“MEMORIE” DI MONS. ANGELO CUNIBERTI LA CHIESA DEI POVERI.

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7.- Messaggio di alcuni Vescovi del Terzo Mondo (15 agosto 1967)

 

L'enciclica "Populorum progressio" di Paolo VI (marzo 1967) fu accolta con straordinaria gioia dai settori più avanzati nella Chiesa mentre altre fasce della Chiesa (clero e laici) la considerarono con sospetto quasi approvando ciò che diceva qualche giornale USA "... si tratta di una sorta di comunismo "surriscaldato".

 

Tra coloro che ricevettero con grande soddisfazione e profonda gioia c’erano quei Vescovi che in tutte le fasi del Concilio avevano continuato ad smuovere queste idee fondamentali che comprendevano e difendevano l'Enciclica.

Mons. Angelo osservò facilmente come nelle settimane seguenti la grande stampa e i mass media progressivamente dimenticavano questo "formidabile richiamo" del Papa. Si sforzavano di farle un vuoto intorno e un vuoto di silenzio. Mons. Angelo pensava invece che era necessario approfittare di ogni opportunità per aumentare piuttosto il "volume" e dare a un simile documento la meritata risonanza.

Gli sembrò che l’occasione migliore fosse quella offertagli dal P. Gauthier, che, con una lettera da Gerusalemme in data 22 Maggio 1967, accompagnava il "progetto" di un messaggio in francese. Lo studiò con molta attenzione, facendogli varie osservazioni, per correggere determinate espressioni chiave, aggiungendone altre, e adattando meglio tutto l’insieme ai principi della Populorum Progressio e, infine, gli rispose il 17 giugno.

 

Testo del messaggio (15 agosto 1967)

 

Di fronte ai movimenti che attualmente sollevano le masse operaie e contadine del Terzo Mondo alcuni vescovi, pastori di questi popoli, dirigono questo messaggio ai loro sacerdoti, ai loro fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà. Questa lettera estende e adatta l'enciclica sullo sviluppo dei popoli.

Dalla Colombia e il Brasile fino all’Oceania e la Cina, attraverso il Sahara, la Jugoslavia e il Medio Oriente, la luce del Vangelo illumina le domande che, quasi sempre le stesse, emergono ovunque.

  Nel momento in cui i popoli e i gruppi sociali poveri, prendono coscienza di sé stessi e dello sfruttamento di cui sono ancora vittime, questo messaggio darà coraggio a tutti coloro che soffrono e lottano per la giustizia, condizione indispensabile per la pace.

 

1. Come vescovi di alcuni di quei popoli che si sforzano e lottano per il loro sviluppo, uniamo la nostra voce all’angoscioso richiamo del Papa Paolo VI nell’enciclica “Populorum Progressio”, con la finalità di chiarire ai nostri sacerdoti e fedeli i loro doveri e per rivolgere a tutti i nostri fratelli del Terzo Mondo alcune parole di incoraggiamento.

 

2. Le nostre Chiese che si trovano nel Terzo Mondo si vedono coinvolte nel conflitto che affrontano in questo tempo non solo l’Oriente e l’Occidente ma i tre grandi gruppi di paesi: le potenze occidentali arricchite nel secolo scorso, due paesi comunisti trasformati in grandi potenze che cercano il modo di sottrarsi dal dominio dei grandi e di svilupparsi liberamente.

Inoltre tra le nazioni sviluppate, alcune classi sociali, alcuni gruppi etnici o popoli non hanno ancora acquisito il diritto ad una vita veramente umana. Una spinta irresistibile muove questa povera gente verso la propria promozione per liberarsi da tutte le forze di oppressione. Mentre la maggior parte delle nazioni hanno conquistato la loro libertà politica, sono ancora limitati i popoli economicamente liberi.

Sono altrettanto pochi quelli in cui regna l'uguaglianza sociale, condizione indispensabile di una vera fraternità, perché la pace non può esistere senza giustizia. I popoli del Terzo Mondo formano il proletariato dell' attuale umanità, sfruttati dai grandi e minacciati nella loro stessa esistenza per cui, solo per essere i più forti, si arrogano il diritto di essere i giudici e i poliziotti dei popoli materialmente meno ricchi. Tuttavia, i nostri popoli non sono né meno onesti né meno giusti che i grandi di questo mondo.

