Lo scorso 30 marzo i  Dicasteri per la Cultura e l'Educazione e quello per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale hanno pubblicato una nota congiunta sulla "Dottrina della scoperta". Un passo ulteriore fatto della Chiesa per la salvaguarda, la dignità e l'integrità dei popoli indigeni.

1. Fedele al mandato ricevuto da Cristo, la Chiesa cattolica si sforza di promuovere la fraternità universale e il rispetto della dignità di ogni essere umano.

2. Per questo motivo, nel corso della storia i Papi hanno condannato gli atti di violenza, oppressione, ingiustizia sociale e schiavitù, compresi quelli commessi contro le popolazioni indigene. Ci sono stati anche numerosi esempi di vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli laici che hanno dato la loro vita in difesa della dignità di quei popoli.

3. Allo stesso tempo, il rispetto per i fatti della storia richiede il riconoscimento della debolezza umana e dei fallimenti dei discepoli di Cristo in ogni generazione. Molti cristiani hanno commesso atti malvagi contro le popolazioni indigene per i quali i Papi recenti hanno chiesto perdono in numerose occasioni.

4. Ai nostri giorni, un rinnovato dialogo con i popoli indigeni, soprattutto con quelli che professano la fede cattolica, ha aiutato la Chiesa a comprendere meglio i loro valori e le loro culture. Con il loro aiuto, la Chiesa ha acquisito una maggiore consapevolezza delle loro sofferenze, passate e presenti, dovute all'espropriazione delle loro terre, che considerano un dono sacro di Dio e dei loro antenati, e alle politiche di assimilazione forzata, promosse dalle autorità governative del tempo, volte a eliminare le loro culture indigene. Come ha sottolineato Papa Francesco, le loro sofferenze costituiscono un forte richiamo ad abbandonare la mentalità colonizzatrice e a camminare con loro fianco a fianco, nel rispetto reciproco e nel dialogo, riconoscendo i diritti e i valori culturali di tutti gli individui e i popoli. A questo proposito, la Chiesa si impegna ad accompagnare i popoli indigeni e a promuovere gli sforzi volti a favorire la riconciliazione e la guarigione.

5. È in questo contesto di ascolto dei popoli indigeni che la Chiesa ha sentito l'importanza di affrontare il concetto denominato “dottrina della scoperta”. Il concetto giuridico di “scoperta” è stato dibattuto dalle potenze coloniali a partire dal XVI secolo e ha trovato particolare espressione nella giurisprudenza ottocentesca dei tribunali di diversi Paesi, secondo cui la scoperta di terre da parte dei coloni concedeva il diritto esclusivo di estinguere, mediante acquisto o conquista, il titolo o il possesso di quelle terre da parte delle popolazioni indigene. Alcuni studiosi hanno sostenuto che la base della suddetta “dottrina” si trova in diversi documenti papali, come le Bolle Dum Diversas (1452), Romanus Pontifex (1455) e Inter Caetera (1493).

6. La “dottrina della scoperta” non fa parte dell'insegnamento della Chiesa cattolica. La ricerca storica dimostra chiaramente che i documenti papali in questione, scritti in un periodo storico specifico e legati a questioni politiche, non sono mai stati considerati espressioni della fede cattolica. Allo stesso tempo, la Chiesa riconosce che queste Bolle papali non riflettevano adeguatamente la pari dignità e i diritti dei popoli indigeni. La Chiesa è anche consapevole del fatto che il contenuto di questi documenti è stato manipolato a fini politici dalle potenze coloniali in competizione tra loro, per giustificare atti immorali contro le popolazioni indigene, compiuti talvolta senza l'opposizione delle autorità ecclesiastiche. È giusto riconoscere questi errori, riconoscere i terribili effetti delle politiche di assimilazione e il dolore provato dalle popolazioni indigene, e chiedere perdono. Inoltre, Papa Francesco ha esortato: “Mai più la comunità cristiana potrà lasciarsi contagiare dall'idea che una cultura sia superiore alle altre, o che sia legittimo ricorrere a modi di coercizione degli altri”.

7. Senza mezzi termini, il magistero della Chiesa sostiene il rispetto dovuto a ogni essere umano. La Chiesa cattolica ripudia quindi quei concetti che non riconoscono i diritti umani intrinseci dei popoli indigeni, compresa quella che è diventata nota legalmente e politicamente come “dottrina della scoperta”.

