Cari fratelli e sorelle!
Queste parole appartengono all’ultimo colloquio di Gesù Risorto con i suoi discepoli, prima di ascendere al Cielo, come descritto negli Atti degli Apostoli: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (1,8). E questo è anche il tema della Giornata Missionaria Mondiale 2022, che come sempre ci aiuta a vivere il fatto che la Chiesa è per sua natura missionaria.
Fermiamoci su queste tre espressioni-chiave che riassumono i tre fondamenti della vita e della missione dei discepoli: «Mi sarete testimoni», «fino ai confini della terra» e «riceverete la forza dallo Spirito Santo».
È il punto centrale, il cuore dell’insegnamento di Gesù ai discepoli in vista della loro missione nel mondo. Tutti i discepoli saranno testimoni di Gesù grazie allo Spirito Santo che riceveranno: saranno costituiti tali per grazia. Ovunque vadano, dovunque siano. L'identità della Chiesa è evangelizzare.
La forma plurale sottolinea il carattere comunitario-ecclesiale della chiamata missionaria dei discepoli. Ogni battezzato è chiamato alla missione nella Chiesa e su mandato della Chiesa: la missione perciò si fa insieme, non individualmente, in comunione con la comunità ecclesiale e non per propria iniziativa. Non a caso il Signore Gesù ha mandato i suoi discepoli in missione a due a due; la testimonianza dei cristiani a Cristo ha un carattere soprattutto comunitario. Da qui l’importanza essenziale della presenza di una comunità, anche piccola, nel portare avanti la missione.
Ai discepoli è chiesto di vivere la loro vita personale in chiave di missione: sono inviati da Gesù al mondo non solo per fare la missione, ma anche e soprattutto per vivere la missione a loro affidata; non solo per dare testimonianza, ma anche e soprattutto per essere testimoni di Cristo. I missionari di Cristo non sono inviati a comunicare sé stessi, a mostrare le loro qualità e capacità persuasive o le loro doti manageriali. Hanno, invece l'altissimo onore di offrire Cristo, in parole e azioni, annunciando a tutti la Buona Notizia della sua salvezza con gioia e franchezza, come i primi apostoli.
Perciò il vero testimone è il “martire”, colui che dà la vita per Cristo, ricambiando il dono che Lui ci ha fatto di Sé stesso. «La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più» (Evangelii gaudium, 264).
Infine, a proposito della testimonianza cristiana, rimane sempre valida l’osservazione di San Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Evangelii nuntiandi, 41). Perciò è fondamentale, per la trasmissione della fede, la testimonianza di vita evangelica dei cristiani.
Nell'evangelizzazione, perciò, l'esempio di vita cristiana e l'annuncio di Cristo vanno insieme. L'uno serve all'altro. Sono i due polmoni con cui deve respirare ogni comunità per essere missionaria. Esorto pertanto tutti a riprendere il coraggio, la franchezza, quella parresia dei primi cristiani, per testimoniare Cristo con parole e opere, in ogni ambiente di vita.
Esortando i discepoli a essere i suoi testimoni, il Signore risorto annuncia dove essi sono inviati: «A Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). Emerge ben chiaro qui il carattere universale della missione dei discepoli. Si mette in risalto il movimento geografico "centrifugo", quasi a cerchi concentrici, da Gerusalemme, considerata dalla tradizione giudaica come centro del mondo, alla Giudea e alla Samaria, e fino "all'estremità della terra". Esso ci dà una bellissima immagine della Chiesa "in uscita" per compiere la sua vocazione di testimoniare Cristo Signore, orientata dalla Provvidenza divina mediante le concrete circostanze della vita.
L’indicazione “fino ai confini della terra” dovrà interrogare i discepoli di Gesù di ogni tempo e li dovrà spingere sempre ad andare oltre i luoghi consueti per portare la testimonianza di Lui. Malgrado tutte le agevolazioni dovute ai progressi della modernità, esistono ancora oggi zone geografiche in cui non sono ancora arrivati i missionari testimoni di Cristo con la Buona Notizia del suo amore. D’altra parte, non ci sarà nessuna realtà umana estranea all’attenzione dei discepoli di Cristo nella loro missione. La Chiesa di Cristo era, è e sarà sempre “in uscita” verso i nuovi orizzonti geografici, sociali, esistenziali, verso i luoghi e le situazioni umane “di confine”, per rendere testimonianza di Cristo e del suo amore a tutti gli uomini e le donne di ogni popolo, cultura, stato sociale.