 

3. Nell’evoluzione attuale del mondo, le rivoluzioni sono state effettuate o si stanno producendo. Tutto ciò non ha nulla di sorprendente. Tutti i poteri già stabiliti sono nati in un'epoca più o meno lontana da una rivoluzione, cioè, da una rottura con un sistema che non assicurava più il bene comune, e la instaurazione di un nuovo ordine più adatto per assicurarlo.

Non tutte le rivoluzioni sono necessariamente buone. Alcune non sono che rivolte di palazzo e non producono che cambiamenti di oppressione del popolo. Alcune generano più male che bene, "originando nuove ingiustizie ..." (Populorum Progressio). L’ateismo e il collettivismo a cui certi movimenti credono di doversi affiliare, sono gravi pericoli per l'umanità.

La storia, al contrario, dimostra che certe rivoluzioni erano necessarie e si sono distaccate dalla loro ispirazione antireligiosa momentanea producendo buoni frutti. Nessuna più di quella prodotta nel 1789 in Francia che ha permesso l'affermazione dei diritti dell'uomo (cfr. Pacem in Terris) conferma questo dato. Molte  delle nostre nazioni hanno dovuto, o devono vedere con questi profondi cambiamenti. Quale dovrebbe essere l'atteggiamento dei cristiani e delle chiese di fronte a questa situazione? Paolo VI ha già illuminato il nostro cammino mediante l'enciclica sullo sviluppo dei popoli (Populorum Progressio).

 

• Riscattare la Chiesa

 

4. Dal punto di vista dottrinale, la Chiesa sa che il Vangelo richiede la prima e radicale rivoluzione: la conversione, la trasformazione totale del peccato nella grazia, dell’egoismo in amore, dell'orgoglio in umile servizio. E questa conversione non è solo interiore e spirituale, ma si rivolge a tutta la persona umana, corporea e sociale al tempo stesso che spirituale e personale. Ha un aspetto comunitario piena di conseguenze per la società intera, non solo per la vita terrena, ma soprattutto per la vita eterna in Cristo, che, dall’alto,  attrae a Sé tutta l'umanità. Questo è agli occhi del cristianesimo lo sviluppo integrale dell'uomo. In questo modo, il Vangelo è sempre stato, visibilmente o invisibilmente, per la Chiesa o al di fuori di essa, il più potente fermento dei profondi cambiamenti dell'umanità da venti secoli.

 

5. Tuttavia, nel suo storico pellegrinaggio terreno, la Chiesa si è trovata quasi sempre legata al sistema politico, sociale ed economico che in un determinato momento della storia, assicura il bene comune o, almeno, un qualche ordine sociale. D’altra parte le Chiese si trovano così legate al sistema, che sembrano essere confuse, unite in una sola carne come un matrimonio. Ma la Chiesa ha un solo sposo, Cristo.

La Chiesa non è sposata con nessun sistema, qualunque esso sia, e tanto meno con "l'imperialismo internazionale del denaro" (Populorum Progressio), come pure non lo era con nessuna dinastia reale o con il feudalesimo dell’antico regime, e tanto meno lo sarà nel futuro con questo o quel socialismo. Basta esaminare la storia per vedere come la Chiesa è sopravvissuta al naufragio dei poteri che un tempo credettero di doverla proteggere o di poterla utilizzare. Attualmente la dottrina sociale della Chiesa, ribadita dal Concilio Vaticano II, l’ha riscattata da questo imperialismo del denaro, che sembra essere una delle forze a cui è stata legata durante qualche tempo.

 

6. Dopo il concilio si elevarono energiche voci che chiedevano si terminasse con questa coalizione temporanea della Chiesa con il denaro, denunciata da diverse parti. Alcuni vescovi hanno già dato l'esempio. Noi stessi abbiamo il dovere di fare un serio esame della nostra situazione riguardo questo problema e di liberare le nostre chiese da ogni servilismo rispetto alle grandi finanze internazionali. "Non si può servire Dio e il denaro".

