In occasione dell'anniversario della fondazione dei due istituti, i Missionari e le Missionarie della Consolata, il 29 gennaio, pubblichiamo questo Calendario con le date più significative per la famiglia Consolata.
4 2003: Nyahururu (Kenya) viene creata Diocesi
“ 1925: Missionarie della Consolata aprono in Somalia
6 1986: Ordinazione Episcopale di Mons. Walmir A. Valle
“ 2021: Apertura Noviziato continentale America IMC a Manaus (Brasile)
8 1948: La Prefettura di Iringa (Tanzania) viene eretta in Vicariato
10 1923. Missionarie della Consolata aprono in Tanzania
11 1981: P. Luigi Graiff viene ucciso a Parkati (Kenya)
16 1918. Muore P. Umberto Costa, superiore della Casa Madre
“ 2009: P. Giuseppe Bertaina viene ucciso a Niarobi
18 1988: Partenza dei primi quattro Missionari della Consolata per la Corea
19 1950: Apertura delle Missionarie della Consolata in Colombia
20 1988: Apertura IMC in Corea
21 1851: Nascita di Giuseppe Allamano, ore 18.30
22 1851: Giuseppe Allamano è battezzato nella Chiesa parrocchiale di Castelnuovo (Asti)
25 1992: Il Vicariato Apostolico di Meki (Etiopia) viene eretto in Prefettura
26 1880: Ottavio, fratello di Giuseppe Allamano, muore all'età di 26 anni
28 1913: La Prefettura Apostolica del Kaffa viene affidata all'Istituto Missioni Consolata
“ 1929: M. Felicina Fauda va ad abitare in Casa Madre MC
28 2024: Ordinazione Episcopale di Mons. Osório Citore Afonso
29 1900: Guarigione miracolosa di Giuseppe Allamano
“ 1901: Fondazione dell'Istituto Missioni Consolata
“ 1910: Fondazione dell'Istituto delle Missionarie della Consolata
“ 2004: Apertura dello Juniorato Continentale MC in San Paolo (Brasile)
1 1982: Apertura MC in Venezuela
2 1954: Apertura MC negli Stati Uniti
“ 1997: Ordinazione Episcopale di Mons. Evaristo Chengula
7 1924: Apertura MC in Kaffa (Etriopia)
8 1911. Inizia la visita del Camisassa alle missioni de Kenya
“ 1951: Viene creato il Vicariato Apostolico di Florencia (Colombia) e affidato all'IMC
10 1883: G. Allamano viene nominato “Canonico onorario”
11 1999: Ordinazione Episcopale di Mons. Francisco J. Múnera Correa
13 1937: P. Giovanni Bisio giunge in Brasile e inizia la presenza IMC
15 1970: Mons. Mario Mgulunde viene consacrato Vescovo di Iringa
“ 1991: In un’imboscata della guerriglia muore P. Ariel Granada a Massangulo (Mozambico)
16 1926: Alle ore 4.10 a Torino muore Giuseppe Allamano
“ 1895: A Torino inizia il processo di Beatificazione di Giuseppe Cafasso
“ 1917: Requisizione militare della Casa Madre a Torino
23 1921: L’Allamano è a Roma con il Camisassa per la lettura del Decreto sopra le virtù del Cafasso
27 1923: Propaganda Fide approva le Costituzioni IMC “ad decennium”
“ 1928: P. Gabriele Perlo è consacrato Vescovo a Mogadiscio (Somalia)
“ 1963: Apertura MC in Liberia
28 1992: Apertura MC in Guinea Bissau
1 1904: Iniziano gli Esercizi Spirituali e Conferenza a Murang'a (Kenya)
2 1873: Giuseppe Allamano riceve il Diaconato
“ 1926: Apertura della prima missione IMC in Mozambico (Miruru)
3 1922: Erezione della Prefettura Apostolica di Iringa (Tanzania)
“ 1924: Le prime Missionarie della Consolata giungono in Etiopia
“ 1954: P. Lorenzo Bessone è nominato Vescovo di Meru (Kenya)
4 1951: Apertura MC in Argentina
10 1926: Meru (Kenya) viene eretto in Circoscrizione Ecclesiastica
“ 1971: Inizio del nostro lavoro missionario nella Prefettura di Volksrust (Sud Africa)
11 1964: Apertura MC in Portogallo
13 1996: Trasferimento Casa Generalizia MC da Grugliasco a Nepi (Viterbo)
15 1943: La salma dell'Allamano viene trasportata a Rosignano Monferrato (Alessandria) e vi rimane fino al 30 Aprile 1949
16 1997: Apertura Noviziato Continentale MC a Nairobi (Kenya)
17 1983: Murang'a (Kenya) è creata Diocesi
18 2000: Ordinazione Episcopale di Mons. Anthony Ireri Mukobo
19 1982: Viene promulgato il testo delle nuove Costituzioni IMC
“ 2000: Ordinazione episcopale di Mons. Carillo Gritti
23 1991: Apertura MC in Bolivia
25 1937: Prefettura apostolica del Kaffa è elevata a vicariato apostolico di Gimma
“ 1953: Il Vicariato di Iringa (Tanzania) viene eretto in Diocesi
“ 1953: Il Vicariato di Nyeri viene eretto in Diocesi
“ 1998: Apertura Noviziato continentale America MC in San Paolo (Brasile)
27 1899: Chiusura del processo diocesano per la Beatificazione di Giuseppe Cafasso
28 1919: G. Allamano è ricevuto in udienza da Benedetto XV
29 1873: Giuseppe Allamano viene ordinato Diacono a Torino
31 1975: Inizia il quarto Capitolo Generale MC
1 1941: Uccisione di Suor Eliodora Sottig in Etiopia
5 1910: Entrano le prime due aspiranti MC
“ 1913: Professione Religiosa delle prime 11 novizie MC
10 2005: Inizia a San Paolo (Brasile) l'undicesimo Capitolo Generale IMC e il nono Capitolo Generale MC
13 1902: Giuramento dei primi quattro Missionari
15 1925: La missione di Miruru nello Zambesi (Mozambico) viene assegnata all'IMC
16 2001: Apertura Juniorato continentale Europa MC
18 2009: Ordinazione Episcopale di Mons. José L. G. Ponce de León
24 1900: Nella festa di S. Fedele da Sigmaringen, Giuseppe Allamano scrive al Card. Richelmy sulla fondazione dell'Istituto
23 1990: P. Domenico Fiorina, quarto Superiore Generale dell'Istituto, muore a Somerset (USA)
25 1903: Parte la prima spedizione delle Suore del Cottolengo (Vincenziane) per il Kenya
27 1966: P. Gaudenzio Barlassina, terzo Superiore Generale dell'Istituto, muore a Torino
30 1949: Salma di Giuseppe Allamano è trasportata da Rosignano M. alla Casa Madre
2 1969: Inizia il quinto Capitolo Generale IMC
3 1925: Beatificazione di Giuseppe Cafasso
4 1959: Inizio del quarto Capitolo Generale dell’IMC a Torino
5 1924: Mons. F. Perlo, Vice superiore Generale, giunge in Italia
“ 1968: Ordinazione Episcopale di Mons. Servilio Conti
6 1913: Mons. Gaudenzio Barlassina è nominato Prefetto del Kaffa (Etiopia)
“ 1993: Inizio del nono Capitolo Generale IMC a Roma
8 1897: Giuseppe Allamano è nominato “canonico effettivo”
“ 1902: Partenza del primo gruppo di Missionari (4) per il Kenya
9 2011: Inizio del decimosecondo Capitolo Generale IMC e del decimo Capitolo Generale MC
10 1922: Mons. Francesco Cagliero è nominato Prefetto Apostolico di Iringa (Tanzania)
“ 1987: Inizia l’ottavo Capitolo Generale IMC
“ 1993: Inizia il settimo Capitolo Generale MC
“ 1999: Inizio del decimo Capitolo Generale IMC a Sagana (Kenya)
12 1949: Apertura MC in Roraima (Brasile)
13 1903: Otto Suore Vincenzine del Cottolengo partono per le missioni del Kenya
“ 2012: Ordinazione Episcopale di Mons. Giovanni Crippa
15 1930: Propaganda Fide erige l’Istituto Missionarie della Consolata in Congregazione di diritto pontificio