Annunciando ai discepoli la loro missione di essere suoi testimoni, Cristo risorto ha promesso anche la grazia per una così grande responsabilità: «Riceverete la forza dello Spirito Santo e di me sarete testimoni» (At 1,8).
(Il giorno di pentecoste comincia) l'era dell'evangelizzazione del mondo da parte dei discepoli di Gesù, che erano prima deboli, paurosi, chiusi. Lo Spirito Santo li ha fortificati, ha dato loro coraggio e sapienza per testimoniare Cristo davanti a tutti.
Come «nessuno può dire: "Gesù è Signore", se non sotto l'azione dello Spirito Santo» (1 Cor 12,3), così nessun cristiano potrà dare testimonianza piena e genuina di Cristo Signore senza l'ispirazione e l'aiuto dello Spirito. Perciò ogni discepolo missionario di Cristo è chiamato a riconoscere l'importanza fondamentale dell'agire dello Spirito, a vivere con Lui nel quotidiano e a ricevere costantemente forza e ispirazione da Lui.
Cari fratelli e sorelle, continuo a sognare la Chiesa tutta missionaria e una nuova stagione dell’azione missionaria delle comunità cristiane. E ripeto l’auspicio di Mosè per il popolo di Dio in cammino: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore!» (Nm 11,29). Sì, fossimo tutti noi nella Chiesa ciò che già siamo in virtù del battesimo: profeti, testimoni, missionari del Signore! Con la forza dello Spirito Santo e fino agli estremi confini della terra. Maria, Regina delle missioni, prega per noi!
Nell’incontro “The economy of Francesco” abbiamo visto una foresta di giovani che sta crescendo e per il momento, anche se il papa dice di fare chiasso, è forse meglio lasciarla crescere silenziosamente ma senza limitare il suo vigore.
Se San Francesco ha fatto della povertà un ideale di vita, dalle scuola francescana sono emerse anche delle teorie economiche che magari non sono molto conosciute ma che sono comunque importanti: dalla scuola francescana nascono, per esempio, le prime forme di microcredito, i monti di pietà; quelle erano le prime forme di aiuto intelligente, non fatto di doni ma di prestiti che fanno rialzare le persone e generano circoli virtuosi. Ma come è nato tutto questo?
In un dialogo con Papa Francesco nel quale ci chiedevamo come fare per trasformare un sistema economico fondamentalmente iniquo e contaminante inizialmente avevamo pensato mettere attorno a un tavolo i più grandi economisti del mondo oer chiedere una luce. Invece papa Francesco, con la sua solita intuizione, disse: “non credo che le cose possano cambiare in questo modo, forse quel che dobbiamo fare è avviare un processo con chi sta studiando economia, con chi comincia a fare impresa, dobbiamo pensare ai giovani". Tutto questo coincide con il suo stile che preferisce sempre avviare processi.
Così che il primo maggio del 2019 papa Francesco scrive una lettera nella quale convocava ad Assisi giovani economisti ed imprenditori e invitava a fare un patto per cambiare l’economia attuale e dare un’anima all’economia del futuro: "le vostre scuole e le vostre imprese -diceva- sono già cantieri di una nuova umanità ed economia. Proviamo a metterci tutti insieme e cerchiamo di fare delle proposte nuove".
In poco tempo le domande sono state migliaia e si è reso necessario fare una selezione sulle motivazioni.
Questo evento si sarebbe dovuto celebrare in Marzo 2020 con l'intenzione di innescasse processi. Poi la pandemia ha ribaltato tutto in modo tale che, per non perdere l’entusiasmo dei giovani che si erano iscritti, si sono cominciati prima molti processi e gruppi di lavoro (villaggi tematici) che hanno prodotto tantissimo prima della celebrazione che è stata fatta due settimane fa.
