Giovedì 11 maggio è stato, secondo i partecipanti al primo incontro dei leader indigeni venezuelani a Roraima, un giorno storico che rimarrà nella loro memoria e che conserverà anche in quella dei loro popoli. In questo giorno si sono ritrovati nella Cappella Nostra Signora de Jardim Floresta (Cappella appartenente all'Area nella quale operano i Missionari della Consolata) per realizzare una giornata di formazione e informazione che si è conclusa per il popolo Warao anche in tempo di elezioni. Hanno partecipato cinquantatré persone delle popolazioni indigene Warao, Taurepan, E'ñepa, Kariña e Akawayo.

Gli obiettivi di questo incontro erano: informare i leader indigeni a proposito delle aree che lo stato di Roraima metteva a disposizione dei migranti indigeni; far conoscere i risultati del Primo Incontro Nazionale di Leaders indigeni che si è celebrato a Brasilia nel mese di Aprile; continuare nella organizzazione della popolazione indigena migrate in modo tale da garantire i loro diritti nel pieno rispetto della legislazione e accordi internazionali.

In questa intensa giornata sono stati presentati gli enti pubblici brasiliani che in diversi modi possono sostenere le organizzazioni indigene: la Funai (Fondazione Nazionale dei Popoli Indigeni); il Ministero della Donna; il Mjsp (Ministero di Giustizia e Pubblica Sicurezza); il Cndh (Consiglio Nazionale dei Diritti Umani); il Sesai (Segretariato Speciale per la Salute Indigena), l’Mpi (Ministero dei Popoli Indigeni) e l’Mpf (Ministero Pubblico Federale). Si è  ribadito che le popolazioni indigene migranti hanno un ruolo di primo piano nell'elaborazione, esecuzione e monitoraggio delle politiche pubbliche. Per questo è sorta la proposta che in ogni Stato siano eletti rappresentanti che possano occuparsi di temi legati a giovani, donne, casa, istruzione, salute, assistenza sociale, lavoro imprenditoriale e un Consiglio degli anziani.

Ogni gruppo etnico, a prescindere del numero di migranti, eleggerebbe un loro rappresentante e loro riporteranno alle rispettive comunità le decisione che saranno prese su ciascuno di questi temi. Inoltre, in rete, si faranno conoscere i risultati. In questo modo si spera che l’autogestione politica ed amministrativa delle comunità indigene potrà influire positivamente sulle politiche pubbliche locali.

Si è messo anche in evidenza l’urgenza di una mappatura e una localizzazione più precisa di quelle organizzazioni sociali locali esistenti nelle quali i migranti indigeni potrebbero partecipare e contribuire positivamente.

L’incontro di Brasilia si è concluso poco tempo fa ed è stato patrocinato dalla Organizzazione internazionale per le migrazioni. Per motivi economici la partecipazione di rappresentanti è stata più contenuta ma vale la pena sottolineare la presenza dei Missionari della Consolata come unico gruppo “alleato” non indigena. Il cammino è ancora lungo ma l’impegno continua.

*Padre Juan Carlos Greco ha lavorato in Venezuela con comunità indigena Warao che in questo momento accompagna nello stato del Roraima, in Brasile, dove molti di loro sono emigrati come conseguenza delle difficili condizioni del Venezuela.

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Le popolazioni indigene e i migranti venezuelani, vittime di pregiudizi nella società di Roraima, sono stati i protagonisti dell'accoglienza al nuovo Vescovo diocesano di Roraima davanti alla Cattedrale del Cristo Redentor a Boa Vista. Essere accolti da coloro che non contano è un segno di Dio, che sceglie coloro che la società scarta. 

Così ha preso possesso della sua nuova diocesi di Roraima Mons. Evaristo Spengler che è stato accompagnato, in una emozionante liturgia, dai Vescovi della Regione Nord della Conferenza Episcopale Brasiliana (CNBB), da altri prelati provenienti da diversi angoli del Brasile e del Venezuela, da un folto numero di sacerdoti, religiosi e rappresentanti di parrocchie e comunità e dai suoi due predecessori, mons. Mario Antonio da Silva e mons. Roque Paloschi.

La cerimonia si è svolta nella cattedrale di Cristo Redentor  con una liturgia ricca di simboli amazzonici e nel giorno della solennità dell'Annunciazione del Signore, quando questa comunità diocesana si appresta a cominciare la preparazione ai 300 anni di evangelizzazione che si compiranno nel 2025. I popoli indigeni e i migranti venezonali, presenti numerosi nella cattedrale, hanno avuto un ruolo importante: la lingua spagnola e Macuxi è stata utilizzata nella proclamazione delle letture, nel canto e in altri momenti della celebrazione.

