In Piazza San Pietro i funerali di Francesco con la partecipazione di 250 mila persone da tutto il mondo, tra cui diversi capi di Stato e di governo. Celebrazione solenne intervallata dagli applausi della gente dispiegata fino a Castel Sant'Angelo.
Il cardinale Re: "Incessante l'impegno per la pace di fronte all'infuriare delle guerre. Ha ricordato con forza che siamo tutti fratelli". Il lungo pellegrinaggio del feretro tra le vie di Roma verso Santa Maria Maggiore
Con chi gli era più vicino scherzava sul fatto di aver detto a Dio che era disponibile ad arrivare “fino a cento anni”, ma poi aggiungeva di non vedere l’ora di incontrare Cristo e la Madonna, la madre, e che in questo giorno del distacco dalla vita terrena avrebbe voluto una “festa”. Ed è stata una festa, intrisa di tutta la sua solennità, la Messa esequiale di Papa Francesco che si è celebrata questa mattina, 26 aprile, in Piazza San Pietro con oltre 250 mila persone venute da ogni parte del mondo, tra cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi, suore, ambasciatori, famiglie, poveri, migranti, giovani e bambini, capi di Stato e di Governo (tra loro anche i presidenti di Stati Uniti e Ucraina, Donald Trump e Volodymyr Zelensky, incontratisi prima dopo tra loro nella Basilica vaticana e poi con Emmanuel Macron e Keir Starmer).
La processione dei sediari con il feretro del Pontefice
“Tutti, tutti, tutti” venuti a dare l’ultimo saluto a un Papa sempre “in mezzo alla gente” e “con il cuore aperto a tutti”, come ha detto il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, durante l’omelia della Messa. Di questa festa restano le immagini, come le tante che hanno costellato questo pontificato. A cominciare dalle mani poggiate sulla bara dei membri di quella che è stata finora la sua “famiglia”: i segretari argentini don Daniel Pellizzon e don Juan Cruz Villalón, quasi due “figli” conosciuti dalla giovinezza a Buenos Aires, e il fedele segretario italiano, il diplomatico don Fabio Salerno; poi gli aiutanti di camera, Piergiorgio Zanetti e Daniele Cherubini e, infine, Massimiliano Strappetti, l’assistente sanitario personale, al suo fianco in tutto il difficile tempo della malattia fino all’ultimo respiro, che ha dato un bacio al feretro prima della uscita sul sagrato. E poi, ancora, tra le immagini: il sole che sorge da dietro l’obelisco e che illumina la bara poggiata su una pedana nel centro della piazza, con sopra il Vangelo sfogliato dal vento come avvenne al funerale del suo predecessore, Giovanni Paolo II, vent’anni fa; le lacrime della gente e dei parenti di sangue; la lunga fila che da San Pietro si è snodata fino a Castel Sant’Angelo, dove molti hanno atteso l'evento dalla notte prima; la bandiera dei ragazzi con la scritta: “Adios padre, maestro y poeta”.
Restano i colori: la porpora dei cardinali, le mitre dorate dei patriarchi delle Chiese orientali, le velette nere delle consorti di sovrani e diplomatici, il copricapo piumato bianco e rosso degli indigeni del Canada. Restano i suoni: il vagito di una neonata nella delegazione argentina, il garrito dei gabbiani mischiato al ronzio dei droni, il Requiem della Schola Cantorum e l’Ora pro eo intonato dalla moltitudine di gente in risposta alle litanie in latino; il “W il Papa”, gridato sommessamente da un uomo tra le prime file.
Ma restano soprattutto gli applausi. Tanti applausi, partiti dal fondo della folla e arrivati come una risacca fino all’altare all’uscita della bara dalla Basilica di San Pietro, alle 10.08, portata in spalla dai sediari pontifici in una processione silenziosa. Applausi andati ad interrompere alcuni passaggi dell’omelia del cardinale Re. Quelli in cui il decano ha ricordato il desiderio di Jorge Mario Bergoglio di una Chiesa che fosse “casa aperta a tutti”, il suo primissimo viaggio a Lampedusa per regalare sollievo in mezzo ad una delle più tremende tragedie migratorie, il suo richiamo a doveri e responsabilità per la Casa comune; l’incessante appello tra la pandemia di Covid e il dramma della guerra: “Nessuno si salva da solo”, implorando pace, pace, pace contro una guerra che – ha detto tante volte – “è sempre una sconfitta”.
