Il miracolo riguarda la guarigione di Sorino Yanomami, assalito e gravemente ferito da un giaguaro, nella foresta amazzonica brasiliana, il 7 febbraio 1996. Sorino è guarito e ha recuperato completamente la salute grazie all'intercessione del Beato Giuseppe Allamano.
DESCRIZIONE DELL’EVENTO
Sorino Yanomami è un indigeno di etnia Yanomami, nato nella comunità di Maimasik (Roraima-Brasile), presumibilmente nel 1955 (giorno e mese non sono registrati). Residente nella comunità di Yaropi (nella regione del medio corso del fiume Catrimani), è sposato con Helena Yanomami, ma senza figli. L’ambiente in cui è inserita la sua comunità è l’immensa foresta amazzonica, da cui, come gli altri membri del suo popolo, può ottenere ciò che è fondamentale per vivere, tramite la raccolta, la caccia, la pesca e la coltivazione di grandi orti.
La sua maloca (abitazione indigena, usando un termine tupi entrato nel vocabolario del portoghese brasiliano) è, tuttora, nei pressi di una “comunità missionaria della Consolata”, lì presente dal 1965 e costituita da religiosi (padri e fratelli coadiutori) e da suore missionarie.
Il superiore di allora, Guglielmo Damioli, così ricorda Sorino: «Lungo gli anni, già sposato, col suo gruppo familiare, Sorino era venuto a costruire la sua maloca all’inizio della pista di atterraggio della missione. Appariva frequentemente alla missione, sempre accompagnato dalla sua giovane sposa. Uomo comune, semplice, con un sorriso perenne sul volto. Buon cacciatore, in foresta, sulla fragile canoa, gran lavoratore nella piantagione per contribuire col gruppo e sostenere la sua famiglia».
Proprio nel cuore della foresta, quella mattina del 7 febbraio 1996, Sorino Yanomami subisce l’assalto di una femmina di giaguaro (onça pintada).
Suor Florença Lindey con Sorino e la moglie nella casa di cura per gli indigeni, Hekura Yano a Boa Vista
Sempre Gugliemo Damioli, così racconta: «Il giaguaro, come di consueto, ha attaccato Sorino di sorpresa, alle spalle. Con una zampata, gli ha fratturato la scatola cranica. Sul posto, per terra, furono trovati dagli indigeni pezzi di osso e parte di massa encefalica. Nonostante la gravità estrema delle ferite, Sorino non perse i sensi; riuscì a svincolarsi, ad alzarsi e a usare l’arco come una lancia per tenere il giaguaro a una certa distanza, mentre gridava, chiedendo aiuto. In pochi minuti, con le grida e l’arrivo degli indigeni armati di archi e frecce, il giaguaro fuggiva».
Il cognato di Sorino, B. (non riportiamo il nome, per rispetto delle usanze Yanomami che non pronunciano più il nome di una persona già morta), corre al piccolo dispensario della missione a cercare soccorso e l’infermiera titolare, suor Felicita Muthoni, missionaria della Consolata kenyana, si precipita sul luogo dell’incidente per rendersi conto della situazione e prestare le prime cure.
Così, la suora ricorda quei primi momenti: «Ho visto Sorino per terra, in un bagno di sangue, sono rimasta impietrita, bloccata e tremante, non sapendo cosa fare. Ho chiamato sua madre e ho chiesto dell’acqua; poi ho capito che il cuoio capelluto sporgeva e che Sorino stava anche sanguinando molto; c’era molta sabbia, sporcizia e parte del cervello era fuoriuscito. Ho spinto dentro il cervello e poi ho preso il cuoio capelluto e l’ho rimesso a posto, ma continuava a sanguinare; era vivo, ma non parlava. Siccome non avevo portato niente con me, ho preso l’unica cosa che avevo, la maglietta che indossavo: me la sono tolta e l’ho avvolta alla testa di Sorino, per premere meglio e fermare un po’ l’emorragia.
Ho poi mandato qualcuno a cercare la Toyota, in servizio alla nostra missione. Con dona Creuza, nostra aiutante, lo abbiamo messo in un’amaca e poi sistemato nella Toyota arrivata nel frattempo con fratel Antonio Costardi che si trovava anche nella missione. Sono rimasta con lui seduta nella parte posteriore, tenendogli la testa e ci siamo diretti al piccolo dispensario della missione».
Suore missionarie della Consolata di ritorno dalle visite alle comunità lungo il fiume Catrimani
Riferisce ancora suor Felicita: «Ho guardato le sue mani, ma le vene non erano più visibili. Avevo del plasma e l’ho messo in un piede e, all’altro piede, una flebo di glucosio con un forte analgesico».