I nomi dei villaggi erano nomi in tensione mettevano assieme due parole che sembravano opposte: erano per esempio “finanza e umanità”, “lavoro e cura”, “agricoltura e giustizia”, “energia e povertà”, “donne ed economia”, “economa e pace” etc... Li abbiamo divisi in tre gruppi: investigatori, imprenditori ed attivisti. Loro hanno lavorato quasi tre anni senza nemmeno potersi vedere, ma hanno lavorato e hanno anche creato della imprese come le “farms of Francesco”, esperienze di agricoltura sostenibile fatta in un certo modo. È nata anche la “academy” dove sono state messe in comune le rispettive idee di un gruppo tanto giovane come eterogeneo ma sempre ben motivato.
Alla fine dell'incontro di The economy of Francesco mi sento di concludere in questo modo: questi giovani ci sono, sono tanti, sanno connettersi, e sono capaci di lavorare insieme facendo cose concrete e, anche se sono di ogni estrazione sociale e spesso di ideologie molto diverse, sanno camminare assieme cercando ciò che unisce e non ciò che divide.
Quando sono arrivati un piccolo gruppo per organizzare la celebrazione in Assisi sono stati accompagnati in una visita guidata alla basilica superiore di San Francesco dove si ammirano gli affreschi di Giotto sulla vita di San Francesco. La guida diceva che nella serie di affreschi mancava la scena dell’abbraccio di San Francesco al lebbroso perché le persone ricche di Assisi, che finanziavano il lavoro dell'artista, non volevano che si sapesse che ad Assisi ci fossero anche dei lebbrosi.
Questa osservazione ha portato i ragazzi a dire che i poveri non sono solo scartati dalla storia ma anche dal racconto della storia e che quindi una delle mete della Economy of Francesco era quella di rimettere la scena che non è stata dipinta da Giotto al centro della economia.
Ad Assisi questi giovani non hanno firmato un appello a nessun governo ma un patto in cui si impegnano in prima persona.
Questo patto dovremmo farlo un po' nostro. Se ognuno fa il suo pezzettino magari riusciamo a rendere queste nostre città e queste nostre terre più abitabili, più inclusive e più giuste.
*Alessandra Smerili è segretaria per il dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. testo tratto dal suo intervento nel Festival della Missione (Milano, 1 ottobre 2022).
Leggi anche la LETTERA DI PAPA FRANCISCO e il PATTO PER UNA NUOVA ECONOMIA
Cari amici giovani economisti, imprenditori e imprenditrici di tutto il mondo,
vi scrivo per invitarvi ad un’iniziativa che ho tanto desiderato: un evento che mi permetta di incontrare chi oggi si sta formando e sta iniziando a studiare e praticare una economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda. Un evento che ci aiuti a stare insieme e conoscerci, e ci conduca a fare un “patto” per cambiare l’attuale economia e dare un’anima all’economia di domani.
Sì, occorre “ri-animare” l’economia! E quale città è più idonea per questa di Assisi, che da secoli è simbolo e messaggio di un umanesimo della fraternità?
Qui infatti Francesco si spogliò di ogni mondanità per scegliere Dio come stella polare della sua vita, facendosi povero con i poveri, fratello universale. Dalla sua scelta di povertà scaturì anche una visione dell’economia che resta attualissima. Essa può dare speranza al nostro domani, a vantaggio non solo dei più poveri, ma dell’intera umanità. È necessaria, anzi, per le sorti di tutto il pianeta, la nostra casa comune, «sora nostra Madre Terra», come Francesco la chiama nel suo Cantico di Frate Sole.
Nella Lettera Enciclica Laudato si’ ho sottolineato come oggi più che mai tutto è intimamente connesso e la salvaguardia dell’ambiente non può essere disgiunta dalla giustizia verso i poveri e dalla soluzione dei problemi strutturali dell’economia mondiale. Occorre pertanto correggere i modelli di crescita incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente, l’accoglienza della vita, la cura della famiglia, l’equità sociale, la dignità dei lavoratori, i diritti delle generazioni future.
Francesco d’Assisi è l’esempio per eccellenza della cura per i deboli e di una ecologia integrale. Mi vengono in mente le parole a lui rivolte dal Crocifisso nella chiesetta di San Damiano: «Va’, Francesco, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina». Quella casa da riparare ci riguarda tutti. Riguarda la Chiesa, la società, il cuore di ciascuno di noi. Riguarda sempre di più anche l’ambiente che ha urgente bisogno di una economia sana e di uno sviluppo sostenibile che ne guarisca le ferite e ne assicuri un futuro degno.
