All'inizio di questo mese all'Università Lateranense abbiamo iniziato il corso di iconografia, aprendoci a un mondo che è sconosciuto alla maggioranza dei cristiani.  Stiamo parlando dello studio delle icone o delle rappresentazioni simboliche da non confondere con l'iconologia che, invece, va oltre gli elementi visivi e ne approfondisce il significato storico, culturale e contestuale di questi simboli e immagini. In altre parole, mentre l'iconografia si riferisce allo studio e all'interpretazione dei simboli e delle immagini utilizzati nell'arte, concentrandosi sulla rappresentazione visiva e sul significato che essi trasmettono, l'iconologia si concentra sulla parte socio-culturale degli stessi. Le due parole sono composte iniziano con "icona", che significa immagine.  Infatti, come tali, sia l’iconografia che l’iconologia si occupano di immagini, che però vengono studiate e interpretate da due angolature diverse.

Le immagini hanno una lunga tradizione nella storia delle chiese. Il riconoscimento del cristianesimo da parte dell'imperatore romano Costantino il Grande diede inizio all’”adornamento” delle chiese con icone, che fino ad allora erano riservate all'uso privato. Le icone venivano utilizzate per rappresentare temi della vita di Cristo, di sua madre Maria e scene della Bibbia o della vita dei santi. In questo modo, anche chi non era in grado di leggere la Bibbia (di fatto il popolo non era autorizzato a leggerla), poteva comprendere il mistero dell'autorivelazione di Dio e della sua opera di salvezza. Le figure e le scene rappresentate nelle icone o nelle pitture murali si basavano su informazioni orali tramandate di bocca in bocca tra i fedeli. La prima icona è attribuita all'evangelista Luca e raffigura la Vergine Maria. Nell'VIII secolo e nella prima metà del IX secolo, nell'Impero bizantino, le icone divennero oggetto di un conflitto teologico e politico che causò disordini nell'impero e oltre, separando i fedeli cristiani in due fazioni: i sostenitori del culto delle icone (iconoduli) e dall’altra, i contrari ad ogni forma di culto dele immagini sacre e ne propugnavano la loro distruzione (iconoclasti).

Oggi le icone sono parte integrante dell'espressione della nostra fede. Infatti, proprio come è avvenuto nel corso dei secoli, le icone sono una forma di preghiera e un "mezzo" per pregare perché aiutano i cristiani a riflettere e meditare. Per questo motivo vengono definite "finestra sul cielo", poiché ci aiutano a concentrarci sulle cose divine. Sebbene contengano ancora aspetti materiali, come la pittura e il colore, attraverso di esse ci viene insegnato a non negare la nostra vita fisica, ma a trasformarla, come facevano le persone sante rappresentate dalle icone. È importante ricordare che le icone stesse sono solo venerate, non adorate. Noi adoriamo solo Dio nella Santissima Trinità.

20240311Iconografia2A differenza di un tempo, quando le icone erano uno strumento di catechesi per gli analfabeti, oggi le icone sono quasi dei sacramentali. Ciò significa che rendono presenti gli eventi storici, attraverso la rappresentazione delle realtà divine in forma visibile. Hanno poi trasceso la funzione didattica che offrivano un tempo. Il loro scopo è quello di condurci al di là di ciò che può essere percepito a livello meramente materiale, di risvegliare in noi nuovi sensi e di insegnarci un nuovo tipo di visione, che percepisce l'invisibile nel visibile. Le icone sono anche escatologiche, in quanto immagini di speranza. Ci danno la certezza del mondo che è da venire e della venuta finale di Cristo. Certamente, le icone sono di natura cristologica. L'icona di Cristo è il centro dell'iconografia sacra e il centro dell'icona di Cristo è il mistero pasquale.