Vista la situazione di estremo pericolo, suor Felicita chiede che Sorino venga trasportato all’ospedale di Boa Vista, capoluogo dello stato di Roraima. Riesce a contattare la CCPY (Commissione Pro Yanomami) e le viene assicurato un posto sul piccolo aereo che fa servizio nella vasta area indigena, anche se dovrà aspettare un po’, perché le richieste di aiuto sono numerose.
Ma i compagni di Sorino si oppongono alla proposta di trasferire il paziente a Boa Vista. Come è frequente nella retorica che accompagna situazioni di tensione e preoccupazione, arrivano anche a proferire minacce; per loro, infatti, è inconcepibile che uno Yanomami possa morire fuori dal suo villaggio, senza l’accompagnamento dei parenti e di uno sciamano. Lo spirito di Sorino era pronto a fare il suo viaggio. Gridano: «No! Sorino resterà qui! Lo sciamano ha già detto che, quando il sole tramonterà, lui entrerà nella casa degli spiriti e salirà in alto».
Alla fine, cedono alla richiesta di suor Felicita, ma con una minaccia terribile: se il loro compagno dovesse morire in città, lontano dalla foresta e tra “i bianchi”, uccideranno, con le loro frecce, i missionari presenti al Catrimani.
Mentre si attende l’arrivo dell’aereo, un ragazzo porta una foglia di banano arrotolata, con dentro un frammento di osso della testa di Sorino, rinvenuto nel luogo dell’incidente, e formula una sua “diagnosi”: «Noi abbiamo visto bene quando Sorino è arrivato. Abbiamo visto il cervello, abbiamo visto l’osso, l’abbiamo tirato fuori e arrotolato e poi abbiamo parlato con gli xapuri, gli spiriti della foresta: Sorino non può vivere, perché il cervello è fuoriuscito!».
Verso le 14,00, con l’arrivo dell’aereo, Sorino viene imbarcato, accompagnato dal tuxaua (capo del villaggio) C. Dopo circa un’ora di volo, all’aeroporto di Boa Vista, viene accolto da Suor Rosa Aurea e Suor Lisadele, che lo trasportano immediatamente all’Ospedale Generale.
Ricordava il dott. José Nunes da Rocha, un medico che ha avuto in cura Sorino: «Quella di Sorino era una situazione molto grave e il paziente respirava con affanno, esalava miasma e non credevamo molto nella guarigione, perché il modo in cui era infetto, putrido e in un posto “nobile” come il cervello, avrebbe causato encefalite e meningite. Quindi, non avevamo davvero molte speranze, ma lui era arrivato vivo e dovevamo curarlo, facendo tutto il possibile».
Sorino giunge, dunque, al Pronto Soccorso dell’Ospedale Generale in stato di coma, in shock ipovolemico, con una vasta ferita al cranio (perdita di cute, osso, dura madre, estesa lesione fronto-temporo-parietale con perdita di sostanza cerebrale).
In anestesia generale, viene effettuato il lavaggio della ferita, che è contaminata da terra, frammenti ossei e sangue coagulato. Il paziente tollera la procedura senza problemi, ma a causa della perdita significativa di tessuto e dell’elevato rischio di infezione, la ferita viene lasciata aperta.
L'interno di una maloca - abitazione Yanomami. Foto: Jaime C. Patias
Sulle condizioni del paziente abbiamo la testimonianza di suor Florença Lindey, religiosa che aveva lavorato al Catrimani e che conosceva bene Sorino e la sua famiglia: «Quando sono tornata a Boa Vista e i medici hanno saputo che ero arrivata, mi hanno chiamata per andare in ospedale. Sorino era stato ricoverato in terapia intensiva, non parlava e non mangiava. Quando sono entrata nella stanza, è rimasto sorpreso di vedermi, voleva abbracciarmi e parlare. Dopo alcuni giorni, è stato dimesso dalla terapia intensiva e trasferito in infermeria. Stava migliorando sempre di più, specialmente nell’umore, quando qualcuno che conosceva era con lui. Ad un certo punto del ricovero, è stato necessario eseguire un secondo intervento chirurgico, ma lui era contrario. Non è stato facile convincerlo, era molto determinato, aveva un carattere forte. Ho parlato con i medici e mi hanno permesso di accompagnarlo in sala operatoria; gli hanno spiegato e gli hanno assicurato che non avrebbe sentito dolore; quindi, ha accettato di sottoporsi all’intervento. Sono stata nella stanza per tutto il tempo dell’intervento. Quando è stato dimesso dal reparto di chirurgia, era ancora ricoverato in ospedale e sono sempre rimasta con lui, fino a quando non è stato trasferito alla casa di cura per gli indigeni, Hekura Yano», per la convalescenza.