Riflettendo a proposito del Mistero dell'Annunciazione, il vescovo Evaristo ha messo in evidenza come Dio abbia inviato il suo angelo in una regione disprezzata, per incarnare un Messia che ha voluto far parte della povera gente e che ha rivelato che "il Regno di Dio è presente soprattutto nelle persone più umili". Questo è molto evidente nella figura di Maria che ha superato tutte le paure per far suo il progetto di Dio e "portare nel cuore la certezza che Dio cammina con lei e con i poveri. Alcune paure fanno molto male –ha ricordato Mons. Evaristo– e ci impediscono di camminare e di costruire un futuro coerente e più autentico con il Vangelo".

Da qui il nuovo Vescovo della Diocesi di Roraima ha visto l'urgenza di "costruire una Chiesa di speranza e fiducia in Dio" e, chiamando tutti ad assumere la propria vocazione battesimale, ha insistito che dobbiamo continuare ad essere “popolo di Dio in cammino, sempre insieme, senza paura, disposti a costruire comunità di servizio per mezzo delle nostre Comunità Ecclesiali di Base”.

Sull'esempio di Maria "questa Chiesa particolare ascolta la chiamata di Dio attraverso il grido del suo popolo", lo stesso che hanno fatto i primi missionari che sono arrivati 300 anni fa e, "con molto sacrificio per le difficoltà che hanno sperimentato in spostamenti, comunicazioni e risorse qui si sono lasciati consumare nella testimonianza del Vangelo vivo. Loro hanno costruito questa Chiesa che non si è mai lasciata guidare dagli applausi o dalle critiche, ma dalla fedeltà al Vangelo di Gesù Cristo", fino a dare la vita, come è accaduto a padre Calleri IMC.

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Commentando il momento attuale il nuovo vescovo ha detto che “la nostra Chiesa non può tacere di fronte alla tragedia del popolo Yanomami, di fronte alle loro terre invase dalle miniere illegali che li hanno privati del territorio, della salute, della pace, dei mezzi di produzione alimentare e, in poche parole, della vita stessa. Quindi la Chiesa di Roraima ribadisce ancora una volta il suo impegno a favore dei popoli indigeni in difesa della vita e del territorio”. Questo impegno, ha aggiunto il Vescovo, si estende anche ai migranti che "desidera accogliere e inserire in questa terra, molti di loro partecipano già alla vita delle comunità cristiane della diocesi”.

Mons. Evaristo Spengler ha anche ricordato, riflettendo sul ministero del vescovo, che "più importante del Vescovo è la Chiesa" e ha concluso con una professione di fede nella Chiesa in cui crede: una Chiesa fedele al Vangelo e sempre attenta alla Parola; una Chiesa al servizio dell’umanità e a difesa della vita soprattutto dove è più minacciata; una Chiesa alleata dei poveri, degli indigeni, dei migranti, delle donne, dei giovani e degli affamati; una Chiesa che fa l'esperienza della condivisione e della solidarietà; una Chiesa responsabile della Casa Comune, che ama, cura e difende la nostra sorella Madre Terra; una Chiesa profetica e ministeriale, fatta di Comunità e testimone di sinodalità.

“In questa Chiesa del Roraima tre volte centenaria –ha concluso mons. Evaristo– mi sento tranquillo e abbastanza sicuro, non per le mie forze, ma per la testimonianza, la fedeltà e profetismo della Chiesa stessa".

Al termine della celebrazione, c'è stato un momento di ringraziamento per il nuovo vescovo che  ha coinvolto sacerdoti, religiosi e laici. Il nuovo vescovo è stato anche accolto dal sindaco della città, che gli ha dato il benvenuto nella città di Boa Vista, sede della diocesi di Roraima.

* Padre Luis Miguel Modino, consigliere per la comunicazione della CNBB Nord.

Migrazione e religiosità

Solo nel 2018 il governo brasiliano ha lanciato l'Operazione “Acolhida” con il triplice obiettivo di mettere ordine nelle regioni di frontiera, dare rifugio ai migranti e, poco a poco, promuovere l’afflusso verso altri Stati brasiliani più all’interno del paese. 

