnano a gestire il processo necessario per giungere al riconoscimento della santità di una persona.

Personalmente ho sempre pensato che la questione della beatificazione e canonizzazione di un santo sia di totale appannaggio del Vaticano e quindi lontano dalle preoccupazioni di altre persone e invece ho imparato che tutto comincia lontano dal palazzo della Congregazione dei Santi di Roma e, per dirlo in modo comprensibile, siamo noi che creiamo i santi e Dio conferma.

In tante occasione ho sentito persone lamentarsi perché il processo di canonizzazione è troppo complicato e costoso, oppure religiosi argomentare che le loro rispettive congregazione non hanno molti beati o santi, e si chiedono cosa succeda in Vaticano... eppure il processo non è così complicato e comincia proprio da noi e non dal Vaticano. 

Per giungere alla dichiarazione di santità di una persona occorrono tre cose: una persona che viva in pienezza la sua vita cristiana, Dio e la società. La persona deve vivere le virtù cristiane in modo eroico (o morire come martire) in modo tale da guadagnarsi il merito di essere un esempio per tutto il popolo di Dio. Queste persone sono in tanti modi legate alle loro comunità: nascono in una comunità, crescono nella comunità e anche muoiono nella comunità.  La loro vita è espressione dei valori e dei sogni che si vivono nelle rispettive comunità. I santi, cooperando con gli altri e utilizzando i mezzi offerti dalla loro società, sono alla fine persone che in vita possono diventare modelli e dopo la loro morte un'ispirazione.

Per quanto riguarda Dio, è lui il datore della vita ed ogni persona che entra nella comunità umana è principalmente un dono di Dio. È lui che concede ad ognuno una vocazione e le facoltà per raggiungere la pienezza della sua esistenza così come lo Spirito Santo per guidarlo. 

Quando una società non sembra esprimere progetti di santità non è Dio da biasimare: lui è tutto e la sua fedeltà è certa.

Anche il ruolo della società è essenziale perché è la società che prepara l'ambiente in cui crescono i santi e dove manifesteranno i segni della loro santità. Poi nella comunità umana e nella chiesa nella quale si sviluppa la santità di una persona il primo ruolo ce l’ha il popolo di Dio che comincerà a pregare chiedendo l’intercessione di una persona concreta (a questo punto queste persone sono dichiarate “servi di Dio” ed è il primo passo nel processo di canonizzazione). 

Per mezzo di questa intercessione si chiede a Dio di manifestarsi per mezzo di un miracolo e, dopo un’analisi precisa e minuziosa del fatto miracoloso, se riconosciuto dalla chiesa, la persona viene dichiarata inizialmente beata e poi dopo santa. Il miracolo che avviene è una conferma divina che la persona è in cielo, ma è anche frutto del discernimento e dell’impegno dei responsabili della chiesa che hanno promosso il processo di canonizzazione di una persona.

Il punto dirimente è la preghiera che i cristiani fanno per mezzo di colui o colei che ritengono santo o santa. Se non c’è la preghiera la persona non avrà fama di santità, non ci saranno miracoli e non ci sarà causa di beatificazione o canonizzazione. L'esistenza di santi canonizzati dipende da qualcuno ha invocato Dio per mezzo di loro: senza questo il silenzio è totale.

Se una congregazione o una diocesi vuole avviare la causa di canonizzazione di una persona, ma le persone che dovrebbero promuoverla non invitano i cristiani a pregare e non sono particolarmente interessati, allora non avremo nessuna invocazione, nessuna intercessione, nessuna fama di santità, nessun miracolo e nessuna causa di canonizzazione. 

Nelle comunità religiose specialmente se i confratelli parlano solo negativamente di una persona la storia finisce allo stesso modo, non ci saranno santi fra di loro. Quindi la rivalità, la competizione, i pettegolezzi, le dicerie o le ingiurie a volte sono la causa per la quale quelle congregazioni non hanno al loro interno beati o santi. Se per qualsiasi motivo non si apprezza una persona quando è viva con maggior ragione non la si apprezzerà da morta.