Dal Diario della missione Catrimani, sappiamo che Sorino rientra al suo villaggio l’8 maggio, accolto dallo stupore e dalla gioia della sua famiglia, dei missionari e dai membri della sua comunità: è quasi perfettamente guarito, ma con l’obbligo di essere ancora seguito dal dispensario del Catrimani, presentandosi, ogni 15-20 giorni, per il controllo e le medicazioni.
Sull’aereo che lo riporta a casa, c’è anche suor Lisadele, la quale annota: «Sorino stava rientrando per la prima volta al Catrimani… ho visto la sua gioia di tornare. Ogni maloca lo stava aspettando, fu molto bello. La ferita era ancora semiaperta, quindi ho avuto l’opportunità di applicargli le medicazioni; lo lavavo con acqua ossigenata, lo pulivo con una garza e poi gli mettevo in testa il mio cappello, ma solo per proteggerlo dal sole».
Sorino riprende, così, la sua vita normale di “abitante della foresta” nelle sue attività di cacciatore, pescatore, agricoltore, anche se più debole per gli acciacchi dell’età che avanza, le anemie causate dalla malaria (endemica in quei luoghi) … mentre le sue condizioni di salute, al di là di ogni previsione, rimangono buone e senza alcuna conseguenza negativa dell’incidente.
Lui stesso, così si descrive, durante l’Inchiesta diocesana (2021): «Quando sono tornato dall’ospedale, facevo come gli altri Yanomami: lavoravo, coltivavo i campi, solo che ora non posso più lavorare, perché sono vecchio. Lavoro solo la mattina presto e, quando il sole diventa alto, torno a casa. Ma mi sento bene».
Interessante la testimonianza della dott.ssa Roberta Barbaro: «In data 4 marzo 2019 (dunque, ben 23 anni dopo l’assalto del giaguaro mi sono recata presso la missione Catrimani, ho incontrato Sorino Yanomami, avendo modo di osservarlo nella sua quotidianità. Sorino ha fornito un racconto dettagliato dell’incidente accorso nel 1996. Ha riferito di condurre una vita normale, continuando a svolgere le sue attività di caccia e pesca, senza problemi».
E conclude: «Il paziente presenta oggi completa ripresa funzionale e senza postumi alcuni, duratura nel tempo, che alla luce delle estese lesioni cerebrali riportate in seguito al trauma con perdita di sostanza, risulta scientificamente inspiegabile».
Mons. Mário Antonio con la Commissione durante il processo diocesano per la canonizzazione del Beato Allamano. Foto: Diocesi di Boa Vista
La vicenda “umana e sanitaria” dell’indigeno Sorino Yanomami ha come sfondo un intenso movimento di fede e invocazione, ad opera soprattutto delle suore missionarie, che lo hanno assistito e accompagnato in tutto il decorso della sua malattia e guarigione.
Una “coincidenza”: il giorno dell’incidente in foresta era anche il primo giorno della novena, in preparazione alla festa del Fondatore dei missionari/e della Consolata, che cade il 16 febbraio. Da ciò, le suore hanno tratto l’ispirazione di affidare Sorino all’intercessione del beato Giuseppe Allamano.
Dal 7 al 16 febbraio 1996, e anche nei mesi successivi, sia alla missione del Catrimani, come nella Casa Regionale delle missionarie, a Boa Vista, si è intensificata l’invocazione, espressa in umili gesti, come il cero acceso per tutto il tempo della novena o, subito dopo l’operazione, l’azione furtiva di suor Maria Da Silva Ferreira di infilare, sotto la stuoia di Sorino, una reliquia del Fondatore.
Un esempio dell’intensa preghiera da parte delle suore di Roraima è quella di suor Felicita Muthoni, nella missione del Catrimani, dopo la partenza di Sorino per l’ospedale della città: «Oh, mio Dio, oggi iniziamo la novena del nostro Fondatore. Ho detto: Hai fondato i tuoi missionari per i non cristiani. Per questo popolo, ti chiederò una cosa: che Sorino possa guarire completamente (perché, se guarisce e rimane storpio, non può vivere nella foresta). Guarisca completamente, per poter cacciare, coltivare, pescare… può guarire, se tu intervieni!».
Iniziava da quel momento il percorso di guarigione di Sorino Yanomami che, nonostante la prognosi infausta, «guarisce completamente, per poter cacciare, coltivare, pescare», come aveva chiesto al Fondatore, suor Felicita Muthoni.
* A cura della Postulazione a Roma.