8. Numerose e ripetute dichiarazioni della Chiesa e dei Papi sostengono i diritti dei popoli indigeni. Ad esempio, nella Bolla Sublimis Deus del 1537, Papa Paolo III scrisse: “Definiamo e dichiariamo che i detti indiani e tutti gli altri popoli che in seguito saranno scoperti dai cristiani, non devono in alcun modo essere privati della loro libertà o del possesso dei loro beni, anche se non sono di fede cristiana; e che possono e devono, liberamente e legittimamente, godere della loro libertà e del possesso dei loro beni; né devono essere in alcun modo ridotti in schiavitù; se dovesse accadere il contrario, sarà nullo e non avrà alcun effetto”.

9. Più recentemente, la solidarietà della Chiesa con i popoli indigeni ha dato origine al forte sostegno della Santa Sede ai principi contenuti nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni. L'attuazione di questi principi migliorerebbe le condizioni di vita e aiuterebbe a proteggere i diritti dei popoli indigeni, oltre a facilitare il loro sviluppo nel rispetto della loro identità, lingua e cultura.

 

Le popolazioni indigene e i migranti venezuelani, vittime di pregiudizi nella società di Roraima, sono stati i protagonisti dell'accoglienza al nuovo Vescovo diocesano di Roraima davanti alla Cattedrale del Cristo Redentor a Boa Vista. Essere accolti da coloro che non contano è un segno di Dio, che sceglie coloro che la società scarta. 

Così ha preso possesso della sua nuova diocesi di Roraima Mons. Evaristo Spengler che è stato accompagnato, in una emozionante liturgia, dai Vescovi della Regione Nord della Conferenza Episcopale Brasiliana (CNBB), da altri prelati provenienti da diversi angoli del Brasile e del Venezuela, da un folto numero di sacerdoti, religiosi e rappresentanti di parrocchie e comunità e dai suoi due predecessori, mons. Mario Antonio da Silva e mons. Roque Paloschi.

La cerimonia si è svolta nella cattedrale di Cristo Redentor  con una liturgia ricca di simboli amazzonici e nel giorno della solennità dell'Annunciazione del Signore, quando questa comunità diocesana si appresta a cominciare la preparazione ai 300 anni di evangelizzazione che si compiranno nel 2025. I popoli indigeni e i migranti venezonali, presenti numerosi nella cattedrale, hanno avuto un ruolo importante: la lingua spagnola e Macuxi è stata utilizzata nella proclamazione delle letture, nel canto e in altri momenti della celebrazione.

Riflettendo a proposito del Mistero dell'Annunciazione, il vescovo Evaristo ha messo in evidenza come Dio abbia inviato il suo angelo in una regione disprezzata, per incarnare un Messia che ha voluto far parte della povera gente e che ha rivelato che "il Regno di Dio è presente soprattutto nelle persone più umili". Questo è molto evidente nella figura di Maria che ha superato tutte le paure per far suo il progetto di Dio e "portare nel cuore la certezza che Dio cammina con lei e con i poveri. Alcune paure fanno molto male –ha ricordato Mons. Evaristo– e ci impediscono di camminare e di costruire un futuro coerente e più autentico con il Vangelo".

Da qui il nuovo Vescovo della Diocesi di Roraima ha visto l'urgenza di "costruire una Chiesa di speranza e fiducia in Dio" e, chiamando tutti ad assumere la propria vocazione battesimale, ha insistito che dobbiamo continuare ad essere “popolo di Dio in cammino, sempre insieme, senza paura, disposti a costruire comunità di servizio per mezzo delle nostre Comunità Ecclesiali di Base”.

Sull'esempio di Maria "questa Chiesa particolare ascolta la chiamata di Dio attraverso il grido del suo popolo", lo stesso che hanno fatto i primi missionari che sono arrivati 300 anni fa e, "con molto sacrificio per le difficoltà che hanno sperimentato in spostamenti, comunicazioni e risorse qui si sono lasciati consumare nella testimonianza del Vangelo vivo. Loro hanno costruito questa Chiesa che non si è mai lasciata guidare dagli applausi o dalle critiche, ma dalla fedeltà al Vangelo di Gesù Cristo", fino a dare la vita, come è accaduto a padre Calleri IMC.

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Commentando il momento attuale il nuovo vescovo ha detto che “la nostra Chiesa non può tacere di fronte alla tragedia del popolo Yanomami, di fronte alle loro terre invase dalle miniere illegali che li hanno privati del territorio, della salute, della pace, dei mezzi di produzione alimentare e, in poche parole, della vita stessa. Quindi la Chiesa di Roraima ribadisce ancora una volta il suo impegno a favore dei popoli indigeni in difesa della vita e del territorio”. Questo impegno, ha aggiunto il Vescovo, si estende anche ai migranti che "desidera accogliere e inserire in questa terra, molti di loro partecipano già alla vita delle comunità cristiane della diocesi”.