Ho pensato di invitare in modo speciale voi giovani perché, con il vostro desiderio di un avvenire bello e gioioso, voi siete già profezia di un’economia attenta alla persona e all’ambiente.
Carissimi giovani, io so che voi siete capaci di ascoltare col cuore le grida sempre più angoscianti della terra e dei suoi poveri in cerca di aiuto e di responsabilità, cioè di qualcuno che “risponda” e non si volga dall’altra parte. Se ascoltate il vostro cuore, vi sentirete portatori di una cultura coraggiosa e non avrete paura di rischiare e di impegnarvi nella costruzione di una nuova società. Gesù risorto è la nostra forza! Come vi ho detto a Panama e scritto nell’Esortazione apostolica postsinodale Christus vivit: «Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Attraverso di voi entra il futuro nel mondo» (n. 174).
Le vostre università, le vostre imprese, le vostre organizzazioni sono cantieri di speranza per costruire altri modi di intendere l’economia e il progresso, per combattere la cultura dello scarto, per dare voce a chi non ne ha, per proporre nuovi stili di vita. Finché il nostro sistema economico-sociale produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, non ci potrà essere la festa della fraternità universale.
Per questo desidero incontrarvi ad Assisi**: per promuovere insieme, attraverso un “patto” comune, un processo di cambiamento globale che veda in comunione di intenti non solo quanti hanno il dono della fede, ma tutti gli uomini di buona volontà, al di là delle differenze di credo e di nazionalità, uniti da un ideale di fraternità attento soprattutto ai poveri e agli esclusi.
1 maggio 2019. memoria di San Giuseppe Lavoratore
** L'evento era previsto per marzo 2020 poi venne sospeso a causa della pandemia de Covid19 ed è stato celebrato nei giorni 24 settembre 2022
Noi, giovani economisti, imprenditori, changemakers, chiamati qui ad Assisi da ogni parte del mondo, consapevoli della responsabilità che grava sulla nostra generazione, ci impegniamo ora, singolarmente e tutti insieme, a spendere la nostra vita affinché l’economia di oggi e di domani diventi una Economia del Vangelo. Quindi:
un’economia di pace e non di guerra,
un’economia che contrasta la proliferazione delle armi, specie le più distruttive, un’economia che si prende cura del creato e non lo depreda,
un’economia a servizio della persona, della famiglia e della vita, rispettosa di ogni donna, uomo, bambino, anziano e soprattutto dei più fragili e vulnerabili,
un’economia dove la cura sostituisce lo scarto e l’indifferenza,
un’economia che non lascia indietro nessuno, per costruire una società in cui le pietre scartate dalla mentalità dominante diventano pietre angolari,
un’economia che riconosce e tutela il lavoro dignitoso e sicuro per tutti, in particolare per le donne, un’economia dove la finanza è amica e alleata dell’economia reale e del lavoro e non contro di essi,
un’economia che sa valorizzare e custodire le culture e le tradizioni dei popoli, tutte le specie viventi e le risorse naturali della Terra,
un’economia che combatte la miseria in tutte le sue forme, riduce le diseguaglianze e sa dire, con Gesù e con Francesco, “beati i poveri”,
un’economia guidata dall’etica della persona e aperta alla trascendenza,
un’economia che crea ricchezza per tutti, che genera gioia e non solo benessere perché una felicità non condivisa è troppo poco.
Noi in questa economia crediamo. Non è un’utopia, perché la stiamo già costruendo. E alcuni di noi, in mattine particolarmente luminose, hanno già intravisto l’inizio della terra promessa.
Questo testo offre uno strumento di supporto per una prima lettura dell’Enciclica, aiutando a coglierne lo sviluppo d’insieme e a individuarne le linee di fondo. Le prime due pagine presentano la Laudato si’ nel suo insieme, poi ogni pagina corrisponde a un capitolo, ne indica l’obiettivo e ne riproduce alcuni passaggi chiave. I numeri tra parentesi rinviano ai paragrafi dell’Enciclica. Nelle ultime due pagine è riportato per intero il sommario.