Tratti della personalità di Jorge Mario Bergoglio, del suo afflato pastorale, della sua “spiccata attenzione alle persone in difficoltà” e della capacità di spendersi “senza misura”, insieme ai momenti salienti dell’intenso pontificato, a cominciare dai viaggi, si sono intrecciate nella omelia del cardinale Re. Il decano ha ringraziato anzitutto quanti sono venuti da numerosi Paesi “ad esprimere affetto, venerazione e stima verso il Papa che ci ha lasciati”. Ma ha ringraziato soprattutto la gente, accorsa numerosissima in questi tre giorni di esposizione della salma del Pontefice nella Basilica vaticana, e ancora più numerosa oggi in Piazza.
Il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione, che abbiamo visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all’eternità, ci dice quanto l’intenso pontificato di Papa Francesco abbia toccato le menti ed i cuori
La partecipazione dei vescovi e dei cardinali
Il cardinale ha snodato poi la sua riflessione a partire da una immagine “che rimarrà nei nostri occhi e nel nostro cuore”, l’ultima immagine pubblica di Francesco la domenica di Pasqua, quando, nonostante i gravi problemi di salute, ha impartito la benedizione Urbi et Orbi dalla loggia della Basilica di San Pietro e poi è sceso in piazza per salutare dalla papamobile scoperta la grande folla. Un segno della volontà di “percorrere questa via di donazione fino all’ultimo giorno della sua vita terrena”.
Tra metafore e memorie, Re è tornato al 13 marzo 2013, giorno dell’elezione sul Soglio di Pietro dell’arcivescovo di Buenos Aires che si presentò con il semplice nome di Francesco. Una scelta – ha sottolineato– che da subito apparve il simbolo “di un programma e di uno stile su cui egli voleva impostare il suo pontificato, cercando di ispirarsi allo spirito di San Francesco d’Assisi”.
I fedeli presenti ai funerali. Foto: Vatican Media
Conservò il suo temperamento e la sua forma di guida pastorale, e diede subito l’impronta della sua forte personalità nel governo della Chiesa, instaurando un contatto diretto con le singole persone e con le popolazioni, desideroso di essere vicino a tutti, con spiccata attenzione alle persone in difficoltà, spendendosi senza misura, in particolare per gli ultimi della terra, gli emarginati
“È stato un Papa in mezzo alla gente con cuore aperto verso tutti” e anche un Papa “attento al nuovo che emergeva nella società ed a quanto lo Spirito Santo suscitava nella Chiesa”, ha detto Re. Questa attenzione e questa vicinanza si sono rese visibili nel vocabolario attraverso il quale il Papa “ha sempre cercato di illuminare con la sapienza del Vangelo i problemi del nostro tempo”. “Aveva grande spontaneità e una maniera informale di rivolgersi a tutti, anche alle persone lontane dalla Chiesa”, ha rammentato il cardinale.
Ricco di calore umano e profondamente sensibile ai drammi odierni, Papa Francesco ha realmente condiviso le ansie, le sofferenze e le speranze del nostro tempo della globalizzazione, e si è donato nel confortare e incoraggiare con un messaggio capace di raggiungere il cuore delle persone in modo diretto e immediato
Un carisma, quello di Francesco, “dell’accoglienza e dell’ascolto”, unito “ad un modo di comportarsi proprio della sensibilità del giorno d’oggi”: è così che “ha toccato i cuori, cercando di risvegliare le energie morali e spirituali”.