(Foto: l’immagine della Sacra Famiglia come soggetto dell’azione di Dio e dell’apertura al mondo, all’umanità, alla storia" -Marko Ivan Rupnik)

Purtroppo, oggi stiamo vivendo non solo una crisi dell'arte sacra, ma una crisi dell'arte in generale.  A causa della diminuzione della fede o di ciò che molti definiscono come “cecità spirituale”, la Chiesa (e il mondo) sta affrontando una crisi di proporzioni senza precedenti. Il secolarismo, l'individualismo e il materialismo hanno inibito il senso del sacro nella vita di tanta gente, al punto che gli artisti non rappresentano più l'invisibile attraverso il loro talento come facevano un tempo. Con la monetizzazione dei talenti, gli artisti sono venuti meno alla loro responsabilità di aiutare il mondo a vedere l'invisibile attraverso la pittura con i suoi temi, soggetti presentati con linee, colori e sfumature diverse. È la stessa cosa che è accaduta con la musica. Mentre un tempo gli artisti si consideravano strumenti speciali dell'Invisibile per parlare al suo popolo, oggi ciò che conta è la creatività dell'artista e la somma di denaro che può ricavare da un determinato lavoro.  Stranamente, anche il canto che tradizionalmente si diceva che equivaleva a "pregare due volte", oggi non lo è più.

Nello stesso tempo noi, che in un modo o nell’altro “consumiamo” arte, abbiamo perso il senso della vera bellezza, che parla attraverso le opere d’arte. A conferma di questo facciamo notare che abbiamo perso il senso della qualità e della modestia, per passare a una bellezza esteriore che attrae e che non rimanda più oltre sé stessa. Per molti di noi, più un'immagine è astratta, più è spirituale. Non distinguiamo più tra astrattezza e spiritualità dell'arte. Per questo, siamo pronti a mettere in chiesa qualsiasi immagine, purché abbia un personaggio che assomigli vagamente a Cristo, alla Beata Vergine Maria, ai santi e così via. Abbiamo dimenticato che la nostra fede è autentica nella misura ha un continuo riferimento all'immagine di Dio e dei santi che abbiamo nella mente e nel cuore.

Come ha osservato papa Benedetto XVI, la verità non solo ci rende liberi, ma ci permette anche di vedere. Senza di essa, non potremo vedere la bellezza del cosmo che si manifesta nella armonia dei pianeti. Senza la fede e senza un buon rapporto con Dio, ogni volta che guardiamo un'opera d'arte, non vediamo altro che “del materiale lavorato”. E se non c'è altro che semplice materia, nulla ha davvero importanza, compresa la bellezza. La verità è che il bello è inseparabile dal buono (il bene) e dal vero. È necessario il dono di un nuovo tipo di visione, che non dipenda solo dal vedere con i soli occhi. È importante chiedere al Signore, in questo tempo di Quaresima, di darci una fede capace di vedere, perché solo così possiamo scoprire che Cristo è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di tutta la creazione (Col 1,15).

* Padre Jonah M. Makau, IMC, frequenta il corso in Cause dei Santi all'Università Lateranense a Roma.

Si è svolto giovedì 15 febbraio al Polo Culturale “Cultures And Mission” dei Missionari della Consolata a Torino l’incontro «Le sfide della Chiesa» con la partecipazione di Ignazio Ingrao e Enzo Bianchi, moderati da Francesco Antonioli.

Lo spunto di partenza è stata la recente pubblicazione del libro di Ingrao, Cinque domande che agitano la chiesa (Edizioni San Paolo): parla solo ad alcuni? perde frequentanti al nord del mondo, e ne acquista al sud? l’apertura a laici e donne è solo di facciata? l’inizio e fine vita, la vecchiaia, il gender, la scienza, sono problemi che la chiesa sa affrontare? che fine faranno le riforme di Francesco con la fine del suo papato?

