II Domenica del tempo ordinario - B

Pubblicato in Domenica Missionaria

1Sam 3, 3-10.19;
Sal 39; 1Cr 6,13-15.17-20;
Gv 1, 35-42


«Signore, insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco» (S. Anselmo)

Tra le feste natalizie, concluse con quella del Battesimo di Gesù, e l’inizio della Quaresima, l’anno liturgico conosce un periodo che viene chiamato “ordinario”, che non significa di minore importanza. E’ destinato all’approfondimento del mistero di Cristo vissuto negli eventi abituali, ordinari, della nostra vita di ogni giorno, nei loro aspetti piacevoli o meno, lieti o tristi, facili o faticosi. Il Cristo ci accompagna sempre.

La nostra attenzione è rivolta a lui per cogliere il suo straordinario rapporto con la nostra esistenza, perché ogni suo frammento sia vissuto con lui, nell’adesione alla sua parola anche nelle attività comuni e nei momenti spesso ripetitivi dello scorrere del tempo. Questo è evidenziato soprattutto nelle domeniche che seguono la festa del Battesimo di Gesù, che presentano gli inizi del suo ministero pubblico con l’annuncio del vangelo, le guarigioni, il perdono, la chiamata a diventare suoi discepoli e seguirlo fino alla croce per avere parte con lui alla risurrezione.
Gesù inizia la sua attività evangelizzatrice chiamando a sè dei discepoli. Ma il brano dell’evangelista Giovanni proposto per questa domenica mostra che anzitutto non è lui che chiama ma sono altri che lo cercano. Sono tutti noi, sono l’umanità fatta a immagine di Dio e, secondo la nota espressione di Agostino, ha il cuore è inquieto finchè non trova lui. Due discepoli di Giovanni lasciano il Maestro per andare dietro a Gesù. Anch’essi confermano l’intuizione agostiniana: è Gesù, colui al quale tutti devono andare. Giovanni ne è sempre stato cosciente e volentieri accetta la previsione di non aver seguito di discepoli, vivendo fino in fondo la sua missione di essere soltanto “voce” che indica la strada, colui che prepara ad accogliere l’Altro, l’Atteso da sempre. In questa fedeltà assoluta al suo compito, fino a spogliarsi di ciò che poteva avere di più caro, sta la sua grandezza. Non attira a sè, ma indirizza a Gesù. Dovrebbe essere l’atteggiamento di ogni vero ambasciatore di Cristo, come sono gli evangelizzatori, i ministri ordinati, i missionari. A questi, soprattutto, al missionario, è chiesto «di rinunziare a se stesso e a tutto quello che in precedenza possedeva in proprio e a farsi tutto a tutto… nel distacco da persone e dai beni del proprio ambiente per farsi fratello di coloro ai quali è mandato, onde portare a essi Cristo salvatore» (RM 88).
Altro particolare interessante: la ricerca non è scolastica, intellettualistica. Non basta consultare libri, nemmeno le Scritture, come non è stato sufficiente per scribi e sacerdoti, con Erode, per indurli ad andare a incontrare il Nato di Betlemme. E’ l’esperienza diretta, la comunione di vita che fa veramente conoscere Cristo. Solamente chi lo ha incontrato veramente sente poi di dovere comunicare a altri la sua esperienza. Questa cercano e vogliono fare i due discepoli, rimanendo con lui. Dalla comunione di vita matura la conoscenza e scaturisce l’amore. E’ quello che dovrebbe avvenire oggi nell’ascolto del Signore come ha fatto Samuele, nella partecipazione alla celebrazione della liturgia, specialmente dell’eucaristia. Si entra discepoli e si esce apostoli se avviene un incontro profondo con Cristo attraverso la parola, l’eucaristia, la condivisione con i fratelli, la riconciliazione, l’attenzione ai disagi, problemi e situazioni del mondo, la preghiera. Esperienza che si prolunga e matura nell’incontro con le tante forme di povertà, nel servizio, nella “liturgia del vangelo” annunciato ai piccoli e ai poveri.
Incontro che diventa Missione e dà origine a un “passaparola”, come è avvenuto con Andrea che comunica la sua esperienza a Pietro e lo porta all’incontro con Gesù, e poi a altri, fino a ognuno di noi. La responsabilità missionaria di ogni battezzato si esercita soprattutto così, come per contagio, nei tanti incontri di ogni giorno, spesso occasionali, ma che possono diventare comunicazione di qualcosa che dà senso e scuote esistenze demotivate, non pienamente soddisfacenti, monotone e rassegnate. Deve essere stato così nella vicenda raccontata dal vangelo odierno, se i due interessati hanno voluto segnalare perfino l’ora di un incontro che ha cambiato la loro vita.

P. Gottardo Pasqualetti, imc

Ultima modifica il Giovedì, 05 Febbraio 2015 20:12

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