“Il primato dell’evangelizzazione” è stato poi la guida del pontificato, così come “la convinzione che la Chiesa è una casa per tutti; una casa dalle porte sempre aperte”. Più volte Papa Francesco ha fatto ricorso all’immagine della “Chiesa come ospedale da campo”. Una Chiesa “desiderosa di prendersi cura con determinazione dei problemi delle persone e dei grandi affanni che lacerano il mondo contemporaneo” e “capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione, curandone le ferite”.
La bara di Papa Francesco. Foto: Jaime C. Patias
“Innumerevoli sono i suoi gesti e le sue esortazioni in favore dei rifugiati e dei profughi. Costante è stata anche l’insistenza nell’operare a favore dei poveri”, ha evidenziato Re, elencando le visite a Lampedusa, a Lesbo, al confine tra Messico e Stati Uniti. Luoghi, tutti, feriti dal dramma delle migrazioni. Poi l’Iraq, viaggio compiuto nel 2021 “sfidando ogni rischio” e che “resterà nella storia” perché “balsamo sulle ferite aperte della popolazione irachena, che tanto aveva sofferto per l’opera disumana dell’Isis”. Un viaggio anche importante per il dialogo interreligioso, “un’altra dimensione rilevante della sua opera pastorale”.
Papa Francesco ha sempre messo al centro il Vangelo della misericordia, sottolineando ripetutamente che Dio non si stanca di perdonarci: Egli perdona sempre qualunque sia la situazione di chi chiede perdono e ritorna sulla retta via
“Misericordia” e “gioia del Vangelo” altre due parole chiave di questo pontificato: “In contrasto con quella che ha definito ‘la cultura dello scarto’, ha parlato della cultura dell’incontro e della solidarietà”. Anche la “fraternità” ha attraversato tutto il pontificato con toni vibranti. La Fratelli tutti ha cristallizzato questo anelito, con il suo intento di “far rinascere un’aspirazione mondiale alla fraternità” e ricordare che “apparteniamo tutti alla medesima famiglia umana”. Un’altra enciclica rimane simbolica ed è la Laudato si’, per richiamare doveri e corresponsabilità nei riguardi della casa comune, ha detto Re. “Nessuno si salva da solo”, il messaggio centrale, e il Papa lo ha declinato anche nel dramma delle guerre infuriate in questi anni, “con orrori disumani e innumerevoli morti e distruzioni”. Davanti a questo, “Papa Francesco ha incessantemente elevato la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra – diceva - è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole”.
La guerra lascia sempre il mondo peggiore di come era precedentemente: essa è per tutti sempre una dolorosa e tragica sconfitta
Il passaggio della vettura scoperta con la bara di Papa Francesco per le strade di Roma. Foto: Vatican Media
"Ora chiediamo a te di pregare per noi"
Un’eredità enorme, dunque, quella lasciata da Papa Francesco. E oggi tutti pregano “perché Dio lo accolga nell’immensità del suo amore”.
Papa Francesco soleva concludere i suoi discorsi ed i suoi incontri dicendo: “Non dimenticatevi di pregare per me”. Caro Papa Francesco, ora chiediamo a Te di pregare per noi e che dal cielo Tu benedica la Chiesa, benedica Roma, benedica il mondo intero, come domenica scorsa hai fatto dal balcone di questa Basilica in un ultimo abbraccio con tutto il popolo di Dio, ma idealmente anche con l’umanità che cerca la verità con cuore sincero e tiene alta la fiaccola della speranza
Ancora applausi a fine omelia, e anche preghiere in arabo, in cinese, portoghese, polacco. Poi il feretro cosparso di incenso e acqua benedetta, il rito della Ultima Commendatio e della Valedictio, la “Supplicatio” di patriarchi, arcivescovi maggiori e metropoliti delle Chiese orientali cattoliche accanto alla bara ma verso alla bara, con il suggestivo canto: “Concedi il riposo all’anima di questo tuo servo defunto Francesco, vescovo, in un luogo verdeggiante, in un luogo di beatitudine dove non sono più sofferenza, dolore pianto”.
