Qo 1,2;2,21-23;
Sal 89;
Col 3,1-5.9-11;
Lc 12,13-21.
Il Vangelo di questa domenica inizia con una situazione concreta della vita: la divisione dell’eredità. Un tale interroga Gesù perché lo aiuti a ricuperare l’eredità che gli spetta: “di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”.
Purtroppo quando si dividono i beni fra le persone care di un defunto succede -succedeva ai tempi di Gesù e succede ancora oggi- che, oltre a dividere i beni, si dividono anche le famiglie e la distribuzione dell’eredità, invece di diventare un momento felice, si trasforma in tragedia. Iniziano le lotte per reclamare i propri diritti e i beni che spettano; si cercano buoni avvocati; si iniziano i processi e alla fine si riconquistano i beni ma si perdono i fratelli.
L’eredità, che è un bene che nasce dalla morte di qualche familiare, interroga il nostro futuro e ci ricorda anche che i beni che possediamo, quando arriva la morte, non li portiamo con noi e non ci appartengono più. Tutto finirà e lasceremo quello che con tanta fatica abbiamo costruito e accumulato. Questa esperienza dovrebbe aiutarci a non attaccare il cuore ai beni, a imparare a usarli per il bene, per vivere, per servire, per amare.
Ma poi è interrogato anche il nostro presente e quindi il nostro vivere quotidiano, il nostro lavorare, i nostri sogni e i nostri progetti. Siamo invitati a un sano discernimento così come fa Gesù con questo tale: cosa sto accumulando, quali sono le cose importanti che accompagnano la mia vita? E cosa lascerò come eredità ai miei, cosa darò alla mia morte?
Gesù davanti alle pretese di quest’uomo che chiede di essere aiutato per avere l’eredità che gli spetta ricorda che la vita non dipende dai beni che possediamo, e soprattutto invita a non essere schiavi delle cose (la cupidigia). La vita dipende dalla nostra capacità di donare: “si è più beati nel dare che nel ricevere” (At 20,35), ci ricorda la Scrittura.
Questo vangelo tocca le corde più quotidiane della nostra esistenza e mette a nudo il nostro cuore perché “dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.” (Mt 6, 21). Cercando l’eredità, cosa cerchiamo, qual è la vera eredità, ciò che da senso alla vita, ciò che ci fa vivere, che ci riempie di gioia e di speranza?
Gesù continua con la parabola di un tale che avendo avuto un raccolto abbondante si domanda: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti?”. Giustamente si dice a se stesso: “Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni.” È giusto non perdere tutti questi beni, per cui vengono accumulati e salvati.
Solo che il problema grande sono proprio i suoi beni: lui alla fine diventa schiavo di questi beni, e sembra voler vivere solo per mangiare, bere e riposarsi. È interessante notare che in questa parabola non appare nessun’altra persona, questo agricoltore è solo: la sua vita è fatta di amore per i suoi raccolti e preoccupazione per la loro conservazione. E allora Gesù commenta: “Ma Dio gli disse: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?»”.
Quel tale voleva riposare e divertirsi, ma non si può riposare finché ci sono guerre, divisioni, povertà, fame, odio, disprezzo, vendetta, egoismo, il vangelo ci ricorda che la nostra vita deve essere una vita che diventa ricca davanti a Dio, e si è ricchi davanti a Dio quando si ama fino a dare la vita per i fratelli. La prima lettera di Giovanni ci ricorda che non possiamo vivere senza amare e “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte.” (1 Gv 3,14).
Questo amore fa parte integrante anche della vita del discepolo missionario di Gesù. La missione, lo ricordano i vescovi del Concilio Vaticano II e anche Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, è fare della nostra chiesa una chiesa aperta agli altri, disposta a costruire fraternità, una chiesa in uscita. Non è cristiana la chiesa egoisticamente preoccupata di quel che può conservare nelle sue sacrestie o... nei suoi granai.