16 1912: Giuseppe Allamano invia richiesta a Propaganda F. per l’apertura del Kaffa
“ 1930: Propaganda Fide erige l’IMC in Istituto di diritto pontificio
18 1919: I primi Missionari IMC giungono in Tanzania
19 1911: Ricognizione della salma di Giuseppe Cafasso
21 1872: Giuseppe Allamano tonsura e ordini minori
22 2011: Ordinazione Episcopale di Mons. Inácio Saure
23 1906: Inizio del processo diocesano per la Beatificazione di Giuseppe Cafasso
“ 1981: Inizia il quinto Capitolo Generale MC
26 1958: Inizia il secondo Capitolo Generale MC
27 1948: Mons. Beltramino, Vicario apostolico di Iringa, è consacrato Vescovo
30 2010: Ordinazione Episcopale di Mons. Francisco Lerma Martínez
31 1987: Inizia il sesto Capitolo Generale MC
1 1999: Inizio dell’ottavo Capitolo Generale MC
2 1975: Inizio del sesto Capitolo Generale dell’IMC a Roma
5 1924: Mons. F. Perlo giunge in Italia come Vicesuperiore Generale
6 1939: Inizio del secondo Capitolo Generale IMC a Torino
10 1943: P. Giovanni De Marchi giunge a Lisbona per iniziare la presenza IMC in Portogallo
11 1904: inizio delle feste centenarie del Santuario della Consolata a Torino
12 1877: Giuseppe Allamano ottiene il titolo di “dottore collegiato” presso la Facoltà Teologica di Torino
“ 1902: Arrivo dei primi Missionari IMC a Nairobi
15 1877: Ordinazione Sacerdotale di Giacomo Camisassa
18 1901: Benedizione della Cappella e consacrazione dell’altare della “Consolatina” (è presente la Beata M. Teresa Ledochowska)
19 2001: Maralal (Kenya) è creata Diocesi
20 1981: Inizio del settimo Capitolo Generale IMC a Roma
26 1946: Apertura MC in Brasile
28 1902: Arrivo a Tuthu (Kenya) dei primi Missionari IMC
“ 1908: Erezione del Kenya a Vicariato Apostolico
“ 1986: Embu (Kenya) è eretta Diocesi
3 1927: Apertura MC in Mozambico
4 1926: Apertura di Mandimba: prima missione IMC nel Niassa (Mozambico)
10 1923: Aggregazione dell’Istituto a Propaganda Fide
“ 1990: Giovanni Paolo II approva la guarigione miracolosa di Serafina Nyambura per intercessione di G. Allamano
12 1909: viene eretto il Vicariato Apostolico del Kenya
25 1982: Viene eretta la Regione IMC di Roraima in Brasile (ora Amazzonia)
27 2003: Apertura IMC e MC in Mongolia
30 1876: Giuseppe Allamano consegue la Laurea in Teologia
1 1946: Apertura MC in Svizzera
6 Apertura Juniorato Continentale MC in Africa – Nairobi (Kenya)
8 1979: P. Giacomino Camisassa, primo missionario della Consolata africano, muore in Kenya
10 1923: Morte del Card. Agostino Richelmy
11 2003: Muore P. Mario Bianchi, quinto Superiore Generale dell’IMC
15 2003: Apertura Comunità MC “Madre Margherita” a Nepi per preparazione voti perpetui
18 1922: Muore Giacomo Camisassa, all’età di 71 anni
“ 1924: Mons. Gabriele Perlo è nominato Prefetto Apostolico del Benadir (Somalia)
19 1866: Giuseppe Allamano lascia la scuola di Don Bosco ed entra nel Seminario Diocesano
1 1949: Inizia a Torino il terzo Capitolo Generale IMC
7 1923: Propaganda Fide concede l’approvazione definitiva delle Costituzioni
8 1982: Apertura Juniorato internazionale MC a Nepi (Italia)
11 1999: Ordinazione Episcopale di Mons. Peter Kariuki Kihara
12 1900: La Conferenza Episcopale Subalpina approva la fondazione dell’Istituto
13 1916: Il Cardinal Cagliero (salesiano) visita l’Istituto
14 1905: Propaganda Fide crea la “Missione indipendente del Kenya”
15 1925: Prima partenza per il Mozambico
“ 1998: P. Luigi Andeni viene ucciso ad Archer’s Post (Kenya)
“ 2004: Apertura IMC e MC a Djibouti
17 1909: S. Pio X in un’udienza incoraggia l’Allamano a fondare l’Istituto delle Missionarie della Consolata
“ 2006: Sr. Leonella Sgorbati viene uccisa a Mogadiscio (Somalia)
20 1873: G. Allamano è ordinato sacerdote da Mons. Gastaldi nel duomo di Torino
“ 1923: 50° di Ordinazione di Giuseppe Allamano
21 1873: Giuseppe Allamano celebra la prima Messa Solenne
23 1909: Il Card. A. Richelmy approva le Costituzioni
27 1854: Nasce Giacomo Camisassa a Caramagna Piemonte
28 1953: Suor Eugenia Cavallo viene uccisa dai Mau Mau ad Imenti (Kenya)
30 1891: Giuseppe Allamano invia al Prefetto di Propaganda F. il Regolamento del nuovo Istituto
“ 1946: P. Mario Viola arriva a Buenos Aires per iniziare la missione IMC in Argentina
2 1880: Giuseppe Allamano entra come Rettore nel Santuario della Consolata
“ 1891: Esumazione della salma del Cafasso
5 1975: Ordinazione Episcopale di Mons. Aldo Mongiano
6 2001: Ordinazione Episcopale di Mons. Virgilio Pante
7 1990: Giuseppe Allamano viene dichiarato “Beato” in Piazza S. Pietro (Roma) da Giovanni Paolo II
8 1896: Traslazione della salma del Cafasso al Santuario della Consolata
“ 2009: Ordinazione di Pietro e Martino: primi due Missionari della Consolata coreani
9 1909: Apertura della nuova Casa Madre a Torino
“ 1975: Apertura MC in Libia
11 1866: G. Allamano veste l’abito clericale nella Parrocchia di Castelnuovo
“ 1938: La salma di Giuseppe Allamano viene trasportata in Casa Madre
14 1924: Prima partenza di 5 missionari per la Somalia
16 (21) 1866: Vestizione clericale di Giuseppe Allamano a Castelnuovo
17 1860: Giuseppe Allamano riceve la Cresima a Moriondo da Mons. G.B. Balma
“ 1876: Giuseppe Allamano è nominato Direttore Spirituale del Seminario di Torino
“ 1963: Apertura MC in Togo
“ 1972: P. Guerrino Prandelli viene ucciso da una mina a Esperança (Mozambico)
18 1981: Ordinazione Episcopale di Mons. Ambrogio Ravasi
21 1866: Vestizione clericale di G. Allamano a Castelnuovo
22 1935: Muore Mons. Francesco Cagliero, Prefetto Apostolico di Iringa, per incidente automobilistico
“ 2022: Ordinazione Episcopale di Mons. Hieronymus Joya
23 1909: P. Filippo Perlo viene ordinato Vescovo nel Santuario della Consolata dal Card. A. Richelmy
25 1968: Apertura del terzo Capitolo generale MC
28 1913: Funzione di partenza delle prime 15 Missionarie della Consolata per il Kenya
31 1930: Morte in Kenya della Serva di Dio Suor Irene Stefani
2 1908: Inizio del Piccolo Seminario alla Consolatina
3 1913: Parte la prima spedizione di 15 Missionarie della Consolata per il Kenya
10 1922: Inizia il Primo Capitolo Generale dell’Istituto
16 1910: L’Istituto passa sotto la giurisdizione di Propaganda Fide
19 1965: P. Michele Stallone viene ucciso a Loyangalani (Kenya)
21 1910: Vestizione della prime sei Novizie MC
“ 1934: Decreto di nomina del primo Governo Generale MC
25 1964: Marsabit (Kenya) viene creata Diocesi
27 1974: Apertura MC in Spagna
28 1934: Arrivo delle MC a Limuru (Kenya)
29 1986: Ordinazione Episcopale di Mons. L. Augusto Castro Q.