Il dibattito è iniziato con un intervento di Enzo Bianchi: il papa è profetico, evangelico, ma il popolo di Dio è “religioso”, vuole i riti, ma non il vangelo: non sopporta i migranti, i poveri. I vescovi sono mediocri, non si vedono figure come Pellegrino e Martini. Francesco non mette in moto la realizzazione delle profezie: non adegua il diritto canonico al ruolo delle donne, non ha attuato il sinodo dell’Amazzonia, tutto di vescovi, che al 93% chiedeva l’ordinazione di viri probati. I preti sono vecchi e stanchi: sono assurdi gli accorpamenti che li impegnano a dire una messa dopo l’altra. Il pastore Francesco cammina, ma il gregge non lo segue: non approva le donne presbitere e la benedizione dei gay. C’è crisi non di questo o quell’aspetto, ma della fede, nel popolo e nella gerarchia. La chiesa è fede e fraternità, oppure non esiste. Fede in Gesù Cristo, non in un dio chissà dove.

Vedi qui la conferenza "Le sfide della Chiesa"

Ingrao ha fatto notare che il problema è l’antropologia, prima della morale: chi è l’uomo? chi siamo? Il primo nemico della fede è la paura: della pandemia, delle guerre. La paura chiude nell’egoismo, contro la fraternità. C’è nostalgia del vangelo, ma ognuno percorre la sua via individuale. Nelle chiese si va a messa, ma non si fa l’esperienza della fraternità, ha detto Enzo Bianchi.

C’è divisione sull’eucarestia: quelli che non accettano la riforma del Concilio! Non ci sono rotture, ma divisioni, proprio sull’eucarestia! Questo è scisma non dichiarato! Il grande problema è la cultura, le idee e tradizioni di una società, perché è la cultura che fa la morale. I vescovi africani non accettano la benedizione agli omosessuali, data la cultura africana.

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lncontro «Le sfide della Chiesa» nel Polo Culturale “Cultures And Mission” dei Missionari della Consolata a Torino.

Oggi Dio non interessa più: è parola insufficiente e ambigua: bisogna portare la parola di Gesù Cristo, è lui che ci ha “spiegato” Dio (Gv 1,18) nella propria carne, come padre buono e misericordioso. Né spiritualità né morale, ma Gesù Cristo, lui che ha vinto la morte con l’amore infinito, l’amore che non muore.

Mi è parso di poter sintetizzare tanti aspetti gravi e difficili in queste semplici considerazioni. Per secoli la chiesa è stata europea e si diffondeva nel mondo legata alle invasioni coloniali. Ora diventa universale se si fa multipolare, pluralista, ecumenica, non compatta se non nella carità, nel rispetto delle differenze di vita, entro la fraternità universale. La fraternità che nasce dalla fede in Cristo libera dalla paura della morte che spinge ad armarci e ad uccidere i differenti, la cui differenza ci spaventa. La fraternità ispirata da Cristo ci libera dalla paura di essere dominati, per cui ci armiamo e ci facciamo dominatori imperiali.

La fraternità cristiana ci rende capaci di avvicinare tutte le civiltà senza suprematismi e disprezzo, ma riconoscendovi forme dell’umano che porta in tutti il segno di Dio, vita che dà vita, in tante forme diverse, e ugualmente degne di vivere in pace sulla terra di tutti.

Fonte: www.ilfoglio.info

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Enzo Bianchi

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Ignazio Ingrao

«A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra». (Mc 4,30-32)

L’Aula Paolo VI in Vaticano come un grande cenacolo. I tavoli rotondi disposti attorno alla Parola e all’icona della Madre, la Salus populi romani che, come a Cana, vigila con premura e discrezione sullo svolgersi del banchetto, custodendo la comunione, la gioia, la festa. Sedute alla mensa della Parola, che risuona nella Scrittura e nella voce dell’altro, oltre 400 persone provenienti dai 5 continenti e dalle più diverse esperienze di Chiesa – cardinali, vescovi, preti, diaconi, consacrati e consacrate, laici e laiche – uniti da ciò che li rende profondamente fratelli e sorelle, al di là di ogni ruolo, titolo, funzione, servizio, responsabilità: il Battesimo, l’immersione in Cristo, la vocazione cristiana! 

