Nella basilica del Sacro Cuore di Koekelberg, il 28 settembre, Francesco si rivolge a vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati, seminaristi e catechisti invitando all’impegno nell'evangelizzazione in un tempo di crisi: serve coraggio per avviare trasformazioni di consuetudini, modelli e linguaggi della fede. Misericordia e prossimità per chi ha subito abusi.

Una Chiesa “che non chiude mai le porte”, che a tutti offre “un’apertura sull’infinito”, che sa “guardare oltre”. Una Chiesa “serva di tutti senza soggiogare nessuno”, in grado di imparare, con la misericordia, a non rimanere “col cuore di pietra” dinnanzi alle sofferenze delle vittime di abusi. Ancora, una Chiesa capace di aiutare chi sbaglia a rialzarsi, perché esistono errori ma “nessuno è perduto per sempre”.

È questa la Chiesa che Papa Francesco ha indicato come modello ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi, ai consacrati e alle consacrate, ai seminaristi e agli operatori pastorali del Belgio riuniti nella basilica del Sacro Cuore di Koekelberg, a Bruxelles.

Il Pontefice ha raggiunto l’edificio sacro alla periferia della città dopo una tappa fuori programma nella chiesa di Saint-Gille per fare colazione con un gruppo di poveri e rifugiati che gli hanno regalato una birra prodotta nella parrocchia per finanziare le opere caritative. Nel suo percorso in auto lungo il grande spazio verde antistante alla basilica, la quinta più grande al mondo, Francesco benedice diversi bambini che gli vengono avvicinati.

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Papa Francesco nella basilica del Sacro Cuore di Koekelberg

Uno squarcio sul cielo

Rivolgendosi ai presenti, per descrivere al meglio l’immagine di una Chiesa “che evangelizza, vive la gioia del Vangelo e pratica la misericordia”, Francesco si avvale di una metafora artistica, facendo riferimento a un’opera del pittore belga Magritte, “L’atto di fede”, che rappresenta una porta chiusa dall’interno, ma “sfondata al centro” e “aperta sul cielo. È uno squarcio - descrive - che ci invita ad andare oltre, a volgere lo sguardo in avanti e in alto, a non chiuderci mai in noi stessi”.

Parlando della Chiesa belga, il Papa la definisce “in movimento”, impegnata a trasformare la presenza delle parrocchie sul territorio, a dare un forte impulso alla formazione dei laici e in generale a “essere Comunità vicina alla gente, che accompagna le persone e testimonia con gesti di misericordia”.

Nel suo discorso più volte interrotto da applausi, che prendeva spunto dalle domande poste nel corso delle testimonianze da diversi membri della Chiesa locale, Francesco propone alcune tracce di riflessione sviluppate attorno a tre parole: evangelizzazione, gioia, misericordia.

Ritornare al Vangelo

L’evangelizzazione, spiega, è la “prima strada da percorrere”, perché “i cambiamenti della nostra epoca e la crisi della fede che sperimentiamo in Occidente ci hanno spinto a ritornare all’essenziale, cioè al Vangelo” affinché “a tutti venga nuovamente annunciata la buona notizia che Gesù ha portato nel mondo, facendone risplendere tutta la bellezza”. La crisi, tempo “per scuoterci, per interrogarci e per cambiare”, ci mostra che “siamo passati da un cristianesimo sistemato in una cornice sociale ospitale a un cristianesimo ‘di minoranza’, o meglio - precisa Francesco - di testimonianza”.

Questo richiede il coraggio di una conversione ecclesiale, per avviare queste trasformazioni pastorali che riguardano anche le consuetudini, i modelli, i linguaggi della fede, perché siano realmente a servizio dell’evangelizzazione.

Anche ai preti, sottolinea, occorre il “coraggio” di non limitarsi a “conservare o gestire un patrimonio del passato”, ma di essere “pastori innamorati di Cristo” e “attenti a cogliere le domande di Vangelo” mentre “camminano con il Popolo santo di Dio”. Se il Signore “apre i nostri cuori all’incontro con chi è diverso da noi”, il Papa chiarisce che “nella Chiesa c’è spazio per tutti” e “nessuno dev’essere la fotocopia dell’altro. L’unità nella Chiesa non è uniformità, ma è trovare l’armonia delle diversità!”.

In questo senso il processo sinodale, rimarca riferendosi a una precedente testimonianza, “dev’essere un ritorno al Vangelo”, non deve “avere tra le priorità qualche riforma ‘alla moda”’, ma chiedersi come possiamo far arrivare il Vangelo “in una società che non lo ascolta più o si è allontanata dalla fede”.

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Religiose ascoltano il Papa

La gioia è la strada

Passando al secondo fulcro del suo intervento, la gioia, Francesco esplicita che non si parla “delle gioie legate a qualcosa di momentaneo”, ma di “una gioia più grande, che accompagna e sostiene la vita anche nei momenti oscuri o dolorosi, e questo è un dono che viene dall’alto, che viene da Dio”.

È la gioia del cuore suscitata dal Vangelo: è sapere che lungo il cammino non siamo soli e che anche nelle situazioni di povertà, di peccato, di afflizione, Dio è vicino, si prende cura di noi e non permetterà alla morte di avere l’ultima parola.

Dal Papa arriva l’esortazione affinché il predicare, il celebrare, il servire e fare apostolato lascino trasparire “la gioia del cuore” e non “il sorriso finto, del momento”. La gioia “è la strada”, e quando la fedeltà “appare difficile” dobbiamo mostrare che essa è un “cammino verso la felicità” perché, “intravedendo dove conduce la strada, si è più pronti a iniziare il cammino”.

La guarigione del cuore

Infine, la terza via, quella della misericordia.

Il Vangelo, accolto e condiviso, ricevuto e donato, ci conduce alla gioia perché ci fa scoprire che Dio è il Padre della misericordia, che si commuove per noi, che ci rialza dalle nostre cadute, che non ritira mai il suo amore per noi. Fissiamo nel cuore: mai Dio ritira il suo amore per noi.

Questo, ha proseguito il Pontefice, “a volte può sembrarci ‘ingiusto’, perché noi applichiamo semplicemente la giustizia terrena che dice: ‘chi sbaglia deve pagare’”. Tuttavia, la giustizia di Dio è superiore, e chi ha sbagliato è sì “chiamato a riparare i suoi errori”, ma per guarire nel cuore “ha bisogno dell’amore misericordioso di Dio”, che “perdona tutto” e “perdona sempre”. È con la sua misericordia che Dio “ci giustifica” nel senso che “ci rende giusti, perché ci dona “un cuore nuovo, una vita nuova”.

Il Papa si sofferma anche sulla questione degli abusi: “C’è bisogno di tanta misericordia, per non rimanere col cuore di pietra dinanzi alla sofferenza delle vittime, per far sentire loro la nostra vicinanza", "offrire tutto l’aiuto possibile” e imparare a essere una Chiesa “che si fa serva di tutti” senza “soggiogare nessuno”. “Sì – ripete – perché una radice della violenza consiste nell’abuso di potere, quando usiamo i ruoli che abbiamo per schiacciare gli altri o per manipolarli”.

Il pensiero di Francesco va poi ai carcerati, per i quali la misericordia è un tema cruciale. Quando io entro in un carcere mi domando: perché loro e non io? Gesù ci mostra che Dio non si tiene a distanza dalle nostre ferite e impurità. Egli sa che tutti possiamo sbagliare, ma nessuno è sbagliato. Nessuno è perduto per sempre.

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Papa Francesco tra la folla

Se “è giusto seguire tutti i percorsi della giustizia terrena e i percorsi umani, psicologici e penali”, la pena per il Papa “dev’essere una medicina”, portare alla guarigione, perché, ribadisce con forza, “bisogna aiutare le persone a rialzarsi, a ritrovare la loro strada nella vita e nella società. Soltanto una volta nella vita di tutti ci è permesso guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a rialzarsi. Solo così. Ricordiamoci: tutti possiamo sbagliare, ma nessuno è sbagliato, nessuno è perduto per sempre. Misericordia – conclude – sempre, sempre misericordia”.

Al di là di ogni frontiera

Della chiamata della Chiesa a essere “un segno di comunione e di integrazione” in un Paese “crocevia dell’Europa e del mondo” ha parlato, nel suo saluto al Papa, monsignor Luc Terlinden, arcivescovo di Mechelen-Brussel e presidente della Conferenza episcopale belga.

Il presule mette in evidenza le sfide e le opportunità che “l’accoglienza degli stranieri e la mescolanza delle popolazioni” rappresentano “per la Chiesa, per la pastorale, per la teologia” in un mondo che “sta cambiando profondamente e sta diventando più secolare”.

In particolare il presidente dell’episcopato belga si sofferma sull’importanza di “testimoniare la tenerezza di Dio per ogni essere umano, al di là di ogni frontiera" e di "riconoscere in ognuno una sorella o un fratello”.

Guarda il video integrale dell'evento

* Lorena Leonardi - Città del Vaticano. Originalmente Pubblicato in: www.vaticannews.va

Francesco, come ultimo appuntamento del viaggio apostolico in Asia e Oceania, incontra i ragazzi di diverse fedi al Catholic Junior College. Chi sceglie di vivere in un modo confortevole è “un giovane che ingrassa la mente”. L’invito poi ad andare sempre avanti nell'incontro perché “ogni dittatura nella storia, la prima cosa che fa è tagliare il dialogo”

Francesco saluta Singapore e chiude il 45mo viaggio apostolico che lo ha portato in quattro Paesi dell’Asia e dell’Oceania, con un dialogo con i giovani riuniti al Catholic Junior College per l’incontro interreligioso. Un appuntamento atteso dai ragazzi che danno il benvenuto al Papa con applausi, canti e una danza eseguita da giovani con disabilità, un calore e un’accoglienza che fa lasciare il discorso previsto al Pontefice che sceglie di rispondere a braccio ai tre ragazzi un giovane indù, una giovane sikh e una giovane cattolica, che gli presentano testimonianze e domande, alla presenza anche di una decina di leader religiosi.

Critici da salotto e comfort zone

Raaj, Preet e Nicole parlano dei critici da salotto, chiedono come si possa uscire dalla zona di comfort, come si possa promuovere tra i giovani il dialogo interreligioso, come si possa superare la paura del giudizio, come si possano sfruttare le opportunità dell’intelligenza artificiale gestendo i rischi che questa comporta. Parole che toccano Francesco che parla guardando negli occhi i ragazzi seduti sul palco accanto a lui.

I giovani sono coraggiosi, dice, perché vanno verso la verità, perché camminano, perché sono creativi, ma la gioventù, avverte, deve stare attenta a non cadere nelle ‘critiche da salotto’. La critica, spiega, deve essere costruttiva, altrimenti, al contrario, diviene distruttiva, non percorre una strada nuova. Ci vuole il coraggio di criticare e quello di lasciarsi criticare dagli altri, e “questo è il dialogo sincero tra i giovani”.

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L'incontro del Papa con i giovani

I giovani devono avere il coraggio di costruire di andare avanti, di uscire dalle zone confortevoli un giovane che sceglie di vivere sempre la sua vita in un modo confortevole è un giovane che ingrassa, risate, ma non ingrassa la pancia ingrassa la mente, per questo io dico ai giovani rischiate, uscite, non avete paura, la paura è un atteggiamento dittatoriale, che ti paralizza.

Riconoscere gli errori

Ciò che è importante, prosegue Francesco, è rendersi conto, quando accade, di aver sbagliato, di aver fatto errori nel proprio cammino. La conseguente domanda di Francesco suscita la risposta di tutti i giovani: cosa è peggio, chiede, “sbagliare perché faccio un cammino o non sbagliare perché rimango chiuso a casa?”

Un giovane che non rischia che ha paura di sbagliare è un vecchio, capito?

I media non rendano schiavi

Francesco affronta un argomento a lui molto caro, sollevato dalle parole dei ragazzi, l’utilizzo dei media. Il Papa fa il ritratto di chi non li usa, che è un ragazzo “chiuso”, è invece “disperso” il giovane che ne è schiavo.

Tutti i giovani devono usare i media ma usare i media perché ci aiutino ad andare avanti non perché ci rendano schiavi, siete d’accordo o no?

Tutte le religioni portano a Dio

Francesco continua nel suo interrogare i giovani, ne loda la capacità di portare avanti il dialogo interreligioso, indica, incalzato dai ragazzi, che “tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio”, che nessuna è più importante di un’altra.

Sono come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E come Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio

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 Papa Francesco con i leader religiosi 

Il dialogo contro il bullismo

L’età giovanile è quella del coraggio, che assieme al rispetto è necessario per il dialogo al quale Francesco riconosce, come già fatto in passato, un ruolo fondamentale per affrontare il grave fenomeno del bullismo che, verbale o fisico che sia, resta un’aggressione, ma perpetrata da chi è più debole, spiega il Papa, che fa un esempio doloroso, quello del bullismo contro bambini con disabilità.

Come noi abbiamo le proprie disabilità dobbiamo rispettare le disabilità degli altri, questo è importante perché dico questo? Perché superare queste cose aiuta a quello che voi fate, il dialogo interreligioso, perché il dialogo interreligioso si costruisce con il rispetto degli altri, e questo è molto importante.

Le dittature tagliano il dialogo

Francesco si congeda invitando i giovani a seguire le parole di Raaj, a “fare tutto il possibile per mantenere un atteggiamento coraggioso e promuovere uno spazio in cui i giovani possono entrare e dialogare” perché il “vostro è un dialogo che fa cammino, fa strada”.

E se voi dialogate da giovani, dialogherete più da grandi, da adulti, dialogherete come cittadini, come politici. E vorrei dirvi una cosa storica: ogni dittatura nella storia, la prima cosa che fa è tagliare il dialogo.

Ai giovani di Singapore, “coraggiosi quasi sfacciati”, Francesco augura di andare avanti, “con un’illusione” e non di andare indietro

Rischiate! Al contrario cresce la pancia! God bless you and pray for me, I do for you. E adesso in silenzio facciamo una cosa, preghiamo gli uni per gli altri, in silenzio. Che Dio benedica tutti noi. E quando passa un po’ di tempo che voi già non sarete giovani, sarete grandi e anche sarete nonni, insegnate tutte queste cose ai bambini.

* Francesca Sabatinelli - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va

Una riflessione sulla prima giornata di Papa Francesco in Papua Nuova Guinea il 7 settembre 2024

Come si fa a trasmettere ai giovani l’entusiasmo della missione? «Non penso che ci siano “tecniche” per questo...». Nella domanda di James, catechista, e nella risposta che ha ricevuto dal Papa si può cogliere uno dei temi più cari a Francesco. Che cosa c’è all’origine dell’essere missionari? Come si annuncia il Vangelo?

Sono domande valide per ogni luogo e ogni tempo, ma qui, in Papua Nuova Guinea, Paese dove si parlano 841 lingue diverse, sono destinate ad avere un’eco particolare. Incontrando le autorità e la società civile a Port Moresby, il Successore di Pietro aveva ripetuto di essere molto affascinato dalla straordinaria ricchezza culturale e umana di questo arcipelago costellato di isole, dove i collegamenti sono complicati e la catechesi deve fare i conti con una quantità di idiomi differenti che non ha pari al mondo: «Immagino che questa enorme varietà sia una sfida per lo Spirito Santo, che crea l’armonia delle differenze!».

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Un bimbo cieco offre un dono al Papa durante incontro con i missionari nella Holy Trinity Humanistic School a Baro

Alla domanda di James, durante l’incontro con i vescovi, il clero, le religiose e i catechisti, il Papa ha risposto riproponendo l’essenziale della testimonianza cristiana, cioè «coltivare e condividere la nostra gioia di essere Chiesa». Francesco ama citare spesso le parole dette dal predecessore Benedetto XVI ad Aparecida nel 2007: «La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per “attrazione”». E nel libro intervista con Gianni Valente (“Senza di Lui non possiamo far nulla”, Lev 2020) ha spiegato che «la missione è opera Sua. È inutile agitarsi. Non serve organizzare noi, non serve urlare. Non servono trovate o stratagemmi. Serve solo chiedere di poter rifare oggi l’esperienza che ti fa dire “abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi”...

Il mandato del Signore di uscire e annunciare il Vangelo preme da dentro, per innamoramento, per attrazione amorosa. Non si segue Cristo e tanto meno si diventa annunciatori di lui e del suo Vangelo per una decisione presa a tavolino, per un attivismo autoindotto. Anche lo slancio missionario può essere fecondo solo se avviene dentro questa attrazione, e la trasmette agli altri».

Di fronte allo spaesamento e alla stanchezza che molti cristiani sperimentano in alcune zone del mondo, solo la testimonianza di peccatori perdonati attratti per amore fa la missione. Altrimenti la Chiesa - e sono sempre parole di Francesco - «diventa un’associazione spirituale. Una multinazionale per lanciare iniziative e messaggi di contenuto etico-religioso», perché «si finisce per addomesticare Cristo. Non dai più testimonianza di ciò che opera Cristo, ma parli a nome di una certa idea di Cristo.

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L'incontro del Papa con i vescovi della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone

Un’idea posseduta e addomesticata da te. Organizzi tu le cose, diventi il piccolo impresario della vita ecclesiale, dove tutto avviene secondo programma stabilito, e cioè solo da seguire secondo le istruzioni. Ma non riaccade mai l’incontro con Cristo. Non riaccade più l’incontro che ti aveva toccato il cuore all’inizio».

Nulla è esente da questo rischio: dai progetti pastorali all’organizzazione dei grandi eventi, dalle “tecniche” missionarie per il digitale alla catechesi. Si rischia di dare per scontato l’essenziale, per concentrarsi su modalità, linguaggi, organizzazione.

Ma la risposta più vera alla domanda di James, quella che incarna le parole del Papa, sta nei volti sorridenti e pieni di gioia dei missionari che qui macinano chilometri a piedi, in auto e in aereo, per essere vicini a tutti. Per testimoniare a ogni donna e a ogni uomo di questa terra dalla natura splendida e variopinta, l’amore di Gesù. Perché «se a attirarti è Cristo, se ti muovi e fai le cose perché sei attirato da Cristo, gli altri se ne accorgono senza sforzo. Non c’è bisogno di dimostrarlo, e tanto meno di ostentarlo».

* Andrea Tornielli. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va

Nella cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione a Jakarta, Francesco si rivolge a vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati, seminaristi e catechisti: la fede non si impone, ma si condivide con gioia. E poi spiega il senso della "compassione": non dispensare elemosine ma abbracciare i sogni di giustizia.

"Ciò che manda avanti il mondo non sono i calcoli di interesse, che finiscono in genere col distruggere il creato e dividere le comunità, ma la carità che si dona"

Fede, fraternità, compassione: le tre parole chiave, che costituiscono il motto della visita apostolica nel variegato Paese asiatico composto di ben 1.300 etnie e popoli, sono al centro del discorso pronunciato da Papa Francesco discorso pronunciato da Papa Francesco nella cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione, a Jakarta. Siamo nel cuore della megalopoli, proprio di fronte alla moschea Istiqlal dove domani (stanotte in Italia) si terrà l'incontro interreligioso con la firma della Dichiarazione congiunta con l'imam Nasaruddin Umar. È stato un gesuita architetto, Antonius Dijkmans, a progettare, a fine '900, quello che è il luogo di culto principale per i cattolici indonesiani, oggi più di 8 milioni di fedeli, pari a poco più del 3 percento della popolazione. Al secondo piano della chiesa un museo ne illustra la storia.

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Le religiose in ascolto del Papa

In questa prima giornata di permanenza in Indonesia - che finora ha visto impegnato il Pontefice nell'incontro con le autorità e la società civile, al palazzo presidenziale e, successivamente in nunziatura, in quello privato, ormai tradizionale per ogni trasferta papale internazionale, con i gesuiti locali - il Papa torna sui temi del dialogo, dell'amicizia sociale, di come incarnare il Vangelo in un contesto estremamente diversificato. Lo fa dopo aver scandito la necessità di contrastare "l'estremismo e l'intolleranza", di evitare che la fede venga manipolata per fomentare odio e accrescere divisioni. Dinanzi a vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati, consacrate, seminaristi e catechisti, guide pastorali di 37 diocesi, e mentre i presuli celebrano un secolo dalla fondazione della Conferenza episcopale (al 1940 risale invece la consacrazione del primo vescovo indigeno), Francesco si pone in ascolto di chi gli illustra (un prete, una suora e due catechisti) le sfide ordinarie di questo 'piccolo gregge' dell'Asia sud orientale. 

Per una Chiesa sinodale

Prima di procedere con la lettura del testo preparato, il Papa ascolta l'impegno di cui si fa portavoce il capo dei vescovi, monsignor Antonius Subiantu Bunjamin, nel suo saluto di benvenuto: "Cercheremo sempre più un incontro con Dio che esprima la gioia del Vangelo, crei una cultura dell’incontro in cui vediamo gli altri come fratelli o sorelle e ripristini l’integrità della creazione ascoltando il grido dei poveri e della terra, la nostra Casa comune". Poi si concede alcune sottolineature a braccio in cui rimarca il ruolo cruciale dei catechisti, "la forza della Chiesa". Chiede, in un clima di grande familiarità, quanti siano i seminaristi in assemblea. Evoca l'essenza di una Chiesa veramente sinodale, in cui "ognuno ha il suo compito per far cresere il popolo di Dio", laici e bambini compresi. 

Rispetto e sobrietà per la cura della Casa comune

Il Papa si compiace di quella connaturale tensione all'unità e alla convivenza pacifica che contraddistingue la cultura indonesiana, certamente non un monolite ma un poliedro. I principi tradizionali della Pancasila, ne sono al tempo stesso riflesso, fondamento e garanzia. Francesco esalta l'enorme ricchezza naturale del Paese e invita a coltivare, dinanzi a questa abbondanza meravigliosa, un cuore grato e responsabile, oltre ogni tentazione di orgoglio. "Guardare a tutto questo con umili occhi di figli ci aiuta a credere, a riconoscerci piccoli e amati", ricorda. E rimanda alle condivisioni ascoltate da chi ha offerto la propria testimonianza, in particolare ha apprezzato la voce di Agnes:

Ce ne ha parlato Agnes, a proposito del nostro rapporto con il creato e con i fratelli, specialmente i più bisognosi, da vivere con uno stile personale e comunitario improntato al rispetto, alla civiltà e all’umanità, con sobrietà e carità francescana.

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La cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione a Jakarta

L'annuncio del Vangelo non si impone, non è proselitismo 

Il Papa, che più volte ricorre a citazioni letterarie, in questa occasione cita un verso del Nobel Wisława Szymborska, poetessa polacca: essere fratelli vuol dire amarsi riconoscendosi «diversi come due gocce d’acqua». Torna, dunque, sul senso della fraternità: accogliersi a vicenda riconoscendosi uguali nella diversità. L'invito, cui già la Chiesa indonesiana tiene molto per costituzione, è di valorizzare sempre l'apporto di tutti, generosamente e in ogni contesto. 

[...] Annunciare il Vangelo non vuol dire imporre o contrapporre la propria fede a quella degli altri, ma donare e condividere la gioia dell’incontro con Cristo (cfr 1 Pt 3,15-17), sempre con grande rispetto e affetto fraterno per chiunque. E in questo vi invito a mantenervi sempre così: aperti e amici di tutti – “mano nella mano”, come ha detto don Maxi –  profeti di comunione, in un mondo dove sembra invece stia crescendo sempre più la tendenza a dividersi, imporsi e provocarsi a vicenda (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 67).

Il catechista, un ponte che unisce

Francesco si sofferma poi sull'importanza di favorire la più ampia accessibilità, non solo dei testi biblici ma anche degli insegnamenti del magistero, mediante la traduzione nella lingua ufficiale locale, il Bahasa Indonesia. Del resto è ciò che sperano gli stessi operatori pastorali. L'immagine che ha colpito tanto il Papa in cattedrale è quella del ponte, evocata dal catechista Nicholas. Così insiste su quei costruttori di ponti, i catechisti appunto, fondamentali per edificare la Chiesa, senza i quali non si reggerebbe, così come senza i collegamenti tra le migliaia di isole, non ci sarebbe coesione in un arcipelago. Cosa è la fraternità se non un ricamo? E chi è, invece il divisore, chiede ancora Francesco: "Il diavolo". 

Un ricamo immenso di fili d’amore che attraversano il mare, superano le barriere e abbracciano ogni diversità, facendo di tutti «un cuore solo e un’anima sola» (cfr At 4,32).

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Sacerdoti e religiosi nella cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione a Jakarta

I calcoli di interesse sono distruttivi, la carità edifica

Infine, il Papa precisa il significato della compassione che molto è legata alla fraternità, "il patire con l'altro, bella parola...". Non è una debolezza ma una virtù, non è dispensare elemosine dall'alto di una torre, non è qualcosa che offusca la visione della realtà in un pietismo poco incisivo. Tutt'altro, come è richiamato nella Fratelli tutti: "Vuol dire anche abbracciarne i sogni e desideri di riscatto e di giustizia, prendersene cura, farsene promotori e cooperatori, coinvolgendo anche altri, allargando la “rete” e i confini in un grande dinamismo espansivo di carità". Il Papa invita ad essere attenti al "linguaggio del cuore", ricorda di "toccare" la povertà dell'altro, incrociando per davvero il suo sguardo. "Questo non vuole dire essere comunista, vuol dire carità", insiste ancora a braccio Bergoglio. Sono alcuni aneddoti raccontati dal Papa, che generano anche qualche ilarità nei presenti, ad accompagnare una espressione più volte ripetuta: "Il diavolo entra dalle tasche". 

Ciò che manda avanti il mondo non sono i calcoli di interesse - che finiscono in genere col distruggere il creato e dividere le comunità - ma la carità che si dona.

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Forti nella fede, aperti alla fraternità, vicini nella compassione

Procedendo con il suo tipico linguaggio per immagini, il Papa si lascia affascinare dal portale della cattedrale per evidenziare su cosa davvero si regge la Chiesa. La roccia è Cristo che "sembra portare il peso di tutta la costruzione", Maria simbolicamente con il suo 'sì' sostiene l'opera. Maria, immagine di fraternità, di accoglienza, icona di compassione. Conclude, il Successore di Pietro, ricordando e facendo proprie le parole del Salmo 96 che San Giovanni Paolo II amò ripetere in questa terra nell'89: Gioiscano le isole tutte. 

Anch’io vi rinnovo questa esortazione, e vi incoraggio a continuare la vostra missione forti nella fede, aperti a tutti nella fraternità e vicini a ciascuno nella compassione. Vi benedico e vi ringrazio per il tanto bene che fate ogni giorno! Prego per voi e vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie.

* Antonella Palermo - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va

Il prefetto del Dicastero per il Clero a poche ore dalla partenza di Francesco per l’Estremo Oriente: sono terre ricche di spiritualità dove il dialogo con le religioni è centrale, annunciarvi il Vangelo conferma la gioia della fede tipica del popolo asiatico

Giusto dieci anni fa dava il benvenuto a Francesco, ospite attesissimo di quella che poteva considerarsi la Gmg asiatica. Dieci anni dopo il cardinale Lazzaro You Heung-sik guida il Dicastero per il Clero, ma il suo cuore di coreano accelera i battiti all’idea del Papa pronto - come farà tra qualche ora - a imbarcarsi di nuovo per l’Asia. Un continente immenso quanto le sue culture e le sue credenze religiose, nel quale radicare la fede è una sfida che procede per inculturazione e, afferma il porporato ai media vaticani, “si sviluppa attraverso nuovi linguaggi e nuovi modelli pastorali”.

Come possiamo riassumere secondo lei il significato di questo viaggio apostolico?

Ritengo che il viaggio del Santo Padre in Asia confermi la sua passione per l’Estremo Oriente, che più volte ha manifestato parlando dei suoi primi anni di sacerdozio e del suo desiderio di essere missionario in quelle terre. Più in generale, questo viaggio attesta ancora una volta l’attenzione verso le “periferie”, che Papa Francesco ha spesso raccomandato quasi come una bussola per orientare il cammino di tutta la Chiesa. Si tratta di uno sguardo che non si chiude in se stesso, che non riduce la bellezza e la fantasia del cristianesimo a un unico modo di pregare, di celebrare o di agire nella pastorale ma, al contrario, si allarga oltre i confini, si mette in ascolto di quanto avviene anche in terre e chiese apparentemente “fuori dal centro”, lontane, ma ricche di vita e di spiritualità. Allo stesso tempo, una cifra importante di questo Viaggio riguarda il tema della fraternità; arrivando in quei Paesi il Papa potrà immergersi in un mondo multiculturale, in terre e città in cui si mescolano e convivono persone, culture e tradizioni religiose antiche e diverse, in armonia. Così, Papa Francesco potrà confermare il Popolo di Dio che incontrerà e, allo stesso tempo, portare alla luce questo esempio di fraternità e di condivisione in un mondo ancora lacerato da conflitti, guerre e discordie.

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Il Papa durante le operazioni di imbarco a Fiumicino

Quale il ruolo dell'Asia nel contesto della fede e del resto del mondo oggi?

L’Asia è un continente molto variegato. Il cammino della fede cristiana, da sempre “contaminato” da tante altre spiritualità e incarnato in una cultura così particolare, si sviluppa attraverso nuovi linguaggi, nuovi modelli pastorali e una specifica attenzione al dialogo tra le religioni, inteso anche come cammino unitario dell’umanità verso Dio e partecipazione al Suo progetto di salvezza. In questo senso l’Asia può aiutare anche la fede occidentale a rinnovarsi, a ritrovare vitalità attraverso una nuova evangelizzazione e a crescere nella consapevolezza della missione che noi cristiani abbiamo rispetto al mondo, alla società e alla costruzione di un futuro di pace.

Cosa significa annunciare il Vangelo in quell'area, in quelle terre?

Come sappiamo, da una parte il Vangelo si incarna nella cultura facendone il terreno proprio per poter germogliare e, quindi, accogliendola con benevolenza; allo stesso tempo, l’annuncio del Vangelo è sempre una sfida per la cultura e intende purificarla e accompagnarla in un cammino di crescita che la renda sempre più conforme al progetto di Dio e, quindi, più umana. In questo senso, annunciare il Vangelo in Asia significa confermare la gioia della fede che contraddistingue il popolo asiatico, radicata nella semina di molti missionari e testimoni del Vangelo, ma, contemporaneamente, il cristianesimo è chiamato ad affrontare  alcune sfide di tipo culturale: penso specialmente ai giovani, che a volte si lasciano affascinare da modelli culturali e sociali troppo secolarizzati e improntati a una mentalità edonistica e consumistica; ma anche le questioni legate a taluni fenomeni più locali come la magia, la stregoneria, l’utilizzo della violenza come autodifesa, in alcuni casi il tribalismo e l'animismo. Senza dimenticare i problemi che riguardano i poveri, la famiglia e la custodia della vita. In generale, poi, l’aspetto più importante è dato senz’altro dalla testimonianza cristiana, come ha insegnato Sant’Andrea Kim, primo martire coreano, e tanti altri martiri asiatici: dove c’è testimonianza di vita c’è anche annuncio del Vangelo, perché prima delle parole e delle formule è anzitutto la nostra vita a dover manifestare la gioia del Vangelo, per diventare luce che illumina le tenebre del mondo.

* Originalmente pubblicato in:www.vaticannews.va

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REPAM torna alle radici per rafforzare la missione in Amazzonia

07-11-2024 Missione Oggi

REPAM torna alle radici per rafforzare la missione in Amazzonia

Diversi rappresentanti di vari Paesi della regione Pan-amazzonica si sono radunati dal 6 all'8 novembre a Puyo, nell'Amazzonia ecuadoriana, per...

Due libri di meditazioni di Papa Francesco sul tema della speranza

07-11-2024 Notizie

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«Crediamo che i nostri giorni più belli devono ancora venire» Nella prospettiva del Giubileo del 2025 dedicato al tema «Pellegrini di...

XXXII Domenica del TO / B - “vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”

06-11-2024 Domenica Missionaria

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1Re 17,10-16; Sal 145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44 Al centro della liturgia della 32a domenica del Tempo Ordinario ci sono due...

È lontana la «pace con la natura»

06-11-2024 Notizie

È lontana la «pace con la natura»

Chiuso in Colombia il vertice dell'Onu sulla biodiversità (Cop16) Era bello il titolo assegnato alla sedicesima Conferenza sulla biodiversità tenutasi a...

Un'esperienza personale

06-11-2024 I missionari dicono

Un'esperienza personale

Ricordo con piacere le diverse esperienze vissute nel noviziato. Una tra le principali è quella che mi mise in contatto...

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