I missionari della Consolata della Delegazione di Canada, Stati Uniti e Messico (DCMS) si sono riuniti dall'8 al 13 aprile per la loro Conferenza Regionale presso la sede delle Pontificie Opere Missionarie a Città del Messico.

Con grande gioia e animata dallo spirito di risurrezione, la Conferenza ha visto la partecipazione di 15 missionari della Delegazione, di un missionario laico e di tre ospiti provenienti dalle zone di missione. Erano presenti anche il Superiore Generale, padre James Bhola Lengarin, il Consigliere Generale per l'America, padre Juan Pablo de los Rios, padre Luis Mauricio Guevara, formatore del Seminario Teologico in Brasile, invitato come moderatore, e padre Elmer Pelaez Epitacio, il primo missionario messicano della Consolata che lavora in Italia.

Il programma è iniziato con la Messa presieduta dal Superiore della Delegazione, padre Peter Ssekajugo. Ssekajugo, presidente della Conferenza, ha aperto ufficialmente i lavori invitando il signor Wilmer José Hernández, missionario laico della Consolata, a presentare i partecipanti e a distribuire i materiali.

20240414DCMS3Il secondo giorno, dopo la preghiera del mattino, padre Salvador Padilla ha fatto una breve presentazione delle Pontificie Opere Missionarie del Messico. Juan Manuel Quintana ha spiegato la "Metodologia Guadalupana", punto di partenza delle riflessioni della Conferenza. Si tratta di una metodologia di evangelizzazione presente nel documento Nican Mopohuanm (uno scritto in lingua nahualt), che è tratto dalle parole della Madre di Dio a Juan Diego: "Voglio e desidero fortemente che in questo luogo sorga un Eremo per me... in esso mostrerò e darò tutto il mio AMORE, la mia COMPASSIONE, il mio AIUTO e la mia DIFESA... lì ascolterò i vostri lamenti e rimedierò e curerò tutte le vostre MISERIE, i vostri dolori e le vostre pene".

Nello spirito della metodologia guadalupana, padre Juan Pablo de los Rios presiede la Messa nella Basilica di Nostra Signora di Guadalupe concelebrata da tutti i sacerdoti presenti alla Conferenza. Nell'omelia ha spiegato alla gente chi sono i Missionari della Consolata e quali sono le loro missioni nel mondo, in particolare nella Delegazione di Canada, Stati Uniti e Messico.

La sera dello stesso martedì abbiamo ascoltato le parole del Superiore della DCMS che ha presentato le realtà dei nostri Paesi e le loro sfide.

All'inizio di mercoledì 10 aprile, il Consigliere Generale per l'America, Padre Juan Pablo de los Rios, ha spiegato il legame tra la metodologia Guadalupana e la pedagogia Allamana. Ha inoltre invitato a ricordare le ragioni principali della nostra presenza nelle terre americane.

Il Superiore generale, padre James Lengarin, ha presentato alcune informazioni sull'Istituto dalla sua fondazione a oggi, in quanto numero di membri, punti di forza, sfide e proposte per il futuro.

Mercoledì la sessione di ascolto è iniziata con la presentazione da parte di ogni comunità della propria realtà e di ciò che sta facendo: Montreal, Toronto, Riverside, New Jersey, Tuxtla Gutierrez e San Antonio Juanacaxtle. Suor Ricardina, Missionaria della Consolata, e i laici presenti hanno fatto lo stesso.

Poi abbiamo ricevuto padre José María, del Vicariato della Vita Consacrata dell'Arcidiocesi del Messico, che con le sue parole ci ha incoraggiato nel lavoro delle missioni. Mercoledì sera abbiamo ascoltato P. Eleazar López Hernández che ha approfondito la metodologia Guadalupana. È stata una riflessione a partire dalla sua esperienza personale e ciò che ha attirato la nostra attenzione è stata la sua conoscenza di due grandi missionari della Consolata morti recentemente: padre Ezio Roattino Guadalupe, il 4 aprile, e padre Josiah K'okal, il 1° gennaio 2024.

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Per lavorare su diversi temi nella costruzione del documento finale della conferenza, sono stati formati quattro gruppi che si sono occupati di: missione della DCMS; missionari in comunità; animazione missionaria e giovanile; migranti e indigeni; comunicazione; continentalità; famiglia della Consolata ed economia. Elmer Peláez Epitacio, missionario messicano che lavora a Torino, Italia. Nelle sue parole ha ringraziato i Missionari della Consolata per avergli dato l'opportunità di far parte della famiglia della Consolata.