Alcuni bambini portano dei fiori nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Foto: Vatican Media
Le campane di San Pietro hanno suonato alle 12 in punto. Meno di venti minuti dopo si è conclusa la celebrazione e in tanti dalla piazza sono corsi, mentre i sediari portavano il feretro di nuovo all’interno della Basilica, verso la Porta della Preghiera da dove la bara chiusa è uscita sopra un’auto scoperta bianca. Quasi una papamobile ad accompagnarlo nel suo ultimo giro in mezzo al popolo che lo ha atteso numeroso ai lati delle strade di Roma - 150 secondoe le stime - salutando e lacrimando: dall’ingresso del Perugino, passando per il centro storico, fino a San Giovanni in Laterano e, infine, Santa Maria Maggiore. La “sua” Basilica, quella della madre, la Salus Populi Romani, la Vergine che da secoli veglia su Roma e, da oggi, su questo figlio che quando sostava dinanzi a Lei ha sempre avuto sulle labbra una parola: “Grazie”.
* Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano. Pubblicata originalmente in: www.vaticannews.va
Papa Francesco (1936-2025) tra le braccia del Padre
È stato con sorpresa e profonda tristezza che, la mattina del 21 aprile, alla missione di Boroma, fondata dai gesuiti alla fine del XIX secolo, ho ricevuto la notizia del ritorno di Papa Francesco alla casa del Padre.
Era un grande amico del Mozambico, Paese che ha visitato nel settembre 2019. L’ondata di affetto suscitata dalla semplice figura di Francesco ha unito tutti i mozambicani, indipendentemente dal partito politico, dall’etnia e persino dall’appartenenza religiosa. Ci ha lasciato un messaggio di pace e riconciliazione e gesti di solidarietà concreta con le vittime mozambicane dei disastri naturali e dell’insurrezione terroristica a Cabo Delgado, nel Nord del Paese.
Si è detto e si dirà molto su Papa Francesco. Per me è stato un padre e un fratello per tutti. Un Papa missionario, che mi ha ispirato molto nel mio lavoro pastorale come Vescovo di Tete, cercando di rendere questa Chiesa locale, dove i Missionari della Consolata sono arrivati 100 anni fa, una Chiesa «in uscita», con le porte aperte a tutti, una Chiesa missionaria.
Ci lascia con l’impegno di continuare a essere fedeli al Vangelo nella nostra vita quotidiana, come discepoli-missionari del Signore Gesù, che è risurrezione e vita. Speranza dell’umanità.
Sono grato a Papa Francesco per il suo esempio di vita e per le sue parole ispiratrici e trasformatrici rivolte ai fedeli e al mondo: il suo invito a vivere la fede nella gioia e nell’«uscire», senza paura di abbracciare tutti, la sua preoccupazione per i più dimenticati, i più piccoli, i più bisognosi, nella consapevolezza che siamo tutti fratelli e sorelle; e anche la sua vigorosa e instancabile denuncia di un’«economia che uccide», mettendo in pericolo il pianeta, di tanti conflitti che configurano la «terza guerra mondiale a pezzi», così come dei peccati della Chiesa stessa, abusi sessuali, abusi di potere o abusi economici.
Grazie, Francesco.
Perché, come Papa, sei sempre stato un fratello.
Perché, come gesuita, sei sempre stato un missionario.
Oggi piangiamo con te, ma soprattutto ti ringraziamo.
La tua vita è stata il Vangelo condiviso.
La tua morte, un seme di speranza.
* Mons. Diamantino Guapo Antunes, IMC, vescovo di Tete, Mozambico. Pubblicato originalmente in: www.rivistamissioniconsolata.it
Il primo Papa latino-americano è arrivato a Roma dalla “fine del mondo”. Ha scelto il nome di Francesco, ispirato al “poverello” di Assisi. “Come vorrei una Chiesa povera, per i poveri”, ha detto pochi giorni dopo la sua elezione, il 13 marzo 2013.
Ha lavorato instancabilmente per una Chiesa “in uscita” missionaria per raggiungere tutti, come un “ospedale da campo” dove essere accolti, accompagnati e guariti. È diventato il Papa della misericordia e della compassione che ha messo le periferie al centro del mondo. Ha compiuto 47 viaggi apostolici, visitando 66 Paesi, il primo dei quali il Brasile in occasione della GMG 2013. Voleva essere dove tutti erano.
