Nella preghiera dell'Angelus al termine della Messa di canonizzazione di Giuseppe Allamano, undici martiri di Damasco, Marie-Léonie Paradis ed Elena Guerra, domenica 20 ottobre, il Papa Francesco ha lanciato un appello in favore del popolo Yanomami.
«La testimonianza di San Giuseppe Allamano ci ricorda la necessaria attenzione verso le popolazioni più fragili e più vulnerabili. Penso in particolare al popolo Yanomami, nella foresta amazzonica brasiliana, tra i cui membri è avvenuto proprio il miracolo legato alla canonizzazione odierna. Faccio appello alle autorità politiche e civili, affinché assicurino la protezione di questi popoli e dei loro diritti fondamentali e contro ogni forma di sfruttamento della loro dignità e dei loro territori».
Il miracolo che ha portato alla canonizzazione del Beato Giuseppe Allamno è avvenuto tra gli Yanomami, nella foresta amazzonica brasiliana dove i missionari e le missionarie della Consolata sono presenti sin dal 1948. Il 7 febbraio 1996, Sorino Yanomami, assalito e gravemente ferito da un giaguaro è guarito e ha recuperato completamente la salute grazie all'intercessione di Giuseppe Allamano.
Il missionario della Consolata padre Giovanni Battista Saffirio, è deceduto il venerdì 11 ottobre 2024 a San Paolo, Brasile. Italiano di nascita, ha vissuto per 57 anni in Brasile, Stati Uniti e Canada. Aveva 85 anni, di cui 64 di professione religiosa e 58 di sacerdozio.
Nato a Bra, in Italia, nel 1939, padre Giovanni Battista Saffirio, meglio conosciuto come João Saffirio, è arrivato in Brasile nel 1967. Ha lavorato nella Missione Catrimani, con il popolo Yanomami, in due periodi: nella “prima ora” di presenza effettiva dal 1968 al 1979, e dal 1985 al 1995. In seguito ha conseguito il dottorato in antropologia e ha lavorato negli Stati Uniti e in Canada per quasi 20 anni. In Brasile, ha accompagnato per dieci anni le attività pastorali della parrocchia di São Manuel, nell'interno di San Paolo.
Nel libro “L'incontro - Nohimayou: ricordi della Missione Catrimani”, pubblicato nel 2017 dall’Editrice Paulinas, padre Saffirio racconta il suo arrivo e il primo incontro con gli Yanomami: “Era il 16 ottobre 1968. Arrivai alla Missione Catrimani partendo da Boa Vista al mattino. Nel pomeriggio, fratel Carlo Zacquini - già da nove mesi in missione - mi presentò la maloca (yano – abitazione comunitaria) dei Korihanatheri. Nella 'grande casa Yanomami' c'erano circa 35 indigeni”. Nella pubblicazione, descrive anche il rapporto tra i missionari e gli Yanomami, nonché ciò che ha imparato da loro.
Padre João Saffirio con gli Yanomami negli anni '70. Foto: CDI/IMC RR
Grande missionario, intellettuale e dottore in antropologia, si è distinto per il suo lavoro nell'ambito dell'assistenza sanitaria, dell'educazione e della difesa della vita indigena, per la creazione e la dedizione al censimento della popolazione Yanomami e, insieme a padre Guglielmo Damioli, per la stesura del primo atlante etnologico Yanomami, che ha contribuito in modo determinante alla delimitazione e alla ratifica del territorio Yanomami nel 1992.
Entrambi, insieme a un gruppo di suore della Consolata, fecero parte del gruppo di missionari espulsi dal territorio Yanomami dalla Fondazione Nazionale dei Popoli Indigeni (FUNAI) nel 1987, dopo aver denunciato l'invasione di 20.000 garimpeiros (ricercatori di minerali) che portò alla morte molti indigeni; tornarono pochi mesi dopo, quando fu riconosciuta l'arbitrarietà delle azioni del governo brasiliano.