7 1978: Ordinazione Sacerdotale di Mons. José Luis Serna Alzate
8 1906: G. Allamano scrive la Lettera sull’Obbedienza
“ 1916: G. Allamano scrive lettera sulla Povertà
“ 1922: Partenza di 4 Missionarie per la Prefettura di Iringa (Tanzania)
“ 1942: Un bombardamento semi-distrugge la Casa Madre di Torino
“ 1946: P. Bartolomeo Durando arriva a New York per iniziare la presenza IMC in USA
“ 1952: Viene inaugurata la Casa Madre ricostruita dopo la guerra
9 1985: Vengono creati: Vicariato di S. Vicente-Puerto Leguizamo e la Diocesi di Florencia (Colombia)
15 1902: Parte la seconda spedizione per il Kenya
“ 1925: Mons. Giuseppe Perrachon è nominato Vicario Apostolico del Kenya
“ 1947: Primo Capitolo Generale MC
“ 1995: Isiolo è creato Vicariato
16 1923: Con decreto regio, l’Istituto è eretto in Ente Morale
17 1950: Apertura MC in Inghilterra
21 1872: Giuseppe Allamano è ordinato Suddiacono
22 1922: Partono le prime 4 Missionarie della Consolata per il Tanzania
25 1916: Mons. Gaudenzio Barlassina giunge ad Addis Abeba (Etiopia)
26 1923: L’Istituto viene eretto ente morale
28 1909: Viene emesso il “Decretum Laudis” di approvazione dell’Istituto Missioni Consolata
30 2012: Ordinazione Episcopale di Mons. Elio Rama
31 1923: Il Card. G. Bonzano è nominato Protettore dell’Istituto
I primi missionari/e sono senza dubbio il libro più eloquente che narra dell’Allamano come fondatore, padre e maestro. Vi presentiamo una breve biografia di Padre Ernesto Gilardino (1898 – 1937). Dai frutti conoscerete l’albero (cf. Mt 7, 16-20).
Ernesto Gilardino, ottavo figlio che venne a rallegrare la famiglia dei coniugi Carlo Gilardino e Teresa Torrione, nacque il 16 luglio 1898 a Corsila, Biella. Mentre frequentava assiduamente la parrocchia come chierichetto, sentì la voce del Signore che lo chiamava al Suo servizio. Diceva alla sua buona madre: « Mamma, voglio farmi prete »; ma la pia signora, che pur tanto avrebbe desiderato di vedere un suo figliolo incamminarsi per la via del Santuario, triste doveva rispondere: « È impossibile, figliolo, siamo tanto poveri e chi ti potrà aiutare a pagare la retta in Seminario? ».
Ernesto, al termine delle elementari, cercò quindi un impiego in una delle tante manifatture della sua Biella per essere di aiuto in qualche modo alla famiglia. All’età di 19 anni, infuriando la prima guerra mondiale, venne mobilitato e inviato in servizio al campo di aviazione di Venaria (Torino). «Non è che io facessi l’aviatore - diceva - non volo mai, non faccio che ripulire motori e caricare bombe ». Ma se egli non volava, nei giorni festivi sapeva scavalcare il muretto di cinta al campo per recarsi ad ascoltare la S. Messa e fare la Comunione. Alla chiesa poi si recava assiduamente nei tempi di libera uscita per passare lunghe ore dinnanzi al SS. Sacramento.
Al termine del conflitto, Ernesto tornò alla sua manifattura e venne incaricato dell’assistenza ad una cinquantina di tessitrici: di lui il direttore dello stabilimento si fidava. Il giovane assistente iniziò e svolse il suo lavoro come un vero apostolato. I1 suo cuore puro, che traspariva nello sguardo sereno, il suo comportamento modesto e dignitoso, le sue parole brevi: «Su, state buone,... abbiate pazienza,... perché parlate così?», dette con tanta convinzione, esercitavano un effetto magico e creavano nello stabilimento un’atmosfera nuova a cui nessuno poteva sfuggire.
Poiché la brama di essere sacerdote gli ardeva sempre in cuore, nei momenti liberi attendeva alla lettura di qualche buon libro o, dinnanzi ad un compagno condiscendente, si esercitava a leggere ad alta voce sunti di prediche, allo scopo di correggersi di un difetto di pronuncia, ben sapendo che l’esercizio del ministero sacerdotale è essenzialmente ministero di parola. Quando poi il gruzzolo raggranellato con i suoi risparmi gli parve sufficiente per pagarsi la retta in Seminario, cominciò a frequentarvi lezioni private serali su materie proprie del ginnasio, potendo poi meritare per la sua costanza ed impegno di esservi accettato il 14 ottobre 1922.
Si trovava da breve tempo in quel tanto bramato nido, quando al seminario di Biella arrivò un Missionario in cerca di vocazioni. Attratto dalla parola viva e persuasiva del P. Lorenzo Sales, Missionario della Consolata, il Gilardino sentì nascere in cuore il desiderio di lavorare per la conversione degli infedeli e pregò il Signore a fargli conoscere la sua volontà attraverso il Direttore Spirituale. Conosciutala, pronto alla chiamata, il 27 ottobre 1923 entrò nell’Istituto delle Missioni della Consolata.
Ernesto Gilardino con i suoi nuovi compagni aspiranti missionari continuò ed ultimò il biennio di Filosofia, e nell’ottobre 1924 fu ammesso al Noviziato che compì nella Casa di Pianezza sotto la guida del P. Giuseppe Nepote. Sotto la guida del Maestro, Gilardino approfondisce ulteriormente il suo rapporto con Dio, lo spirito dell’Istituto mettendo in pratica scrupolosamente gli insegnamenti del Fondatore. Lo stesso Maestro si accorge che Ernesto è portato sovente a manifestazioni di scrupolo che lo rendono dubbioso, titubante. L’ubbidienza pronta al Maestro gli permette di superare facilmente questo eventuale pericolo. È ammesso alla Professione Religiosa e con gioia, il 15 ottobre 1925, emette i suoi voti. E da Pianezza passa al Seminario Maggiore a Torino, per lo studio della Teologia.
Il Ch. Gilardino di fisico robusto, di indole mite, seria e fattiva, non si distingueva per l’intelligenza vivace, ma per l’attenzione e l’impegno di rendersi conto di tutto e di approfondire il senso delle cose e delle parole. Poiché la memoria non lo favoriva, studiava con “ostinazione” e, con frequenza fino a tarda notte, potendosi servire della luce che proveniva da una lampada della strada, senza essere di disturbo ai compagni nella camerata.
Era sempre pronto ad offrirsi spontaneamente ad ogni fatica, e a questa generosità univa un’osservanza religiosa delicata, una vita di preghiera intensa. Alla scuola del Fondatore, Can. Giuseppe Allamano, che imparò subito ad amare ed apprezzare, si trovava pienamente a suo agio. Però quella vicinanza al Fondatore durò poco perché il Signore lo chiamò a sé il 16 febbraio 1926.
Nel secondo anno di Teologia venne incaricato dell’assistenza dei Fratelli Coadiutori. Attese all’ufficio con grande interessamento, ma soprattutto con grande amore. Partecipava alla vita dei Coadiutori, ai loro lavori, gioie e pene, aveva occhio ai loro bisogni, li assisteva infermi, li istruiva con parole buone e semplici, instillando l’amore a Dio e alla vocazione, li correggeva. « Preferisco un rimprovero dall’Assistente - diceva uno di essi - che una lode da un altro ».
Il 17 gennaio 1929 scrive finalmente ai suoi di casa: “Papà, fratelli e sorelle carissimi, notifico a voi tutti, carissimi, la lieta notizia: il 27 gennaio corrente, riceverò l’Ordinazione Sacerdotale. Inutile che esprima la mia felicità dopo tanti anni di attesa e di sospiri… Già, quanti anni? Più di venti, una vita! Comunicatelo agli zii, alle zie, ai cugini e parenti questa fausta notizia. Non vi nascondo però la mia titubanza nel vedermi dal Signore eletto a sì eccelsa vetta. E come non sgomentarmi, riflettendo alle parole di San Paolo che afferma dover essere il sacerdote un altro Gesù Cristo? La dignità è grandissima, la responsabilità ancora maggiore. Per questo, carissimi, oggi più che mai mi raccomando vivamente alle vostre preghiere, al fine di ottenere dal Signore la grazia di rendermi meno indegno di salire il santo altare”.
