√ Rapporto Astalli. P. Ripamonti: corridoi umanitari, basta volerli

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Non perdiamo di vista le persone, non dimentichiamo i volti e le storie che stanno dietro ai numeri e alle statistiche che riguardano i rifugiati. E’ questo l’appello principale contenuto nel rapporto annuale 2016 del Centro Astalli presentato a Roma, alla presenza del presidente del Senato Pietro Grasso e del prof. Romano Prodi. Il servizio di Francesca Sabatinelli

 

Circa 154 mila rifugiati arrivati in Italia nel 2015, 84 mila le richieste di protezione presentate, 20 mila in più rispetto al 2014. A dare le cifre aggiornate su richiedenti asilo e rifugiati è il Centro Astalli, che sottolinea anche come prosegua, seppur in misura minore, il fenomeno di chi sbarca in Italia ma sceglie di proseguire il viaggio per chiedere asilo altrove in Europa. Il Rapporto racconta come l’accoglienza sia ancora la sfida maggiore per l’Italia che, nel 2015, ha visto superare i 100 mila posti disponibili, così come anche un rallentamento del previsto ampliamento del sistema Sprar. Il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati ribadisce che la burocrazia resta l’ostacolo principale per i rifugiati in Italia. E poi ancora: 620 le persone vulnerabili, vittime di tortura, di violenza o abusi sessuali, accompagnate durante l’anno dal Centro dei Gesuiti, sono loro, spiega il Rapporto, a essere spesso tagliati fuori dall’assistenza e quindi a maggior rischio di esclusione. Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli:

“I dati nazionali, perlomeno del 2015, ci avevano detto che gli sbarchi erano diminuiti, erano stati 150 mila, e noi nei dati del Centro Astalli abbiamo, più o meno, una conferma di questo dato, perché i nostri dati – 21 mila su Roma e 36 mila sul territorio nazionale – si sono mantenuti pressoché invariati rispetto all’anno precedente, anche perché ci sono delle spinte contrastanti. C’è  stata, è vero, una riduzione degli sbarchi nel 2015, però c’è stato un aumento del numero delle domande d’asilo. Quindi, queste due forze contrastanti hanno fatto sì, per esempio, che nel Centro Astalli i numeri siano rimasti costanti”.

Padre Ripamonti torna poi sul viaggio di Papa Francesco a Lesbo, sabato scorso:

“Il Papa, andando a visitare questo campo profughi, questo centro di detenzione, ci ha detto che non è così che si affronta il fenomeno migratorio, ma bisogna ascoltare le storie di queste persone, intervenire sui conflitti da cui vengono queste persone. Una cosa che è passata un po’ in secondo piano è l’appello al traffico delle armi che il Papa ha fatto e che non è certo secondario, perché molti dei conflitti, molte delle persecuzioni e delle violenze che nascono, nascono anche da questo traffico di armi. Quindi, il Papa ci ha detto una cosa: non è chiudendo le porte che risolviamo i problemi, ma affrontando, ascoltando e accogliendo queste persone, guardandole in faccia. Papa Francesco ci ha detto che il corridoio umanitario è possibile, è possibile, basta volerlo. Lui lo ha fatto con dei piccoli numeri, con poche famiglie, ma è stato molto significativo, anche perché musulmane… Anche lì ci ha detto che questa costruzione dei corridoi è una cosa che si può fare e che lo si deve volere anche politicamente. Questo ci permetterebbe anche un maggiore controllo dei flussi migratori, perché ci permetterebbe di selezionare le persone o comunque considerare i numeri all’inizio, nei Paesi e nei campi profughi, e trasferirli poi direttamente nei Paesi di accoglienza”.

Sul "migration compact" presentato dall’Italia all’Ue, padre Camillo Ripamonti mostra tutte le sue riserve:

“Certamente, è importante il fatto che bisogna affrontare il fenomeno migratorio nella sua complessità, quindi intervenendo anche sulle zone di provenienza di queste persone, in cui ci sono guerre, ci sono problemi anche economici. Quindi, gli investimenti sono importanti. Certamente fare degli accordi con dei Paesi nei quali spesso i diritti delle persone non vengono garantiti lascia spazio ad alcune problematiche che vanno, però, considerate. Quindi, sì può essere una strada, però bisogna affrontarla con criterio, tutelando in particolare le persone e le storie di queste persone che scappano da guerre e persecuzioni.

  1. – Quindi, l’accordo Ue-Ankara non è un buon modello da seguire?
  2. – Io direi di no, perché in quell’accordo non tuteliamo veramente le persone, ma ci tuteliamo da queste persone... Stiamo cercando di combattere questi flussi migratori più che affrontarli e gestirli veramente.

Occorre guardare ai rifugiati con occhi diversi,  è la conclusione del Centro Astalli, che da 35 anni accompagna, serve e difende i diritti dei migranti forzati.

 

Ultima modifica il Giovedì, 21 Aprile 2016 09:09

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