Mons. Evaristo Spengler ha anche ricordato, riflettendo sul ministero del vescovo, che "più importante del Vescovo è la Chiesa" e ha concluso con una professione di fede nella Chiesa in cui crede: una Chiesa fedele al Vangelo e sempre attenta alla Parola; una Chiesa al servizio dell’umanità e a difesa della vita soprattutto dove è più minacciata; una Chiesa alleata dei poveri, degli indigeni, dei migranti, delle donne, dei giovani e degli affamati; una Chiesa che fa l'esperienza della condivisione e della solidarietà; una Chiesa responsabile della Casa Comune, che ama, cura e difende la nostra sorella Madre Terra; una Chiesa profetica e ministeriale, fatta di Comunità e testimone di sinodalità.

“In questa Chiesa del Roraima tre volte centenaria –ha concluso mons. Evaristo– mi sento tranquillo e abbastanza sicuro, non per le mie forze, ma per la testimonianza, la fedeltà e profetismo della Chiesa stessa".

Al termine della celebrazione, c'è stato un momento di ringraziamento per il nuovo vescovo che  ha coinvolto sacerdoti, religiosi e laici. Il nuovo vescovo è stato anche accolto dal sindaco della città, che gli ha dato il benvenuto nella città di Boa Vista, sede della diocesi di Roraima.

* Padre Luis Miguel Modino, consigliere per la comunicazione della CNBB Nord.

Con quasi 10 milioni di ettari, la riserva indigena dello stato del Roraima, con una popolazione di poco superiore ai 25 mila abitanti, sta vivendo una crisi senza precedenti, come ci raccontano quelle persone che da anni vivono e lavorano per la difesa dei diritti dei Popoli e della foresta pluviale che è la loro casa. In tutto questo dramma è molto evidente la colpevole negligenza dell'ultimo governo federale presieduto dal ex presidente Jair Bolsonaro (2019 al 2022).

L'estrazione dell'oro dal suolo o dai sedimenti dei corsi d'acqua, effettuata con tecniche manuali o con macchinari pesanti, è favorita da vere e proprie organizzazioni criminali ed è stata la causa principale della crisi umanitaria che ha svigorito le comunità Yanomami.

Uno studio condotto dalla University of South Alabama degli Stati Uniti rivela che la quasi totalità delle miniere illegali ( ben il 95%) si concentra in tre territori indigeni: Kayapó, Munduruku e Yanomami, che sono le zone più colpite da questa attività. 

Non è complicato capire che, se queste riserve sono abbandonate a se stesse, com’è successo in questi ultimi anni, si impone chi ha più risorse, appoggi e forze. 

L’abbondanza dei giacimenti di tutta la conca amazzonica ha quindi investito le popolazioni più deboli: favorita dai poteri economici, dalle élite locali e dall'aumento del prezzo dell'oro sul mercato internazionale l’estrazione illegale (garimpo) ha avuto la meglio. Grazie all’appoggio del precedente governo è stato perfino presentato in Parlamento un progetto di legge, poi dichiarato incostituzionale, per regolamentare e promuovere l'estrazione mineraria nei territori indigeni.

La strada di 10 km che conduce al territorio Yanomami appare oggi come una ferita aperta nel cuore della foresta. La deforestazione, l'inquinamento senza precedenti e gli enormi crateri aperti che squarciano la terra hanno conseguenze drastiche sulla vita, la cultura, la spiritualità e la salute fisica delle popolazioni autoctone. 

In un'intervista, padre Corrado Dalmonego IMC, che sta conducendo una ricerca di dottorato sull'impatto dell'attività estrattiva nel territorio indigena, ha dichiarato: "I centri sanitari hanno esaurito i medicinali di base come il diprone, il paracetamolo e i farmaci per il trattamento della malaria. Di conseguenza, più di 500 bambini sono morti per malattie curabili. A questo si aggiunge che il garimpo illegale non solo ha danneggiato la salute degli indigeni ma ha anche sconvolto la vita familiare, spingendo molte donne alla prostituzione o i giovani alla migrazione verso le periferie povere della città dove sono spesso vittime della tossicodipendenza e della miseria”.

Non c’è dubbio. Coloro che si addentrano nella foresta hanno atteggiamenti predatori nei confronti delle ricchezze naturali; i facili guadagni sono sempre realizzati a spese della vita della foresta e delle persone che la abitano e sanno vivere in armonia con essa. 