Il miracolo attribuito al Beato Giuseppe Allamano è avvenuto nella Missione Catrimani, appartenente alla diocesi di Roraima, nel nord del Brasile
In un Concistoro pubblico, il primo luglio 2024, Papa Francesco ha annunciato che la canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano, fondatore degli Istituti Missionari della Consolata, si terrà domenica 20 ottobre 2024 a Roma, giornata missionaria Mondiale.
Di fronte a questo annuncio, il vescovo della diocesi di Roraima, mons. Evaristo Pascoal Spengler, ha pubblicato una nota indirizzata al popolo di Dio della sua diocesi e alla famiglia Consolata, in cui esprime la sua gioia per il "lieto annuncio della canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, presenti nella nostra Chiesa di Roraima dal 1948".
Celebrazione nella cattedrale di Boa Vista, Roraima. Foto: Luis Miguel Modino
Secondo il vescovo, "questo è il Dio misericordioso ancora una volta all'opera nella nostra storia. Dio non si stanca mai di sorprenderci con il suo amore e la sua bontà". Questo miracolo è motivo di gioia per i missionari e le missionarie, ma lo è anche per la chiesa di Roraima "perché si riconosce l’intercessione del Beato Allamano, a favore dell'indigeno Yanomami Sorino, che vive nella nostra diocesi, nella Missione Catrimani, nel territorio indigena del popolo Yanomami di Roraima. La guarigione miracolosa dell'indigeno, in un momento in cui le cure tradizionali e la scienza medica potevano solo attendere la sua morte, è stata il frutto della fervente preghiera delle Missionarie della Consolata, che hanno chiesto aiuto al loro Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano, nel primo giorno della novena a lui dedicata".
Mons. Evaristo Spengler ricorda che, "l'indigeno Yanomami Sorino era stato attaccato da un giaguaro che lo aveva gravemente ferito alla testa, aprendogli il cranio. Era il 7 febbraio 1996, primo giorno della novena al Beato Allamano. Fu accudito dalle Missionarie della Consolata che lavoravano nella missione di Catrimani e portato all'ospedale di Boa Vista. Le Missionarie offrirono la novena per questa intenzione e, per intercessione del Padre Fondatore, Sorino recuperò miracolosamente la salute in pochi mesi e vive ancora oggi nella sua comunità indigena".
Assemblea dei giovani delle comunità Yanomami. Foto: Missione Catrimani
Il messaggio ricorda i passi compiuti durante il processo, prima nella fase diocesana, e racconta come si è svolto. Si sottolinea inoltre che "l'annuncio della canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano è un momento di gioia per la famiglia Consolata, di consolidamento dell'opzione evangelizzatrice della Missione Catrimani, di conferma della storia dell'alleanza della nostra Diocesi di Roraima con i popoli indigeni e un motivo di benedizione e di speranza per la nostra Diocesi, che celebra 300 anni di evangelizzazione in queste terre di Macunaíma".
Infine, il vescovo di Roraima ha annunciato che "istituiremo una commissione nella nostra diocesi per celebrare il dono della fecondità dell'annuncio del Vangelo tra noi, confermato dal miracolo operato sul nostro fratello Sorino, per intercessione del Beato, fra poco ‘San’ Giuseppe Allamano".
* Padre Luis Miguel Modino, comunicazione della CNBB Norte1.
Dalla violenza totale alle azioni di emergenza.
Durante l’incontro organizzato dal Centro Cultures and Mission (CAM) di Torino in Italia, il sabato 18 maggio 2024 il Padre Corrado Dalmonego, IMC, antropologo e missionario in Brasile, presenta la situazione attuale delle comunità indigene nel territorio Yanomami, nello Stato di Roraima,
“L’invasione illegale del garimpo è cresciuta più di 20 mila volte in 37 anni” (nel 1987 erano 15 ettari - nel 2022 = 3.278 ettari), osserva il missionario della Consolata che svolge una ricerca di dottorato esattamente sull'impatto dell'attività estrattiva illegale nel territorio Yanomami dove è in corso una crisi umanitaria e sanitaria senza precedenti causata dai cercatori d'oro (garimpeiros).
Il popolo Yanomami conta circa 30mila individui sparsi nei territori di Brasile e Venezuela. Si stima che nel 2023 fossero oltre 20mila i garimpeiros illegalmente nelle loro terre.
Padre Corrado spiega che, le comunità sono vittime di “una violenza totale perché, oltre alla degradazione della foresta (tagliano alberi, scavano buche enormi, usano pompe idrauliche, avvelenano i fiumi per l’uso criminale del mercurio per separare l’oro dal resto) aumenta anche la diffusione di malattie, l’epidemia di malaria, denutrizione, violenze sulle donne, introduzione di armi di fuoco, della droga, ecc… Quindi, non è solo una violenza ambientale, è una violenza totale, violenza sociale, (distruzione delle comunità e l’aumento di conflitti interni e fra le comunità), ma anche una violenza spirituale. Attaccare la foresta vuol dire toccare tutto il mondo dei simboli e significati della nostra vita compreso il mondo invisibile della vita spirituale”, avverte.