 

7. Di fronte all'attuale evoluzione dell'imperialismo del denaro, dobbiamo rivolgere a nostri fedeli e a noi stessi  l'avvertimento rivolto ai cristiani di Roma dal veggente di Patmos nell’imminenza della caduta di quella grande città prostituita nel lusso favorita dall'oppressione dei popoli e la tratta degli schiavi. “Uscite, popolo mio, da essa, per non associarvi ai suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli” (Ap. 18-4).

 

• Denunciare l’ingiustizia

 

8. Per quanto riguarda ciò che la Chiesa afferma come elemento essenziale e permanente, vale a dire, la sua lealtà e la sua comunione con Cristo nel Vangelo, mai è solidaria con nessun sistema economico, politico e sociale. Nel momento in cui un sistema lascia di garantire il bene comune nell'interesse di pochi, la Chiesa non deve denunciare solamente l'ingiustizia, ma deve distanziarsi dal sistema malvagio, disposta a collaborare con un altro sistema più adeguato alle esigenze del tempo, e più giusto.

 

9. Questo vale per cristiani come per i loro dirigenti gerarchici e per le Chiese. In questo mondo non abbiamo città permanenti e il nostro capo Gesù Cristo volle soffrire fuori della città (Eb. 13,12.14). Che nessuno di noi rimanga vincolato ai privilegi o al denaro, ma sia disposto alla beneficenza e a mettere in comune i propri beni perchè “di tali sacrifici il Signore si compiace” (Eb. 13, 16). Inoltre anche se non siamo stati in grado di farlo volentieri e per amore sappiamo almeno riconoscere la mano di Dio che ci corregge come figli negli eventi che ci obbligano a questo sacrificio. (Eb 12,5).

 

10. Non intendiamo giudicare né condannare nessuno di coloro che davanti a Dio hanno creduto o credono che debbano esiliarsi per salvaguardare la loro fede o quella dei loro discendenti. Gli unici che devono essere condannati decisamente sono coloro che espellono le popolazioni opprimendole materialmente o spiritualmente, o appropriandosi delle loro terre.

I cristiani e i loro pastori devono rimanere tra il loro popolo, nella terra che è la loro. La storia dimostra che non è un bene, a lungo corso, che un popolo si esili lontano dalla sua terra e si rifugi altrove. E’ doveroso difendere la propria terra contro un ingiusto aggressore straniero oppure accettare i cambiamenti di regime che si impongono nel proprio paese. Per i cristiani è una mancanza non essere solidari con il proprio paese e la propria gente in un momento di prova, soprattutto se questi cristiani sono ricchi e fuggono solo per salvare la loro ricchezza e i loro privilegi.

E’ certo che una famiglia o una persona può essere costretta a migrare per trovare lavoro conforme al diritto di migrazione (cfr. Pacem in Terris). Ma gli esodi massivi di cristiani possono causare situazioni indesiderate. I cristiani sono di solito chiamati da Dio per realizzare la loro vita nella propria terra e tra la propria gente in solidarietà con i loro fratelli di qualche religione, qualunque essa sia, per essere testimoni dell'amore che Cristo ha per tutti.

 

 11. Quanto a noi, sacerdoti e vescovi, abbiamo il dovere ancora più vincolante di rimanere al nostro posto perchè siamo i vicari del Buon Pastore, che, non come mercenari che fuggono nel momento del pericolo, rimangono tra la gente disposti a dare la vita per i suoi (Gv. 10, 11-18). Se Gesù ordinò ai suoi apostoli di andare di città in città (Mt 10,23), è unicamente nel caso di persecuzione personale a causa della fede; ciò è differente dai casi di guerra o di una rivoluzione che si riferiscono a tutto un popolo con cui il pastore deve sentirsi solidale. Questi deve rimanere tra il popolo. Se tutto un popolo decidesse per l'esilio, il pastore potrebbe seguirlo. Ma egli non può salvare solo se stesso, neppure con una minoranza di profittatori o di paurosi.