L'ultimo giorno della conferenza è stato dedicato al tema dell'amministrazione. Padre Paolo Fedrigoni ha spiegato come funzionano le finanze dell'Istituto in Canada, Stati Uniti e Messico dal 2016, quando è stata creata la Delegazione. Poi, padre James Lengarin ha fatto una panoramica sull'economia dell'intero Istituto in generale. Poi l'approvazione di tutti i punti su cui si è lavorato durante la conferenza.

Mauricio Guevarra ha ringraziato tutti per la loro partecipazione e ha invitato a continuare a lavorare per mettere in pratica quanto detto durante questa importante settimana. Mauricio ha sottolineato il contributo del Consiglio Generale, la partecipazione dei laici e di tutti i missionari, in particolare del gruppo del Messico che ha aiutato a preparare tutto. Ha ringraziato i facilitatori Juan Manuel e Padre Eleazar per averci guidato con i loro argomenti. Ha inoltre invitato i missionari a vivere sempre con dedizione lo spirito e il carisma della Consolata.

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La conferenza si è conclusa con una Messa presieduta da padre Alessandro Conti, nuovo Consigliere di Delegazione. Padre Conti ha ringraziato Dio per l'illuminazione avuta durante la conferenza e, insieme a padre Timothy Gatitu e Peter Ssekajugo, ha ringraziato tutti per la fiducia. Dopo le parole conclusive del Superiore Generale, i padri Timothy e Alessandro prestano giuramento per continuare a lavorare nel Consiglio.

* Padre Irungu Mungai, IMC, lavora a Guadalajara, in Messico.

In Messico siamo giunti 15 anni fa con un progetto che era nato come una apertura voluta dal continente America e con una prima presenza di missionari tutti provenienti dalle regioni dell’America Latina. 

Eppure in questi anni anche la nostra presenza ha subito quella trasformazione in molti modi legata alla realtà di questo paese che, malgrado culturalmente sia molto più unito alla metà meridionale del continente, di fatto, per circostanze storiche e sociali, volge lo sguardo quasi esclusivamente verso il nord, verso La Frontiera, quella con le maiuscole. 

La frontiera del nord

Quasi impossibile da attraversare legalmente –lo è solo per pochi privilegiati– ci sono infiniti modi di farlo illegalmente e tanti messicani l’hanno fatto, tanti sognano di farlo, tanti lo faranno prossimamente assieme a una fiumana sempre più abbondante di umanità,  proveniente da tutte le parti del mondo, anche le più lontane, e tutti attratti dall’“American Dream”. 

Noi non viviamo a ridosso della frontiera eppure, anche fra le famiglie delle nostre parrocchie, tremila chilometri più a sud, non c’è quasi nessuno che non possa annoverare fra le parentele alcun “dreamer”.

Quando sono sbarcato in Messico circa quattro anni fa, io che il cuore l’avevo in Africa e quella era la mia prima esperienza americana, avevo tante domande che mi inquietavano e una era precisamente questa: “che ci facciamo noi con la Regione Nord America, con quelli lì che parlano quasi tutti inglese”. Oggi la risposta l’ho chiara ed è legata a questo che vi ho appena detto... il Messico, un territorio che è anche casa comune di culture numerose, significative, meticce... sembra avere il baricentro terribilmente spostato a nord e quasi tutto, non solo le persone, forse anche le idee, sembrano scivolare in quella direzione. La mobilità umana forse è la sfida missionaria che ci interpella oggi in questa enorme nazione e le sue rotte si incrociano anche con la nostra esigua geografia. Questo succede concretamente in Tuxtla Gutiérrez, nello stato del Chiapas, molto vicino alla frontiera sud, ma una delle prime città Messicane che i migranti toccano dopo aver attraversato non poche frontiere per arrivare fin qui.

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Le nostre presenze

In questo momento le nostre presenze sono due: una nello stato di Jalisco, a una quarantina di chilometri dalla capitale, Guadalajara, in un piccolo paese chiamato San Antonio Juanacaxtle e l’altra, ben duemila chilometri più a sud, nello stato di Chiapas, questa volta nella capitale Tuxtla Gutiérrez. 