Lascia l'immagine di una grande persona, un leader che ha fatto la differenza in un mondo privo di modelli. Francesco è stato un Papa molto presente e vicino a noi, che ha saputo tessere relazioni tra il suo pontificato e il popolo di Dio. “Pregate per me”, chiedeva, ricuperando l’importanza della preghiera d’intercessione. Telefonava a diverse persone e le sorprendeva con il suo buon umore. Con Francesco, il Papa è diventato umano e, allo stesso tempo, un profeta della misericordia e della speranza, temi di due Giubilei da lui convocati e animati.
Ha avuto a cuore i principali temi che riguardano l'umanità: i poveri e gli esclusi; i migranti e i rifugiati; la cura della nostra casa comune con la sua ecologia integrale (Laudato sì); la pace tra i popoli e le nazioni (Fratelli tutti); il dialogo interreligioso e la comunicazione trasparente. Ha avuto il coraggio di combattere gli abusi nella Chiesa e nella società.
Per noi Missionari della Consolata, Papa Francesco è il Pontefice che ha canonizzato il nostro Fondatore, San Giuseppe Allamano (il 20 ottobre 2024) e ha dato un grande impulso missionario alla vita e alle scelte della Chiesa.
Il 27 gennaio ho avuto la grazia di salutarlo personalmente durante l'udienza con i comunicatori che hanno partecipato al Giubileo del Mondo della Comunicazione. Ho sentito da vicino, ancora una volta, la sua mano e ho sentito il suo calore umano e divino. Guardandolo negli occhi, gli ho detto: “Santo Padre, prego per lei. Oggi è il mio compleanno, chiedo la sua benedizione!”. Francesco ha sorriso e ha chiesto ai suoi assistenti una custodia rossa. Che regalo! Era un rosario. “Grazie, Francesco!”
Negli ultimi giorni, in comunione con tutta la Chiesa, abbiamo pregato molto per la sua salute. Dopo 38 giorni al Gemelli, sembrava avesse superato la crisi. Era tornato a Casa Santa Marta e senza nascondere la sua fragile condizione di anziano ammalato, ha continuato a sorprenderci con i suoi gesti pieni di significato e con la sua parola pronunciata con grande difficoltà.
La domenica di Pasqua, nel suo Messaggio Urbi et Orbi (alla città di Roma e al mondo), Francesco, ricordando le guerre nel mondo, ha lanciato il suo ultimo appello a favore della pace. “Nessuna pace è possibile senza disarmo!” Poi ha offerto la sua benedizione per la Chiesa e per tutta l'umanità, è stato il suo addio...
Il lunedì di Pasqua, 21 aprile 2025, Francesco ha vissuto la sua Pasqua nella certezza che la morte non è la fine di tutto. Ora riposa nell'infinito amore misericordioso del Dio Uno e Trino che ha tanto amato e servito.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la Comunicazione.
Papa Francesco (1936-2025) tra le braccia del Padre
Ringrazio Dio di aver incontrato personalmente Papa Francesco. È stato un grande regalo nella mia vita: un modello di umiltà e povertà francescana da imitare.
Il 16 aprile 2015, durante la visita ad limina di noi vescovi del Kenya, ho avuto la gioia di fare a Papa Francesco un regalo speciale. Gli ho detto: «Io lavoro nella diocesi di Maralal, in mezzo ai pastori e perciò ti offro, a nome loro, questa mia mitria di pelle di capra. Ora anche tu, come buon pastore, potrai avere l’odore di pecora, come sempre vai dicendo ai tuoi preti».
Prima di mettergliela sulla testa, lui stesso volle annusarla e poi commentò: «Questa non è pecora ma capra!». Gli risposi: «Sì, è vero. Vedo che te ne intendi. Ma in Kenya le pecore e le capre vanno al pascolo insieme».