“Nonostante tutte queste difficoltà gli Yanomami sono ancora vivi”.
Vedi qui il video sull’intervento di padre Corrado nel CAM di Torino
La Terra Indigena Yanomami (TIY) copre un’area estesa oltre 9 milioni di ettari nel Nord del Brasile. In questa regione, i fiumi sono canali di comunicazione che uniscono le diverse comunità. Fu a monte del fiume che i missionari della Consolata, Giovanni Calleri e Bindo Meldolesi fondarono, nel 1965, la Missione Catrimani, a 250 chilometri da Boa Vista, capitale di Roraima. Nel corso degli anni, la coesistenza del popolo Yanomami con i missionari ha contribuito a rafforzare un modello di missione basata sul rispetto e il dialogo, nella difesa della vita, della cultura, del territorio e della foresta. Tre missionari e quattro missionarie della Consolata sono attualmente impegnati nella Missione Catrimani.
Padre Corrado Dalmonego
Nato nel 1975 e cresciuto a Sant’Antonio di Porto Mantovano, Mantova – Italia, dopo essersi impegnato come animatore in parrocchia ha frequentato il Centro Missionario Diocesano e ha collaborato con l’Associazione Mappamondo che si occupa di commercio equo e solidale. Inizia la formazione nei missionari della Consolata nel 1999, prende i voti religiosi nel 2004 e viene ordinato sacerdote nel 2010. In Amazzonia è giunto per la prima volta nel 2002, quando era ancora seminarista. Dopo avere concluso la teologia a San Paolo - Brasile, è ritornato nella stessa missione, presso il popolo Yanomami. Attualmente svolge una ricerca di dottorato sull'impatto dell'attività estrattiva nel territorio indigeno Yanomami. Padre Corrado Dalmonego, nel 2019, ha partecipato al Sinodo per l’Amazzonia che si è svolto a Roma ed è autore insieme a Paolo Moiola, del libro Nohimayu – L’incontro. Amazzonia: gli Yanomami e il mondo degli altri. Storia della Missione Catrimani, EMI, Bologna 2019.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio Generale della Comunicazione
Come se non bastasse l'estrazione mineraria (garimpo) e la conseguente crisi umanitaria (influenza, malaria, malnutrizione, stupri, morte e distruzione dell'ambiente), il popolo Yanomami sta ora soffrendo per una serie di incendi che stanno devastando le loro case comuni, le loro piantagioni e i loro beni di sussistenza. L'allarme arriva dalla Missione Catrimani nello stato di Roraima, nel nord del Brasile, in una nota pubblicata sui social media questo mercoledì 21 febbraio 2024.
Padre Bob Mulega, missionario della Consolata che fa parte dell'équipe della Missione, conferma la situazione critica in cui si trovano le comunità e spiega le possibili cause degli incendi nella regione del medio Catrimani della Terra Indigena del popolo Yanomami (TIY), dove vivono circa 1170 abitanti in 29 comunità. Secondo il sacerdote, gli incendi sono iniziati circa dieci giorni fa e si stanno intensificando ogni giorno.
Una delle case comunitarie Yanomami bruciate dagli incendi
"Le cause degli incendi sono legate al clima secco e ai venti che colpiscono la regione in questo periodo dell'anno", ha dichiarato padre Bob. "Dai semplici fuochi fatti dagli Yanomami per coltivare i loro campi, con il vento e l'attrito tra gli alberi, le scintille sono trasportate più lontano dal vento, causando principi di incendio in altre parti della foresta già molto secca" Il missionario lancia allora un appello: "È un momento estremamente complicato per le comunità che stanno lottando per proteggere ciò che è essenziale per il loro sostentamento".
La distruzione delle coltivazioni, "fa scattare l'allarme della fame che è imminente perché le nuove piantagioni sono state devastate dal fuoco, che, a partire dalla missione si sta propagando su una vasta area della foresta, in un raggio di tre o quattro ore di cammino lungo il fiume Catrimani", spiega padre Bob. Finora sono state colpite 10 comunità, con tre case comunitarie perse e sei coltivazioni danneggiate, compresa la sede della Missione. "Per fortuna finora non ci sono state vittime, ma il 50% della popolazione locale è ha subito danni", ha affermato il missionario.
L'incendio si propaga lungo il fiume Catrimani.