Ecco l’immagine della prima sessione della XVI Assemblea del Sinodo dei Vescovi, svoltasi dal 4 al 28 ottobre 2023.

È stata una grazia per me potervi prenderne parte. Una grazia del tutto inaspettata, che ho gradualmente colto nella sua dimensione di novità, di benedizione, di luce a mano a mano che i lavori sinodali procedevano. La veglia di preghiera ecumenica “Together”, svoltasi in piazza San Pietro il 30 settembre, le giornate di ritiro a Sacrofano dalla sera del 30 settembre alla sera del 3 ottobre, le celebrazioni eucaristiche nella Basilica di San Pietro all’inizio dell’Assemblea, all’avvio di ogni nuovo modulo tematico e a conclusione dei lavori, la liturgia quotidiana semplice e curata, il clima di preghiera, di rispetto e di accoglienza cordiale, il dialogo ritmato dalla “conversazione nello Spirito”, con i suoi spazi di silenzio, di ascolto riverente dell’altro e di meditazione personale, hanno favorito la conoscenza reciproca, la libertà di espressione, la riflessione e la rielaborazione del proprio vissuto e del proprio pensiero toccato, illuminato e provocato dal vissuto e dal pensiero altrui, consentendo lo svolgersi di un processo di discernimento che ha condotto progressivamente l’Assemblea a individuare convergenze, questioni da affrontare e proposte, approvate a larghissima maggioranza e raccolte nella Relazione di sintesi. 

Al di là dei contenuti approvati, offerti a tutto il Popolo di Dio come materiale per continuare il discernimento nel periodo che ci separa dalla seconda sessione dell’Assemblea (Ottobre 2024), il clima umano e spirituale che si è creato fra i partecipanti al Sinodo lungo il mese di lavoro assieme costituisce, già di per sé, un dono straordinario, che merita assolutamente di essere contemplato, ruminato, fatto sedimentare e fruttificare nel cuore di chi lo ha ricevuto e in tutta la Chiesa. La comunione è dono dall’Alto, che chiede umilmente di essere accolto nel terreno del nostro cuore e delle nostre relazioni. Questo dono è sceso. Come un piccolissimo seme. Senza rumore. Come brezza leggera; come rugiada; come luce lunare che rinfresca, unifica e consola, senza abbagliare. Ad un certo punto, ce ne siamo accorti, con commossa sorpresa: il seme era lì, dentro di noi e tra di noi, e si manifestava nei sorrisi sinceri, nelle parole rispettose e vere, nelle caramelle che qualcuno portava e giravano per i tavoli, nel cominciare spontaneamente a chiamarci reciprocamente col nome di Battesimo, lasciando da parte un po' di titoli, funzioni, ruoli, ecc. che magari indicano i diversi e essenziali servizi di ognuno di noi ma non identificano la persona nel suo nucleo più profondo. Battezzati e battezzate in Cristo che si riconoscono, si ascoltano, comunicano e, pur seduti a questa mensa tutta particolare, camminano insieme. Insieme nei gruppi di lavoro (Circoli minori, tecnicamente), diversi per ognuno dei temi che l’Instrumentum laboris proponeva. Insieme in Assemblea plenaria (Congregazione generale, tecnicamente), ascoltano l’apporto di ogni gruppo e quello di chi desiderava condividere con tutti un contributo personale. Insieme con papa Francesco, seduto a uno dei tavoli, durante le Assemblee plenarie, ascoltando, ascoltando, ascoltando… e offrendo in qualche momento la sua parola breve, incisiva, sobria, chiara, incoraggiante. Insieme a tanti fratelli e sorelle nel dolore a causa della guerra, di dinamiche assurde, violente e maligne che cercano in ogni modo di sradicare dai cuori e dalle relazioni i semi del Bene. Li abbiamo portati con noi nella preghiera, nella condivisione e nella solidarietà con i fratelli e le sorelle sinodali che provengono da luoghi e situazioni particolarmente segnate da queste dinamiche di morte. Sappiamo che il piccolo seme del Regno possiede in sé stesso la straordinaria tenacia della resurrezione, la forza mitissima dell’Agnello che attraversa la morte e la vince dal di dentro, l’umile potenza del chicco di grano che caduto in terra e sepolto muore per portare frutto. 

