XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C). Signore, insegnaci a pregare

XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C). Signore, insegnaci a pregare Foto di Sasin Tipchai da Pixabay
Pubblicato in Domenica Missionaria

Gn 18,20-21.23-32;
Sal 137;
Col 2,12-14;
Lc 11,1-13.

La preghiera è il tema centrale delle Letture di questa domenica, da una parte la preghiera di Abramo, dall’altra quella di Gesù. Ed è su esempio e testimonianza di Gesù –uomo di preghiera - che i discepoli sentono il desiderio di pregare come Lui: "Signore, insegnaci a pregare", in risposta Gesù offre una formula di preghiera: il Padre Nostro.

Abramo stava ancora alla presenza del Signore

La pagina del libro della Genesi presenta Abramo in preghiera di intercessione per Sodoma e Gomorra. Abramo viene messo al corrente da Dio di un suo progetto su Sodoma e Gomorra - distruggere l’intera città - ed egli si mette faccia a faccia con Dio, in dialogo, per mediare e intercedere per Sodoma e Gomorra. La preghiera è essere davanti a Dio, infatti, l’autore sacro afferma che Abramo sta nella presenza del Signore. Il testo ebraico dice che egli sta davanti a Dio, si trova solo, faccia a faccia, con Yhwh. È una espressione usata come termine tecnico per entrare alla Sua presenza e per definire coloro che intercedono. Abramo, per la sua intercessione, non solo “davanti a Dio” ma si avvicina per entrare in dialogo con Dio: “si avvicinò e gli disse”. Per pregare bisogna dunque che uno si metta vicino a Dio ed essendo vicino può entrare in dialogo. La vicinanza a Dio rivela l’atto di confidenza con Lui che è il nostro interlocutore. Questo rivela che Abramo ha una profonda fiducia in Dio e non ha paura d’insistere nella preghiera per l’intera città, con la preghiera non si limita a domandare la salvezza per gli innocenti ma chiede il perdono per tutta la città e lo fa appellandosi alla giustizia di Dio; dice, infatti, al Signore: «E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?».

Signore, insegnaci a pregare

Gesù passava ore a pregare, sceglieva il luogo, il momento giusto, lasciava qualsiasi impegno e vi si abbandonava. Per Gesù la preghiera è un atto d’amore verso Dio che ci ama. Pregare è amare. Abbiamo bisogno di imparare come pregare sempre più secondo la volontà di Dio. Di natura, le nostre preghiere non vanno sempre bene, i discepoli di Gesù lo hanno capito e hanno chiesto a Gesù di insegnare loro a pregare. Occorre dunque che impariamo a pregare: dopo aver ringraziato il Signore per tutti i Suoi doni, a cominciare da quello della vita, non dobbiamo limitarci a snocciolare un elenco di richieste, ma dobbiamo saper ascoltare la Sua voce poiché questa è la vera preghiera. Nella preghiera di Gesù Egli rivela il suo amore verso suo Padre. Infatti, Luca presenta Gesù «in preghiera» in diversi momenti della sua vita: ad esempio, nel momento del battesimo nel Giordano, prima della scelta dei Dodici, prima di mandare i discepoli oppure in occasione della trasfigurazione. Questo esempio è la testimonianza dell’atteggiamento di Gesù nei confronti del Padre, stupisce e colpisce i discepoli tanto da creare in loro il desiderio di pregare: “insegnaci a pregare”, insegnaci ad amare il Padre. Desiderio che rivela l’incapacità dei discepoli, ma che diventa nel contempo una preghiera. Così quella domanda, «Signore, insegnami a pregare», è in fondo la prima preghiera che dovrebbe uscire dal cuore di ogni credente. Una domanda nella quale «c'è tutto il brancolamento dell'uomo, i suoi ripetuti tentativi, spesso falliti, di rivolgersi al Creatore». Aggiunge Francesco, «dialogare con Dio è una grazia: noi non ne siamo degni, non abbiamo alcun diritto da accampare, noi "zoppichiamo" con ogni parola e ogni pensiero... Però Gesù è la porta che ci apre a questo dialogo con Dio».

Questo desiderio nasce dall’aver visto Gesù mentre prega; nasce, dunque, da un’esperienza o meglio da una testimonianza: «Signore, insegnaci a pregare». Questa è la domanda che ogni credente dovrebbe fare al Signore. Quanto sarebbe bello che noi avessimo bisogno non solo di pregare ma anche e soprattutto ad imparare a pregare, di conoscere quelle parole, quei sentimenti e quel linguaggio che abitava Gesù nei momenti della preghiera. Quanto sarebbe bello che noi recitassimo questa preghiera ogni giorno: “Signore, insegnami a pregare”. È così difficile entrare in una chiesa e vedere che c’è seduto o in ginocchio, qualcuno che sta pregando, che sta chiedendo che il Signore gl’ insegni a pregare

La preghiera del “Padre Nostro”, l’unica preghiera che Gesù insegna ai discepoli in tutti i tre Vangeli inizia ricordando chi stiamo pregando. Gesù inizia, insegnandoci a chiamare Dio: Padre. Gesù ci ricorda e ci insegna che Dio è il nostro Padre, non è qualcuno lontano da noi ed indifferente a noi ma è l’Abba. Dio è “abbà”, “papà”. Si ha quindi un senso di intimità molto profonda. Il termine “abbà”, come noto, è solo Gesù ad usarlo. In sintesi esso annuncia che Dio si è fatto molto vicino, è diventato “Padre”, anzi “papà”. Imparare a pregare vuole dire imparare ad avere una relazione con il Padre; imparare a fare l’esperienza del Padre cioè quella di sapere che Dio esiste e che ci ama.

La preghiera insegnata da Gesù rivela due necessità: quella del Padre e quella dei Figlio.  La necessità del Padre è che il suo nome sia santificato sia riconosciuto che il nome di Dio è santo anzi è tre volte santo: santo, santo, santo.  Significa anche pensare alla manifestazione della santità di Dio nella nostra vita e nel nostro mondo.  Desiderare che il nome di Dio sia conosciuto, venerato ed adorato. Quindi si chiede che sia Dio stesso a far sì che egli sia riconosciuto come santo. Solo Lui può comunicarci il senso della sua santità, della sua unicità, della grandezza della sua paternità. Ma anche che il Suo regno venga nel nostro mondo. Le necessità dei figli vengono sintetizzate in tre: pane, perdono, liberazione del male.

Infine è degno di sottolineature che la preghiera che Gesù ci insegna è una preghiera comunitaria, lo notiamo non solo nel recitare il “padre nostro” ma anche nei verbi al plurale dove Gesù ci insegna a vivere il comandamento dell’amore verso il prossimo. Pensando ad altre persone che ne hanno bisogno, alle persone a cui manca una cosa essenziale per una vita piena: la relazione filiale con Dio. Abramo serve anche d’esempio, ha pregato per i disperati di Sodoma e Gomorra.

Il discepolo missionario è colui il cui cuore chiama Dio, Abba “Papà”. Colui che, come ha giustamente detto Papa Francesco, ha un rapporto con Dio come quello di un bambino con il suo papà, che dice “papà” “babbo”. Infatti queste espressioni evocano affetto, calore, qualcosa che ci proietta nel contesto dell’età infantile: l’immagine di un bambino completamente avvolto dall’abbraccio di un padre che prova infinita tenerezza per lui. E per questo, cari fratelli e sorelle, per pregare bene, bisogna arrivare ad avere un cuore di bambino. Non un cuore sufficiente: così non si può pregare bene. Come un bambino nelle braccia di suo padre, del suo papà, del suo babbo. 

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