Questo ci invita a cominciare a valorizzare i confratelli: solo così si potranno invitare anche i cristiani a pregare per loro intercessione. In questo modo anche i santi delle comunità religiose sono frutto della qualità di vita comunitaria che vivono i confratelli. Chiediamo al Signore di aiutarci a valorizzare il contributo dei nostri confratelli nell'Istituto e nella Chiesa. Così noi “creiamo i santi” e Dio li conferma.

* Jonah Makau è Missionario della Consolata e studia a Roma

Omelia della Santa Messa nella “Steppe Arena” (3 settembre)

«O Dio, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua» (Sal 63,2). Questa stupenda invocazione accompagna il viaggio della nostra vita, in mezzo ai deserti che siamo chiamati ad attraversare. E proprio in questa terra arida ci raggiunge una buona notizia: nel nostro cammino non siamo soli; le nostre aridità non hanno il potere di rendere sterile per sempre la nostra vita; il grido della nostra sete non rimane inascoltato. Dio Padre ha mandato il suo Figlio a donarci l’acqua viva dello Spirito Santo per dissetare la nostra anima (cfr Gv 4,10). Tanti di voi sono abituati alla bellezza e alla fatica del camminare, azione che richiama un aspetto essenziale della spiritualità biblica, rappresentato dalla figura di Abramo e, più in generale, proprio del popolo d’Israele e di ogni discepolo del Signore: tutti, tutti noi infatti, siamo “nomadi di Dio”, pellegrini alla ricerca della felicità, viandanti assetati d’amore. Il deserto evocato dal salmista si riferisce, dunque, alla nostra vita: siamo noi quella terra arida che ha sete di un’acqua limpida, di un’acqua che disseta in profondità; è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci. Sì, ci portiamo dentro una sete inestinguibile di felicità; siamo alla ricerca di un significato e una direzione della nostra vita, di una motivazione per le attività che portiamo avanti ogni giorno; e soprattutto siamo assetati di amore, perché è solo l’amore che ci appaga davvero, che ci fa stare bene, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita. Cari fratelli e sorelle, la fede cristiana risponde a questa sete; la prende sul serio; non la rimuove, non cerca di placarla con palliativi o surrogati: no! Perché in questa sete c’è il nostro grande mistero: essa ci apre al Dio vivente, al Dio Amore che ci viene incontro per farci figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi.

Questo è il contenuto della fede cristiana: Dio, che è amore, nel suo Figlio Gesù si è fatto vicino a te, a me, a tutti noi, desidera condividere la tua vita, le tue fatiche, i tuoi sogni, la tua sete di felicità. È vero, a volte ci sentiamo come una terra deserta, arida e senz’acqua, ma è altrettanto vero che Dio si prende cura di noi e ci offre l’acqua limpida e dissetante, l’acqua viva dello Spirito che sgorgando in noi ci rinnova liberandoci dal pericolo della siccità. Queste parole, carissimi, richiamano la vostra storia: nei deserti della vita e nella fatica di essere una comunità piccola, il Signore non vi fa mancare l’acqua della sua Parola, specialmente attraverso i predicatori e i missionari che, unti dallo Spirito Santo, ne seminano la bellezza. E la Parola sempre, sempre ci riporta all’essenziale, all’essenziale della fede: lasciarsi amare da Dio per fare della nostra vita un’offerta d’amore. Perché solo l’amore ci disseta veramente. Non dimentichiamo: solo l’amore disseta veramente.

Questa è la verità che Gesù ci invita a scoprire, che Gesù vuole svelare a voi tutti, a questa terra di Mongolia: non serve essere grandi, ricchi o potenti per essere felici: no! Solo l’amore ci disseta il cuore, solo l’amore guarisce le nostre ferite, solo l’amore ci dà la vera gioia. E questa è la via che Gesù ci ha insegnato e ha aperto per noi.

Anche noi, fratelli e sorelle, allora ascoltiamo la parola che il Signore dice a Pietro: «Va’ dietro a me» (Mt 16,23), vale a dire: diventa mio discepolo, fai la stessa strada che faccio io e non pensare più secondo il mondo. Allora, con la grazia di Cristo e dello Spirito Santo, potremo camminare sulla via dell’amore. Anche quando amare significa rinnegare sé stessi, lottare contro gli egoismi personali e mondani, correre il rischio di vivere la fraternità.

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