A San Antonio ci occupiamo della pastorale di due settori che si sono popolati non tantissimi anni addietro: “Villas Andalucía” composta da circa novemila famiglie, e “El Faro” con mille famiglie. La popolazione è molto giovane e lo dice il numero dei ragazzi che frequentano la catechesi parrocchiale, tutti gli anni almeno 700. Le nostre strutture in questi due settori sono povere come povere le famiglie che hanno urbanizzato questi terreni negli ultimi 10 anni. La cappella è piccolina e il parco serve come spazio settimanale di catechesi ma in realtà la sfida maggiore non è legata all'essenzialità delle strutture parrocchiali ma alla fragilità e poca definizione dell’identità di questa comunità ancora troppo recente per considerarsi consolidata e matura. 

I problemi sono tantissimi: la droga e i cartelli del Narcotraffico, qui quello di “Jalisco Nueva Generación”, sempre in lotta con quello di Sinaloa per controllare territori e traffici. Oggi si preferisce chiamarlo “crimine organizzato” perché il traffico di stupefacenti è solo una parte della loro economia criminale: ci sono anche le armi e c’è, sempre più forte, il traffico di persone.

A Tuxtla Gutiérrez invece ci troviamo in una parrocchia urbana e in uno stato religiosamente molto tradizionalista e ben strutturato. Nelle parrocchie funzionano perfettamente le tre pastorali tradizionali: la liturgica, tipicamente la più significativa, legata alle multiple celebrazioni e tradizioni; la profetica –così è come si chiama la catechesi e l’educazione nella fede– e la pastorale sociale, attenta alle antiche e nuove povertà che interpellano l’identità cristiana dei nostri fedeli.

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La consolazione dell’ascolto e la missione

Come missionari abbiamo sempre scelto di stare accanto alle persone così come le abbiamo conosciute e così come le troviamo. Le famiglie vivono unite ma spesso solcate da ferite nascoste che sanguinano e fanno soffrire, legate a violenza, povertà, soprusi e un atavico maschilismo. Alcuni dei nostri missionari hanno fatto la scelta di formarsi come psicologi per dare qualità all’ascolto delle persone, una forma concreta di consolazione che ci è stata chiesta quasi fin da subito.

Poi c’è la chiesa, quando venimmo in Messico uno dei motivi era anche quello vocazionale e di fatto alcune diocesi hanno una gran abbondanza di clero... eppure –paradossalmente direi in questo paese con tanti migranti– la missione non c’è, non si sente, non si vuole, si fa fatica pensare di poter portare oltre confine il proprio impegno credente, in paesi lontani, in culture nuove, senza la consolazione della famiglia riunita così ben rappresentata, nelle sue radici profonde, dagli altari del giorno dei morti. Quella è una sfida che non abbiamo ancora finito di raccogliere anche se possiamo già annoverare due missionari di origine messicano, uno in Italia –tra l’altro il primo missionario di origine indigena del continente americano– e l’altro in Kenya. Per il prossimo futuro il discernimento ci porta a guardare alla fiumana anonima che ci raggiunge e prosegue nel suo lento, spesso pericoloso ma irrinunciabile pellegrinaggio verso la Frontiera, quella con la “F” maiuscola. 

Come avete potuto vedere è un po’ che non scrivo; sono più concentrato sulla comprensione di questa nuova realtà. Non è stato facile trasferirsi dalla Costa d'Avorio al Messico e non è stato facile lasciare San Antonio Juanacaxtle e venire a Tuxtla.

Mi sento un po’ addosso la “sindrome dell'impostore” perché mi sento come se avessi declassato il mio impegno missionario. Questa realtà è molto diversa: la vita missionaria è meno aspra, anche se poi le sfide missionarie siano molto presenti. La mia qualità di vita è migliorata, non c’è più la malaria e io mi sento in forma (nonostante gli anni che passano).

Attualmente sono molto concentrato sui giovani della parrocchia e sull'ascolto in chiave sinodale di tutte le persone che chiedono accompagnamento. 

Sto creando legami che mi avvicinano alle periferie esistenziali; sto toccando da vicino tanti drammi quotidiani, tanti itinerari storici stroncati da scelte sbagliate o delusioni inaspettate. Allo stesso tempo vedo che molte persone perdono l'opportunità di lasciarsi aiutare: ognuno di noi si costruisce la propria storia di salvezza.

Negli ultimo tre mesi sono stato particolarmente vicino alla nostra comunità indigena Tzeltal: un paio di domeniche al mese ci vado e creo anche dei legami, dando spazio a loro che sono  sempre stati esclusi e ignorati.