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Nella pagina conclusiva della Relazione di sintesi della prima sessione, l’Assemblea sinodale così si esprime: 

«Per annunciare il Regno, Gesù ha scelto di parlare in parabole. Ha trovato nelle esperienze fondamentali della vita dell’uomo – nei segni della natura, nei gesti del lavoro, nei fatti della quotidianità – le immagini per rivelare il mistero di Dio. Così ci ha detto che il Regno ci trascende, ma non ci è estraneo. O lo vediamo nelle cose del mondo o non lo vedremo mai. In un seme che cade nella terra Gesù ha visto rappresentato il suo destino. Apparentemente un nulla destinato a marcire, eppure abitato da un dinamismo di vita inarrestabile, imprevedibile, pasquale. Un dinamismo destinato a dare vita, a diventare pane per molti. Destinato a diventare Eucaristia.

Oggi, in una cultura della lotta per la supremazia e dell’ossessione per la visibilità, la Chiesa è chiamata a ripetere le parole di Gesù, a farle rivivere in tutta la loro forza.

“A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio, o con quale parabola possiamo descriverlo?”. Questa domanda del Signore illumina il lavoro che ora ci aspetta. Non si tratta di disperdersi su molti fronti, inseguendo una logica efficientistica e procedurale. Si tratta piuttosto di cogliere, tra le molte parole e proposte di questa Relazione, ciò che si presenta come un seme piccolo, ma carico di futuro, e immaginare come consegnarlo alla terra che lo farà maturare per la vita di molti» (XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, I Sessione, Relazione di Sintesi, Vaticano 28 ottobre 2023, p. 36).

Dunque, buon lavoro a tutti e a tutte! Alla ricerca del piccolo seme non solo nel lavoro sinodale che ci viene restituito, ma anche dentro di noi, nell’altro, nella comunità, nella Chiesa, nei popoli, nel mondo, per consegnarlo alla terra feconda della nostra umanità e lasciare che Dio lo faccia crescere, albero ospitale per «tutti, tutti, tutti»! (Papa Francesco, Discorso in occasione della XXXVII Giornata Mondiale della Gioventù, Lisbona 03 agosto 2023)

* Suor Simona, che è stata Superiora Generale delle Missionarie della Consolata, dal 7 ottobre 2023 è segretario del Dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

Sono con voi perché, ora come mai, il futuro di tutti dipende dal presente che scegliamo. Sono con voi perché la devastazione del creato è un’offesa a Dio, un peccato non solo personale ma strutturale che si riversa sull’essere umano, soprattutto sui più deboli, un grave pericolo che incombe su ciascuno e che rischia di scatenare un conflitto tra le generazioni. Sono con voi perché il cambiamento climatico è «un problema sociale globale che è intimamente legato alla dignità della vita umana» (Esort. ap. Laudate Deum, 3). Sono con voi per porre la domanda a cui siamo chiamati a rispondere ora: lavoriamo per una cultura della vita o della morte? Vi chiedo, in modo accorato: scegliamo la vita, scegliamo il futuro! Ascoltiamo il gemere della terra, prestiamo ascolto al grido dei poveri, tendiamo l’orecchio alle speranze dei giovani e ai sogni dei bambini! Abbiamo una grande responsabilità: garantire che il loro futuro non sia negato.

È acclarato che i cambiamenti climatici in atto derivano dal surriscaldamento del pianeta, causato principalmente dall’aumento dei gas serra nell’atmosfera, provocato a sua volta dall’attività umana, che negli ultimi decenni è diventata insostenibile per l’ecosistema. L’ambizione di produrre e possedere si è trasformata in ossessione ed è sfociata in un’avidità senza limiti, che ha fatto dell’ambiente l’oggetto di uno sfruttamento sfrenato. Il clima impazzito suona come un avvertimento a fermare tale delirio di onnipotenza. Torniamo a riconoscere con umiltà e coraggio il nostro limite quale unica via per vivere in pienezza.