Ed i buoni Fratelli Coadiutori, che tanto amavano il loro Assistente, come gioirono il 27 gennaio quando nella chiesa di Gesù Nazareno a Torino, lo videro ordinato sacerdote per le mani di Mons. Ermenegildo Pasetto! Lo videro ancora in mezzo a loro per altri due anni, fino al giorno in cui tutto contento potrà finalmente annunziare: « Partirò presto: sono destinato alla Prefettura del Kaffa ».
Ormai alla vigilia della partenza, P. Gilardino dovette sottostare a una crisi non indifferente: sono io adatto alla missione? Potrò io affrontare le difficoltà di un nuovo ambiente, di una nuova lingua? Forse che la mia vocazione non sia la vita contemplativa? Questi dubbi non li chiuse in se stesso ma li rivelò al suo Padre Spirituale, P. Sandrone. Il Padre spirituale che lo conosceva bene lo rassicurò: va avanti sereno, questa è la tua vita e la tua strada!
Ernesto con i Padri Colombo Cristoforo e Ricci Antonio lascia l’Italia con la nave ‘Genova’ il 4 ottobre 1931. Non dimentica che è la festa del Santo di Assisi e sotto la sua protezione affida il viaggio e la sua missione. Su quel viaggio, P. Gilardino lascia alcune pagine di ‘Note’ che fissano bene le impressioni, la sua gioia nel vedere l’Africa, i contatti con i passeggeri e le persone nei porti. Giunto finalmente sul campo, trascorre alcuni mesi alla Procura di Addis Abeba per una prima ‘climatizzazione’ alla vita africana e di missione, e poi passa alla residenza di Gouder a 144 km da Addis Abeba. Qui P. Gilardino trascorreva le sue giornate vicino alla mola del mulino e nello studio della lingua. Il 17 marzo 1932 viene nominato Superiore della Missione di Ghimbi, nel Wollega, dove rimane fino al 1° novembre 1935.
La missione di Ghimbi era situata in una zona fertile e salubre, sopra i 1500 metri, anche se risentiva ancora degli influssi malarici delle zone basse e paludose. Qui i missionari della Consolata, fin dal loro arrivo nella zona (1918), pensarono di farne un punto strategico per la loro presenza. La missione venne posta sotto la protezione di S. Michele Arcangelo. A poco a poco, attorno alla piccola cappella eretta in onore dell’Arcangelo, i missionari radunarono le prime famiglie cristiane. All’arrivo di P. Ernesto, P. Quaglia offre volentieri la conduzione della missione al neo arrivato e parte subito per un nuovo compito. La lingua ancora non gli viene bene, ma P. Ernesto non si scoraggia. Fin dai primi giorni il suo unico intento è quello di annunciare Cristo e curare il gregge che gli è affidato. E si mette subito di buzzo buono ad andare incontro alla gioventù, avviare nuove scuole, visitare gli ammalati, curare l’istruzione dei catecumeni. Nei momenti liberi si dedica volentieri a tanti lavoretti per i miglioramenti della missione.
Bertone prima e poi P. Farina giungono ad aiutarlo. Ed è proprio P. Farina a raccontare tanti aneddoti sulla vita della missione di Ghimbi e di P. Gilardino che P. Giuseppe Mina raccoglierà nelle 200 pagine del libro-biografia del confratello: “A ognuno la sua stella”. Anche un veloce accenno ad essi comporterebbe troppo spazio. Soltanto due esempi dello “stile missionario Gilardino” che caratterizza la sia vita: “Padre Gilardino ha la sensazione profonda di quello che è il compito del missionario: irradiare luce. Per questo egli predica tanto volentieri, anche se il ministero della parola è per lui grave fatica. Ma per predicare – in forma vera e propria – non è sempre possibile, è sempre possibile parlare di Dio alle anime che si incontrano lungo il cammino.
Si tratta di sapere cogliere l’occasione, e a padre Ernesto le occasioni non mancano mai. Le trova al mulino, nell’incontro fortuito lungo la carovaniera. L’uomo che sale alla collina in cerca di lavoro, il povero che gli stende la mano, il fanciullo che gli corre incontro, il pagano che siede dinnanzi alla capanna, il negoziante di ‘tief’, tutti gli servono per gettare un ponte, stabilire un contatto di vita! Dolcemente, con quel sorriso buono che spiana la via, tronca le prevenzioni, suscita desideri di bene e lascia nell’animo di chi lo incontra un richiamo salutare” (pp. 83-84).
“Quei semi gettati con tanto amore, germogliano, crescono, si sviluppano al calore della grazia divina. I catecumeni aumentano di anno in anno e le feste vengono rese più belle dal conferimento dei Battesimi solenni: alla vita terrena che sfugge, sono aperte le vie dell’eterno gioire. Monsignor Luigi Santa, il nuovo Prefetto Apostolico, viene per amministrare la Cresima dopo una preparazione che s’è prolungata per mesi. Oltre cinquanta giovinezze devono essere segnate col Crisma della Forza, Soldati di Gesù. Quanto è bello mirare quel gruppo di biancovestiti attorno a Monsignore! Padre Gilardino tiene l’ultima istruzione ed è presente pure il Superiore: ora egli non ha più bisogno di leggere la predica, e i suoi accenni si fanno teneri, scuotono ed appassionano, commuovono: c’è chi piange. Effusione dello Spirito, quella! Anche Monsignore è commosso” (p. 89).
Ecco altro passo del libro, quanto mai eloquente nell’illustrare lo “stile missionario Gilardino”: “O l’Africa ti brucia o tu bruci l’Africa, dice un missionario. Padre Gilardino ‘brucia l’Africa’ perché ha incontrato Colui che ‘ha portato fuoco sulla terra’. Lo Spirito Santo, quando trova un’anima docile, se ne impossessa e soavemente la guida. Padre Ernesto è uno di quelli cui fa da guida il Signore. Al Malca Hola aveva trovato un ambiente difficile, freddo, con appena un centinaio di cristiani. Poco alla volta egli riverbera l’onda del fervore vissuto ed il bene germoglia: i cristiani salgono ora a trecento e nuove messi maturano lentamente ma sicuramente” (p. 117).
Ernesto non si arroga mai la pretesa di fare tutto da solo. Cerca, ovunque possibile, dei collaboratori: P. Farina, le Suore, i catechisti, i capi villaggio. Li rende responsabili affidando loro mansioni alla loro portata e non superiori alle loro forze. P. Farina si assume la responsabilità della scuola dei ragazzi e le Suore quella delle ragazze. La formazione morale e spirituale la riserva a se stesso. Per la visita ai villaggi si alterna con P. Farina.
Dove P. Ernesto trovasse la forza per portare avanti un ritmo così intenso di evangelizzazione, è facile indovinarlo. Basta vedere come impostava le sue giornate. Al mattino lunghe soste davanti al tabernacolo precedono la celebrazione dell’Eucaristia. Altrettanto alla sera, dopo una cena veloce, eccolo dirigersi furtivo verso la chiesa. E ora il tempo è tutto suo per un colloquio prolungato con il suo “amico” Gesù.
Nel 1935 scrive in Italia al fratello Teodoro: “La mia occupazione è sempre quella che sapete: catechismi, scuola, visite ai malati, preghiera”. Il 15 agosto segna una svolta nella missione di Ghimbi. Giunge l’ordine perentorio alle Suore missionarie di partire subito per la capitale, perché l’Italia è entrata in guerra con l’Abissinia. Anche i due missionari si tengono preparati per una ormai non lontana partenza dalla missione. Affidano alle persone più fidate la missione, rimandano a casa gli allievi e le allieve, preparano le comunità cristiane…
La partenza dei missionari è per fine ottobre. A nostri due si uniscono altri missionari della zona e la meta è Asmara per aggirare pericoli di imboscate. Il viaggio è lungo e dura un mese e mezzo perché devono passare attraverso il Sudan e raggiungere l’Eritrea. Le peripezie e gli intoppi durante il viaggio non si contano. Il 19 dicembre giungono ad Asmara, dopo un viaggio di 2.800 km percorsi in 49 giorni. Da Asmara i nostri missionari proseguono per Addis Abeba e, dopo alcuni giorni di riposo, vengono subito tutti arruolati come cappellani militari delle truppe italiane di occupazione.
