Martedì 23 settembre 2014 è mancato ad Alpignano (Torino), a novantadue anni, Padre Silvano Sabatini, Missionario della Consolata. Era nato a Montese (Modena) il 3-9-1922. Ordinato Sacerdote il 15-8-1945, partì nel 1946 per il Brasile, dove svolse la sua missione nel sud del Paese fino al 1960, e nel nord dal 1960 in poi, nello Stato di Roraima, al confine con il Venezuela e le Guyane.
Negli anni ’60 la popolazione di Roraima era quasi totalmente rappresentata dagli Indios. Padre Silvano Sabatini operò all’inizio tra gli Indios Macuxì, e poi con gli Indios Yanomami. Subito fu colpito dal fatto che i Macuxì, pur già “evangelizzati” da due secoli, spesso descrivessero il Dio dei bianchi come un Dio cattivo perché protettore dell’uomo bianco invasore, portatore di oppressione e di morte, stupratore delle donne indigene. Il popolo Yanomami, che invece entrava per la prima volta in contatto con i bianchi, nei suoi miti di creazione li rappresentava mentre si allontanavano su canoe per poi però ritornare con violenza per rubare la terra e i beni degli Indios.
Per Padre Silvano specialmente l’incontro con il popolo “pagano” degli Yanomami fu sconvolgente. Gli avevano fino ad allora insegnato il principio teologico che “fuori della Chiesa non c’è salvezza” (san Cipriano), e Padre Sabatini si domandava perché gli Yanomami sarebbero stati condannati da Dio per il solo fatto di non essere battezzati e perché si sarebbero salvati, invece, i bianchi, responsabili della mancata evangelizzazione.
Dopo una profonda e lunga crisi spirituale, Padre Silvano scoprì finalmente Dio come Amore, che vuole che tutti gli uomini siano salvi (1 Tm 2,4) e che si rivela in ogni cultura. Più volte ebbe a ricordare che “il Battesimo non è per la salvezza, ma per la missione”. Anche i non battezzati si salvano, se vivono secondo coscienza (Rm 2,14-16). Il Battesimo è ricevere la Gioiosa Notizia per condividerla con tutti. E non imponendo una propria visione del mondo e della storia, ma nel dialogo interreligioso. Proprio in quegli anni il Concilio Ecumenico Vaticano II nel decreto “Ad gentes” affermava: “Tutti i cristiani debbono conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che vi si trovano nascosti”, aprendo con tutti “un dialogo sincero e comprensivo” (Ad gentes, n. 11). Silvano era convinto che, come dice Enzo Bianchi, “il cristiano è colui che ha la coscienza che Cristo lo precede nella missione: in ogni uomo, in ogni cultura e gente c’è una presenza cristica”. Secondo padre Silvano, il Missionario, mentre evangelizza, è al contempo evangelizzato: difatti il Missionario, portatore dei valori individuali tipici del proprio mondo, riceve i valori comunitari caratteristici della cultura indigena. In questo reciproco arricchimento, il Missionario può arrivare ad una sintesi più profonda e più completa del progetto di Dio sull’umanità.
Iniziò così la sua grande lotta per la salvaguardia e il rispetto delle culture indigene. Tutta la sua vita fu un immolarsi per la causa indigena, anche a costo di persecuzioni, di incomprensioni, di personali sofferenze. Sicuramente un momento fondamentale fu quando venne chiamato nel 1968 a organizzare la spedizione del missionario padre Giovanni Calleri, che avrebbe dovuto incontrare gli Indios Wiamirì-Atroari per convincerli a spostarsi dal percorso della Transamazzonica BR-174, che ne avrebbe decretato la distruzione. Padre Calleri fu trovato massacrato con tutta la spedizione, e la colpa fatta ricadere sugli stessi Indios, subito sterminati dall’intervento dell’Esercito. Padre Silvano non credette mai alla versione ufficiale, e con infinita pazienza e grande senso investigativo giunse a scoprire la verità. Una multinazionale mineraria, servendosi di una setta protestante al suo soldo, la MEVA, e con la complicità dell’esercito brasiliano, aveva fatto trucidare da propri sicari la spedizione di padre Calleri, per motivare lo sterminio dei Wimirì-Atroari e impossessarsi delle loro terre, ricche di minerali preziosi. Le ricerche di padre Silvano furono sintetizzate nel libro “Massacre”, uscito nel 1998 in Brasile, che suscitò grande scalpore e reazioni furibonde, al punto che cinque collaboratori di padre Sabatini vennero uccisi o persero la vita in circostanze misteriose.
Ma padre Sabatini continuò sempre la sua opera missionaria sprezzando ogni pericolo. Fu promotore, con altri Confratelli, della Campagna Internazionale che portò nel 1991 alla definizione del cosiddetto “Parco Yanomami”, fu l’anima della Campagna “Uma vaca para o ìndio”, negli anni ’90, per ottenere il riconoscimento della Terra Indigena Raposa Serra do Sol, e nel 2006 della Campagna “Nos existimos” che affratellava indigeni, contadini poveri ed emarginati urbani nel chiedere il diritto all’esistenza e la fine dei soprusi.
Fotografo abilissimo, fu anche fine antropologo: raccolse grandi testimonianze indigene in libri come “Ritorno alla maloca” (1973), “Il Ventre dell’Universo” (1986), scrisse “Tra gli Indios dell’Apiaù” (1967) e “La terra è degli Indios” (1978)… La storia della sua vita straordinaria è stata da lui raccontata all’antropologa Silvia Zaccaria nel recente libro “Il prete e l’antropologo. Tra gli Indios dell’Amazzonia” (2011).
Tornato in Italia per gravi problemi di salute, fino alla fine ha continuato a battersi indomito per la causa indigena, con passione, grande amore e lucidità, con una profezia evangelicamente radicale che sempre metteva in crisi chi lo incontrava. La sua ultima intervista addirittura era prevista… per il mese prossimo sulla Rivista “Missioni Consolata”.
Sicuramente ora, dal Regno di quel Dio Amore e salvezza per tutti, che Silvano ha sempre con tanto entusiasmo predicato, continua a proteggere i suoi amati Indios e tutti quelli che con loro e per loro operano per un mondo davvero evangelico.