Mons. Vanthuy Neto, attuale vescovo di São Gabriel da Cachoeira (Amazzonia), ha conosciuto padre Giovanni Saffirio a Roraima, quando era ancora giovane e si trovava a Catrimani. Lo ricorda poi come amministratore e superiore a Boa Vista, durante i tempi difficili della persecuzione dei missionari della Consolata a Roraima, al tempo del vescovo Aldo Mongiano, IMC, quando Mons. Vanthuy era seminarista e poi sacerdote nella diocesi. Mons. Vanthuy evidenzia tre immagini di padre Saffírio:
“Innanzi tutto era di un uomo che aveva studiato a fondo il mondo Yanomami e li conosceva molto bene; era un missionario che era stato molto vicino agli Yanomami, così come il padre Guglielmo Damioli e fratel Carlo Zacquini; ricordo che scrisse con Guglielmo un grande libro sugli Yanomami, con testi e fotografie bellissime”.
Padre Giovanni Saffirio IMC. Foto: CDI/IMC RR
“La seconda immagine che ho di lui è che ha vissuto esperienze molto difficili quando era Superiore Regionale della Consolata negli anni '90, con accuse e violenze contro i sacerdoti e il vescovo Aldo Mongiano: avevano una grande responsabilità per la vita e la missione a Roraima, era un uomo di grande coraggio che ci accoglieva con grande affetto ed era sempre sorridente. Nei momenti difficili, aiutato dalla sua segretaria Beth e a volte da me, scriveva testi sulla situazione e li inviava alle organizzazioni via fax”.
“La terza immagine è relativa alla beatificazione dell'Allamano nel 1990, organizzando alcune cose a Boa Vista; lo ricordo come un uomo molto intelligente, capace di grandi riflessioni”.
Padre Giovanni Battista Saffirio è nato a Bra, in provincia di Cuneo, il 13 settembre 1939. Ultimo di sette figli nati da Giuseppe e Giordana Teresa, è stato educato alla fede cristiana in famiglia.
A 11 anni entra nel Seminario diocesano di Torino e a 17 anni nel Seminario dei Missionari della Consolata, dove emette la professione religiosa nel 1960. È stato ordinato sacerdote a Torino il 18 dicembre 1965, “dieci giorni dopo la conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II”, come disse lui stesso.
Arrivò in Brasile nel 1967 e “il 16 ottobre 1968, con un Cessna 170 monomotore, arrivai alla piccola pista della Missione Catrimani, costruita l'anno precedente dai padri Giovanni Calleri e Bindo Meldolesi”. Missionario e grande intellettuale, ha lavorato nella missione di Catrimani per due periodi (1968-1979 e 1985-1995), oltre ad essere amministratore e poi superiore della Regione di Roraima dei Missionari della Consolata a Roraima.
Padre Saffirio a São Manuel (SP). Foto: Parrocchia São Manuel
Per molti anni è stato anche missionario negli Stati Uniti e in Canada, dove ha studiato e conseguito il dottorato in Antropologia Culturale e Sociobiologia presso l'Università di Pittsburgh in Pennsylvania all'inizio degli anni '80; dal 1996 al 2012 è stato a Toronto, Highland e Somerset. Nel 2012 è tornato in Brasile, dedicandosi alle attività pastorali a São Manuel, nell'interiore di San Paolo. Negli ultimi anni, a causa della salute cagionevole, ha vissuto nella Casa Regionale dei Missionari della Consolata a Jardim São Paulo, dove è morto la sera dell'11 ottobre 2024.
* Padre Julio Caldeira, IMC, comunità del Noviziato di Manaus, Brasile.
Nelle prime ore del 7 febbraio 1996, Sorino Yanomami partì per la caccia dalla sua maloca (abitazione collettiva Yanomami). Mentre era in foresta fu assalito e gravemente ferito da un giaguaro.
Secondo la popolazione locale, questo fu il secondo caso di un attacco di un giaguaro nella regione della Missione Catrimani, situata a 150 chilometri da Boa Vista, nello stato di Roraima in Brasile. Nel primo assalto, avvenuto alla fine del 1995, furono ritrovate solo resti del corpo della vittima.
Come sappiamo, Sorino Yanomami è stato soccorso in gravi condizioni dai Missionari e le Missionarie della Consolata che operano nella Missione Catrimani. Fu necessario trasferirlo d'urgenza all'Ospedale Generale della città di Boa Vista con un aerotaxi. La gente rimase scioccata e spaventata, e tutti credettero che non potesse sopravvivere. Per questo chiesero che Sorino rimanesse nella sua maloca per morire in compagnia della sua famiglia.