Gilardino, sebbene a disagio con il nuovo compito per il fatto di essere al servizio delle truppe di occupazione, si butta a capofitto nel lavoro che gli è più congeniale, la cura pastorale delle persone. Messe e confessioni, aiuto ai feriti negli ospedali, disponibilità a recarsi anche in luoghi disagiati dove si incontrano le truppe. Nei soldati P. Ernesto non vede uomini di guerra, ma dei poveri giovani, lontani dalla patria e dalla famiglia, che non comprendono nulla di quella guerra, che sentono il bisogno di contattare le loro famiglie lontane e sovente non ne sono in grado. Padre Ernesto fa di tutto per dare loro una mano, sovente prendendosi lui stesso l’impegno di scrivere ai parroci in Italia per avere notizie dei familiari dei soldati, oppure nel fare lunghe code per sbrigare pratiche negli uffici governativi al loro posto.
Gilardino viene poi nominato cappellano dell’Ospedale Italiano, adiacente alla Casa Procura dei missionari, che rigurgita di ammalati, sia italiani che indigeni. Qui, in mezzo ai malati, trascorre gran parte delle sue giornate: consola, rinfranca gli scoraggiati, ma soprattutto cerca di riconciliarli con Dio. A lui interessa soprattutto la salute spirituale di quei poveri infermi.
Anche le carceri degli indigeni divengono presto una porzione del suo servizio pastorale. Riesce a comunicare con molti carcerati, grazie alla sua conoscenza della lingua oromo. Molti di loro invece parlano amarico che lui non conosce. Eccolo allora dedicarsi con impegno allo studio di questa difficile lingua, aiutato in questo da P. Bruno Michele. E proprio qui, in mezzo ai suoi carcerati, contrarrà il tifo petecchiale, che in breve tempo lo porta alla tomba.
Il P. Gilardino nel periodo del suo apostolato africano, come già aveva fatto in Italia, agì con la diligenza e costanza tenace di chi vuole compiere a perfezione il suo dovere. Dapprima si applicò con tutta la sua energia allo studio della lingua indigena per poter capire gli africani e per poter dire loro quello che gli ardeva in cuore.
Sapeva che la bontà è la prima e più potente arma che fa breccia sul cuore dell’uomo e l’usò con tutte le persone che incontrò sul suo cammino: indigeni, soldati, ufficiali, ammalati, prigionieri. Per gli indigeni era il «Padre buono », per gli altri una « Mamma » un « vero sacerdote » sempre pronto a dare con i doni spirituali, una buona parola, un sorriso, l’aiuto di piccoli servizi.
Amò tanto il prossimo, perché tanto amava Dio al quale si teneva unito con continua preghiera. La S. Messa era per lui il momento più bello della giornata il « suo Tabor » come diceva.Quando si recava da un posto all’altro, seminava di Ave Maria il suo cammino; e a sera riprendeva il colloquio con il suo Signore, protraendolo per lunghe ore nella notte: diverse mattine fu trovato addormentato ai piedi del Tabernacolo.
Egli insegnava che « le anime si comprano a prezzo di sacrifici. Non si fa mai troppo per esse, se pensiamo a Gesù che per salvarle è morto in croce ». Per maggiormente rassomigliare al Divino Maestro e meritare le sue benedizioni, era amante del lavoro che gli si presentava nella giornata e lo impreziosiva con non poche mortificazioni e vere penitenze corporali. « Padre buono, abbiatevi riguardo... Che cosa faremo noi se vi ammalate? Per amore dei nostri figli abbiatevi riguardo ».Egli ascoltava commosso questa supplica dei suoi cristiani di Ghimbi, li ringraziava, ma non poteva promettere: « Voi, miei buoni anziani, avete ragione, ma io sono missionario!».
Gilardino avrebbe voluto far di più ancora per il Signore, rinchiudendosi in una trappa per fare vita esclusivamente di preghiera e di penitenza; ma rinunciò anche a questo desiderio in perfetta ubbidienza a chi in nome di Dio gli aveva detto: « L’Africa è la sua trappa ». Era questo « l’ultimo consiglio » che ricevette dal Padre Barlassina, Superiore Generale, al quale aveva esposto il suo desiderio quando all’Asmara veniva nominato cappellano militare.
Sul letto di morte il 3 gennaio 1937 poteva quindi esprimergli, sereno e contento, la sua sentita riconoscenza: un vero canto di trionfo del religioso generoso e ubbidiente: « Dal letto, morente, invio a V. S. Rev.mo questo breve scritto, ma quando a V. S. giungerà io non sarò più tra i mortali, ma tra le braccia del mio amato Dio. Rinnovo i miei santi Voti. Deo gratias della Sua speciale bontà per me e dei Suoi sapienti consigli, specie dell’ultimo. Arrivederci nel bel Paradiso ».
Padre Giuseppe Mina, nel libro « Ad ognuno la sua stella », con stile vivo e piacevole, narra con ampiezza di particolari la vita, la serena morte e la trionfale sepoltura del P. Ernesto Gilardino e riporta pure le numerose testimonianze di stima con cui il Confratello fu ricordato dopo il suo trapasso.
Tra le tante citiamo le seguenti. Il P. Gaudenzio Barlassina, Superiore dell’Istituto e, un tempo, Prefetto Apostolico del Kaffa, ha scritto. « Dal suo primo arrivo in Missione, padre Gilardino rivelò essere dotato di carattere dolce, mite, paziente. Era laborioso, non perdeva tempo, non si risparmiava nella fatica, non attirava gli sguardi, non parlava dei suoi affari, dei suoi meriti; sempre pronto a fermarsi, ad ascoltare tutti senza distinzione, pronto a cambiare impiego o lavoro su due piedi, senza lamenti, rimbrotti e critiche. Fu un adoratore del SS. Sacramento, un uomo che vive di Dio e ne zela la gloria e gli interessi sino al sacrificio. P. Gilardino non fece della politica, e nel silenzio raggiunse lo scopo ».
Il lavoro nelle carceri di Addis Abeba porta P. Gilardino a contatto con tanti ammalati colpiti da malattie infettive. Lui però non si ferma quando si tratta del bene spirituale di quelle persone. Si china su di loro, passa ore ed ore in mezzo a loro. Si sente stanco, ma il Natale è alle porte e sempre richiede un cumulo di impegni pastorali, a cui P. Ernesto non si sottrae. Il 28 Dicembre si attarda nel lavoro presso l’Ospedale, rincasa tardi. È stanco, molto stanco. Si mette a letto e per alcuni giorni alterna la celebrazione della Messa con il riposo. La comunità intanto si preoccupa del suo stato di salute. Si fanno alcuni esami e l’esito è purtroppo “tifo petecchiale”. P. Gilardino e P. Occelli colpito dallo stesso male vengono ricoverati nell’ospedale e messi nella stessa stanza. La situazione di salute di P. Ernesto peggiora velocemente. Riceve l’unzione degli infermi e il viatico. Ha il presentimento chiaro che non guarirà e che presto morirà. L’attesa della morte è però accompagnata da serenità e la speranza. Sa che lo attende il Paradiso. I confratelli si alternano al suo capezzale e sono in continua preghiera. P. Ciravegna che lo assiste durante la notte viene richiesto dal malato di aiutarlo a scrivere alcuni biglietti per i parenti lontani.
È P. Gilardino stesso che tenta di vergare alcune righe, aiutato dal confratello. Il primo scritto è per il suo Superiore: A.A. 3-1-37
Veneratissimo Padre, dal letto, morente, invio a V.S. Rev.ma questo breve scritto, che quando a V. S. giungerà io non sarò più tra i mortali, ma tra le breccia del mio amato Dio. Rinnovo i miei santi Voti. Deo gratias della sua speciale bontà per me e dei Suoi sapienti consigli, specie dell’ultimo. Arrivederci nel bel Paradiso.