 

12. Inoltre, i cristiani e i loro pastori devono essere capaci di riconoscere la mano di Dio negli eventi che, periodicamente, depongono i potenti dai loro troni e innalzano gli umili, rimandano a mani vuote i ricchi e saziano gli affamati. Attualmente, "l'ordine mondiale richiede tenacemente e decisamente il riconoscimento della dignità umana in tutta la sua pienezza, l'uguaglianza sociale di tutte le classi". I cristiani e tutti gli uomini di buona volontà non possono che aderirsi a questo movimento, anche se devono rinunciare ai loro privilegi e alle loro personali fortune per il bene della comunità umana e per una maggiore socializzazione. La Chiesa non è in alcun modo la protettrice delle grandi proprietà. Essa chiede, con Giovanni XXIII, che la proprietà sia distribuita a tutti, poiché  la proprietà ha per principio una destinazione sociale. Paolo VI ricordava recentemente la frase di San Giovanni: “… se qualcuno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l'amore di Dio?” (1 Gv.  3,17) e la frase di Sant'Ambrogio: "la terra è stata data a tutti e non solo ai ricchi" (Populorum Progressio).

 

13. Tutti i padri, sia orientali che occidentali, ripetono il Vangelo: "Condividi il tuo raccolto con i tuoi fratelli. Condividi il raccolto che domani sarà deteriorato. E’ un’atroce avidità quella che lascia perire tutto piuttosto che donarlo ai bisognosi!" "A chi danneggio dando ciò che mi appartiene?", risponde l'avaro. "Ma dimmi, quali sono i beni che ti appartengono? Dove li hai presi? Tu sembri a quell’uomo che, prendendo posto nel teatro, vorrebbe impedire che gli altri entrassero e aspettasse di godersi lui solo lo spettacolo a cui tutti hanno diritto. Tali sono i ricchi: si dichiarano proprietari di beni comuni che hanno accumulato perché sono stati i primi ad accaparrarseli. Se ognuno serbasse quanto è necessario per le proprie necessità quotidiane e destinasse il superfluo agli indigenti, la ricchezza e la povertà sarebbero abolite ... All’affamato appartiene il pane che tu nascondi. All'uomo nudo, il vestito che tieni rinchiuso nei tuoi bauli. Allo scalzo, le scarpe che ammuffiscono in casa tua. Al miserabile, i soldi che tieni nascosti. Così opprimi tante persone che potresti aiutare… No, non è la tua rapacità che qui si condanna ma il tuo rifiuto a condividere"(San Basilio, Omelia contro la ricchezza).

 

• Verso il socialismo

 

14. Tenendo presente alcune esigenze per determinati progressi materiali, la Chiesa, da un secolo, ha tollerato il capitalismo con il prestito a interesse legale e i suoi altri usi poco conformi alla morale dei profeti e del Vangelo. Ma essa non può che gioire vedendo apparire nell’umanità un altro sistema sociale meno incompatibile con questa morale. Dovrà essere un impegno dei cristiani del futuro, d’accordo all’iniziativa di Paolo VI, ricondurre alle loro vere radici cristiane queste correnti di valori morali come la solidarietà e la fraternità (cfr. Ecclesiam Suam). I cristiani hanno il dovere di mostrare “che il vero socialismo è il cristianesimo integralmente vissuto, nell’equa distribuzione dei beni e la fondamentale uguaglianza”. Lungi dal contrariarsi con esso, sappiamo accattarlo con gioia, come una forma di vita sociale meglio adattata al nostro tempo e più conforme con lo spirito del Vangelo. In questa maniera eviteremo che alcuni confondano Dio e la religione con gli oppressori del mondo dei poveri e dei lavoratori, che sono, in effetti, il feudalesimo, il capitalismo e l'imperialismo.

Questi sistemi disumani hanno generato altri sistemi che, volendo liberare i popoli, opprimono le persone quando questi altri sistemi cadono nel collettivismo totalitario e la persecuzione religiosa. Ma Dio e la vera religione non hanno nulla a che fare con le varie forme di Mammona dell’iniquità. Al contrario, Dio e la vera religione sono sempre con coloro che cercano di promuovere una società più equa e fraterna tra tutti i figli di Dio nella grande famiglia umana.

 

• Una nuova umanità

 

15. La Chiesa saluta con orgoglio e con gioia una nuova umanità in cui l'onore non appartiene al denaro accumulato nelle mani di pochi, ma ai lavoratori, ai contadini e operai. Pertanto la Chiesa non è nulla senza di Lui che dona incessantemente il suo essere e il suo agire, Gesù di Nazareth, che per molti anni ha voluto lavorare con le proprie mani per rivelare l'eminente dignità dei lavoratori.