Con fede, fiducia e speranza, come coloro che nel Vangelo trasportarono il paralitico nella barella e lo calarono attraverso il buco nel tetto davanti a Gesù per essere guarito, così le Suore Missionarie della Consolata, dopo aver prestato il primo soccorso, rischiarono tutto per portare Sorino a Boa Vista. Cominciarono a pregare il Beato Giuseppe Allamano perché intercedesse per la sua guarigione. A Boa Vista, le suore fecero i turni all'Ospedale Generale per assistere Sorino e facilitare la visita e il soggiorno dei parenti.
Il canonico Giuseppe Allamano fondò l'Istituto dei Missionari della Consolata nel 1901 e la congregazione delle Suore Missionarie della Consolata nel 1910. Perciò, lui è il Padre Fondatore, un uomo tutto per Cristo e per la missione. Nel contesto della storia della guarigione miracolosa di Sorino Yanomami, Giuseppe Allamano è quel “buco nel tetto” attraverso il quale i quattro uomini del Vangelo fecero passare il paralitico perché potesse raggiungere Gesù ed essere guarito. Le suore hanno pregato costantemente il Beato Giuseppe Allamano per la guarigione di Sorino.
(La guarigione sciamanica di Sorino. Disegno: Trento Yanomami 2017)
I quattro uomini del Vangelo (Mt 9,1-8; Mc 2,1-12, Lc 5,17-18) ebbero fede in Gesù, credettero nel suo potere di guarigione. Era una fede pratica che li spinse a cercare a tutti i costi la guarigione del loro amico paralitico. Il paralitico sulla barella è in una situazione di impotenza, ha bisogno di aiuto. I quattro amici si fanno carico di lui, con fede libera, viva, incarnata in vari gesti. Secondo San Giacomo, “la fede senza le opere è morta” (Gc 2,17).
La fede, la fiducia nell'incrollabile bontà della potenza di Dio e la speranza spingono i quattro uomini a compiere un'azione senza precedenti. Superando i loro limiti, scoperchiarono il tetto della casa aprendolo e calando il paralitico con la sua barella al centro della casa dove si trovava Gesù. Non hanno paura della reazione della gente. Vogliono vedere il loro amico guarito.
La fiducia è la quinta essenza della speranza, diceva il padre Giuseppe Allamano ai suoi missionari e missionarie. Nella cosmologia greca, il quinto elemento è l'etere, qualcosa di magnifico, grande, molto più grande dell'aria che respiriamo. La quinta essenza è l'etere. Si può avere tutto: aria, fuoco, acqua e terra, ma se non si ha fiducia e speranza, si può morire.
Il ruolo degli sciamani nel sostenere la volta celeste ed accompagnare i loro cari al momento della morte affinché possano attraversare la finestra verso l'eternità. Foto: Missione Catrimani
Nel Vangelo leggiamo che Gesù guarisce tutti i malati che incontra o che gli vengono portati. “... la gente gli portava tutti quelli che soffrivano di vari disturbi e tormenti: gli indemoniati, gli epilettici e i paralitici; ed egli li guariva” (Mt 4,24). Ma Gesù guarisce anche grazie alla fede di coloro che si rivolgono a lui per ottenere la guarigione, come nel caso dei quattro amici che, con fede, fiducia e speranza, fanno passare l'uomo paralitico attraverso il buco del tetto per ricevere la guarigione di Gesù.
La guarigione miracolosa di Sorino, come quella del paralitico, mette in evidenza il valore della fede concreta, della fiducia e della speranza, dimostrando che Dio è attento a coloro che lo invocano e si rivolgono a Lui nel momento del bisogno.
La guarigione dell'indigeno Sorino in piena foresta amazzonica è un segno visibile della presenza del Creatore nella vita del popolo Yanomami e conferma il carisma della missione ad gentes lasciata in eredità dal Beato Giuseppe Allamano.
* Suor Mary Agnes Njeri Mwangi è missionaria della Consolata keniota che lavora nella Missione Catrimani a Roraima.
Dopo 6 ore di attesa a causa del maltempo, il piccolo aereo a quattro posti è partito da Boa Vista verso la Missione di Catrimani (in linea retta circa 150 chilometri), un'area all'interno dello Stato di Roraima, nella terra degli indigeni Yanomami che fa parte della grande Amazzonia brasiliana.