Umilissimo figlio, P. Ernesto Gilardino. Non dimentica i parenti lontani: “Carissimi fratelli, sorelle e parenti, Vi saluto, vi benedico tutti in quest’ora della mia agonia.Per carità, pensate ad allevare bene i piccoli, non tralasciate mai di mandarli alla chiesa, all’oratorio. Vi attendo tutti in Paradiso con me.
A.A. 3-1-1937, Vostro aff.mo Ernesto
Il 12 gennaio 1937 è sabato, giorno della Madonna. Una processione di confratelli, consorelle, operai, ammalati passato davanti al suo letto per un ultimo saluto. Anche Mons. Santa, il Prefetto apostolico, è presente e gli sussurra: “Si ricordi di noi, dell’Istituto, delle Missioni, dei confratelli, delle consorelle!”. Riesce ancora a muovere il capo per un assenso e poi è la morte.
La salma di P. Gilardino, conforme al desiderio da lui espresso, anziché nel campo per i militari, viene sepolta accanto ai suoi Confratelli, ed ancor oggi riposa nel cimitero di Addis Abeba. Dopo la morte, hanno scritto di lui confratelli, consorelle, conoscenti. Qualche esempio.
Mons. Luigi Santa, Vicario Apostolico del Gimma, che vide e seguì il P. Gilardino nel suo apostolato, specie negli ultimi tempi: « La morte del Giusto, preziosa agli occhi di Dio, ha coronato quella vita di pietà, di zelo, di sublime semplicità evangelica, che tutti potemmo ammirare nel carissimo Confratello... Non mi stupirei che su quella tomba fiorisse il miracolo!... ».
Il Superiore dell’Istituto P. Barlassina che fu prefetto del Kaffa afferma: “Dal suo primo arrivo in Missione, padre Gilardino rivelò essere dotato di carattere dolce, mite, paziente. Era laborioso, non perdeva tempo, non si risparmiava nella fatica, non attirava gli sguardi,, non parlava dei suoi affare, dei suoi meriti; sempre pronto a fermarsi, ad ascoltare tutti senza distinzione, pronto a cambiare impiego o lavoro su due piedi, senza lamenti, rimbrotti, critiche. P. Gilardino non fede della politica e nel silenzio raggiunse lo scopo!”
Il Dott. Borra che lo ebbe in cura: “Come operino i santi è difficile descriverlo, ma penso che non possano agire in modo diverso da come egli ha agito. […] Il suo sangue succhiato dai pidocchi a goccia a goccia non sarà meno glorioso di quello dei martiri versato per un colpo di spada”.
Cfr. Biografia: “Ad ognuno la sua stella”, di P. Giuseppe Mina, 1951.
“Sembra che oggi i nostri educatori, a diversi livelli, sentano in modo particolare il bisogno di rivisitare e approfondire lo stile allamaniano-consolatino di approccio alla persona. È quello che vogliamo fare anche qui, in questa breve riflessione sulla nostra impronta carismatica in un progetto pedagogico giovanile, oggi”. Leggi l'articolo di Suor Simona Brambilla, MC, attualmente segretario del Dicastero per gli istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.
Sr. Simona Brambilla, MC
Lo scorso dicembre (2006) si è svolto in Argentina l’incontro Continentale di America IMC- MC-LMC su AMV e Pedagogia Allamaniana, e nel documento conclusivo dell’incontro si esprime l’esigenza di “fare passi verso l’elaborazione di un Piano Continentale di Pastorale Giovanile Missionaria Allamaniana, aperta alla ministerialità”1. Anche nell’Incontro Continentale Europeo IMC-MC sulla AMV, svoltosi a Madrid dal 31 gennaio al 02 febbraio 2007, si è percepita l’esigenza di trovare linee comuni di pastorale giovanile che abbiano un’impronta “nostra”. Durante il corso per Animatori e Animatrici Missionari Vocazionali IMC-MC-LMC in Europa, lo scorso aprile, i partecipanti hanno lavorato a tali linee comuni caratterizzate da un’impronta “allamaniana”. Anche in questo corso di formazione per Animatori e Animatrici Vocazionali IMC-MC in Africa vogliamo dare spazio alla riflessione sul modello educativo allamaniano. Sembra che oggi i nostri educatori, a diversi livelli, sentano in modo particolare il bisogno di rivisitare e approfondire lo stile allamaniano-consolatino di approccio alla persona. È quello che vogliamo fare anche qui, in questa breve riflessione sulla nostra impronta carismatica in un progetto pedagogico giovanile, oggi. Ovviamente, non si pretende di esaurire qui la tematica, ma solo di iniziare una riflessione, che può essere ripresa, ampliata e approfondita in altre sedi.
Ci fermeremo a considerare brevemente alcune caratteristiche dell’approccio allamaniano alla persona.
Il Fondatore passò praticamente tutta la vita coinvolto nell’educazione di se stesso e di altri: come studente in formazione (1856-1877), come formatore in seminario (1873- 1880), come professore (1882-1884), come Direttore del Convitto ecclesiastico per due anni e formatore del clero diocesano (1882-1926), pastore o “pedagogo spirituale” (1880- 1926), formatore iniziale e permanente di missionari (1901-1926), formatore iniziale e permanente di missionarie (1910-1926). Insomma, una vita a contatto con le problematiche, le sfide e la bellezza del compito educativo. L’Allamano ha senz’altro qualcosa da dirci.
L’Allamano non ha mai fatto sconti sugli ideali: li ha proposti sempre, in modo chiaro ed inequivocabile. L’ideale missionario è per lui e per chi da lui fu formato il “denominatore unificante di tutta la formazione e di tutti gli aspetti della vita”3 che “pervade tutto, caratterizza e qualifica lo studio, gli interessi, le letture, le celebrazioni, gli esercizi della vita spirituale”4: “Noi dovremmo avere per voto di servire le missioni anche a costo della vita”5.
Non fare sconti sugli ideali oggi (ma anche ieri) può non essere così facile né immediato. Eppure, la proposta chiara e inequivocabile di ideali/valori non negoziabili è un punto fondamentale dell’educazione, e non solo dell’educazione prettamente vocazionale, ma umana e cristiana in generale. Basti pensare a che cosa può capitare ad un bambino che si trova a crescere con educatori che non sanno dire chiari “sì” e chiari “no” in base a qualche criterio oggettivo, ma si barcamenano cercando di accondiscendere, di volta in volta, ai propri bisogni o ai bisogni dell’infante, o a qualche compromesso tra i due. Un terreno educativo di questo tipo si presta con facilità a coltivare squilibri di personalità, più che uno sviluppo di un sé, sano e maturo.
L’Allamano si rivolgeva ad aspiranti missionari, per cui l’ideale proposto assumeva i colori e modalità espressive adatte a chi aveva già fatto una scelta vocazionale precisa. Ma l’ideale missionario racchiude dentro di sé ed esplicita in modo singolare il seme dell’ideale di vocazione umana e cristiana che può essere proposto a tutti, qualsiasi sia il cammino di vita scelto. Si tratta della chiamata ad uscire da sé, a muoversi dalla propria posizione nel cosmo/universo per dilatare la visione, la comprensione, la capacità di amare e di fare. Questo ideale, mi pare, può e deve essere proposto anche oggi, in ogni cammino educativo cristiano, senza sconti.
Quanto appena detto ci rimanda ad una caratteristica peculiare dell’Allamano, ma anche dei suoi figli e figlie nell’approccio alla persona e ai popoli: la “presenza”. Non una qualsiasi presenza, ma una presenza, appunto, pedagogica, che sa cogliere e rispettare i ritmi di crescita dell’altro e sa “esserci” o scomparire a seconda dello stadio in cui l’altro si trova6. Una presenza di chi non pretende di proporsi come salvatore dell’altro, nell’intento di risolvergli tutti i problemi, ma che nemmeno lo abbandona a se stesso con la scusa di un malinteso “rispetto”. Ciò implica una sufficiente ed esperiente conoscenza dell’umano e dello spirituale, che porta l’educatore ad una capacità di vera vicinanza ed intimità ed insieme di distanza e di riguardo per lo spazio dell’altro. In altre parole, una cosa è essere vicini, un’altra è ficcare il naso nelle faccende altrui. Una cosa è “esserci” per aiutare l’altro laddove ha bisogno e anche per imparare da lui, un’altra è aver bisogno di essere per forza utili all’altro. Una cosa è porsi accanto ed accompagnare, accettando di essere anche noi dei cercatori, un’altra è pretendere di sostituirsi all’altro o di avere tutte le soluzioni alle sue domande.