Che cosa ostacola questo percorso? Le divisioni che ci sono tra noi. Ma un mondo tutto connesso, come quello odierno, non può essere scollegato in chi lo governa. Il compito a cui siamo chiamati oggi non è nei confronti di ieri, ma nei riguardi di domani; di un domani che, volenti o nolenti, o sarà di tutti o non sarà.

Colpiscono, in particolare, i tentativi di scaricare le responsabilità sui tanti poveri e sul numero delle nascite. Sono tabù da sfatare con fermezza. Non è colpa dei poveri, perché la quasi metà del mondo, più indigente, è responsabile di appena il 10% delle emissioni inquinanti, mentre il divario tra i pochi agiati e i molti disagiati non è mai stato così abissale. Questi sono in realtà le vittime di quanto accade: pensiamo alle popolazioni indigene, alla deforestazione, al dramma della fame, dell’insicurezza idrica e alimentare, ai flussi migratori indotti. 

Qual è la via d’uscita? Quella che state percorrendo in questi giorni: la via dell’insieme, il multilateralismo. Infatti, «il mondo sta diventando così multipolare e allo stesso tempo così complesso che è necessario un quadro diverso per una cooperazione efficace. Non basta pensare agli equilibri di potere […]. Si tratta di stabilire regole universali ed efficienti» (Laudate Deum, 42). È preoccupante in tal senso che il riscaldamento del pianeta si accompagni a un generale raffreddamento del multilateralismo, a una crescente sfiducia nella Comunità internazionale.

È essenziale ricostruire la fiducia, fondamento del multilateralismo. Ciò vale per la cura del creato così come per la pace: sono le tematiche più urgenti e sono collegate. 

Quante risorse sprecate negli armamenti, che distruggono vite e rovinano la casa comune! Rilancio una proposta: «con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame» (Lett. enc. Fratelli tutti, 262; cfr S. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 51) e realizzare attività che promuovano lo sviluppo sostenibile dei Paesi più poveri, contrastando il cambiamento climatico.

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È compito di questa generazione prestare orecchio ai popoli, ai giovani e ai bambini per porre le fondamenta di un nuovo multilateralismo. Perché non iniziare proprio dalla casa comune? I cambiamenti climatici segnalano la necessità di un cambiamento politico. Usciamo dalle strettoie dei particolarismi e dei nazionalismi, sono schemi del passato. Abbracciamo una visione alternativa, comune: essa permetterà una conversione ecologica, perché «non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali» (Laudate Deum, 70). 

Testo completo ITALIANO e INGLESE

La nostra risposta deve essere drastica, intensa e con l'impegno di tutti! (cfr. Laudato Si' 59).

La Rete Ecclesiale Pan-Amazzonica (Repam) ci siamo riuniti a Florencia, (nella regione del Caquetá – Colombia), con rappresentanti della Bolivia, del Brasile, della Colombia, dell’Ecuador, della Guyana Francese, del Perù e del Venezuela e con la presenza di organizzazioni alleate internazionali. In un mondo inorridito dall'aumento della violenza e dalla guerre, chiediamo innanzitutto un cessate il fuoco immediato a Gaza e in altri luoghi di conflitto, per promuovere meccanismi e accordi internazionali per la costruzione della pace. È in gioco il futuro della democrazia e dei diritti umani!

La Repam, che festeggia 10 anni di vita, è una risposta profetica sorta dal messaggio evangelico e vuole promuovere la cura della casa comune; far risuonare la voce dei popoli che la abitano e impegnarsi nella difesa dei diritti umani. Siamo ispirati dalla spiritualità incarnata nel territorio, impegnati in nuove modalità di sinodalità, per una Chiesa dal volto amazzonico.