La promozione umana della nostra presenza passa attraverso un dispensario, un'équipe di psicologi e tanatologi, aiuti economici a persone in difficoltà, aiuti per l'educazione dei bambini di famiglie in difficoltà, formazione di gruppi e animatori parrocchiali.

Quello che resta forse un po’ in sospeso è l'animazione vocazionale: mi hanno mandato a Tuxtla apposta per questo ma non si trovano giovani con queste preoccupazioni;  c'è chi vuole essere sacerdote diocesano ma essere missionari ad gentes è difficile. La terra, la famiglia e anche solo l’alimentazione hanno molto peso esistenziale nelle loro opzioni. È vero che la chiamata missionaria è una grazia e una vocazione, ma ciò non mi impedisce di sentire che mi sostengo maggiormente dove ci sono oasi (come i giovani, l’ascolto in chiave sinodale, le periferie esistenziali, i popoli originari e la promozione umana) che dove c’è l'aridità (le vocazioni e l’animazione missionaria della chiesa locale).

Altri temi continuano ad essere assenti dal mio quotidiano e diventano una sfida alla mia missione: la costruzione della pace in una realtà così violenta; le alternative all'alcool e alla droga così diffuse in tante famiglie, il silenzio ecologico nella pastorale ordinaria. Sono attività per adesso in sospeso.

Il nuovo itinerario che si apre è quello della collaborazione con le persone che migrano. Il Chiapas è per loro una porta e un luogo di passaggio. L'obiettivo sono gli Stati Uniti o, se ciò non è possibile, Città del Messico, Guadalajara, Monterrey... Mi sto informando sulle possibilità che il Chiapas ci darebbe per avere una presenza più significativa in quest'area: è una realtà che ci interpella soprattutto come missionari della Consolata.

Per il resto sto bene, sono sereno e ringrazio Dio ogni giorno perché mi offre la possibilità di essere al servizio del suo Regno. Un servizio che ha senso malgrado la quantità di formalismi liturgici, strutture ecclesiali anchilosate, parrocchia stagnanti e una realtà clericalizzata, rigida e sacramentalista.

È l'acqua nella quale bisogna nuotare controcorrente, seguendo la spiritualità della trota. Vi ringrazio per il vostro sostegno, la vostra preghiera e le vostre preoccupazioni. È bello sapere che ci siete sempre. This is the way.

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* Ramón Lázaro Esnaola è Missionario della Consolata e lavora in Messico

Domenica sono stato a “Tierra Colorada”, una zona montuosa dove vive la nostra comunità di indigeni Tseltal. Si trova a un'ora e mezza di macchina dalla nostra parrocchia.

In comunità abbiamo parlato di promuovere la nostra presenza in mezzo a questo popolo indigeno, perché finora abbiamo praticamente fatto come con le altre cappelle e non si può continuare così: io ho già letto tre volte il Vangelo nella loro lingua (con il mio accento di Zaragoza) e loro ora leggono nella loro lingua, perché finora lo hanno sempre fatto in spagnolo.

Dopo l'Eucaristia ho avuto un incontro con loro in cui abbiamo parlato delle sfide che come comunità devono affrontare: una strada decente, il dramma dell'acqua, il basso livello di scolarizzazione, l'assenza di sistemi sanitari, lo sradicamento culturale (perché loro sono sfollati da Tenejapa, un comune di San Cristóbal de las Casas), la precarietà economica nonostante l'ottimo caffè che producono, il numero di persone senza documenti d'identità e certificati di nascita, la sfida ecologica (il luogo in cui vivono è una riserva naturale: da più di 30 anni stanno aspettando essere trasferiti altrove, ma senza successo).

Ma ciò che più mi ha colpito è stata la profonda divisione fra diversi gruppi religiosi: cattolici e protestanti in primis. La cosa è così grave che se l'Associazione dei Genitori era d'accordo a migliorare la strada, gli altri si opponevano per ragioni che non ho capito al di là delle profonde divisioni che vivevano.

Tra un paio di settimane terremo una riunione con i responsabili della nostra comunità e della parrocchia, affinché questa opzione per i nativi non appartenga ai Missionari ma a tutta la comunità. Vediamo se possiamo camminare insieme, sinodalmente.

Ieri mattina sono stato con il responsabile della pastorale degli indigeni della diocesi, che è membro della comunità Zoque, e si è rallegrato della nostra iniziativa perché dice che c'è poca sensibilità in questo senso. Camminare in comunione, lentamente ma intuendo la strada. 