 

Le altre vittime

Per padre Bob Mulega, 34 anni, missionario della Consolata di origine ugandese e nel Catrimani dal 2019, anche le manovalanze minerarie sono a loro volta vittime di un sistema di sfruttamento: "noi sappiamo che nelle miniere le condizioni di vita sono terribili e coloro che vi lavorano sono i più poveri, senza terra e senza altre opportunità”. Gli fa eco Gilmara Fernandes, leader cattolica e membro del Consiglio indigeno missionario di Roraima (Cimi) che dice: "i veri responsabili della tragedia mineraria non sono coloro che stanno nelle miniere ma quelli che forniscono logistica, manutenzione, cibo e finanziamenti senza i quali il garimpo diventa una impresa impossibile. I lavoratori delle miniere sono solo la punta di un iceberg che va molto più in profondità; sono i poteri occulti, spesso vere e proprie imprese criminali sostenute da politici conniventi, quelle che devono essere ritenute responsabili e assicurate alla giustizia”.

Quando nel 1993, quasi trent’anni fa, è stata espulsa dalle terre indigene una prima ondata di garimpeiros questi hanno potuto diventare agricoltori, ottenendo l'accesso alla terra e partecipando a progetti di riforma agraria. Oggi è tutto più difficile continua Gilmara: “con l'arrivo della soia, il valore della terra è aumentato considerevolmente e la maggior parte della terra in Roraima è concentrata nelle mani di politici, uomini d'affari, grandi produttori di soia, e diventa impossibile comprarla. Come potranno questi lavoratori illegali mantenere le loro famiglie? Se il governo non pensa a soluzioni per loro... saranno probabilmente riciclati in altre attività illecite o in nuove frontiere del garimpo”.

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Suor Mery Agnes, MC, visita una comunità Yanomami.

Dietro le quinte

I missionari della Consolata che vivono con gli Yanomami nella regione del Catrimani da più di 50 anni conoscono quello che le telecamere non possono vedere e ciò che si muove dietro le quinte. Per padre Mulega, gli Yanomami sono una società strutturata e fortemente ancorata alle loro credenze e alla loro forma di concepire la vita e la creazione. Tutto è ben costruito: l'ora di mangiare, le regole per vivere bene in società, la cura della natura, il posto delle donne e dei bambini, il ruolo degli uomini... questo mondo merita il massimo rispetto.

Il padre Mulega si appella alla società affinché non veda gli indigeni come dei poveri disgraziati ma come un popolo originario che condivide con tutti diritti, doveri, dignità e bisogni. "Non dimentichiamoci che loro sono persone degne, e non una popolazione che vive rinchiusa in una riserva ed è oggetto di studi. A loro bisogna offrire politiche di salute pubblica ed educazione basate sulla loro lingua. Difendere la selva è difenderne la vita, la casa e luogo sacro per tutti loro".

In questo contesto, appare fondamentale una conversione dello sguardo e del cuore che permette un incontro autentico con la popolazione indigena. Un rapporto di colonizzazione, da qualsiasi parte provenga –dal governo, dai proprietari terrieri o perfino da organizzazioni che sono al servizio delle comunità indigene–, non farà altro che aumentare i danni. Il genocidio e l'etnocidio, che oggi è alla luce del sole, continueranno.

* Rosinha Martins è Missionaria scalabriniana e giornalista. FONTE

Il Cardinale Leonardo Steiner, vescovo di Manaus, è arrivato a Boa Vista, capitale dello Stato di Roraima, per esprimere, a nome di Papa Francesco e della Presidenza della Conferenza Episcopale Nazionale del Brasile (CNBB), la solidarietà con il popolo Yanomami gravemente aggredito.

Dialogo, ascolto e visione di come essere presenti come chiesa

Il cardinale di Manaus, che era accompagnato da padre Lucio Nicoletto, amministratore diocesano di Roraima e da padre Corrado Dalmonego IMC, uno dei grandi esperti del mondo Yanomami, ha detto di essere venuto a Boa Vista "per incontrare i leader indigeni con l’intenzione di dialogare, ascoltare, essere ancora più presenti come Chiesa".

Dopo aver visitato i pazienti del Centro di Salute Indigeno Yanomami di Boa Vista, l'arcivescovo di Manaus ha ricordato che la Chiesa cattolica è sempre stata molto presente con i popoli indigeni, e “in questo momento di difficoltà vogliamo marcare questa presenza. Ho potuto costatare che davvero la situazione di malnutrizione è grande e preoccupante”. 

