Il Vescovo di Temuco, Sua Ecc. Mons. Hector Eduardo Vargas Bastidas, S.D.B. in una testimonianza inviata a Fides, illustra la situazione dopo gli attacchi alle chiese avvenuti di recente nel sud del Cile. Ormai sono nove le chiese e cappelle date alle fiamme durante i primi mesi del 2016, e sul posto sono stati trovati messaggi relativi alla causa mapuche .
A livello nazionale, la popolazione mapuche conta più di un milione di persone. Nella diocesi di Temuco ci sono sacerdoti, diaconi, religiosi, animatori e catechisti appartenenti ai mapuche che ogni giorno lavorano per la Buona Novella.
Mons. Héctor Vargas ribadisce a Fides quanto ha già detto ai media dopo gli attacchi alle chiese e alle cappelle nella regione di La Araucania e della provincia di Arauco: “sarebbe disposto persino a dare la vita” per risolvere il conflitto che esiste nella zona.
"Il tema di fondo sono i gravi problemi che per tanto tempo hanno subito i Mapuche – spiega il Vescovo -, e i rinvii da parte dello Stato che si può dire si prolungano da più di un secolo".
"E' incomprensibile la vicenda degli incendi ai tempi, in particolare quando le chiese per lungo tempo sono state al servizio delle comunità Mapuche e del popolo mapuche, non solo sotto il profilo religioso, ma anche culturale e di promozione umana e nella difesa della loro cultura" sottolinea il Vescovo di Temuco.
"Da parte nostra, se l’offerta della vita potesse aiutare a risolvere questo grave problema, molti di noi sarebbero forse disposti a fare anche questo gesto" ha concluso.
Fonte: Agenzia Fides
La forte contrazione dei prezzi degli idrocarburi (petrolio in primis, più gas il cui costo è legato a quello del primo) rischia di avere ripercussioni sociali e politiche su quei Paesi la cui principale fonte di reddito sono le esportazioni energetiche. Uno dei questi è l’Algeria, la cui economia, ricorda una nota inviata all’Agenzia Fides dall’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), è “una sorta di mono-cultura dell’idrocarburo, dove l’industria energetica vale circa il 30% del PIL, il 95% delle esportazioni e il 60% delle entrate fiscali”.
La nota sottolinea che “grazie alle entrate derivanti dalla vendita all’estero dell’energia e alle royalty pagate dalle imprese straniere, il governo algerino guidato dal Presidente Bouteflika ha potuto finanziare un “patto sociale” con la popolazione e ricostruire il Paese dopo la guerra civile degli anni ’90. Con i proventi del petrolio e del gas è stato pagato di tutto: investimenti in infrastrutture e abitazioni popolari, sussidi al consumo di energia elettrica, carburanti, acqua e generi alimentari, stipendi di dipendenti pubblici, importazioni di beni manufatti, ecc.”
Questo meccanismo è entrato però in crisi con la caduta del prezzo del petrolio, che ha comportato “una forte contrazione delle entrate derivanti dalle esportazioni di idrocarburi, che sono calate da circa 60 miliardi di dollari nel 2014 a 35 miliardi nel 2015. Nonostante un parziale aumento della produzione e delle esportazioni di gas negli ultimi mesi, l’ulteriore diminuzione del prezzo del petrolio registrata tra dicembre e gennaio lascia supporre che i ricavi nel 2016 saranno ancora minori, probabilmente attorno ai 30 miliardi di dollari.
Al deterioramento dell’economia, con la conseguente riduzione della capacità dello Stato di comprare la pace sociale, si aggiungono le incertezze sul piano politico. “Il quasi ottantenne presidente Bouteflika non compare in pubblico da molti mesi e in parecchi si chiedono se non sia già morto” afferma la nota. “Frizioni e contrasti sono ormai evidenti tra la cerchia stretta del Presidente e l’elite economico-militare algerina. L’esito di queste scaramucce non è certo. Nel frattempo i margini di manovra per il Paese si assottigliano e se non si agirà nei prossimi mesi, un mancato rialzo delle quotazioni del greggio nei prossimi anni imporrà scelte politiche drastiche” conclude la nota.
Fonte: Agenzia Fides
L’Oracolo del Tibet e la “divinità incarnata” che lo accompagna hanno espresso “disprezzo e ripugnanza” nei confronti dei politici del governo tibetano in esilio, accusandoli di “sprecare il dono della democrazia” e di “mettere a rischio la vita del Dalai Lama”. I giudizi sono emersi durante il rituale incontro con i massimi vertici dell’esecutivo tibetano, che si sono recati al monastero Nechung per ricevere la profezia relativa al prossimo governo. Le elezioni si sono svolte lo scorso 21 marzo, in un clima di insoddisfazione generale per il comportamento scorretto dei candidati.