In questa regione i missionari della Consolata Italiani, Giovanni Calleri e Bindo Meldolesi fondarono, nel 1965, una missione molto speciale sulle rive del fiume Catrimani. Ed è lì che i missionari della Consolata sono presenti tra gli indigeni Yanomami da quasi 60 anni, accompagnando alcune comunità di questa etnia, vivendo in semplicità e vicinanza l'inevitabile incontro tra una cultura basata sulle tradizioni secolari che vive in armonia con un ambiente impegnativo come la foresta amazzonica e una cultura occidentalizzata basata sul consumo e sullo sfruttamento di tutto ciò che può generare profitto e guadagno economico.
Pochi giorni di visita non sono ovviamente sufficienti per comprendere tutte le dinamiche che i missionari hanno sviluppato in tutti questi anni nel territorio, ma ci danno alcuni elementi che illuminano la scelta di questa équipe missionaria di essere presente tra gli Yanomami in semplicità, quasi in silenzio, e senza grandi pretese a livello di successi pastorali (intesi come numero di battesimi nell’anno o nella costruzione di cappelle e centri di culto, etc.).
Oltre a essere presenti sul territorio in un atteggiamento di dialogo e fornendo alcuni servizi come l'assistenza sanitaria o risolvendo alcune delle necessità quotidiane di base, il loro l'obiettivo è quello di aiutare a rafforzare e preservare le loro tradizioni con incontri di formazione su temi specifici che riguardano la comunità, soprattutto con giovani e donne, affinché possano affrontare le sfide che provengono dall'invasione dei "garimpeiros" illegali che causano la distruzione dell’ambiente, l'inquinamento dei fiumi e minacciano la vita stessa delle comunità Yanomami. Tutto ciò, assieme alle difficoltà di fornire assistenza sanitaria, sta creando una disastrosa crisi umanitaria.
Senza dubbio, chi beneficia maggiormente in questo incontro e dialogo di vita è certamente l'équipe missionaria stessa, e i nostri due Istituti, perché arricchisce il nostro carisma ad gentes in un dialogo di spiritualità con un popolo che, pur non avendo la parola "religione", né strutture religiose e liturgiche in senso stretto come le nostre, ha una cosmologia che definisce l'essere umano come colui che porta in sé un tesoro immortale. Gli Yanomami credono che il Trascendente, l'Artigiano (Omama) che ha creato il mondo e tutto ciò che vi coesiste, sia anche il mentore di una vita dignitosa e infinita.
Un grande grazie all'Equipe Missionaria Catrimani (P. Bob Mulega, P. Filbert Nkanga e Fr. Ayres Osmarin; Sr. Mary Agnes, Sr. Suzana Kihoo e Sr. Argentina Paulo) per l'accoglienza e la fraternità che abbiamo sperimentato in questi giorni; anche perché ci incoraggiano a continuare a credere profondamente che il nostro carisma missionario e la spiritualità della consolazione, ereditati dal nostro Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano, che verrà proclamato santo il 20 ottobre, sono ancora validi e attuali per il mondo di oggi. Qui si impara ad accogliere il bene e a riconoscerlo in tutti e in tutto; ma allo stesso tempo a individuare il male attraverso il grido del popolo e della terra, nostra "Casa Comune", perché, come dice Papa Francesco, “tutto è interconnesso”, il mondo visibile e quello invisibile o spirituale.
* Padre Juan Pablo De Los Ríos, IMC, Consigliere generale per l'America.
Visita a Sorino Yanomami che ha ricevuto la grazia della guarigione per intercessione del Beato Allamano
Il miracolo riguarda la guarigione di Sorino Yanomami, assalito e gravemente ferito da un giaguaro, nella foresta amazzonica brasiliana, il 7 febbraio 1996. Sorino è guarito e ha recuperato completamente la salute grazie all'intercessione del Beato Giuseppe Allamano.
DESCRIZIONE DELL’EVENTO
Sorino Yanomami è un indigeno di etnia Yanomami, nato nella comunità di Maimasik (Roraima-Brasile), presumibilmente nel 1955 (giorno e mese non sono registrati). Residente nella comunità di Yaropi (nella regione del medio corso del fiume Catrimani), è sposato con Helena Yanomami, ma senza figli. L’ambiente in cui è inserita la sua comunità è l’immensa foresta amazzonica, da cui, come gli altri membri del suo popolo, può ottenere ciò che è fondamentale per vivere, tramite la raccolta, la caccia, la pesca e la coltivazione di grandi orti.