Uno sguardo d’insieme
«Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?» (160). Questo interrogativo è al cuore della Laudato si’, l’attesa Enciclica sulla cura della casa comune di Papa Francesco. Che prosegue: «Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale», e questo conduce a interrogarsi sul senso dell’esistenza e sui valori alla base della vita sociale: «Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi?»: se non ci poniamo queste domande di fondo – dice il Pontefice – «non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti».
L’Enciclica prende il nome dall’invocazione di san Francesco, «Laudato si’, mi’ Signore», che nel Cantico delle creature ricorda che la terra, la nostra casa comune, «è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia» (1). Noi stessi «siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora» (2).
Ora, questa terra, maltrattata e saccheggiata si lamenta e i suoi gemiti si uniscono a quelli di tutti gli abbandonati del mondo. Papa Francesco invita ad ascoltarli, sollecitando tutti e ciascuno – singoli, famiglie, collettività locali, nazioni e comunità internazionale – a una «conversione ecologica», secondo l’espressione di san Giovanni Paolo II, cioè a «cambiare rotta», assumendo la bellezza e la responsabilità di un impegno per la «cura della casa comune». Allo stesso tempo Papa Francesco riconosce che «Si avverte una crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura, e matura una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta» (19), legittimando uno sguardo di speranza che punteggia l’intera Enciclica e manda a tutti un messaggio chiaro e pieno di speranza:«L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune» (13); «l’essere umano è ancora capace di intervenire positivamente» (58); «non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi» (205).
Papa Francesco si rivolge certo ai fedeli cattolici, riprendendo le parole di san Giovanni Paolo II: «i cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede» (64), ma si propone «specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune» (3): il dialogo percorre tutto il testo, e nel cap. 5 diventa lo strumento per affrontare e risolvere i problemi. Fin dall’inizio Papa Francesco ricorda che anche «altre Chiese e Comunità cristiane – come pure altre religioni – hanno sviluppato una profonda preoccupazione e una preziosa riflessione» sul tema dell’ecologia (7). Anzi, ne assume esplicitamente il contributo, a partire da quello del «caro Patriarca Ecumenico Bartolomeo» (7), ampiamente citato ai nn. 8-9. A più riprese, poi, il Pontefice ringrazia i protagonisti di questo impegno – tanto singoli quanto associazioni o istituzioni –, riconoscendo che «la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali [ha] arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni» (7) e invita tutti a riconoscere «la ricchezza che le religioni possono offrire per un’ecologia integrale e per il pieno sviluppo del genere umano» (62).
L’itinerario dell’Enciclica è tracciato nel n. 15 e si snoda in sei capitoli. Si passa da un ascolto della situazione a partire dalle migliori acquisizioni scientifiche oggi disponibili (cap. 1), al confronto con la Bibbia e la tradizione giudeo-cristiana (cap. 2), individuando la radice dei problemi (cap. 3) nella tecnocrazia e in un eccessivo ripiegamento autoreferenziale dell’essere umano. La proposta dell’Enciclica (cap. 4) è quella di una «ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali» (137), inscindibilmente legate con la questione ambientale. In questa prospettiva, Papa Francesco propone (cap. 5) di avviare a ogni livello della vita sociale, economica e politica un dialogo onesto, che strutturi processi decisionali trasparenti, e ricorda (cap. 6) che nessun progetto può essere efficace se non è animato da una coscienza formata e responsabile, suggerendo spunti per crescere in questa direzione a livello educativo, spirituale, ecclesiale, politico e teologico. Il testo termina con due preghiere, una offerta alla condivisione con tutti coloro che credono in «un Dio creatore onnipotente» (246), e l’altra proposta a coloro che professano la fede in Gesù Cristo, ritmata dal ritornello «Laudato si’», con cui l’Enciclica si apre e si chiude.
Il testo è attraversato da alcuni assi tematici, affrontati da una varietà di prospettive diverse, che gli conferiscono una forte unitarietà: «l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita» (16).
Capitolo primo – Quello che sta accadendo alla nostra casa
Il capitolo assume le più recenti acquisizioni scientifiche in materia ambientale come modo per ascoltare il grido della creazione, «trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare» (19). Si affrontano così «vari aspetti dell’attuale crisi ecologica» (15).