Migliaia di tibetani si sono recati alle urne per eleggere il 15mo capo del Kashag (Governo in esilio) e i 45 membri del 16mo Parlamento tibetano. Le votazioni hanno coinvolto circa 88mila tibetani della diaspora registrati presso l’ufficio elettorale di Dharamsala, che hanno espresso le loro preferenze in 13 diversi Paesi. In un primo momento si è cercato di coinvolgere anche i tibetani rimasti in patria, o almeno quelli delle province cinesi confinanti come il Gansu, ma il progetto è stato abbandonato per l’opposizione di Pechino.
I risultati sono attesi a giorni, ma in lizza per il ruolo di primo ministro sono rimasti soltanto l’attuale premier Lobsang Sangay e il presidente del Parlamento Penpa Tsering. Entrambi, insieme ai membri della Camera, erano presenti davanti all’Oracolo Nechung Choegyal e alla “divinità incarnata” Tsering Chenga. Quest’ultimo, come rituale, ha parlato in un dialetto arcaico poi tradotto dai religiosi del monastero: tuttavia, un video girato durante la profezia mostra la divinità incarnata lanciare i chicchi d’orzo contro il viso dei presenti in segno di “disprezzo e ripugnanza” per la loro “corruzione e scorrettezza”.
Nella profezia ufficiale, l’Oracolo “condanna la mala gestione del dono della democrazia. Vi avverto: questo modo di fare potrebbe provocare conseguenze negative sulla salute e sulla vita del Dalai Lama. Vi invito a offrire subito le vostre scuse di cuore a Sua Santità”. Il riferimento è alla campagna elettorale e a diverse violazioni della legge che la regola, denunciate anche da diversi gruppi tibetani e internazionali.
Un tibetano di Dharamsala, che non vuole essere nominato, dice al Phayul: “Non è stata una profezia, quanto piuttosto un duro rimprovero. D’altra parte, lo stesso Dalai Lama non è felice di come sono andate le cose. L’Oracolo ha chiesto le scuse dei colpevoli, e a me sembra strano che la loro coscienza non li abbia già spinti a inginocchiarsi davanti al nostro leader”.
Fonte: AsiaNews
Prunus serrulata è un tipo di ciliegio ornamentale molto apprezzato per i fiori primaverili, originario dell'estremo oriente e in particolare Giappone, Corea e Cina. In Giappone i fiori di ciliegio si chiamano sakura (桜).
Il sakura è il simbolo del Giappone. Il fiore di ciliegio, la sua delicatezza, il breve periodo della sua esistenza, rappresentano per i giapponesi il simbolo della fragilità, ma anche della rinascita e della bellezza dell'esistenza. Oltre che essere da sempre un segno premonitore di un buon raccolto del riso è un segno di buon auspicio per il futuro degli studenti che nel mese della fioritura dei Sakura iniziano l'anno scolastico, o per i neo diplomati o laureati che nello stesso mese entrano nel mondo del lavoro.
Il Sakura viene visto anche come simbolo delle qualità del Samurai: purezza, lealtà, onestà, coraggio. Come la fragilità e la bellezza effimera di questo fiore, nel pieno del suo splendore muore, lasciando il ramo, così il samurai, nel nome dei principi in cui crede, è pronto a lasciare la propria vita in battaglia. Si tratta dell'immagine di una morte ideale, pura, distaccata dalla caducità della vita e dai beni terreni. In Giappone l'usanza di ammirare la bellezza dei fiori del Ciliegio è una tradizione che viene chiamata col nome di hanami.
