Oscar Rodriguez Maradiaga
Parlerò di etica in un mondo, quello di oggi, che si confronta con la più grande crisi dal 1929 ai nostri giorni. È vero che vi sono stati da allora altri numerosi momenti difficili, per esempio quelli degli anni Settanta, ma nulla di così inquietante come la situazione che stiamo vivendo oggi. Parlerò quindi di etica perché tutte le grandi crisi economiche o politiche sono sempre state accompagnate dal venir meno di alcuni principi nonché delle certezze che cementano i valori, e dal non riuscire più a distinguere le priorità e il valore profondo delle cose. Oggi l’uomo è, da un lato, un gigante tecnologico e, dall’altro, è come un bambino etico. È indiscutibile il potere che l’umano detiene, in termini sia di capacità tecnica che di conoscenza scientifica. Tuttavia, questo potere si realizza in un difficile contesto, dove c’è confusione sulle finalità. La capacità del «come» si scontra con l’assenza di chiarezza sul «perché» o «come mai», dato che non tutto ciò che è possibile è necessariamente idoneo o adeguato per l’essere umano. Il «si può» della tecnica ha bisogno del discernimento etico del «si deve» umanizzante. Porsi delle domande sugli obiettivi o sulle finalità del perché dello sviluppo è molto importante. Un processo e una strategia di sviluppo sono considerati auspicabili o meno in relazione alla visione particolare che si ha del senso della vita, pensata come qualcosa di apprezzabile e dignitoso. In una visione etica, la domanda centrale è: «Sviluppo, per che cosa?». Il semplice fatto di porsi la domanda ci permette di non dare per scontato che lo sviluppo sia definito soltanto come crescita economica. Ma neanche come un processo che aspiri a raggiungere il livello e lo stile di vita che nell’ultimo secolo hanno raggiunto le nazioni distintesi per maggior crescita industriale e accumulazione di ricchezze materiali. Così come non è facile rispondere alla domanda cosa sia e quale sia lo scopo dello sviluppo, non è neanche facile determinare cosa sia una vita dignitosa e desiderabile, tenuto conto della diversità di come gli esseri umani intendono la felicità, delle differenze culturali e delle varie filosofie di vita. Molti analisti etici dello sviluppo hanno convenuto – al fine di evitare una discussione infinita – sull’opportunità di arrivare a una sintesi sulla base di specifiche aree coincidenti, segnalando in maniera generale le convergenze che esistono tra culture e prospettive diverse su quelli che sono i concetti essenziali di una «vita dignitosa». Come risultato di questi sforzi sono stati identificati i tre valori che al loro più alto livello sono ricercati come obiettivi o finalità da tutte le persone e da tutte le società, e che pertanto permettono di definire l’essenza comune a tutte le culture circa il concetto di «vita dignitosa». Questi tre valori fondamentali sono: il mantenimento della vita, la stima e la libertà. Si tratta di finalità che le ricerche presentano come universali in senso intrinseco, nonostante possano cambiare le loro modalità specifiche a seconda dei luoghi e delle epoche diverse, e possano successivamente anche disaggregarsi in maniera differente. Denis Goulet, teorico dello sviluppo umano, rappresenta il contenuto di ognuno di tali valori in questo modo. Dappertutto la premessa a una vita dignitosa consiste nel poter conservare o migliorare la qualità della vita. Il valore risiede direttamente nella funzione vitale, non nella sua origine, né nella sua scarsezza, come neppure nel contenuto del lavoro che possono avergli conferito altre persone.
Per questo è facile evidenziare il sottosviluppo assoluto quando vi è carenza di beni per il sostenimento della vita, come: alimenti, medicine, alloggio e protezione adeguate. Altro elemento per una vita dignitosa è la stima: la percezione da parte di ogni persona di essere rispettata come essere umano degno, che non può essere utilizzato dagli altri come mero strumento per il raggiungimento dei loro obiettivi. Qualsiasi individuo, come ogni società, cerca la stima, l’identità, il rispetto, l’onore e il riconoscimento. «Apparire in pubblico senza vergogna», diceva Adam Smith. Questa non è solo una qualità individuale ma anche un’esigenza del gruppo. Le società povere «sottosviluppate», nonostante un profondo senso di autostima, soffrono nelle loro relazioni con le società economicamente e tecnologicamente più avanzate, perché al giorno d’oggi la prosperità e la ricchezza materiale sono diventate gli unici criteri per stabilire il valore di una persona e di una comunità. Da qui il desiderio di molte società di avanzare nello sviluppo – spiega Goulet – come pure la resistenza di altre popolazioni alle innovazioni del «modello di sviluppo» che si vorrebbe loro imporre. Quando il benessere materiale finisce per diventare un elemento essenziale di una vita dignitosa, diventa molto difficile per i Paesi «sottosviluppati» sentirsi rispettati fintantoché non raggiungano un determinato livello di crescita. Ciò comporta il rischio di lanciarsi in un processo di ricerca dell’abbondanza e di legittimare lo sviluppo, inteso come crescita, come fine in sé, oppure come percorso insostituibile per guadagnarsi il rispetto. In alcuni altri casi, questo autentico bisogno di stima si trasforma in un motivo per il quale alcune società oppongono resistenza allo sviluppo. Se la strategia di impatto utilizzata dagli agenti dello sviluppo umilia una comunità, il bisogno di auto-rispetto la porterà a rifiutare il cambiamento. La libertà è la terza componente di questo concetto generale di vita degna, valorizzata nello stesso modo sia dalle società cosiddette «sviluppate» sia da quelle «in via di sviluppo». Anche in questo caso particolare si danno diverse interpretazioni al significato di questa parola, benché in ultima istanza convergono tutte verso la possibilità di contare su un’ampia gamma di alternative di vita per la società e i suoi componenti, nonché la possibilità di scegliere fra queste.
Questi tre valori si realizzano in tutte le dimensioni della vita umana. In particolare, Goulet utilizza l’immagine di «fiore dello sviluppo» per integrare sei dimensioni della vita umana imprescindibili per definire un processo di sviluppo: culturale, ecologico, economico, sociale, politico, di «significato» o «di vita piena» – concetto, quest’ultimo, che comprende la relazione con il trascendente. La domanda relativa al «fine» dello sviluppo, e al possibile accordo pragmatico interculturale sulle caratteristiche essenziali di questo fine, non esaurisce il processo dell’analisi etica dello sviluppo. Ne restano esclusi una serie di aspetti importanti che dovranno essere comunque considerati durante il processo di elaborazione di un nuovo modello di sviluppo. L’etica e l’economia non hanno motivo di essere separate, in quanto, senza dubbio, si realizzano attraverso processi razionali e non per effetto di una semplice azione volontaria soggettiva. Solo procedendo in maniera coerente con la natura scientifica dell’economia e con le norme proprie dell’etica sarà possibile avvicinarsi simultaneamente agli obiettivi di efficacia e di giustizia, di produttività e di equità, di competitività e di solidarietà, per uno sviluppo integrale delle forme di organizzazione sociale e convivenza umana.