I mutamenti climatici: «I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità» (25). Se «Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti» (23), l’impatto più pesante della sua alterazione ricade sui più poveri, ma molti «che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi» (26): «la mancanza di reazioni di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile» (25).
La questione dell’acqua: il Pontefice afferma a chiare lettere che «l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani». Privare i poveri dell’accesso all’acqua significa negare «il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità» (30).
La tutela della biodiversità: «Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre» (33). Non sono solo eventuali “risorse” sfruttabili, ma hanno un valore in sé stesse. In questa prospettiva «sono lodevoli e a volte ammirevoli gli sforzi di scienziati e tecnici che cercano di risolvere i problemi creati dall’essere umano», ma l’intervento umano, quando si pone a servizio della finanza e del consumismo, «fa sì che la terra in cui viviamo diventi meno ricca e bella, sempre più limitata e grigia» (34).
Il debito ecologico: nel quadro di un’etica delle relazioni internazionali, l’Enciclica indica come esista «un vero “debito ecologico”» (51), soprattutto del Nord nei confronti del Sud del mondo. Di fronte ai mutamenti climatici vi sono «responsabilità diversificate» (52), e quelle dei Paesi sviluppati sono maggiori.
Nella consapevolezza delle profonde divergenze rispetto a queste problematiche, Papa Francesco si mostra profondamente colpito dalla «debolezza delle reazioni» di fronte ai drammi di tante persone e popolazioni. Nonostante non manchino esempi positivi (58), segnala «un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità» (59). Mancano una cultura adeguata (53) e la disponibilità a cambiare stili di vita, produzione e consumo (59), mentre urge «creare un sistema normativo che [...] assicuri la protezione degli ecosistemi» (53).
Capitolo secondo – Il Vangelo della creazione
Per affrontare le problematiche illustrate nel capitolo precedente, Papa Francesco rilegge i racconti della Bibbia, offre una visione complessiva che viene dalla tradizione ebraico-cristiana e articola la «tremenda responsabilità» (90) dell’essere umano nei confronti del creato, l’intimo legame tra tutte le creature e il fatto che «l’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti» (95).
Nella Bibbia, «il Dio che libera e salva è lo stesso che ha creato l’universo» e «in Lui affetto e forza si coniugano» (73). Centrale è il racconto della creazione per riflettere sul rapporto tra l’essere umano e le altre creature e su come il peccato rompa l’equilibrio di tutta la creazione nel suo insieme: «Questi racconti suggeriscono che l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra. Secondo la Bibbia, queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato» (66).
Per questo, anche se «qualche volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature» (67). All’essere umano spetta la responsabilità di «“coltivare e custodire” il giardino del mondo (cfr Gen 2,15)» (67), sapendo che «lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio» (83).
Che l’essere umano non sia il padrone dell’universo, «non significa equiparare tutti gli esseri viventi e toglier[gli] quel valore peculiare» che lo caratterizza; e «nemmeno comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità» (90). In questa prospettiva, «Ogni maltrattamento verso qualsiasi creatura “è contrario alla dignità umana”» (92), ma «Non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani» (91). Serve la consapevolezza di una comunione universale: «creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, […] che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile» (89).
Conclude il capitolo il cuore della rivelazione cristiana: «Gesù terreno» con la «sua relazione tanto concreta e amorevole con il mondo» è «risorto e glorioso, presente in tutto il creato con la sua signoria universale» (100).
Capitolo terzo – La radice umana della crisi ecologica
Questo capitolo presenta un’analisi della situazione attuale, «in modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde» (15), in un dialogo con la filosofia e le scienze umane.
Un primo fulcro del capitolo sono le riflessioni sulla tecnologia: ne viene riconosciuto con gratitudine l’apporto al miglioramento delle condizioni di vita (102-103), tuttavia essa dà «a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero» (104). Sono proprio le logiche di dominio tecnocratico che portano a distruggere la natura e a sfruttare le persone e le popolazioni più deboli. «Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica» (109), impedendo di riconoscere che «Il mercato da solo [...] non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale» (109).