Fonte: it.wikipedia.org
Giappone. Trovati i resti di p. Sidotti "l'ultimo missionario del Sol Levante"
Fonte: Radio vaticana
Le autorità del Giappone hanno confermato ieri l’autenticità dei resti dell'Abate Giovanni Battista Sidotti (Sidoti), ritrovati circa due anni fa in uno scavo a Tokyo. Si tratta "dell’ultimo missionario nel Paese" di cui per 300 anni si erano perse le tracce. Siciliano partito da Roma, via Manila arrivò nel Sol Levante nel 1708. Fu subito catturato e dopo una serie di interrogatori che consentirono al Giappone di conoscere la religione cattolica, la geografia e la storia dell’Europa, fu imprigionato. Don Sidoti morì dopo essere stato gettato in una fossa vicino a quelle di una coppia di sposi che aveva convertito durante la prigionia. Circa 150 anni fa, fu scoperto il manoscritto che parlava di lui redatto del consigliere dello shogun, Arai Hakusek, che lo aveva interrogato. “Nell’anno del Giubileo della Misericordia splende un sole meraviglioso”, ribadisce da Tokyo fra Mario Tarcisio Canducci, che ieri ha presenziato all’incontro con i rappresentati della chiesa locale e le autorità del municipio di Tokyo-Bunkyo:
– C’è stato un buio per 300 anni e poi, all’improvviso, adesso viene un sole fantastico! Sono contento! Nell’Anno della Misericordia arriva questo sole! Ho 82 anni, ma sono ringiovanito di 40!
– Ieri, un’ora prima della conferenza stampa, ha avuto il privilegio di vedere le ossa di Sidoti: che cosa ha provato?
– Ho detto al responsabile che ha portato avanti tutte le pratiche e che aveva le reliquie in una borsa: “Mettiamole sul tavolo, mi permetta di pregare”. Ho detto in giapponese: “Ti ringrazio Signore per questo dono che ci hai dato del martire Sidoti. Grazie per averci fatto conoscere che le sue ossa sono quelle che noi veneriamo adesso”. Perché questa è una notizia enorme, bellissima, straordinaria!
– Le ossa vennero trovate circa due anni fa mentre era in corso uno scavo per la costruzione di un palazzo. Lei si precipitò lì…
– Iniziarono i lavori e subito trovarono tre tombe e le ossa. Allora dovettero chiamare la polizia, secondo quanto afferma la legge giapponese. Venni a sapere di questa cosa all’improvviso e andai di corsa, ma quando arrivai, già avevano prelevato le ossa: forse un’ora prima del mio arrivo. Il portone del recinto – enorme – era aperto: andai con Suor Saito, anche lei francescana di 92 anni, una suora molto in gamba, e con una cattolica della parrocchia di Sant’Antonio a Tokyo dove sono io. Andammo là, e io urlai: “Permesso, permesso! Vorrei entrare!”. Era proibito entrare, dal momento che avevano recintato, ma questo era aperto e nessuno mi aveva risposto… E quindi entrai, vidi le tre buche e dissi: “Mamma mia, ma questa è la tomba di Sidoti”. La più lunga era la sua, era un uomo alto. Una cosa incredibile! E poi le ossa sono state ritrovate in un modo incredibile, perché nessuno avrebbe mai pensato che con questi lavori si sarebbero rinvenute. Quando ho visto la tomba ho detto: “Preghiamo, perché questa è la tomba dove è stato sepolto don Sidoti”. E abbiamo pregato insieme. Ho cominciato a diffondere la notizia, a richiamare l’interesse della gente. Sono contento, perché nel 1700 tutti erano scomparsi… Non c’era più neanche un prete in Giappone! Non c’era un sacerdote! Lui – l’unico, l’unico, lui, italiano di Palermo – una cosa incredibile, mamma mia!
– Don Sidoti, siciliano, passa per Roma, Manila, e poi il Giappone. È considerato l’ultimo missionario del Sol Levante…
– Nel senso che prima di lui, nel 1650-60 arrivarono dei missionari che furono subito presi. E dopo di lui non è entrato più nessuno fino ai tempi delle missioni estere di Parigi, nel 1860 circa.
– L'Abate Sidoti è stato sempre erroneamente considerato un gesuita…
– Non lo è assolutamente. Ieri ha parlato il prof. Koso, rettore dell’Università "Sophia" dei Gesuiti, dicendo che si è trattato di un grande sbaglio, era del clero secolare della diocesi di Palermo.