L’équipe dei missionari e delle missionarie della Consolata del Catrimani, nel territorio della diocesi di Roraima, sta lavorando per fornire assistenza alle persone colpite. Padre Bob conclude invitando a un gesto di solidarietà: "Chiediamo le preghiere e la collaborazione di ognuno di voi. Qualsiasi forma di aiuto, dai contributi finanziari al sostegno morale, sarà molto apprezzata. Insieme, possiamo fare la differenza e offrire a questo popolo il sostegno di cui ha bisogno per superare questa avversità". In particolare, gli Yanomami hanno urgente bisogno di cibo, reti e materiali da pesca, essenziali per la loro sopravvivenza. Le donazioni possono essere effettuate tramite il conto dell'Istituto Missioni Consolata. Il vostro aiuto farà la differenza. A nome dell'équipe, grazie di cuore"-
Con una popolazione di circa 30.000 abitanti, il popolo Yanomami è stato danneggiato per decenni dall'estrazione mineraria illegale, che ha causato il deteriorarsi dell’ambiente naturale, contaminazione delle acque e del terreno, malattie e morti, più volte denunciate al governo come genocidio. Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2023 sono morti più di 300 Yanomami, il 50% dei quali erano bambini sotto i quattro anni.
Piantagione di banane colpita dagli incendi
A un anno dall'inizio delle politiche del Governo federale nella Terra Indigena Yanomami (TIY) con l'obiettivo di proteggere il territorio e riprendere in loco un’azione sanitaria, il Rapporto dell’anno 2022 compilato dal Consiglio Indigeno Missionario (Cimi) sulla violenza contro i popoli indigeni in Brasile, mostra il permanere della critica situazione sanitaria e l’accanimento del “garimpo” - l'attività estrattiva - nel territorio. Il Rapporto evidenzia la scia di omissioni del governo precedente, con la sistematica inosservanza delle decisioni legali e l' intenzionale omissione di proteggere il popolo Yanomami.
Ancora oggi, nonostante gli sforzi di persone e professionisti impegnati, le misure adottate dall'attuale Governo Lula, non sono state sufficientemente efficaci e non hanno trovato la necessaria applicazione da parte di tutti gli organi statali interessati che avrebbero dovuto attuarle. A tutto questo si aggiunge ora la devastante situazione di una parte della popolazione che si trova a dover affrontare le drammatiche conseguenze degli incendi.
* Padre Jaime C. Patias, Comunicazione Generale IMC, Roma.
L'équipe della Missione Catrimani visita le comunità colpite dagli incendi
All'inizio del nuovo anno 2024, sono state diffuse immagini dove si vedevano bambini Yanomami malnutriti, uguali o addirittura peggiori di quelle del 2023. Un anno dopo l'azione federale la Terra Yanomami deve affrontare il persistere dell'estrazione mineraria illegale e della crisi umanitaria che rivelano le sfide crescenti e l'urgenza di misure efficaci per proteggere la comunità indigena e preservare l'ecosistema.
Un anno fa –si legge in una nota del Consiglio Missionario Indigeno dell’11 gennaio– il nuovo governo ha annunciato l'urgenza di un'azione di forza nello Stato di Roraima per combattere l’emergenza della malnutrizione e la morte degli Yanomami. Si era proclamato il bisogno di sviluppare una task force, attraverso la Polizia Federale, la Forza di Sicurezza Nazionale e l'Esercito, con l'obiettivo di rimuovere i minatori illegali dal territorio indigeno e prevenire ulteriori incursioni. Oggi le immagini mostrano chiaramente che il genocidio degli Yanomami è ancora in corso.
All'epoca furono lanciate accuse contro il precedente governo Bolsonaro, che aveva incoraggiato l'invasione mineraria, e furono pronunciati numerosi discorsi da parte di funzionari governativi sull'importanza delle iniziative che stava prendendo il presidente Lula eppure –secondo gli analisti– nonostante gli sforzi di molti funzionari pubblici e leader indigeni per pianificare azioni e servizi per combattere la fame e le malattie, questi non hanno avuto successo perché, allo stesso tempo, altri attori statali - l'Esercito, l'Aeronautica e le Forze di Sicurezza – “hanno sabotato l'Operazione Yanomami”.
Unità sanitaria di Homoxi. Accanto al cratere prodotto dall'operazione mineraria. Foto: Júnior Hekurari
Gli organismi diretti da Sônia Guajajara, Ministro per i Popoli Indigeni, e da Joênia Wapichana, presidente della Fondazione Nazionale per i Popoli Indigeni (FUNAI), non dispongono di elicotteri, aerei, barche, armi da fuoco, né di un numero sufficiente di dipendenti pubblici o di risorse necessarie per svolgere il compito. Inoltre, non hanno potere di comando sulle Forze Armate, sulla Polizia federale e sulla Forza Nazionale. Questi erano i tre settori responsabili di fornire tutto il supporto necessario, compresa la sicurezza fisica, per le azioni delle squadre del Ministero della Salute, dell'Istituto Brasiliano per l'Ambiente e le Risorse (Ibama) all'interno del Territorio indigeno.