Secondo il cardinale Steiner, "tutti conosciamo le ragioni della malnutrizione, ma nel dialogo con alcuni leader abbiamo visto che ci sono diversi elementi in cui possiamo dare il nostro contributo, il nostro aiuto. Come chiesa cattolica vogliamo mostrare la nostra solidarietà alla comunità Yanomami che è stata trascurata dal governo; loro sono figli e figlie di Dio, sono persone che vivono in regioni lontane, e sappiamo anche che questa situazione drammatica che stiamo vedendo non è nuova. Vogliamo vedere con i governi cosa possiamo fare perché questi popoli possano continuare a vivere, ma soprattutto possano vivere bene”.

Mons. Leonardo Steiner ha sottolineato il lavoro di denuncia svolto dalla Chiesa negli ultimi anni, soprattutto attraverso il Consiglio Missionario Indigeno (Cimi), che "da molto tempo denuncia, parla e pubblica rapporti” e ha informato del sostegno della Presidenza della Conferenza episcopale nazionale del Brasile e di Papa Francesco, al quale invierà un resoconto della sua visita.

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Il cardinale Leonardo con padre Lucio, amministratore diocesano di Roraima.

L'attività mineraria è bagnata di sangue

La visita del cardinale Steiner a Boa Vista è proseguita con un incontro con i leader indigeni presso la sede del Consiglio indigeno di Roraima dove gli è stato ufficialmente consegnato il rapporto "Yanomami sotto attacco", documento ricevuto dalle autorità Brasiliane nel mese di Aprile de 2022, nel quale sono raccolte testimonianze e dati che mostrano gli effetti devastanti dell'estrazione mineraria illegale nella terra indigena Yanomami.

Le autorità indigene hanno riassunto la attuale situazione come conseguenza di tre emergenze ancora attuali: l’estrazione mineraria illegale; la malnutrizione e l’inefficienza del sistema sanitario nel territorio indigena dove imperversa una epidemia di malaria. 

Secondo le organizzazioni indigene, gran parte del popolo Yanomami è spiritualmente morto a causa della distruzione della foresta che è la loro casa comune. L’estrazione mineraria illegale, ha portato 120 comunità Yanomami a una situazione di grave calamità con aggressioni di ogni genere: stupri, furti di bambini, omicidi e suicidi. Questa attività economica illegale è bagnata dal sangue di innocenti tanto nel territorio indigeno come nella città; e tutto questo sta accadendo sotto gli occhi di tutti.

La richiesta è quella di ritirare urgentemente i minatori illegali, la protezione del territorio e la tutela delle autorità indigene. Si tratta di una sfida a lungo termine che può causare molto dolore e che deve iniziare con l'identificazione e la punizione dei veri colpevoli, compresi i membri dei vari poteri e delle reti criminali che sostengono e finanziano l'attività estrattiva.

Chi parla viene minacciato e sono sempre di più i giovani Yanomami che sono coinvolti in queste attività illecite e criminali. È evidente il tentativo dei media nazionali di nascondere la realtà ma loro continueranno a difendere la vita del loro popolo.

I leader indigeni hanno ringraziato il cardinale Steiner per la sua presenza nella regione in un momento molto difficile per tutte le popolazioni indigene dello stato del Roraima; riconoscono il sostegno storico della Chiesa di Roraima e chiedono alla chiesa di continuare a camminare al fianco dei popoli indigeni della regione.

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Visita al DSEI Yanomami, del Segretariato speciale per la salute indigena.

Il dottor André Siquiera, specialista in medicina tropicale, è arrivato nelle terre dove vivono gli indiani Yanomami lunedì 16 gennaio. "Il nostro obiettivo era fare una diagnosi rapida della situazione e creare un piano d'azione con il Ministero della Salute e i leader Yanomami per mitigare o risolvere questi problemi", Visibilmente colpito, il medico ha confessato che è molto difficile affrontare questa situazione, che descrive come "catastrofica" e "disastrosa". "Assistere a questo livello di sofferenza –ha detto– è una esperienza molto pesante. Quando è il momento di affrontarlo, lo facciamo, come se avessimo il pilota automatico. Ma è solo dopo quando ci si rende conto di quanto sia drammaticca la situazione". (intervista a BBC News Brazil)

Il giornalista Wilker Oliveira, introducendo l’intervista a padre Corrado Dalmonego, Missionario della Consolata descrive in questi termini ciò che sta accadendo nella più estesa riserva indigena del Brasile: “Nella comunità Yanomami, c'è in corso una crisi umanitaria senza precedenti legata allo sfruttamento illegale delle risorse minerarie (garimpo), la denutrizione, l’epidemia della malaria, la mancanza delle medicine più elementari, la corruzione, l’abbandono da parte dello stato... solo l’anno scorso sono morti di fame e polmonite 99 bambini Yanomami.

Nel seguente video, in portoghese, ascoltiamo l’intervista al padre Corrado

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