Sono numerose le istituzioni religiose che lavorano con i migranti: la Pastorale indigena, il Servizio dei Gesuiti per Migranti e Rifugiati, la Missione Scalabriniana, le Suore di San Giuseppe di Chambery, le Missionarie Francescane della comunità Madre del Divino Pastore, la Caritas diocesana e anche noi Missionari della Consolata per mezzo dell'Equipe Itinerante. Tutti assieme abbiamo cercato di soccorrere i migranti venezuelani in vari modi: locazioni abitative, visita ai luoghi di concentrazione e ricovero, prodotti alimentari di prima necessità, servizi legali per la documentazione e la integrazione socio-culturale in Brasile.

Oggi tutti noi facciamo parte di un progetto pastorale unitario ed articolato: ci riuniamo mensilmente per condividere esperienze, dati e riflessioni su temi come l'incidenza politica e la protezione. La presenza di queste organizzazioni religiose ha avuto anche il vantaggio di attivare l’organizzazione politica e civile dello stato del Roraima che ha creato il Comitato di attenzione intersettoriale a migranti, apolidi e rifugiati.

In Roraima le agenzie religiose spesso agiscono nei vuoti lasciati dallo Stato e la loro presenza è apprezzata perché può essere un importante supporto logistico e anche un meccanismo utile per appianare le tensioni sociali che la migrazione genera. Allo stesso tempo sono guardate con certo fastidio perché da loro partono forti critiche alla gestione militarizzata dei flussi e alle violazione di diritti fondamentali dei popoli migranti.

Anche se le organizzazioni religiose hanno svolto un ruolo da protagonisti nell'accoglienza differenziata di migranti e rifugiati e nella costruzione di politiche pubbliche legata alla migrazione, vale la pena sottolineare che la dimensione religiosa è entrata raramente nell'agenda dei dibattiti. Si percepisce certo riduzionismo e la mancanza di una comprensione olistica delle dinamiche delle società contemporanee dove la spiritualità e la questione religiosa sono qualcosa di importante. Questa è fortemente condizionata e influenzata da fattori socio-culturali; gli spostamenti geografici e l’itineranza producono un inevitabile processo di riconfigurazione identitaria che interferisce profondamente anche nelle cosmovisioni e nell'autocomprensione religiosa.

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La spiritualità come fattore chiave della mobilità umana.

La sete umana di infinito e il fatto che gli esseri umani, per vari motivi, debbano muoversi sono realtà che vanno (letteralmente!) di pari passo. Quando si vivono situazioni di imminente destrutturazione, a causa di difficoltà di vario genere, si ricorre alla preghiera, e si intensifica la religiosità; l'esperienza di fede diventa per quasi tutti è una salutare medicina. Studi pionieristici su religiosità e migrazione mostrano i benefici della fede religiosa per superare i traumi, gli sfratti, gli attacchi xenofobi del processo migratorio. 

Gli indigeni venezuelani Warao, accolti a Boa Vista prevalentemente da istituzioni legate alla diocesi di Roraima, hanno manifestato interesse a formalizzare i loro legami religiosi. Spesso fanno richiesta di battesimo, prima comunione e matrimonio.

Hanno espresso frequentemente e in molteplici modi (anche se a volte queste manifestazioni possono essere ambigue) la ricerca dell'incontro con la divinità costruendo chiese, pregando per la protezione e la benedizione di loro stessi, partecipando a funzioni religiose. 

La vicinanza e solidarietà con i migranti crea nei venezuelani la percezione che la condivisione dello stesso credo li renda più simili ai brasiliani, che sono per lo più cristiani. Il riconoscimento di una comune esperienza di fede ci rende umani, una famiglia, con un connaturale spazio per l'ospitalità. Nelle visite agli insediamenti e nelle conversazioni informali sono comuni espressioni come "Sono cristiano”, “qué Dios te bendiga”, “brasiliani e venezuelani sono fratelli in Cristo”. 

L'interesse dei Warao per il battesimo nella Chiesa cattolica evidenzia l'atto simbolico di entrare nella comunità cristiana locale senza perdere la propria identità e le proprie manifestazioni culturali. Per questo motivo l'équipe itinerante ha scelto il metodo della presenza, della vicinanza, del rispetto della cultura delle persone e delle loro scelte. L'équipe missionaria desidera percorrere il delicato cammino del dialogo interculturale trattando di conoscere a fondo la realtà degli indigeni, compreso il loro rapporto con il trascendente. 

Una cosa è chiara: in questi primi anni del XXI secolo la migrazione e la mobilità umana sono per la comunità cristiana una sfida e uno dei segni dei tempi. Come fin dall'inizio del suo Pontificato ha mostrato Papa Francesco, è necessaria una risposta adeguata che sia etica, pastorale e olistica. Non dimentichiamo che il Papa sintetizza il lavoro con i migranti e i rifugiati in quattro verbi: Accogliere, Proteggere, Promuovere e Integrare.