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Ieri è stata una giornata importante per il nostro impegno nei confronti del popolo Tseltal della nostra parrocchia. Abbiamo avuto un primo discernimento comunitario sulla nostra presenza in questa comunità.

Erano presenti i leader della comunità Tseltal, anche colui che era stato loro presidente fino a un mese prima e una coppia Tseltal che vive nella città di Tuxtla ma originaria di questa comunità; c’era la moglie di uno dei leader della comunità, un responsabile della Pastorale sociale della parrocchia, il rappresentante del gruppo di studenti universitari e professionisti della parrocchia; abbiamo ottenuto anche la partecipazione del responsabile diocesano dei popoli nativi e poi c’eravamo il parroco e io.

Abbiamo cercato di sottolineare l'unicità della loro presenza nella nostra parrocchia e l’importanza che la loro cultura trovi uno spazio per esprimersi nella parrocchia e nella diocesi. Ci siamo scambiati idee su temi di formazione umana e cristiana e, in questo campo, il valore di avere colloqui differenziati per bambini, uomini e donne, per poter approfondire alcuni argomenti.

È stato un primo passo. Per il momento, sono presente in quella comunità la prima e la terza domenica del mese, ma la prospettiva è quella di arrivare a soggiorni più prolungati. È stato un piccolo passo per l'umanità, ma un primo grande passo per noi.

 

I Missionari della Consolata del Gruppo Messico abbiamo celebrato il nostro ritiro annuale dal 13 al 17 febbraio 2023 a Chiquilistlán, a 160 km dalla nostra comunità di San Antonio Juanacaxtle, nello Stato di Jalisco. Padre Peter Ssekajugo, il superiore della Delegazione, è venuto dal New Jersey per accompagnarci in questo momento di incontro con Dio, di fraternità e di ringraziamento per la vita missionaria.

Il luogo dove siamo stati è stato davvero una vera scoperta per tutti noi: perché tutto ci invitava a essere in comunione con la natura e a rendere grazie a Dio. Poi non è affatto mancata la figura del nostro Beato Fondatore già che il nostro ritiro coincideva con gli ultimi giorni della novena precedente alla sua festa. 

Il padre Peter ci ha invitato a fare della nostro impegno in questo paese un cammino verso le periferie e nel caso nostro ci ha ricordato che la frontiera dei migranti è un'interpellanza molto concreta per noi anche nel contesto della nostra preoccupazione per l’Animazione Missionaria Giovanile e Vocazionale che ha collegato a questo possibile impegno. Accompagnare i migranti come hanno fatto Mosè e Aronne nel deserto quando stavano con un popolo profugo e in fuga dall’Egitto.

Ha messo anche in evidenza che la stessa vita consacrata era nata dalla spiritualità di comunità cristiane che volevano in tutto somigliare a Cristo... che aveva sofferto sulla croce. Anche oggi la nostra consacrazione ci identifica con tutti i crocifissi della terra ai quali dobbiamo stare vicini.

Abbiamo poi dato spazio alla riflessione sulla qualità della nostra vita comunitaria, anche se sappiamo che questo aspetto è migliorato molto nel nostro gruppo e poi approfondito in una riflessione sulla nostra vocazione e su quella chiamata radicale che ognuno di noi ha sentito a un certo punto della sua vita a consacrarsi a Dio nella missione ad gentes.

Non sono mancate nemmeno riunioni interessanti in cui abbiamo avuto modo di discutere e contribuire in temi per noi importanti come le condizioni che potrebbero qualificare il nostro ministero vocazionale o una nuova apertura in Messico, la terza, sulla quale avevamo riflettuto lo scorso anno durante la visita canonica.

Il 16 non è stata solo la festa del Beato Giuseppe Allamano, ma anche il compleanno del nostro confratello Patrick Waiganjo, che è stato celebrato con semplicità e fraternità e abbiamo avuto l'opportunità di visitare le cascate di Comala, che si trovavano a dieci minuti da dove alloggiavamo. Nell’ultima eucaristia abbiamo anche ringraziato le persone che si sono dedicate a noi durante i cinque giorni; abbiamo apprezzato il servizio e l’ambiente incomparabile de “La cabaña de Don Roge”.

Ringraziamo Dio e padre Peter Ssekajugo per questo tempo e torniamo alle nostre comunità e ai nostri servizi missionari rinnovati per affrontare anche la Quaresima che già bussa alla porta. I buoni Esercizi Spirituali sono quelli che riescono a produrre cambiamenti e a portarci a un'azione più profetica, evangelica e missionaria.

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