"Le invasioni e gli abusi vanno avanti da diversi anni, creando una situazione di dipendenza da parte degli Yanomami. I minatori sanno come superare la resistenza e sedurre alcuni Yanomami. Ma non è questo il caso in generale, poiché gran parte della Terra Yanomami è libera degli invasori. Purtroppo in Roraima la maggior parte del territorio è stata invasa. L'attività mineraria è attraente", sottolinea fratel Carlo Zacquini, Missionario della Consolata a Boa Vista che da più di 50 anni accompagna il popolo Yanomani. "Stanno distruggendo le risorse, l'acqua è contaminata dal mercurio, ci sono casi di indigeni con un'alta percentuale di mercurio nel corpo, la malaria è in aumento, così come i casi di tubercolosi perché il personale sanitario non è in grado di fare il proprio lavoro", denuncia il missionario.
La Terra Indigena Yanomami (TIY) include un'area estesa oltre 9 milioni di ettari nel nord del Brasile. In questa regione, i fiumi sono preziosi canali di comunicazione che uniscono le diverse comunità indigene. Fu a monte del fiume che i missionari della Consolata italiani, P. Giovanni Calleri e P. Bindo Meldolesi fondarono, nel 1965, la Missione Catrimani, a 250 chilometri da Boa Vista, Roraima. La Missione contribuisce alla difesa della vita, della cultura, del territorio e della foresta. Nel corso degli anni, la coesistenza di Yanomami con i missionari ha contribuito a rafforzare un modello di missione basata sul rispetto e il dialogo. Tre missionari e quattro missionarie della Consolata sono attualmente impegnati nella Missione di Catrimani.
Finché il problema delle invasioni non sarà risolto, non sarà possibile proteggere gli Yanomami. Secondo fratel Zacquini, “l'Esercito deve essere maggiormente coinvolto. L'Aeronautica dovrebbe interdire lo spazio aereo e l'Ibama dovrebbe controllare i fiumi dove entrano le imbarcazioni. Purtroppo le azioni non sono state sufficienti e in alcuni casi sono state ridicole", dice. "So che ci sono molte persone che stanno facendo un buon lavoro, ma ci sono anche persone che sono contrarie. In Roraima non c'è un politico, deputato o un senatore, che sia a favore degli indigeni", lamenta Zacquini.
Secondo la valutazione di fratel Zacquini, il governo pensava che l'adozione di misure all'inizio del 2023 avrebbe scoraggiato i cercatori e interrotto il flusso ed effettivamente “è risultato che all'inizio un buon numero se ne è andato, alcuni sono stati aiutati ad andarsene, altri se ne sono andati da soli e altri ancora anche se arrabbiati, se ne sono andati".
La situazione sanitaria degli Yanomami rimane precaria. Foto: Revista Forum
Ma poi sono apparsi aerei ed elicotteri che vanno e vengono in continuazione. “Non si tratta più di cercatori, ma di uomini d'affari che possiedono aerei, elicotteri e macchinari pesanti. Utilizzano piste di atterraggio ancora aperte, anche se Ibama ha rimosso centinaia di motori, pompe di aspirazione e distrutto alcune piste. Questo ha reso l'attività estrattiva un po' più difficile, ma in Venezuela c’erano già delle piste d'atterraggio dove non esistono controlli e dove operano militari corrotti. Loro possono contare con otto o dieci aerei situati vicino al confine dove gli imprenditori minerari operano in piena libertà", denuncia Zacquini.
“La situazione sanitaria era precaria - continua fratel Zacquini - il Ministero della Salute del Distretto Sanitario Speciale Indigeno (Dsei Yanomami / Ye'kuana) ha cercato con alcune persone di affrontare la calamità, ma la persona incaricata di coordinarla non aveva la competenza: si sono trovati di fronte alla mancanza di personale qualificato per il lavoro. Le difficoltà erano molte, dalla preparazione del personale alla logistica dei centri sanitari, dove alcuni erano stati distrutti, altri erano in pessime condizioni o non erano mai stati allestiti".
Fratel Zacquini spiega che "pochi operatori sanitari si adattano alle condizioni precarie di vita sotto un telone e diventa un lavoro molto pesante".