"Il lavoratore è infinitamente superiore a tutto il denaro" come ricordava un vescovo al Concilio. Un altro vescovo, di un paese socialista, affermava: "Se gli operai non diventano in qualche modo i proprietari del loro lavoro, tutte le riforme alle strutture risulteranno inefficaci. Anche se a volte gli operai ricevono uno stipendio più alto in qualche sistema economico, non saranno soddisfatti di questi aumenti salariali. Essi vogliono essere proprietari e non venditori del loro lavoro. Attualmente i lavoratori sono sempre più consapevoli del fatto che il lavoro costituisce una parte della persona umana. Ma la persona umana non può essere venduta e neppure vendersi. Ogni acquisto o vendita del lavoro è una sorta di schiavitù. L'evoluzione della società umana progredisce in questo senso, e sicuramente anche all'interno di quel sistema che si dice di non essere così sensibile come noi siamo della dignità della persona umana, cioè il marxismo ". (F. Franic. Split, Yugoslavia, 4 ottobre 1965).

 

16. Ciò significa che la Chiesa si rallegra di vedere svilupparsi nell'umanità forme di vita sociale in cui il lavoro trova il suo vero posto, che è il primo. Come ha riconosciuto l'Arciprete Borovoi nel Consiglio Ecumenico delle Chiese, affermando che abbiamo commesso l'errore di accomodarci a principi giuridici pagani ereditati dell'antica Roma, ma in questo aspetto, l'Occidente non ha peccato meno dell’Oriente. "Di tutte le civiltà cristiane, il bizantinismo contribuì maggiormente a santificare semplicemente il male sociale. Adottò senza obiezioni l’intera eredità sociale del mondo pagano e gli conferì unzione sacramentale. Il diritto civile dell'impero romano pagano è stato mantenuto sotto la veste della tradizione ecclesiastica per ben più di mille anni in Bisanzio e nell'Europa medievale, e durante alcuni secoli in Russia dal tempo (VI secolo) in cui il nostro paese si è considerato come l'erede di Bisanzio. Ma ciò si oppone radicalmente alla tradizione sociale del cristianesimo primitivo e dei padri greci, alla predicazione missionaria del nostro Salvatore e a tutto il contenuto degli insegnamenti dei profeti dell’Antico Testamento che non invecchia mai”. (C.D.E. 12,VII,1966. Chiesa e società. Ginevra).

 

17. Che nessuno cerchi di trovare nelle nostre parole qualsiasi ispirazione politica. La nostra unica fonte è la Parola di colui che parlò ai profeti e agli apostoli. La Bibbia e il Vangelo denunciano come un peccato contro Dio ogni attentato contro la dignità dell'uomo creato a sua immagine. All'interno di questa esigenza di rispetto alla persona umana, gli atei di buona fede si uniscono ora ai credenti per un comune servizio all'umanità nella loro ricerca di giustizia e di pace. Allo stesso modo possiamo rivolgere con fiducia a tutti parole di incoraggiamento, dal momento che tutti hanno bisogno di molto coraggio e forza necessaria per portare a compimento l’immenso e urgente compito che è l'unico che può salvare il Terzo Mondo dalla miseria e della fame e liberare l'umanità dalla catastrofe di una guerra nucleare: "Mai più la guerra, abbasso le armi"

 

18. Il popolo dei poveri e i poveri dei popoli tra i quali il Misericordioso ci ha posti come pastori di un piccolo gregge, sanno per esperienza che devono contare su se stessi e sulle proprie forze, piuttosto che sull'aiuto dei ricchi. E’ certo che alcune nazioni ricche o alcuni ricchi di qualche paese offrono un’apprezzabile aiuto ai nostri popoli, ma sarebbe illusorio attendere passivamente una libera conversione di coloro che il nostro padre Abramo ci avverte che essi non ascolteranno “neanche se uno risuscitasse dai morti". (Lc. 16, 31). In primo luogo corrisponde ai popoli poveri e ai poveri dei popoli realizzare la propria promozione. Che ricuperino fiducia in se stessi, che si istruiscano, vincendo l’analfabetismo, lavorando tenacemente per costruire il proprio destino, che si coltivino utilizzando tutti i mezzi che la società moderna mette a loro disposizione, come la scuola e i giornali: che ascoltino coloro che possono risvegliare e formare la coscienza delle masse e soprattutto la parola dei loro pastori. Che questi offrano loro integralmente la Parola di Verità e il Vangelo della giustizia.