Alla radice si diagnostica nell’epoca moderna un eccesso di antropocentrismo (116): l’essere umano non riconosce più la propria giusta posizione rispetto al mondo e assume una posizione autoreferenziale, centrata esclusivamente su di sé e sul proprio potere. Ne deriva una logica «usa e getta» che giustifica ogni tipo di scarto, ambientale o umano che sia, che tratta l'altro e la natura come semplice oggetto e conduce a una miriade di forme di dominio. È la logica che porta a sfruttare i bambini, ad abbandonare gli anziani, a ridurre altri in schiavitù, a sopravvalutare la capacità del mercato di autoregolarsi, a praticare la tratta di esseri umani, il commercio di pelli di animali in via di estinzione e di “diamanti insanguinati”. È la stessa logica di molte mafie, dei trafficanti di organi, del narcotraffico e dello scarto dei nascituri perché non corrispondono ai progetti dei genitori. (123)
In questa luce l’Enciclica affronta due problemi cruciali per il mondo di oggi. Innanzitutto il lavoro: «In qualunque impostazione di ecologia integrale, che non escluda l’essere umano, è indispensabile integrare il valore del lavoro» (124), così come «Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società» (128).
La seconda riguarda i limiti del progresso scientifico, con chiaro riferimento agli OGM (132-136), che sono «una questione di carattere complesso» (135). Sebbene «in alcune regioni il loro utilizzo ha prodotto una crescita economica che ha contribuito a risolvere alcuni problemi, si riscontrano significative difficoltà che non devono essere minimizzate» (134), a partire dalla «concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi» (134). Papa Francesco pensa in particolare ai piccoli produttori e ai lavoratori rurali, alla biodiversità, alla rete di ecosistemi. È quindi necessario «un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome» a partire da «linee di ricerca autonoma e interdisciplinare» (135).
Capitolo quarto – Un’ecologia integrale
Il cuore della proposta dell’Enciclica è l’ecologia integrale come nuovo paradigma di giustizia; un’ecologia «che integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda» (15). Infatti, non possiamo «considerare la natura come qualcosa separato da noi o come una mera cornice della nostra vita» (139). Questo vale per quanto viviamo nei diversi campi: nell’economia e nella politica, nelle diverse culture, in particolar modo in quelle più minacciate, e persino in ogni momento della nostra vita quotidiana.
La prospettiva integrale mette in gioco anche una ecologia delle istituzioni: «Se tutto è in relazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana: “Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali”» (142).
Con molti esempi concreti, Papa Francesco non fa che ribadire il proprio pensiero: c’è un legame tra questioni ambientali e questioni sociali e umane che non può mai essere spezzato. Così «l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa» (141), in quanto «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale» (139).
Questa ecologia integrale «è inseparabile dalla nozione di bene comune»(156), da intendersi però in maniera concreta: nel contesto di oggi, in cui «si riscontrano tante inequità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali», impegnarsi per il bene comune significa fare scelte solidali sulla base di «una opzione preferenziale per i più poveri» (158). È questo anche il modo migliore per lasciare un mondo sostenibile alle prossime generazioni, non a proclami, ma attraverso un impegno di cura per i poveri di oggi, come già aveva sottolineato Benedetto XVI: «oltre alla leale solidarietà intergenerazionale, occorre reiterare l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà intragenerazionale» (162).
L'ecologia integrale investe anche la vita quotidiana, a cui l’Enciclica riserva un’attenzione specifica in particolare in ambiente urbano. L’essere umano ha una grande capacità di adattamento ed «è ammirevole la creatività e la generosità di persone e gruppi che sono capaci di ribaltare i limiti dell’ambiente, [...] imparando ad orientare la loro esistenza in mezzo al disordine e alla precarietà» (148). Ciononostante, uno sviluppo autentico presuppone un miglioramento integrale nella qualità della vita umana: spazi pubblici, abitazioni, trasporti, ecc. (150-154).
Anche «il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio» (155).