In questo contesto di contraddizioni, gli Yanomami hanno continuato a morire e i minatori hanno continuato a sfruttare e devastare la terra e il suo ambiente. “Dolore, malattia, fame, malnutrizione, stupro, devastazione, omicidio, caos". Queste sono le parole che riassumono un anno di una task force senza forze. Lo dimostra l'informazione dell'Ibama secondo cui i suoi ispettori hanno subito almeno 10 attentati nel corso del 2023" (Carlos Madeiro, editorialista di UOL, 05/01/2024).
Gruppo di bambini Yanomami nella scuola della Missione Catrimani. Foto: Jaime C. Patias
Secondo Fratel Zaquini, "quello che è mancato è stata la partecipazione dell'Esercito, dei militari che avrebbero dovuto portare cibo alle regioni colpite dalla fame e dalla malnutrizione dei bambini. Hanno fatto delle azioni spettacolari, lanciando scatole di sardine su alcune piste, cose assurde. Il risultato è scarso, è come una barzelletta", dice. Le azioni, "non sono riusciti a rimuovere tutti i minatori e gran parte di quelli rimasti sono legati al traffico di droga, sono banditi e non minatori, molti dei quali legati a organizzazioni di São Paolo e Rio de Janeiro. Sono armati e hanno iniziato a controllare il personale sanitario; gli stessi indigeni sono stati minacciati e alcuni uccisi in attacchi. Ci sono stati casi di violenza e stupro di donne e ragazze e hanno cercato di sedurre alcuni Yanomami offrendo telefoni cellulari e persino armi e munizioni. La situazione è davvero caotica”, sottolinea Zacquini.
Le immagini trasmesse dalle reti televisive e le testimonianze dei leader indigeni e dei fornitori di servizi all'interno del Distretto Sanitario Yanomami denunciano la drammaticità di quella realtà consumata dalla violenza.
Secondo il Consiglio Missionario Indigeno, il Governo federale deve, al di là dei discorsi e dei piani, “investire risorse, assumere e formare persone, organizzare infrastrutture, predisporre attrezzature e medicinali che permettano operare stabilmente sul territorio. Oltre a questo sarà necessario combattere gli invasori allontanandoli dai territori indigeni e facendoli responsabili civilmente e penalmente, ma soprattutto, perseguendo i principali finanziatori di questo massacro”.
Hugo Loss, un agente dell'Ibama, –in un servizio del programma Fantástico della TV Globo (14/01/2024) – ha rivelato la presenza di sostanze illecite negli accampamenti: "si commercializzano sigarette, polvere e pietre, in altre parole cocaina e crack", ha detto. La presenza di droghe rafforza la natura pericolosa e violenta dell'attuale profilo dei minatori, molti dei quali sono associati a gruppi criminali armati. Il pubblico ministero Alisson Marugal ha sottolineato che il profilo dei minatori è diventato più audace e violento, associato a gruppi criminali armati.
In un anno, l'Ibama ha distrutto più di 35 aerei ed elicotteri utilizzati dai criminali, con una riduzione dell'85% dell'area disboscata dal garimpo. Tuttavia, una pista di atterraggio in Venezuela, a soli cinque chilometri dal confine, è fuori dalla portata delle forze brasiliane, evidenziando la complessità della situazione.
I giovani yanomami studiano la Costituzione brasiliana e imparano a conoscere i loro diritti. Foto: Missione Catrimani
La Polizia Federale ha più di 400 indagini aperte relative all'estrazione mineraria nella terra degli Yanomami e ha bloccato beni per 600 milioni di reais di coloro che sono indagati. Per combattere efficacemente il crimine, il sovrintendente della Polizia Federale sottolinea l'importanza di eliminare il finanziamento dell'attività mineraria. L'anno scorso il governo ha speso un miliardo di reais per tutte le azioni di emergenza. I soli voli equivalgono a più di 40 giri della Terra.
Per quanto riguarda la crisi umanitaria, nonostante gli sforzi del governo, la situazione nella Terra degli Yanomami non è migliorata significativamente dall'intervento del gennaio 2023. Il Presidente Lula ha annunciato un cambio di strategia, con la presenza permanente di forze di sicurezza nella regione e la creazione di una casa del governo a Boa Vista, con un budget di 1,2 miliardi di reais.
Il ministro per i Popoli indigeni, Sônia Guajajara, sottolinea l'importanza di risanare la terra per ripristinare la salute del popolo Yanomami, mettendo in evidenza il massiccio impatto lasciato dalle attività minerarie nella regione.
"Il territorio indigeno Yanomami è una sfida enorme, sia per le sue dimensioni, ma anche per i trasporti e gli spostamenti. Oggi è un'area che può essere percorsa solo in aereo e i corsi d’acqua si possono usare per portare attrezzature in modo molto limitato", afferma il presidente di Funai, Joenia Wapichana.
* Padre Jaime C. Patias, IMC, con informazioni di G1 e Cimi.