La sua maloca (abitazione indigena, usando un termine tupi entrato nel vocabolario del portoghese brasiliano) è, tuttora, nei pressi di una “comunità missionaria della Consolata”, lì presente dal 1965 e costituita da religiosi (padri e fratelli coadiutori) e da suore missionarie.
Il superiore di allora, Guglielmo Damioli, così ricorda Sorino: «Lungo gli anni, già sposato, col suo gruppo familiare, Sorino era venuto a costruire la sua maloca all’inizio della pista di atterraggio della missione. Appariva frequentemente alla missione, sempre accompagnato dalla sua giovane sposa. Uomo comune, semplice, con un sorriso perenne sul volto. Buon cacciatore, in foresta, sulla fragile canoa, gran lavoratore nella piantagione per contribuire col gruppo e sostenere la sua famiglia».
Proprio nel cuore della foresta, quella mattina del 7 febbraio 1996, Sorino Yanomami subisce l’assalto di una femmina di giaguaro (onça pintada).
Suor Florença Lindey con Sorino e la moglie nella casa di cura per gli indigeni, Hekura Yano a Boa Vista
Sempre Gugliemo Damioli, così racconta: «Il giaguaro, come di consueto, ha attaccato Sorino di sorpresa, alle spalle. Con una zampata, gli ha fratturato la scatola cranica. Sul posto, per terra, furono trovati dagli indigeni pezzi di osso e parte di massa encefalica. Nonostante la gravità estrema delle ferite, Sorino non perse i sensi; riuscì a svincolarsi, ad alzarsi e a usare l’arco come una lancia per tenere il giaguaro a una certa distanza, mentre gridava, chiedendo aiuto. In pochi minuti, con le grida e l’arrivo degli indigeni armati di archi e frecce, il giaguaro fuggiva».
Il cognato di Sorino, B. (non riportiamo il nome, per rispetto delle usanze Yanomami che non pronunciano più il nome di una persona già morta), corre al piccolo dispensario della missione a cercare soccorso e l’infermiera titolare, suor Felicita Muthoni, missionaria della Consolata kenyana, si precipita sul luogo dell’incidente per rendersi conto della situazione e prestare le prime cure.
Così, la suora ricorda quei primi momenti: «Ho visto Sorino per terra, in un bagno di sangue, sono rimasta impietrita, bloccata e tremante, non sapendo cosa fare. Ho chiamato sua madre e ho chiesto dell’acqua; poi ho capito che il cuoio capelluto sporgeva e che Sorino stava anche sanguinando molto; c’era molta sabbia, sporcizia e parte del cervello era fuoriuscito. Ho spinto dentro il cervello e poi ho preso il cuoio capelluto e l’ho rimesso a posto, ma continuava a sanguinare; era vivo, ma non parlava. Siccome non avevo portato niente con me, ho preso l’unica cosa che avevo, la maglietta che indossavo: me la sono tolta e l’ho avvolta alla testa di Sorino, per premere meglio e fermare un po’ l’emorragia.
Ho poi mandato qualcuno a cercare la Toyota, in servizio alla nostra missione. Con dona Creuza, nostra aiutante, lo abbiamo messo in un’amaca e poi sistemato nella Toyota arrivata nel frattempo con fratel Antonio Costardi che si trovava anche nella missione. Sono rimasta con lui seduta nella parte posteriore, tenendogli la testa e ci siamo diretti al piccolo dispensario della missione».
Suore missionarie della Consolata di ritorno dalle visite alle comunità lungo il fiume Catrimani
Riferisce ancora suor Felicita: «Ho guardato le sue mani, ma le vene non erano più visibili. Avevo del plasma e l’ho messo in un piede e, all’altro piede, una flebo di glucosio con un forte analgesico».
Vista la situazione di estremo pericolo, suor Felicita chiede che Sorino venga trasportato all’ospedale di Boa Vista, capoluogo dello stato di Roraima. Riesce a contattare la CCPY (Commissione Pro Yanomami) e le viene assicurato un posto sul piccolo aereo che fa servizio nella vasta area indigena, anche se dovrà aspettare un po’, perché le richieste di aiuto sono numerose.