Nell’Allamano, questo andirivieni tra vicinanza e distanza, presenza e assenza, tra sì e no, si manifesta anche nel suo tratto assieme soave e forte, caratteristica spesso riportata dai testimoni:
“Come Fondatore e Superiore nostro, era impareggiabile, forte e soave nello stesso tempo. Si interessava di tutto e di tutti: scendeva anche ai più minuti particolari, e nello stesso tempo non era né pesante, né assoluto. Lasciava libera l’iniziativa delle Superiore subalterne…”7 “Il suo tratto [appare] sempre buono e paterno, ma riservato e contenuto.”8
La presenza dell’Allamano potrebbe essere qualificata, in termini attuali, come “empatica”: egli possiede la capacità di sentire con l’altro, di intenerirsi, commuoversi, identificarsi con la persona; allo stesso tempo, possiede la capacità di distanziarsi dall’altro per coglierlo in modo più pieno e rispettoso della sua totalità. In questo modo, sa sfidare senza scoraggiare, perché il suo intervento non parte solo da un sentire emotivo, ma da un contatto più profondo e pieno con il vissuto altrui, il proprio e i valori che vive e propone, il tutto unificato nell’esperienza viva della relazione con Dio che gli dilata gli orizzonti dello spirito, del cuore e della mente, portandolo ad una sempre più articolata comprensione dell’umano e dello spirituale, perciò ad interventi educativi illuminati e sentiti come una benefica sfida alla speranza.
“Nel correggere aveva molto tatto e bontà, e nello stesso tempo era forte e soave. Diceva poche parole, ma chiare e decise. Soprattutto non era mai scoraggiante, pur combattendo energicamente il difetto.”9
Una missionaria racconta di un fatto che risale alla Prima guerra mondiale, quando il nutrimento era scarso e il pane razionato: “Due postulanti, entrate appena da qualche giorno, passando in panetteria, mi chiesero il pane varie volte dicendo che avevano fame. Per un po’ di volte mi prese compassione e gliene diedi, ma passando per caso il nostro venerato Padre dalla panetteria, gli raccontai la cosa chiedendogli come dovevo fare.
Allora mi disse […]: «continua pure e darglielo, quando lo domandano, per un po’ di giorni, ma, adagio adagio, farai loro capire che non si può; ma non mortificarle; aumenterai però la porzione a tavola, perché non voglio che soffrano».”10
Quello che la pedagogia di oggi identifica come il “principio di gradualità” è bellamente espresso in questo atteggiamento educativo dell’Allamano, il quale possiede una particolare capacità di “essere fermo nei principi (fortiter) e di adeguarli alla situazione concreta delle persone (suaviter), immedesimandosi nella loro situazione fisica (debolezze, necessità di salute), ma anche al carattere, e alle capacità di ognuno. Per questa comprensione, ammette che uno riesce a fare tanto e non di più, ad arrivare fino ad un certo punto e basta, oppure è in un momento in cui bisogna saper aspettare. Quindi, l’Allamano sa distinguere fra gli ideali e le mete da raggiungere e la capacità concreta di coloro che li devono raggiungere; e porta avanti gli obiettivi con pazienza e rispetto. Egli ha una straordinaria capacità di equilibrio tra proposte forti e comprensione delle capacità e della debolezza umana. Propone ideali altissimi, fino alle vette dell’eroismo, ma sa che non tutti possono arrivarci. Considera le persone come sono, sapendo attendere i tempi di maturazione che sono diversi. E quindi sa anche superare la regola, senza venir meno a ciò che è veramente importante e irrinunciabile.”11
Uno degli atteggiamenti necessari allo sviluppo della capacità di presenza empatica è l’accettazione della parte femminile della propria personalità. L’Allamano aveva fatti suoi atteggiamenti femminili e materni, assorbiti certamente nel contatto con la madre e sviluppati nel rapporto continuo e profondo con la Consolata, considerata come fondatrice e posta a modello sia dei missionari sia delle missionarie12.
“La sua carità era di una squisitezza e finezza più che materne sapeva impreziosirla con tante delicatezze”.13
Sono atteggiamenti intrinseci alla capacità di presenza empatica. Il Documento dell’Incontro di AMV - Pedagogia Allamaniana di America parla espressamente di “metodologia Allamaniana dell’ascolto”14. L’Allamano e i suoi figli e figlie pongono l’ascolto e l’attenzione alla realtà come pietra miliare del loro essere missionari. L’Allamano ha sempre valorizzato l’obbedienza, che implica proprio queste due qualità, applicate alla relazione con Dio, con gli altri, con se stessi, col cosmo.
L’ascolto sottintende la capacità di silenzio per far spazio alle voci che sussurrano (o gridano) dentro e fuori di sé, poter distinguere la provenienza di tali voci e giudicare la validità delle loro proposte in ordine ad una decisione sul percorso da intraprendere. Se vogliamo, possiamo rifarci qui all’ignaziano discernimento degli spiriti nell’ascolto delle mozioni interiori.
“La sua direzione si estendeva a tutte ed era per tutte, in modo che ciascuna portava l’impressione di essere l’oggetto della sua particolare attenzione”15
“«Teneva l’occhio e l’orecchio attenti e vigili a quanto accadeva al di fuori…» (A. Cantono); «Ha sempre avuto una intuizione precisa dei bisogni del tempo», «Non conobbe vecchiezza» (Pinardi), proprio per questo suo «occhio vigile e penetrante»”16
Nei confronti di se stessi, la capacità di ascolto attento è elemento necessario di una vita in discernimento. Nei confronti dell’altro, tale capacità diviene fondamentale per creare un ambiente pedagogico in senso lato. La possibilità di crescita, di cambio, di apertura (o ri-apertura) di percorsi spesso rallentati o bloccati da disavventure in campo relazionale, diviene reale proprio in una matrice relazionale sufficientemente attenta alla persona e al suo stadio di sviluppo umano e spirituale. Raggiungere l’altro laddove egli si trova è premessa irrinunciabile per accompagnarlo. Premessa che può realizzarsi solo nell’ascolto attento della persona. Nei riguardi del mondo, la capacità di ascolto attento è essenziale per cogliere i “segni dei tempi” e i semi di vita sparsi largamente nella natura, nella cultura, negli avvenimenti, dentro le pieghe della storia con le sue ombre e luci.
“Dimostrava intolleranza per ogni doppiezza e persino per le restrizioni mentali. Parlando di queste diceva: ‘Non va bene. È un difetto delle comunità. Voglio in comunità spirito lindo netto chiaro; il vostro parlare sia come dice il Vangelo: Sì, sì, no, no… La spia non la voglio; non ho mai interrogato uno per sapere di un altro’.”17
Questa testimonianza basta ad illuminare un atteggiamento personale che si rivela sostanziale per qualsiasi processo pedagogico. La creazione di un rapporto di fiducia tra educatore e educando è basilare per realizzare un cammino educativo, ma essa non è pensabile senza il presupposto dell’affidabilità, dell’attendibilità e rettitudine.
Le persone che si affidavano all’Allamano (ed erano tante e diverse!) potevano contare su questa certezza: egli mai le avrebbe tradite, strumentalizzate, utilizzate in qualche modo, anche “a buon fine”. Egli era come roccia affidabile e sicura: pronto ad accogliere sempre, onesto e diretto nel confrontare e sfidare, scevro dalla ricerca di popolarità, plauso ed ammirazione, uomo di speranza e del nunc coepi contro ogni disfattismo, pessimismo o vittimismo rinunciatario.
È un altro binomio caratteristico dell’Allamano e dei suoi figli e figlie. Il nunc coepi ne è forse l’espressione più limpida. Ricominciare implica sia energia che mitezza/umiltà.