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"Un giorno l'ho sognato e oggi posso dire che si sta realizzando". Jennifer Katherine Palomeque, una missionaria laica della Consolata dalla Colombia, condivide la missione con i migranti venezuelani in Brasile.

Un sogno 

Nel 2017, quando ho incontrato i Missionari della Consolata al Congresso della Consolazione e della Missione nella città di Bogotà, la prima cosa che ha attirato la mia attenzione è stato sentire parlare della missione ad gentes e vedere persone di altre parti del mondo che non avrei mai pensato di potere incontrare. È stato anche molto bello sapere che alcuni di quelli che partecipavano alla riunione, come buoni camminatori di Gesù, avevano già svolto la loro missione in diverse geografie. Lì è iniziato il mio sogno di andare oltre la mia realtà per condividere l’esperienza di Gesù con persone diverse da me e dalla mia gente e appartenenti a culture diverse.

Perché in Brasile e non altrove?

Tutto è iniziato con una richiesta, fatta ai superiori della Consolata in una delle loro visite a Cali, di impegnarmi in uno spazio missionario ad gentes. Era la visita canonica del 2021. Loro ci avevano raccontato del lavoro che i missionari stavano facendo e avevano anche parlato del sostegno che noi potevamo offrire contando con la nostra professione, gioventù e spirito missionario.

Dopo alcuni mesi il processo per entrare a far parte del gruppo dei Laici Missionari della Consolata era completo ma poi il Covid19 ha rallentato tutto: nel gennaio 2022, un'ondata molto forte di casi è arrivata in Colombia e Brasile quando tutto era quasi pronto per andare in missione. 

La partenza

Ho dovuto pazientare almeno due mesi finché le cose si sono poco a poco risolte ed è arrivato il grande giorno di lasciare la mia casa, la mia terra, il mio posto sicuro e andare a vivere una nuova avventura missionaria accompagnata da persone incredibili, ma soprattutto in compagnia di Gesù.

“Seguitemi e vi farò pescatori di uomini” (Mt 4,19-20) e credo che sia esattamente quello che ho fatto: ho lasciato le mie reti e ho iniziato a seguirlo in questa nuova avventura. In realtà non sono mancati momenti di panico e paura ma un amico molto caro mi ha detto: "non ti preoccupare, colui che ti ha mandato ti accompagnerà nella tua missione" e queste parole mi hanno riempito di forza e incoraggiamento in questo viaggio.

Ogni volta sento sempre più reale ciò che mi è stato detto tante volte nell'animazione: è una gioia indicibile mettere la propria vocazione al servizio della missione anche se non è facile: vorresti fare molto ma la situazione, la realtà che trovi e i reali bisogni della gente non sempre lo permettono. Questo, in ogni caso, non cessa di essere un motivo per continuare a lavorare e se ho imparato qualcosa da questa ancora cortissima esperienza di missione è che essere fonte di consolazione è molto spesso o quasi sempre anche solo presenza.

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Le donne migranti indigene Warao a Boa Vista realizzano manufatti da vendere.

In missione

Oggi mi sento molto fortunata di poter dire che sono stata capace di attraversare i miei confini per andare in un luogo che non è mai stato nei miei piani: sono in Brasile, nella città di Boa Vista (nello stato del Roraima) e sto lavorando con  migranti venezuelani. 

Quelli che arrivano sono sempre di più: provengono da realtà diverse ma hanno tutti lo stesso desiderio: andare avanti e cercare un futuro migliore per loro stessi, i loro figli e le loro famiglie. 

Questa avventura è appena iniziata, ho ancora a che fare con una lingua nuova e una cultura spesso diversa dalla mia; è ancora molto il cammino che ho davanti ma per adesso cammino con Gesù e spero che tutto vada secondo i suoi piani.

* Jennifer Katherine Palomeque Filigrana, missionaria laica colombiana della Consolata in Brasile.