Che i laici militanti nei movimenti apostolici comprendano e mettano in pratica l'esortazione del nostro Papa Paolo VI “... corrisponde ai laici, di loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne o direttive, penetrare di spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le tradizioni della loro vita comunitaria. I cambiamenti sono necessari, la riforme profonde, indispensabili; devono impegnarsi  risolutamente per ispirare in esse lo spirito evangelico ... "(Populorum Progressio). In ogni caso, che i lavoratori e i poveri si uniscano, dal momento che solo l'unione fa la forza dei poveri per esigere e promuovere la giustizia nella verità.

 

• Dio non vuole poveri

 

9. Il popolo ha fame di verità e giustizia, e coloro che hanno ricevuto l'incarico di istruirlo ed educarlo devono farlo con entusiasmo. Alcuni errori devono essere dissipati con urgenza: no, Dio non vuole che ci siano ricchi che si approfittano dei beni di questo mondo, sfruttando i poveri. No, Dio non vuole che ci siano poveri sempre miserabili.

La religione non è l'oppio dei popoli. La religione è una forza che eleva gli umili e abbassa i superbi, che dà il pane agli affamati e fame ai sazi. Certamente Gesù ci ha avvertito che ci sarebbero sempre stati poveri tra noi (Gv. 12,8), ma per il fatto che ci saranno sempre dei ricchi che si accaparreranno i beni di questo mondo e anche per causa di determinate ineguaglianze dovute alle differenze di capacità e di altri fattori inevitabili. Ma Gesù ci insegna che il secondo comandamento è simile al primo, e che non si può amare Dio senza amare gli uomini nostri fratelli.

Ci previene che tutti noi uomini saremo giudicati da una sola espressione: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare ... Io ero quello che aveva fame" (Mt 25,31.46.). Tutte le grandi religioni e saggezze dell'umanità fanno eco a questa frase. Il Corano annuncia così l'ultima prova a cui gli uomini saranno sottoposti al momento del giudizio di Dio: "Quale è questa prova? Il riscatto dei prigionieri, alimentare l’orfano in tempo di carestia ... o il povero addormentato per terra ... e di farsi una legge di misericordia."(Sura,90, 11-18).

 

 

• Basta di sfruttatori

 

20. Abbiamo il dovere di condividere il pane e tutti i nostri beni. Se qualcuno pretende accumulare per se stesso ciò che è necessario agli altri, allora è dovere dei poteri pubblici di imporre la distribuzione che non è fatta spontaneamente. Papa Paolo VI lo ricorda nella sua ultima enciclica: "Il bene comune esige a volte l'espropriazione, se, a causa della sua estensione, del suo sfruttamento anche minimo, della miseria da cui ne deriva per le popolazioni, del considerevole danno causato agli interessi del Paese, certe proprietà sono ostacoli per la sicurezza collettiva.

Affermandolo con chiarezza, il Concilio ha ribadito non meno chiaramente, che il reddito imponibile non è abbandonato al libero capriccio degli uomini, e che le speculazioni egoistiche devono essere soppresse. In questo modo non sarà più possibile permettere che i cittadini provvisti di abbondanti risorse, che provengono dal reddito e dalle attività nazionali, ne trasferiscano una parte considerevole all'estero per il proprio beneficio personale, senza preoccuparsi del danno che provocano per queste operazioni alla loro patria " (Populorum Progressio).

Non si può ammettere che ricchi stranieri vengano a sfruttare i nostri poveri paesi sotto il pretesto di sviluppare il commercio o l'industria, come non può essere tollerato che alcuni ricchi sfruttino la loro gente. Questo provoca l'esasperazione dei nazionalismi sempre deprecabili, opposti a una  vera collaborazione fra i popoli.