Capitolo quinto – Alcune linee di orientamento e di azione
Questo capitolo affronta la domanda su che cosa possiamo e dobbiamo fare. Le analisi non possono bastare: ci vogliono proposte «di dialogo e di azione che coinvolgano sia ognuno di noi, sia la politica internazionale» (15), e «che ci aiutino ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando» (163). Per Papa Francesco è imprescindibile che la costruzione di cammini concreti non venga affrontata in modo ideologico, superficiale o riduzionista. Per questo è indispensabile il dialogo, termine presente nel titolo di ogni sezione di questo capitolo: «Ci sono discussioni, su questioni relative all’ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. […] la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma [io] invito ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune» (188).
Su questa base Papa Francesco non teme di formulare un giudizio severo sulle dinamiche internazionali recenti: «i Vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anni non hanno risposto alle aspettative perché, per mancanza di decisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientali globali realmente significativi ed efficaci» (166). E si chiede «Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?» (57). Servono invece, come i Pontefici hanno ripetuto più volte a partire dallaPacem in terris, forme e strumenti efficaci di governance globale (175): «abbiamo bisogno di un accordo sui regimi di governance per tutta la gamma dei cosiddetti beni comuni globali» (174), visto che «“la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente”» (190, che riprende le parole del Compendio della dottrina sociale della Chiesa).
Sempre in questo capitolo, Papa Francesco insiste sullo sviluppo di processi decisionali onesti e trasparenti, per poter «discernere» quali politiche e iniziative imprenditoriali potranno portare «ad un vero sviluppo integrale» (185). In particolare, lo studio dell’impatto ambientale di un nuovo progetto «richiede processi politici trasparenti e sottoposti al dialogo, mentre la corruzione che nasconde il vero impatto ambientale di un progetto in cambio di favori spesso porta ad accordi ambigui che sfuggono al dovere di informare ed a un dibattito approfondito» (182).
Particolarmente incisivo è l’appello rivolto a chi ricopre incarichi politici, affinché si sottragga «alla logica efficientista e “immediatista”» (181) oggi dominante: «se avrà il coraggio di farlo, potrà nuovamente riconoscere la dignità che Dio gli ha dato come persona e lascerà, dopo il suo passaggio in questa storia, una testimonianza di generosa responsabilità» (181).
Capitolo sesto – Educazione e spiritualità ecologica
Il capitolo finale va al cuore della conversione ecologica a cui l’Enciclica invita. Le radici della crisi culturale agiscono in profondità e non è facile ridisegnare abitudini e comportamenti. L’educazione e la formazione restano sfide centrali: «ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo» (15); sono coinvolti tutti gli ambiti educativi, in primis «la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi» (213).
La partenza è «puntare su un altro stile di vita» (203-208), che apre anche la possibilità di «esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale» (206). È ciò che accade quando le scelte dei consumatori riescono a «modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione» (206).
Non si può sottovalutare l’importanza di percorsi di educazione ambientale capaci di incidere su gesti e abitudini quotidiane, dalla riduzione del consumo di acqua, alla raccolta differenziata dei rifiuti fino a «spegnere le luci inutili» (211): «Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo» (230). Tutto ciò sarà più semplice a partire da uno sguardo contemplativo che viene dalla fede: «Per il credente, il mondo non si contempla dal di fuori ma dal di dentro, riconoscendo i legami con i quali il Padre ci ha unito a tutti gli esseri. Inoltre, facendo crescere le capacità peculiari che Dio ha dato a ciascun credente, la conversione ecologica lo conduce a sviluppare la sua creatività e il suo entusiasmo» (220).
Ritorna la linea proposta nell’Evangelii Gaudium: «La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante» (223), così come «La felicità richiede di saper limitare alcune necessità che ci stordiscono, restando così disponibili per le molteplici possibilità che offre la vita» (223); in questo modo diventa possibile «sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti» (229).
I santi ci accompagnano in questo cammino. San Francesco, più volte citato, è «l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia» (10), modello di come «sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore (10). Ma l’enciclica ricorda anchesan Benedetto, santa Teresa di Lisieux e il beato Charles de Foucauld.
Dopo la Laudato si’, l’esame di coscienza, lo strumento che la Chiesa ha sempre raccomandato per orientare la propria vita alla luce della relazione con il Signore, dovrà includere una nuova dimensione, considerando non solo come si è vissuta la comunione con Dio, con gli altri e con se stessi, ma anche con tutte le creature e la natura.