Boa Vista, 27 di settembre del 2015
 
Carissimi,
 
Voglio mettervi al corrente di un fatto gravissimo che ho appena saputo in questi giorni.
Da circa cinquant'anni sono al corrente dell'esistenza di un gruppo di indigeni (probabilmente un sottogruppo di yanomami) localizzati in una regione, dentro alla Terra Indigena Yanomami oggi demarcata e teoricamente “protetta".
Le uniche notizie di questa popolazione le ho avute da alcuni uomini yanomami, oggi tutti anziani, che, decenni fa, hanno partecipato ad alcuni "raid" per vendicare la morte di loro parenti importanti, che essi supponevano causata da malefici di questi indigeni. Le testimonianze erano corroborate dalla presentazione di alcuni trofei (scuri di pietra, una pentola di terracotta, e pochi altri strumenti tra i quali nessuna traccia di metalli).
Piú di trenta anni fa, parlando di loro, avevo pensato assieme ad alcuni yanomami amici di fare una spedizione di approssimazione, per cercare di eliminare l'ostilità ormai radicata che c'era contro di loro e che probabilmente era reciproca. Alla fine rinunciai all'impresa, non per paura del pericolo che poteva esserci per la "nostra" incolumità, ma solo per il fatto che mi resi conto che se li avessi contattati, avrei avuto bisogno di aiuto di altri per poter assisterli per un tempo ragionevole (almeno alcuni anni) fino a che si potessero vaccinare e curare nell'eventualitá praticamente certa che venissero contaminati da noi con qualche virus o altre
malattie contagiose e/o letali. Su questo punto ho un'esperienza molto grande e dolorosissima: le malattie introdotte in questi gruppi isolati sono letali nella maggioranza dei casi.
Ebbene, venendo al nocciolo, due o tre anni fa, la FUNAI, con mia grande stupore, ha deciso di costruire una pista di atterraggio e una baracca ad una certa distanza da questo gruppo, che da alcuni anni era stato localizzato esattamente con sorvoli aerei. Il motivo addotto dalla FUNAI era quello di installare alcuni suoi funzionari, perché vigilassero affinché i cercatori d'oro che si stavano avvicinando pericolosamente a quella regione, non potessero entrare in contatto con gli indigeni isolati.
Con mia sorpresa, giovedì scorso (24-19-2015), casualmente, ho saputo da uno yanomami che la pista e la baracca della FUNAI erano state occupate da cercatori d'oro, tra i quali anche uno o due yanomami dell'alto Catrimani. Questi ultimi erano a loro volta entrati in contatto con i loro parenti a mezzo radio-fonia, usando l'apparecchiatura abbandonata nella baracca dai funzionari della FUNAI. Nella stessa baracca erano rimasti tra le altre cose: una televisione, un'antenna parabolica, un frigo e un generatore per farli funzionare.
Gli Yanomami hanno comunicato che i "garimpeiros" si sono impossessati della radio e la stanno usando, hanno sequestrato il generatore e hanno distrutto
la televisione, l'antenna parabolica e il frigo. Hanno inoltre comunicato che i garimpeiros mandavano un avviso ai funzionari della FUNAI, di non tornare in quel luogo se non volessero essere uccisi.
Per chiarire meglio la gravità della situazione, ho saputo che i funzionari della FUNAI erano stati ritirati da quel luogo, forse a maggio scorso, perché l'Ente Federale (FUNAI) non aveva più i mezzi necessari per dare loro appoggio di viveri, combustibile e avvicendamento del personale.
Contemporaneamente, vari mesi fa, persone che hanno sorvolato l'area, hanno constatato che il villaggio isolato era vuoto.
Adesso, alla luce dei nuovi avvenimenti, viene spontaneo chiedersi se già allora i "garimpeiros"avessero avuto contatto con questa popolazione isolata, e se questo contatto
avesse causato la fuga di tutti gli abitanti del villaggio  o la loro decimazione.
Non so se c'è ancora tempo per scongiurare una strage, ma da un po’ di giorni non riesco a dormire!
Un altro yanomami ha aggiunto che sul fiume Catrimani l'acqua é sporchissima a causa del "garimpo" che si è installato in un piccolo affluente del rio Lobo de Almada (affluente di destra del Catrimani), e che si vede un continuo vai e vieni di aerei che userebbero una pista di atterraggio costruita dai cercatori d'oro anche in questo luogo.
Gli yanomami dicono che i "garimpeiros" sono molto numerosi. Per il modo con cui  lo affermano, suppongo che in quella regione (rio Apiaú e rio Catrimani ) ci possano essere alcune migliaia di invasori (tutti con armi da fuoco naturalmente).
Non sono sicuro di aver chiarito la questione, ma lo spero; in caso di dubbi, per favore ditemeli perché io possa cercare di chiarirli.
Un forte abbraccio.
fratel Carlo Zacquini, Missionario della Consolata a Roraima (Brasile)

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