Ma i compagni di Sorino si oppongono alla proposta di trasferire il paziente a Boa Vista. Come è frequente nella retorica che accompagna situazioni di tensione e preoccupazione, arrivano anche a proferire minacce; per loro, infatti, è inconcepibile che uno Yanomami possa morire fuori dal suo villaggio, senza l’accompagnamento dei parenti e di uno sciamano. Lo spirito di Sorino era pronto a fare il suo viaggio. Gridano: «No! Sorino resterà qui! Lo sciamano ha già detto che, quando il sole tramonterà, lui entrerà nella casa degli spiriti e salirà in alto».
Alla fine, cedono alla richiesta di suor Felicita, ma con una minaccia terribile: se il loro compagno dovesse morire in città, lontano dalla foresta e tra “i bianchi”, uccideranno, con le loro frecce, i missionari presenti al Catrimani.
Mentre si attende l’arrivo dell’aereo, un ragazzo porta una foglia di banano arrotolata, con dentro un frammento di osso della testa di Sorino, rinvenuto nel luogo dell’incidente, e formula una sua “diagnosi”: «Noi abbiamo visto bene quando Sorino è arrivato. Abbiamo visto il cervello, abbiamo visto l’osso, l’abbiamo tirato fuori e arrotolato e poi abbiamo parlato con gli xapuri, gli spiriti della foresta: Sorino non può vivere, perché il cervello è fuoriuscito!».
Verso le 14,00, con l’arrivo dell’aereo, Sorino viene imbarcato, accompagnato dal tuxaua (capo del villaggio) C. Dopo circa un’ora di volo, all’aeroporto di Boa Vista, viene accolto da Suor Rosa Aurea e Suor Lisadele, che lo trasportano immediatamente all’Ospedale Generale.
Ricordava il dott. José Nunes da Rocha, un medico che ha avuto in cura Sorino: «Quella di Sorino era una situazione molto grave e il paziente respirava con affanno, esalava miasma e non credevamo molto nella guarigione, perché il modo in cui era infetto, putrido e in un posto “nobile” come il cervello, avrebbe causato encefalite e meningite. Quindi, non avevamo davvero molte speranze, ma lui era arrivato vivo e dovevamo curarlo, facendo tutto il possibile».
Sorino giunge, dunque, al Pronto Soccorso dell’Ospedale Generale in stato di coma, in shock ipovolemico, con una vasta ferita al cranio (perdita di cute, osso, dura madre, estesa lesione fronto-temporo-parietale con perdita di sostanza cerebrale).
In anestesia generale, viene effettuato il lavaggio della ferita, che è contaminata da terra, frammenti ossei e sangue coagulato. Il paziente tollera la procedura senza problemi, ma a causa della perdita significativa di tessuto e dell’elevato rischio di infezione, la ferita viene lasciata aperta.
L'interno di una maloca - abitazione Yanomami. Foto: Jaime C. Patias
Sulle condizioni del paziente abbiamo la testimonianza di suor Florença Lindey, religiosa che aveva lavorato al Catrimani e che conosceva bene Sorino e la sua famiglia: «Quando sono tornata a Boa Vista e i medici hanno saputo che ero arrivata, mi hanno chiamata per andare in ospedale. Sorino era stato ricoverato in terapia intensiva, non parlava e non mangiava. Quando sono entrata nella stanza, è rimasto sorpreso di vedermi, voleva abbracciarmi e parlare. Dopo alcuni giorni, è stato dimesso dalla terapia intensiva e trasferito in infermeria. Stava migliorando sempre di più, specialmente nell’umore, quando qualcuno che conosceva era con lui. Ad un certo punto del ricovero, è stato necessario eseguire un secondo intervento chirurgico, ma lui era contrario. Non è stato facile convincerlo, era molto determinato, aveva un carattere forte. Ho parlato con i medici e mi hanno permesso di accompagnarlo in sala operatoria; gli hanno spiegato e gli hanno assicurato che non avrebbe sentito dolore; quindi, ha accettato di sottoporsi all’intervento. Sono stata nella stanza per tutto il tempo dell’intervento. Quando è stato dimesso dal reparto di chirurgia, era ancora ricoverato in ospedale e sono sempre rimasta con lui, fino a quando non è stato trasferito alla casa di cura per gli indigeni, Hekura Yano», per la convalescenza.