Sette mesi dopo, egli fece visita in Kenya (25-27 novembre 2015), e mi fece una bella sorpresa che dimostrava il suo cuore sempre attento ai piccoli favori. Al suo arrivo, nell’aeroporto di Nairobi, sceso dall’aereo, mentre passava davanti alla fila dei vescovi, mi feci coraggio e gli chiesi: «Santità, Lei non si ricorda di me? Sono quello che Le ha regalato la mitria di pelle di capra, a Roma». «Mi ricordo, sì – rispose – e la tua mitria me la sono portata dietro da Roma e domani la vedrai sulla mia testa durante la Messa».
Il giorno dopo, all’inizio della Messa, sull’altare si girò leggermente verso di me e mi fece un sorriso come per dire: «Vedi, io mantengo le promesse». Che cuore umano e pieno di calore! Tutt’oggi tengo caro ancora due cosette: il Rosario che mi regalò, e che recito tutti i giorni, e un quadretto con la foto in cui lo abbraciai (che coraggio!).
Abbiamo un altro santo che intercede per noi. Un santo che ha baciato i piedi ai presidenti africani, supplicandoli di costruire la pace.
* Mons. Virgilio Pante, IMC, vescovo emerito di Maralal. Pubblicato originalmente in: www.rivistamissioniconsolata.it
Questa mattina il rito di traslazione della salma del Papa da Santa Marta alla Basilica vaticana. Una cerimonia solenne ma intima presieduta dal camerlengo Farrell: "Con grande commozione accompagniamo le spoglie mortali del nostro Francesco". Presenti nel corteo circa 80 cardinali e patriarchi, poi vescovi, sacerdoti, suore, laici. Oltre 20 mila fedeli in Piazza salutano il passaggio del feretro battendo le mani, numerose persone in fila per l'omaggio al Pontefice
Il percorso è stato più o meno lo stesso di quattro giorni fa. Santa Marta, via della Sacrestia, Piazza dei Protomartiri Romani, poi l’Arco delle Campane, Piazza San Pietro, le file davanti al sagrato della Basilica. Domenica scorsa, giorno di Pasqua, era la papamobile a passare, con Francesco che provava a stendere le braccia, appesantite dalle terapie, per accarezzare bambini, salutare e benedire. Oggi, giorno di San Giorgio, il suo onomastico, è una bara di legno a muoversi davanti a 20 mila persone dispiegate in una Piazza illuminata da un sole finalmente primaverile, in lacrime, con le dita a coprire la bocca, il Rosario in una mano e lo smartphone nell’altra per immortalare il momento.
Il corpo di Francesco è vestito con i paramenti rossi, in testa la mitra, intrecciata tra le dita la coroncina in perle nere che portava sempre in tasca, insieme ad una immaginetta di Teresina di Lisieux e un santino del cardinale Jean-Louis Tauran. Viene portato in processione per essere traslato in Basilica. Una cerimonia solenne, che la Chiesa e il mondo non vedevano dall’aprile di vent’anni fa con la morte di Giovanni Paolo II. Cerimonia solenne, presieduta dal cardinale Kevin Joseph Farrell, camerlengo di Santa Romana Chiesa, ma al contempo intima con circa 80 cardinali e patriarchi in prima fila, poi vescovi e arcivescovi, sacerdoti e suore, infine i laici “più dietro”, come ordinato da sampietrini e gentiluomini di Sua Santità.
Oltre 20 mila fedeli in Piazza salutano il passaggio del feretro battendo le mani. Foto: Jaime C. Patias
Si inizia a pregare e cantare da prima dell’uscita della bara aperta, portata a braccio dai sediari pontifici, dalla porta automatica della Domus vaticana che per oltre dodici anni è stata residenza del Pontefice argentino. La salma attraversa il corridoio creato dai penitenzieri con la stola rossa e gli alabardieri della Guardia Svizzera intorno alle 9.10, poco dopo il suggestivo rintocco delle campane e il canto della Schola Cantorum. Dietro ci sono i segretari: l’italiano don Fabio Salerno e gli argentini don Daniel Pellizzon e don Juan Cruz Villalón. Poi l’assistente sanitario personale Massimiliano Strappetti, gli aiutanti di camera Piergiorgio Zanetti e Daniele Cherubini. Tutti sono visibilmente commossi e in questi ultimi due giorni hanno vegliato sul flusso enorme di persone venute a dare omaggio al Papa nella cappella di Santa Marta.