– Grazie a tre interrogatori del consigliere dello shogun, Arai Hakuseki, don Sidoti aiuterà il Giappone a capire meglio l’Europa. Hakuseki trascrisse tutte risposte ed avrebbe voluto liberare il sacerdote, ma perché entrato illegalmente il governo lo condannò ad un carcere “morbido”. Don Sodoti convertirà in carcere una coppia di sposi giapponesi e per questo i tre verranno lasciati morire in tre fosse…
– L’hanno tenuto in prigione per più di tre anni. Era una prigione per persone – diciamo così – “altolocate”. E nel frattempo, i due suoi servitori – erano due vecchi sposi – che avevano visto come si comportava don Sidoti gli chiesero di spiegare la fede e… è una storia bellissima… e di essere battezzati. Il governo venne a sapere quanto accaduto, battezzare era considerato un “crimine”, e allora pensò di rendere la prigionia molto più severa. Lo buttarono in un buco di 140 cm per 180 cm di larghezza, profondo più di tre metri. Anche i due sposi furono messi in due buchi. Tutti sopra di loro avevano un coperchio e ogni giorno ricevevano una scodella di riso acquoso e basta. La prima a morire fu la donna e poco dopo morì anche il marito. Don Sidoti urlava dalla prigione: “Coraggio! Coraggio! Il Paradiso è vicino! Tenete forte la vostra fede!”. Arai Hakuseki, sentendolo urlare in questo modo dopo l’interrogatorio, disse: “E’ impazzito!”. Non poteva capire come una persona potesse morire in quel modo per fede. Per lui era incomprensibile…”
"Un evento straordinario anche in relazione al 150. esimo delle relazioni diplomatiche tra Italia e Giappone" ribadisce l'Ambasciatore italiano a Tokyo, Domenico Giorgi, presente alla cerimonia di ieri insieme alle più importanti testate giornalistiche giapponesi:
– Celebriamo quest’anno i 150 anni dello stabilimento delle relazioni diplomatiche e commerciali fra i due Paesi e proprio il ritrovamento di questi resti ha una importanza particolare, perché ci rimanda la fatto che in realtà le relazioni umane tra i due Paesi sono più antiche, vale a dire che ci riporta a quello che gli storici giapponesi chiamano il “secolo cristiano” e quindi le missioni – in particolare dei gesuiti, molti dei quali italiani – a inizio Seicento. Così come vi furono due visite giapponesi in Italia: una promossa dal gesuita padre Alessandro Valignano, con i quattro giovinetti del sud del Giappone, che vennero ricevuti dal Pontefice ed accolti nelle principali città italiane; e poi quella Tsunenaga Hasekura all’inizio del Seicento. Sidoti, temporalmente, viene quasi un secolo dopo questi eventi, ma ci riporta alle radici profonde del primo contatto fra i due Paesi.
– Quali, dunque, le iniziative previste per questo 150.mo, anche alla luce di questa bella scoperta?
– Ci saranno diverse iniziative, come la mostra rivolta ad illustrare la missione dei quattro giovani signori feudali del sud del Giappone, nel 1582-83, in cui si ricorderà tutta questa complessa e interessantissima storia. Il ritrovamento di Sidoti ci riapre la possibilità di allargare questo approfondimento fra i due Paesi. Sappiamo che il sindaco di questo municipio di Tokyo-Bunkyo – Tokyo è divisa in 23 città – intenda organizzare una mostra dedicata a Sidoti, a tutto questo, anche perché ieri si è costatato che c’è un notevole interesse da parte della stampa giapponese: tutti i più grandi giornali e le principali televisioni erano presenti…
– Lei ha ribadito: “Al di là delle convenienze economiche e diplomatiche, i rapporti sono dati dalle persone”…
– La trama di fondo del rapporto tra Italia e Giappone è basata su aspetti di tipo culturale e sulle persone. Le faccio un esempio: subito dopo lo stabilimento delle relazioni diplomatiche, che erano connesse a problemi commerciali ed economici specifici, la prima azione che venne svolta dal governo italiano fu di inviare in Giappone esperti di grande livello nel mondo della cultura: un architetto, uno scultore, un pittore, un incisore… che per anni hanno poi insegnato a Tokyo. I giapponesi hanno percepito l’Italia come la culla della civiltà occidentale.
– Quali sono oggi le sfide per l’Italia in Giappone?
– Anzitutto, quella di saper continuare a sviluppare, su basi così solide, il patrimonio che le generazioni precedenti hanno costruito, che soprattutto e prima di tutto è basato sulla cultura nei suoi aspetti più ampi e collegata al turismo, allo scambio delle persone, dei giovani, degli studenti. Tutto questo è essenziale e viene prima poi della capacità di sviluppare altre iniziative in altri ambiti.
Perché cercate tra i morti colui che è vivo?
Dal vangelo secondo Luca Lc 24,1-12
Il primo giorno della settimana, al mattino presto [ le donne ] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù.
Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: "Bisogna che il Figlio dell'uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno"». Ed esse si ricordarono delle sue parole e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli.
Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano a esse. Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l'accaduto.
Dalla lettera di S. Paolo apostolo ai Romani Rm 6, 3-11
Fratelli, non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.