Dal Diario della missione Catrimani, sappiamo che Sorino rientra al suo villaggio l’8 maggio, accolto dallo stupore e dalla gioia della sua famiglia, dei missionari e dai membri della sua comunità: è quasi perfettamente guarito, ma con l’obbligo di essere ancora seguito dal dispensario del Catrimani, presentandosi, ogni 15-20 giorni, per il controllo e le medicazioni.
Sull’aereo che lo riporta a casa, c’è anche suor Lisadele, la quale annota: «Sorino stava rientrando per la prima volta al Catrimani… ho visto la sua gioia di tornare. Ogni maloca lo stava aspettando, fu molto bello. La ferita era ancora semiaperta, quindi ho avuto l’opportunità di applicargli le medicazioni; lo lavavo con acqua ossigenata, lo pulivo con una garza e poi gli mettevo in testa il mio cappello, ma solo per proteggerlo dal sole».
Sorino riprende, così, la sua vita normale di “abitante della foresta” nelle sue attività di cacciatore, pescatore, agricoltore, anche se più debole per gli acciacchi dell’età che avanza, le anemie causate dalla malaria (endemica in quei luoghi) … mentre le sue condizioni di salute, al di là di ogni previsione, rimangono buone e senza alcuna conseguenza negativa dell’incidente.
Lui stesso, così si descrive, durante l’Inchiesta diocesana (2021): «Quando sono tornato dall’ospedale, facevo come gli altri Yanomami: lavoravo, coltivavo i campi, solo che ora non posso più lavorare, perché sono vecchio. Lavoro solo la mattina presto e, quando il sole diventa alto, torno a casa. Ma mi sento bene».
Interessante la testimonianza della dott.ssa Roberta Barbaro: «In data 4 marzo 2019 (dunque, ben 23 anni dopo l’assalto del giaguaro mi sono recata presso la missione Catrimani, ho incontrato Sorino Yanomami, avendo modo di osservarlo nella sua quotidianità. Sorino ha fornito un racconto dettagliato dell’incidente accorso nel 1996. Ha riferito di condurre una vita normale, continuando a svolgere le sue attività di caccia e pesca, senza problemi».
E conclude: «Il paziente presenta oggi completa ripresa funzionale e senza postumi alcuni, duratura nel tempo, che alla luce delle estese lesioni cerebrali riportate in seguito al trauma con perdita di sostanza, risulta scientificamente inspiegabile».
Mons. Mário Antonio con la Commissione durante il processo diocesano per la canonizzazione del Beato Allamano. Foto: Diocesi di Boa Vista
La vicenda “umana e sanitaria” dell’indigeno Sorino Yanomami ha come sfondo un intenso movimento di fede e invocazione, ad opera soprattutto delle suore missionarie, che lo hanno assistito e accompagnato in tutto il decorso della sua malattia e guarigione.
Una “coincidenza”: il giorno dell’incidente in foresta era anche il primo giorno della novena, in preparazione alla festa del Fondatore dei missionari/e della Consolata, che cade il 16 febbraio. Da ciò, le suore hanno tratto l’ispirazione di affidare Sorino all’intercessione del beato Giuseppe Allamano.
Dal 7 al 16 febbraio 1996, e anche nei mesi successivi, sia alla missione del Catrimani, come nella Casa Regionale delle missionarie, a Boa Vista, si è intensificata l’invocazione, espressa in umili gesti, come il cero acceso per tutto il tempo della novena o, subito dopo l’operazione, l’azione furtiva di suor Maria Da Silva Ferreira di infilare, sotto la stuoia di Sorino, una reliquia del Fondatore.
Un esempio dell’intensa preghiera da parte delle suore di Roraima è quella di suor Felicita Muthoni, nella missione del Catrimani, dopo la partenza di Sorino per l’ospedale della città: «Oh, mio Dio, oggi iniziamo la novena del nostro Fondatore. Ho detto: Hai fondato i tuoi missionari per i non cristiani. Per questo popolo, ti chiederò una cosa: che Sorino possa guarire completamente (perché, se guarisce e rimane storpio, non può vivere nella foresta). Guarisca completamente, per poter cacciare, coltivare, pescare… può guarire, se tu intervieni!».
Iniziava da quel momento il percorso di guarigione di Sorino Yanomami che, nonostante la prognosi infausta, «guarisce completamente, per poter cacciare, coltivare, pescare», come aveva chiesto al Fondatore, suor Felicita Muthoni.
* A cura della Postulazione a Roma.