In questi dieci anni, la situazione in Amazzonia è diventata critica e abbiamo raggiunto un punto di non ritorno. Profondamente addolorati per l'agonia di questo bioma e dei suoi popoli, consapevoli della sua importanza per il pianeta, esprimiamo la nostra preoccupazione riguardo a:

1. La CRISI CLIMATICA e il collasso sistemico dell'Amazzonia marcato dai recenti periodi di caldo anomalo, incendi incontrollati, gravi siccità, livelli record di fiumi e laghi che hanno isolato numerose comunità e lasciato migliaia di persone senza accesso all'acqua potabile, ai servizi sanitari, all’istruzione e al cibo.

2. L'ESTRATTIVISMO, la deforestazione accelerata, le concessioni minerarie, lo sfruttamento dei corsi d'acqua, i progetti idroelettrici e le autostrade che sono promosse senza l’approvazione della popolazione residente previamente e liberamente informata delle conseguenza ambientali di ogni decisione. L'espansione della frontiera agricola, le monocolture e l'agrobusiness causano una gigantesca perdita di biodiversità e ostacolano i modi di produzione locali, minacciando la sovranità alimentare. L'uso di prodotti agrochimici e il mercurio inquinano le fonti d'acqua, l'aria e il suolo, compromettendo l'accesso alle risorse naturali e causando gravi malattie tra la popolazione.

3. Lo SVILUPPO MINERARIO ED ENERGETICO dell’Amazzonia, sovrapposto alle aree protette e ai territori comunitari, minaccia l'integrità culturale e territoriale dei popoli indigeni, contadini, costieri e afro-discendenti; la situazione dei popoli in contatto iniziale o in isolamento volontario è ancora più preoccupante.

4. Le false soluzioni dell'ECONOMIA VERDE, con la promozione dei crediti di carbonio e la mercificazione della biodiversità dell'Amazzonia, che non producono contributi effettivi al cambiamento necessario.

5. Il TRAFFICO DI DROGA, gli attori armati legali e illegali che minacciano e assassinano i difensori dei diritti umani e dell'ambiente. La protezione di questi leader deve essere una priorità, anche dopo l'attuazione e la ratifica dell'accordo di Escazú. Siamo inoltre preoccupati per l'aumento dei femminicidi, della perdita di prospettive e dei suicidi tra i giovani.

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Di fronte a questa situazione di emergenza, sollecitiamo l'attuazione di un Piano d'azione integrale per la protezione e la difesa del Pan-Amazzonia e dei suoi popoli, con un serio impegno delle autorità pubbliche e della società civile per prevenire nuove violenze, aiutare le vittime e invertire la situazione.

Le comunità e i popoli amazzonici chiedono alla Chiesa un'alleanza nella ferma difesa dei loro territori, affinché i loro progetti di vita siano garantiti di fronte ai progetti di morte. Apprezziamo il risultato positivo del referendum, che ha mobilitato la Repam e molte organizzazioni per proteggere dallo sfruttamento petrolifero il parco naturale di Yasuní, punto di riferimento mondiale per la biodiversità nell'Amazzonia ecuadoriana.

La Repam ratifica l'appello di Papa Francesco per una governance globale in tempi di crisi climatica, chiedendo che le Conferenze sul clima delle Nazioni Unite (COP) prendano decisioni efficaci, vincolanti e facilmente controllabili.

Chiediamo l'unità dei popoli e delle reti ecclesiali per l'ecologia integrale, un percorso di mobilitazione e sensibilizzazione dalla COP-28, attraverso il Forum Sociale Pan-Amazzonico (FOSPA) di giugno 2024 in Bolivia, fino alla COP-30 nell'Amazzonia brasiliana. La nostra risposta deve essere "drastica, intensa e con l'impegno di tutti" (cfr. Laudato si' 59).

Restiamo legati al Dio della Creazione, il cui Spirito rafforza la nostra cura per la vita dei popoli e per la nostra casa comune!

*Messaggio della Repam riunita in Florencia (Caquetá, colombia) dall'otto al 10 novembre 2023

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