IV Domenica di Pasqua / B - “Io sono il Buon Pastore …”

Gesù è il "Buon Pastore" (il “Messia”) che conosce il suo gregge Gesù è il "Buon Pastore" (il “Messia”) che conosce il suo gregge

61ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni

At 4,8-12
Sal 117
I Gv 3,1-2
Gv 10,11-18

La quarta Domenica di Pasqua è considerata la “Domenica del Buon Pastore”, perché ogni anno, in questa domenica, viene proclamato il brano del capitolo 10 del Vangelo secondo Giovanni, che presenta Gesù come il “Buon Pastore". È questo, dunque, il tema centrale che la Parola di Dio suggerisce oggi per la nostra riflessione.

La prima lettura (At 4,8-12) presenta una catechesi rivolta ai credenti per mostrare loro come i discepoli di Gesù devono essere testimoni della fede.

La prima indicazione che Luca offre, riguarda Pietro, che era «pieno di Spirito Santo» (v. 8). I discepoli di Gesù non sono soli, abbandonati al loro destino, quando affrontano difficoltà e mettono a repentaglio la loro vita, per annunciare la salvezza. Infatti, è lo Spirito che li guida nella loro missione, li sostiene nella loro testimonianza e infonde in loro il coraggio necessario per affrontare le ostilità del mondo. Si realizza così la promessa che Gesù aveva fatto ai suoi discepoli: «quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di quello che direte in vostra difesa, perché “lo Spirito Santo vi insegnerà, in quel momento, ciò che bisogna dire” (Lc 12,11-12).

Nel discorso di Pietro emerge il coraggio e l'audacia (Luca usa la parola greca “parresia”) che vince la paura e che spinge l'apostolo verso una testimonianza radicale, (cfr. At 4,13) per testimoniare Gesù, soprattutto in un ambiente ostile. Luca suggerisce che la stessa “parresia” dovrà sempre caratterizzare l’annuncio Gesù da parte dei cristiani.

Nell'introduzione della seconda parte della lettera (1 Gv 3,1-2), l'autore ricorda ai credenti che Dio li ha resi suoi “figli”. E proprio dietro questa iniziativa di Dio si nasconde il suo immenso amore (v.1a). Essere chiamati “figli di Dio” per i credenti non è un semplice titolo onorifico, senza riscontro nella realtà anzi, definisce la situazione di coloro che sono amati da Dio con un amore “audace” e che da Lui hanno ricevuto la vita nuova. È chiaro che per essere “figlio di Dio” bisogna essere in comunione con Lui e vivere in modo coerente con la logica dell’amore verso il prossimo. I “figli di Dio” realizzano le opere di Dio, infatti, poco più avanti, in uno sviluppo che non rientra nella lettura odierna della liturgia, l'autore della lettera contrappone i “figli di Dio” ai “figli del diavolo” – che sono coloro che rifiutano la vita nuova di Dio e non praticano “la giustizia e non amano il fratello” (cfr. 1 Gv 3,7-10).

In quanto “figli di Dio”, vivono in modo coerente con i comandamenti di Dio sulla base di valori contrapposti a quelli che propone il “mondo”. Pertanto, il “mondo” li ignorerà o addirittura li perseguiterà, rifiutando la proposta di cui i “figli di Dio” sono testimoni. Non c’è nulla di nuovo né di sorprendente, perché il “mondo” aveva già rifiutato Cristo e la sua proposta di salvezza (v. 1b).

Il capitolo decimo del 4° Vangelo è dedicato alla catechesi del “Buon Pastore” che l’autore utilizza per spiegare la missione di Gesù: l'opera del “Messia” consiste nel condurre l’umanità verso pascoli verdeggianti e sorgenti cristalline da cui sgorga in pienezza la Vita.

L'immagine del “Buon Pastore” non è stata inventata dall'autore del 4° Vangelo, ma si ispira ad alcuni testi dell’Antico Testamento, in particolare, a Ez 34, dove viene utilizzata la metafora del “pastore” e del “gregge” per parlare del rapporto tra i governanti e il popolo. Il profeta, parlando agli esuli di Babilonia, denuncia che i capi di Israele sono stati, nel corso dei secoli, dei cattivi “pastori”, perché hanno pensato solo a loro stessi e hanno condotto il popolo su sentieri di sofferenza, di ingiustizia e di morte. Per questo, profetizza Ezechiele, Dio stesso verrà e assumerà la guida del suo Popolo, e metterà a capo del suo “gregge” un “Buon Pastore” (il “Messia”), che lo libererà dalla schiavitù e lo condurrà a nuova vita. Questa promessa di Dio – tramandata da Ezechiele – si è realizzata in Gesù cosi come ci racconta Giovanni.

Gesù è il buon pastore che conosce il suo gregge. Dopo aver definito in questo modo la sua missione e il suo rapporto con il gregge, Gesù spiega chi sono le sue pecore e chi può far parte del suo gregge. Quando afferma che “ho ancora altre pecore che non appartengono a questo recinto e devo radunarle” (v.16a), Gesù chiarisce che la sua missione è universale perché non si esaurisce dentro i confini del popolo di Israele, ma intende donare la vita a tutti i popoli della terra. Così deve essere la comunità di Gesù che per essenza, non si identifica con una specifica istituzione politica, sociale o culturale, perché abbraccia l’umanità senza discriminazioni, confini ed è inviata nel mondo intero. Ciò che è decisivo, per far parte della comunità di Gesù, è accogliere la sua chiamata e seguirlo nel progetto di vita che propone. Ci sarà, allora, un'unica comunità, il cui riferimento è Gesù, che camminerà con Lui verso la Vita vera ed eterna, perché “ascolteranno la sua voce e ci sarà un solo gregge e un solo pastore” (cfr. v.16b).

Avendo Cristo, il buon Pastore, come modello da seguire, preghiamo affinché ogni vocazione nella chiesa abbia come obiettivo di “seminare la speranza e costruire la pace…  infatti, siamo chiamati a riscoprire il dono inestimabile di poter dialogare con il Signore, da cuore a cuore, diventando così pellegrini della speranza, perché la preghiera è la prima forza della speranza.  Tu preghi e la speranza cresce e va avanti.” (Papa Francesco, Messaggio per la 61ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 21 aprile 2024)

* Padre Geoffrey Boriga, IMC, studia Bibbia nel Pontificio Istituto Biblico a Roma.

Ultima modifica il Domenica, 21 Aprile 2024 23:20

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