Numerose persone in fila per l'omaggio al Pontefice. Foto: Jaime C. Patias
«Fratelli e sorelle carissimi, con grande commozione accompagniamo le spoglie mortali del nostro Papa Francesco nella Basilica Vaticana, dove ha esercitato spesso il suo ministero di Vescovo della Chiesa che è in Roma e di Pastore della Chiesa universale», scandisce Farrell in latino al microfono. «Mentre lasciamo questa casa, ringraziamo il Signore per gli innumerevoli doni che, tramite il suo servo, il Papa Francesco, ha elargito al popolo cristiano, e supplichiamolo perché, misericordioso e benigno, conceda a lui l’eterna dimora nel regno dei cieli e doni il conforto della superna speranza alla famiglia pontificia, al suo popolo santo che vive in Roma, a tutti i fedeli sparsi nel mondo».
«Procedamus in pace», invita il diacono. Il corteo si snoda quindi in un’unica lunga fila muovendosi all’ombra dei muri e delle statue, del cupolone e degli alberi che puntellano il percorso fino alla Piazza. Da lì, all’apparire della processione parte il primo applauso spontaneo. Gli svizzeri sull’attenti, i gendarmi in divisa – qualcuno anche commosso -, donne con la veletta nera, bambini in braccio ai genitori, tantissimi sacerdoti della Diocesi di Roma accompagnano il passaggio verso il sagrato. Un altro applauso in quel momento a suggellare l’ingresso delle spoglie di Jorge Mario Bergoglio dal portone centrale e il percorso verso la navata centrale fino all’altare della Confessione, luogo in cui Pietro professò la sua fede col martirio.
Il feretro viene deposto su una piccola pedana rossa leggermente inclinata, sopra un tappeto a terra. Nessun catafalco, come sempre avvenuto nel passato, secondo la volontà di Francesco. Il corpo del Papa defunto viene asperso con l’acqua benedetta e incensato. Si proclama il Vangelo, l’assemblea è disposta in semicerchio e segue il canto dei salmi e delle litanie. L’atmosfera continua a mantenere un tono di forte intimità; le prime file di cardinali e vescovi che vanno a dare il loro saluto al Pontefice sono ordinate. Lui è lì, sopra la tomba dell’apostolo, con un’espressione serena che somiglia a un vago sorriso come i tanti che ha dispensato nelle sue uscite pubbliche.
La gente rende omaggio al Papa. Foto: Jaime C. Patias
A catturare più di tutti l’attenzione è suor Geneviève Jeanningros, la piccola sorella di Gesù ultraottantenne che il Papa definiva una «enfant terrible» nei loro continui incontri ogni mercoledì in Piazza San Pietro all’udienza generale, dove lei portava giostrai, rom e persone omosessuali e transgender. Suor Geneviève è in un angolo, piccola, con i suoi occhi azzurrissimi inondati di lacrime davanti al feretro.
Fuori dalla basilica, intanto, le cui porte aprono al pubblico alle 11 in punto, già da ore si sono create lunghissime file di fedeli. I primi gruppi attendono dietro i cancelli recitando i Misteri del Rosario, corrono appena ricevono il via da gendarmi e volontari. Sfoderano gli smartphone una volta arrivati alla transenna e si fermano qualche istante a guardare il Papa facendosi il segno della Croce. Il cordone arriva fino a Via della Conciliazione, dove si fatica anche a passare. La Basilica rimarrà aperta fino a mezzanotte e lo stesso avverrà domani dopo l’apertura alle 7. Venerdì invece si terrà alle 20 il rito di chiusura della bara. Infine sabato 26 aprile, alle 10, in Piazza San Pietro l’ultimo addio al Papa «venuto dalla fine del mondo».
* Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano. Pubblicato orignalmente in: