Inizio ricordando uno dei “sentimenti” che il Fondatore aveva annotato sul suo taccuino durante gli esercizi spirituali in preparazione all'ordinazione sacerdotale: «Non sarà mai un buon confessore, chi non fu già un buon penitente». Propongo alcune riflessioni e notizie su come l'Allamano ha valorizzato il Sacramento della Penitenza per sé e per la gente che accorreva al suo confessionale.

Come si confessava

Ci domandiamo: il nostro Padre fu un “buon penitente”? Ecco che cosa ne pensava il p. L. Sales che lo conosceva bene: «Aveva in grande stima il Sacramento della Penitenza. Nel suo Regolamento di vita propone di confessarsi una volta alla settimana, e anche più sovente, occorrendo feste speciali. Fra i suoi confessori, ricorderò: S. Giovanni Bosco, il P. Felice Carpignano dell’Oratorio, e il P. Poletti superiore dei Sacramentini, il quale mi diceva: “che era commovente ed edificante vedere ogni settimana giungere il Servo di Dio, e chiedere tutto umile del confessore”».

Il p. G. Fissore riporta una testimonianza orale del p. Carlo Poletti con notizie più dettagliate: «P. Poletti non ricorda con precisione quando il Can. Allamano incominciò ad andare a S. Maria per fare la sua confessione, né sa dire quando cessò di andarvi. […]. Ricorda con certezza che il Can. Allamano veniva già a confessarsi da lui prima del 1908 e che poi riprese a venire quando, dopo tre anni, P. Poletti venne di nuovo a Torino, come superiore di S. Maria. Non sa dire il perché il Can. Allamano scegliesse lui a suo confessore. Pensa che non avesse altro motivo della scelta che la stima grandissima che nutriva per gli Adoratori per la loro vicinanza al SS. Sacramento. […].

Per il Sacramento della Confessione [l'Allamano] aveva esattezza, regolarità, pietà: era un modello – non parlava né prima, né dopo la confessione, tolti i convenevoli. Andava e veniva con quella serietà che merita il Sacramento. Era breve nella confessione, chiaro, nitido (numero, cose) semplice, non ebbe mai difficoltà o scrupolo, né pene che non dominasse. Riceveva il Sacramento come dire la Messa, con quella devozione. Era consumato nel dominio di sé: era una meraviglia vedere un uomo così carico di lavoro e affanni così tranquillo, calmo; era forte di carattere».

Dunque, il nostro Fondatore era “un buon penitente”, anzi, a dire di p. Poletti, un “modello” di penitente! E noi aggiungiamo, sulla base di quanto ha scritto durante gli esercizi spirituali: un “modello” di confessore!

Come insegnava a confessarsi e a confessare

Su questo aspetto riporto tre testimonianze processuali. Sr. Giuseppina Tempo, rispondendo al n. 26 del questionario sulla virtù della fiducia, ha affermato che l'Allamano: «Non voleva che ritornassimo sul passato. Diceva a coloro che vogliono sempre ritornare sui peccati passati: “il Signore avrebbe ragione a dir loro: Non avete altro piatto più bello da offrirmi?”».

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Sr. Chiara Strapazzon, riguardo la virtù della prudenza del Fondatore, ha deposto: «Anche nelle confessioni voleva che fossimo brevi e spiccie. Diceva: “Non raccontante la storia del gatto e della gallina” Soggiungeva: “Durante le litanie si avrebbe potuto confessare tanti peccati quante sono le litanie stesse. L’importante nella confessione non è dire molte parole, ma eccitarsi ad un vero dolore”».

Come insegnante di teologia morale ai sacerdoti convittori. Al riguardo abbiamo una simpatica deposizione del can. G. Cappella, durante il processo diocesano: «Ricordo di aver sentito dire dai sacerdoti anziani [cioè, da quelli che avevano seguito le lezioni dell'Allamano] che, come insegnante, era molto chiaro e pratico. Poneva lo stato della questione; esponeva le varie sentenze, e concludeva esponendo quella che, come diceva egli, nostro Signore guadagnava di più, e che in pratica doveva seguirsi».

Apostolo della confessione

Il Fondatore non solo si era preoccupato di assicurare confessori abbondanti nel santuario (su questo punto le testimonianze sono numerosissime e molto lodative), ma ha amministrato in prima persona questo Sacramento, tanto da diventare modello anche come confessore. Ci domandiamo: con tutto quello che aveva da fare, come mai il Fondatore è stato presentato dai testimoni come un confessore sempre assediato da file di penitenti? Anche qui sentiamo l'entusiasmo di chi lo ha visto con i propri occhi.

Iniziamo dalla testimonianza del suo domestico Cesare Scovero, molto interessante per la semplicità: «[L'Allamano] dispose perché non mancassero mai i confessori, onde i fedeli potessero fruire del loro ministero. Ed egli stesso, ogni mattina, passava lunghe ore in confessionale, tanto che io che dovevo servirgli la colazione, rimanevo stizzito perché tante volte alle 9,30 egli era ancora in confessionale. Anche nel pomeriggio era assediato in camera da molti visitatori, sia ecclesiastici che laici, i quali venivano da lui, o per le confessioni, o per consigli. Ricordo che una volta un signore uscendo dalla sua camera tutto lieto, mi disse: “Sono venuto con dei quintali sullo stomaco e ne esco completamente sollevato e contento”».

Rispondendo alla domanda “ex officio”: «Se qualcuno dicesse che era assiduo al confessionale, ma soltanto per i ricchi e per le persone di alta condizione sociale, che cosa si dovrebbe rispondere?»: «Che ciò non è vero, perché ho visto io personalmente molti poveri recarsi da lui per confessione o per consiglio. Non rimandava mai alcuno; ma riceveva tutti con la stessa bontà e carità».

La testimonianza del can. G. Cappella, che era il suo aiutante diretto al santuario, svela molti aspetti interessanti. Ne riporto solo qualcuno: «Al mattino scendeva al santuario per la celebrazione della Messa, e si tratteneva fino a tarda ora per le confessioni. Nel tempo pasquale scendeva anche alle quattro o alle cinque secondo la stagione, per essere pronto a ricevere i numerosi penitenti che già assiepavano il suo confessionale».

«Lo zelo che dimostrò per il ministero delle confessioni, conferma quanto egli aborrisse il peccato e si adoperasse per salvare il peccatore. Modellato alla scuola del Beato Cafasso, suo zio, per il quale il confessare era l’occupazione continua, e il ministero che riteneva più utile per le anime, e perciò più meritorio, il Servo di Dio si prestava molto volentieri a confessare. Ancora negli ultimi anni, non era mai che si lagnasse di dovere fare ripetutamente le scale quando fosse chiamato a confessare. Confessava anche in camera sua, e nella sua cappella privata. Si sarebbe detto che quella del confessare, era per lui l’occupazione più gradita, tanto si dimostrava contento nel sentirsi chiamare a questo ministero, e molto più soddisfatto, dopo che aveva mandato in pace qualche anima. [...]. Non faceva distinzione di sorta nell’accogliere i penitenti; solo qualche volta, vedendo uomini, che dall’aspetto dimostravano premura, o ragazzi impazienti, li chiamava davanti al confessionale, e li mandava in pace.

Mons. E. Vacha, che è stato suo assiduo penitente: «Come confessore, il Can. Allamano si può dire sia stato un vero apostolo. Negli anni 1895-1897, quando fui al Convitto ecclesiastico, si vide non soltanto assiduo al confessionale, ma passarvi ore ed ore, al mattino e nel pomeriggio. Mi formai la convinzione che non fosse molto lungo nel confessare. Il suo confessionale era sempre assiepato da sacerdoti e laici, da ricchi e poveri, insomma, da ogni sorta di persone. Io mi confessai più volte da lui, durante il Convitto, poi da Vicecurato, e da Parroco. Il mio cuore ne provò sempre le più salutari emozioni. Sono persuaso che avesse il dono di tranquillizzare le coscienze, anche le più intricate e scrupolose».

Un altro suo penitente, almeno all'inizio, è stato il p. G. Barlassina: «Nonostante le sue molteplici occupazioni, non solo il Servo di Dio impartiva le direttive per il funzionamento del santuario, ma vi attendeva personalmente, ma soprattutto attendendo con grande assiduità al ministero delle confessioni. […]. Il suo confessionale era abitualmente assiepato da penitenti di ogni condizione, e di ogni gradazione sociale. Io stesso, da chierico approfittai del ministero del Servo di Dio, come confessore al santuario della Consolata, quando ancora io non pensavo ad entrare nell’Istituto. E posso attestare che la sua direzione mi aiutò molto per il mio progresso nella vita spirituale».

Fa piacere leggere queste testimonianze. Ce ne sono un numero incalcolabile e danno l'impressione che il nostro Padre fosse soprattutto un confessore. Non posso terminare senza riportare anche qualche frase di quella di mons. Filippo Perlo, che da giovane convittore vide il Fondatore nel pieno del suo ministero di confessore: «Egli stesso dava a questi [sacerdoti confessori] esempio continuo, passando lunghe ore ogni giorno al sacro tribunale di penitenza, nonostante che molte e certamente non lievi fossero le occupazioni sue quotidiane. Quando poi veniva chiamato per confessioni agli ammalati, il che accadeva frequentemente, con qualunque tempo, ed in qualsiasi ora e stagione, vi accorreva prontamente per essere strumento della divina misericordia. Il suo confessionale era continuamente assiepato di penitenti di ogni condizione sociale. Solamente quando saremo in Paradiso,  sapremo di penitenti di eccezione che usufruirono del suo ministero. […]. Ad anche quando noi insistevamo perché avesse qualche riguardo per la sua salute delicata, egli era irremovibile, e continuava imperterrito il suo ufficio di carità e misericordia».

La conclusione ce la fa il Fondatore, quando celebrava il 45° anniversario di sacerdozio: «Quante Messe! E poi tutte le Confessioni, tutti i Sacramenti che ho amministrato in questi 45 anni. Vi so dire che stamattina nella meditazione mi sentivo vivamente riconoscente al Signore per la vocazione che mi ha dato».

* Padre Jonah M. Makau, IMC, frequenta il corso in Cause dei Santi a Roma. Pensieri sul Fondatore organizzati per il ritiro della comunità di Casa Generalizia, sabato 13 aprile 2024.

Il primo studente, primo religioso, primo sacerdote e missionario dell’istituto Missioni Consolata, Pietro Paolo Albertone nacque a Torino il 3 gennaio 1894.

Mentre il Canonico Allamano stava progettando l’apertura di un Seminario per accogliere giovani studenti aspiranti missionari che alimentassero poi le file dei chierici dell’Istituto da lui fondato nel 1901, gli si presentava un giovane desideroso di offrire la sua opera in servizio delle missioni.

Il santo sacerdote accoglieva benevolmente quel giovane quindicenne, lo interrogava sulle condizioni di famiglia, sugli studi compiuti e sentito che il suo nome era Pierino, gli diceva: « Tu sei Pierino... allora tu dovrai essere la prima pietra del seminario che la Consolata vuole qui, in Torino ». E Pietro Paolo Albertone fu il primo studente, primo religioso, primo sacerdote e missionario di questa nuova fondazione missionaria che era l’Istituto Missioni Consolata.

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Missionari della Consolata a Tosamaganga  in Tanzania nel 1927. (I padri Bolla, Sciolla, Albertone, Oggè, Mauro, Becchio, Panelatti, Cagliero, Ferrero). Foto: Spairano

(Continua a leggere questa bella storia di vita e missione a cura di padre Pietro Trabucco, IMC, Castelnuovo don Bosco)

Sr. Pier Firmina Ravizzotti (1943-2009) entrò nell’Istituto delle Missionarie della Consolata nel 1962. Dopo la preparazione e alcuni anni di servizio in Italia, nel 1977 partì per il Kenya, dove lavorò con competenza ed entusiasmo nell’ambito della scuola. Costretta a tornare in patria per salute, durante il periodo in cui doveva curarsi, offrì il suo servizio nell’Ufficio Stampa e nel Centro di studi di sr. Irene Stefani.

Ristabilita, poté ripartire per la missione, questa volta in Tanzania, dove si impegnò nell’attività pastorale, soprattutto nei campi della formazione dei catechisti e della promozione della donna. Su richiesta dell’ambasciatore dell’Italia in Tanzania, per un periodo diresse pure la scuola materna ed elementare per italiani a Dar-es-Salaam. Alla fine del 2004, ancora per ragioni di salute, dovette nuovamente rimpatriare. Offrì ancora qualche collaborazione nell’animazione missionaria, ma, alla fine, fu costretta a fermarsi, ritirandosi nella casa di riposo a Venaria Reale (TO), dove si spense il 20 dicembre 2009.

Qui presentiamo la commemorazione che tenne in Tanzania, il 16 febbraio 1998, nel 72° anniversario della morte dell’Allamano, già dichiarato “beato” da 8 anni.  Buona Lettura.

(Padre Piero Trabucco, IMC, Casa Natale dell'Allamano)

Questa riflessione è frutto dell’esperienza vissuta da padre Giorgio Marengo, Missionario della Consolata, con il popolo mongolo. Nato a Cuneo il 7 giugno 1974, cresciuto a Torino dove ha frequentato il liceo classico Cavour, al termine del quale ha intrapreso il percorso di formazione sacerdotale nell’Istituto dei Missionari della Consolata. Dal 1993 al 1995 ha studiato Filosofia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e dal 1996 al 1999 Teologia nella Pontificia Università Gregoriana (Roma). Ha poi compiuto ulteriori studi presso la Pontificia Università Urbaniana, conseguendo la Licenza (2002) e il Dottorato (2016) in Missiologia. Ha emesso la Professione Perpetua il 24 giugno 2000 come membro dell’Istituto ed è stato ordinato sacerdote il 26 maggio 2001. Dopo l’ordinazione sacerdotale dal 2003 ha svolto il suo ministero pastorale in Mongolia ad Arvaikheer dove è stato parroco di Maria Madre della Misericordia e dal 2016 Consigliere Regionale Asia per la Mongolia. Il 2 aprile 2020 papa Francesco lo nomina prefetto apostolico di Ulan Bator e vescovo titolare di Castra Severiana. L’8 agosto viene consacrato vescovo a Torino, nel Santuario della Consolata, dal cardinale Luis Antonio Tagle, Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, creato Cardinale il 27 agosto 2022.

Una bella esperienza di inculturazione del carisma nel nostro apostolato. Buona Lettura.

(Padre Piero Trabucco, IMC, Casa Natale dell'Allamano)

 

Nel cuore dell’Allamano, fin da quando era giovane, Giuseppe di Nazareth occupò un posto privilegiato, subito dopo Gesù e Maria. Portando lo stesso nome, la festa liturgi ca del 19 marzo di ogni anno diventava un’occasione ricorrente per sviluppare la conoscenza e il rapporto con il suo protettore personale. Non dimenticò mai che, durante la sua permanenza a Valdocco, Don Bosco lo aveva invitato a prega re S. Giuseppe per due speciali intenzioni: «Quando ero an cora in collegio Don Bosco mi diceva sempre di domandare a S. Giuseppe la salute e l’aiuto negli studi».

Si avvicina la festa di San Giuseppe. Le parole del Beato Allamano ci aiutino a viverla bene. Auguri a tutti coloro che ne portano il nome.

(Padre Piero Trabucco, IMC, Casa Natale dell'Allamano)

 

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