 

21. Ciò che è vero per gli individui lo è pure per le nazioni. Purtroppo, attualmente nessun governo veramente mondiale può imporre la giustizia tra i popoli e condividere equamente i beni. Il sistema economico attualmente in vigore consente alle nazioni ricche di arricchirsi sempre maggiormente anche se aiutano un poco le nazioni povere, le quali impoveriscono proporzionalmente.

Queste hanno il dovere di esigere, con tutti i mezzi legittimi a loro disposizione, l'instaurazione di un governo mondiale, in cui tutti i popoli, senza eccezione, siano rappresentati, e che sia capace di esigere e persino imporre un'equa distribuzione dei beni, condizione indispensabile per la pace. (Cfr. Pacem in Terris e Populorum Progressio.)

 

22. In ogni nazione i lavoratori hanno il diritto e il dovere di unirsi in veri sindacati per esigere e difendere i propri diritti: equa retribuzione, licenze pagate, sicurezza sociale, alloggi, partecipazione nella gestione dell’impresa... Non è sufficiente che questi diritti sono riconosciuti sulla carta dalle leggi. Queste leggi devono essere applicate e corrisponde ai governi esercitare i loro poteri in quest’ambito per un servizio ai lavoratori e ai poveri. I governi devono impegnarsi a far cessare quella lotta di classi che, al contrario di ciò che ordinariamente si sostiene, i ricchi spesso hanno attivato e continuano ad farlo nei confronti dei lavoratori, sfruttandoli con salari insufficienti e condizioni disumane di lavoro.

È una guerra sovversiva che da molto tempo il denaro in maniera subdola sta sostenendo in tutto il mondo, massacrando popoli interi. E' ora che i popoli poveri, sostenuti e guidati dai rispettivi legittimi governi, difendano efficacemente il proprio diritto alla vita. Dio si rivelò a Mosè dicendo: "Ho osservato la miseria del mio popolo … Ho udito il grido che gli strappano i loro sfruttatori ... ho risolto di liberarlo” (Es. 3,7).

Gesù prese su di sé tutta l'umanità per condurla alla vita eterna, la cui preparazione terrena è la giustizia sociale, come prima forma di amore fraterno. Quando Cristo, per mezzo della sua risurrezione libera l'umanità dalla morte, porta tutte le liberazioni umane alla sua pienezza eterna.

 

23. Rivolgiamo così a tutti questa frase del Vangelo che alcuni di noi hanno rivolto al proprio popolo l'anno scorso con la stessa preoccupazione e animati dalla stessa speranza di tutti i popoli del Terzo Mondo: “Noi vi esortiamo a rimanere saldi e intrepidi, come fermento evangelico nel mondo del lavoro, confidando nella parola di Cristo: ‘… risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina’ (Lc. 21,28).”

 

•Firmano

 

Helder Cámara, Arcivescovo di Recife, Brasile.

Jean-Baptiste Da Mota e Alburquerque, Arcivescovo di Victoria, Brasile.

Luis Gonzaga Fernandes, ausiliare di Victoria, Brasile.

Georges Mercier, vescovo di Laghouat, Sahara, Algeria.

Michel Darmancier, vescovo di Wallis et Futuna, Oceania.

Armand Hubert, vicario apostolico, Heliopolis, Egitto.

Angel Cuniberti, vicario apostolico di Florencia, Colombia.

Severino Mariano de Aguiar, vescovo di Pesqueira, Brasile.

Frank Franic, vescovo di Split, Iugoslavia.

Francisco Austregesilo de Mesquita, vescovo di Afogados de Ingazeira, Brasile.

Gregoire Haddad, vescovo melchita ausiliare di Beirut. Libano.

Manuel Pereira de Costa, vescovo di Campiña Grande, Brasile.

Charles Van Melckebeke vescovo di Ning Hsia (China), visitatore apostolico in Singapore.

Antonio Batista Fragoso, vescovo di Crateus, Brasile.

Etienne Loosdregt, vescovo di Vicentiane, Laos.

Jacques Grent, vescovo di Tual, Maluku, Indonesia.

David Picao, vescovo di Santos, Brasile.

 

 

 

 


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