Chi non è sufficientemente energico, rimane a terra dopo una caduta. Ma rimane a terra anche chi non è sufficientemente umile da accettare le proprie ferite, eventualmente cercare qualche aiuto e rialzarsi per continuare il cammino.
Chi non è sufficientemente energico non accetta di assumersi responsabilità. Ma non le accetta nemmeno chi non è abbastanza mite / umile da caricarsi sulle spalle i propri (e spesso altrui) pesi.
Chi non è sufficientemente energico non s’impegna nella collaborazione. Ma non vi si impegna nemmeno chi non è abbastanza mite / umile da accettare punti di vista differenti dai propri, da “perdere” qualche privilegio personale per fare spazio ad altri, da lasciare che altri gli insegnino qualcosa.
Chi non è sufficientemente energico non è intraprendente e creativo. Ma non lo è nemmeno chi non è abbastanza mite /umile da correre il rischio di sbagliare e fare “brutta figura”, di tirarsi addosso eventualmente la critica, la disapprovazione e l’incomprensione altrui. E la lista potrebbe continuare.
Con Don Borio, l’Allamano lamentava: “In casa nostra c’è più timore che amore, stanno lì come automi, senza iniziativa propria e con paura di parlare o fare per tema di sbagliare”18
Non era questo lo stile che l’Allamano voleva, ma scioltezza, semplicità, schiettezza: “Sempre paternamente comprensivo delle debolezze che ognuno porta in sé, l’Allamano non sopportava l’apatia, l’indifferenza. Non vuole gente fiacca, lamentosa, apatica, mediocre”19, forse perché sa bene che questi atteggiamenti sono tra i più deleteri alla crescita della persona e della comunità.
Che l’Allamano vedesse e sentisse l’istituto come famiglia, è fatto noto. Il clima familiare è una delle caratteristiche e premesse irrinunciabili del suo metodo formativo/educativo. Lo spirito di famiglia si materializza per lui nell’unione: “formiamo un solo corpo morale e dovremmo avere tra noi l’unione che c’è tra le membra del corpo”; “ma unione fra tutti: uno per tutti e tutti per uno. Questo in una comunità è il più necessario. Dove non c’è questa unione è la rovina. Costi quel che costi, bisogna fare in modo che ci sia l’unione”.20
L’Allamano formava all’unione, alla collaborazione attiva e partecipe di tutti alla crescita verso il comune ideale. Tale collaborazione e unione richiede, ovviamente, una capacità sufficientemente matura di relazioni interpersonali vere che non si limita al “vogliamoci tutti bene” o all’esaltazione dello spirito di cameratismo, bensì si concretizza nella capacità di lavorare assieme in “unità d’intenti”, di condividere la vita. Credo che questo punto meriti una particolare considerazione, oggi. Proporre un’educazione improntata allo spirito di famiglia richiede un’approfondita riflessione sul significato che ad esso attribuiamo.
In primo luogo, nell’immaginario delle persone, il termine famiglia può evocare diverse esperienze, non sempre assimilabili e non sempre del tutto positive per la crescita. Chi ha qualche esperienza pedagogica sa bene quali conseguenze può avere sulle persone (e sul loro modo di relazionare) il vissuto di dinamiche familiari eccessivamente invischiate o, al contrario, segnate da disgregazione. Occorre chiarire allora, spesso attraverso cammini lunghi e pazienti con le persone che si accostano alle nostre congregazioni, che l’immagine di famiglia proposta dall’Istituto non si sovrappone e non deve sovrapporsi necessariamente all’immagine che la persona porta dentro. L’Istituto è una famiglia perché i vincoli che legano i membri non si esauriscono puramente in rapporti di “lavoro”, ma si fondano nella condivisione di un unico carisma, ed in ultima analisi nell’essere uno in Cristo. Questo conferisce una qualità particolare ai rapporti fra i membri, che vivono un senso d’appartenenza carismatica. Tale tipo di familiarità sfida e confronta certi modelli familiari (accennati sopra negli estremi della famiglia invischiata e di quella disgregata) che gli individui possono portarsi dietro: la famiglia proposta è una famiglia di persone adulte e corresponsabili pur nella diversità di compiti e servizi, non da padri/madri e figli/figlie, né da nonni/e e nipoti, né da individui che in comune abbiano solo, o quasi, il domicilio.
In secondo luogo, formare allo e nello spirito di famiglia adulta implica per gli educatori una particolare sensibilità alla qualità delle relazioni e la consapevolezza che quello elazionale è il terreno in cui si gioca di fatto l’educazione: non si educa se non in relazione. Questo dovrebbe dirci qualcosa rispetto alla preparazione degli educatori a tutti i livelli: il sapere, anche il sapere teologico, si può imparare dai libri. La vita, a tutti i livelli, si sviluppa solo in una matrice relazionale.
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1 Encuentro Continental America IMC/MC/LMC AMV – Pedagogia Allamaniana, Argentina, 15-22 Dicembre 2006, 7.6.
2 Cf. MEDINA, S., Hacia una Pedagogia Allamaniana de la Consolata, Buenos Aires, Dicembre 2006. Dattiloscritto non pubblicato, p. 7.
3 PASQUALETTI, G., Pedagogia Allamaniana, 2006. Dattiloscritto non pubblicato, p. 5.
4 Ibidem.
5 SALES, L., (a cura di), La Vita Spirituale - dalle conversazioni ascetiche del servo di Dio Giuseppe Allamano fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, Edizioni Missioni Consolata, Torino 19632, p. 461.
6 Per un approfondimento degli aspetti pedagogici di presenza e ad assenza, qui solo accennati, cf. il contributo di IMODA, F., Sviluppo Umano, Psicologia e Mistero, EDB, Bologna 2005, cap. IV, sez. 8.
7 STRAPAZZON, SR. CHIARA, Summarium Allamano, p. 166. Citato in: JACIÓW, K., Il Beato Giuseppe Allamano: Formatore delle Suore Missionarie della Consolata, Grugliasco 1995. Dattiloscritto non pubblicato, p. 7.
8 Testimonianza di sr Michelina Abbà, 25 settembre 1973. Citata in: MANTINEO, M., Il Canonico Giuseppe Allamano formatore delle Suore Missionarie della Consolata, Tesi di Licenza presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, Roma 1985. Dattiloscritto non pubblicato, p. 203.
9 Deposizione di Suor Chiara Strapazzon, sez. CXIII, 30 luglio 1947. Citata in: MANTINEO, M., op. cit., p. 210.
10 Testimonianza di sr Ludovica Crespi, senza data. Citata in: MANTINEO, M., op. cit., pp. 204-205.
11 PASQUALETTI, G., Pedagogia Allamaniana, op. cit., p. 2.
12 Cf. JACIÓW, K., op.cit., pp. 6-7.
13 Positio Allamano, p. 331. Citato in: JACIÓW, K., op. cit., p. 14.
14 Encuentro Continental America IMC/MC/LMC AMV – Pedagogia Allamaniana, Argentina, 15-22 Dicembre 2006, 4.8.
15 Deposizione di Suor Maria degli Angeli Vassallo, sez. CCXLII, 26 febbraio 1949. Citato in: MANTINEO, M.A., op. cit., p. 182.
16 PASQUALETTI, G., Pedagogia Allamaniana, op. cit., p. 1.
17 STRAPAZZON, SR. CHIARA, Summarium Allamano, p. 175. Citato in: JACIÓW, K., Il Beato Giuseppe Allamano…, op.cit, p. 12.
18 Lettera a Don Borio, 04 settembre 1907. In: BONA, C., Quasi una vita…Lettere scritte e ricevute dal Beato Giuseppe Allamano con testi e documenti coevi , IV vol., Edizioni Missioni Consolata, Torino 1994, pp. 736-737.
19 PASQUALETTI, G., Pedagogia Allamaniana, op. cit., p. 5.
20 SALES, L., (a cura di) La Vita Spirituale…, op.cit., p. 407
All'inizio del Triennio sul Beato Allamano, offriamo questa prima riflessione di P. Francesco Pavese, in consonanza con quanto le nostre due Direzioni Generali ci hanno proposto, scegliendo il protettore per gli anni 2024-25-26. La paternità dell'Allamano ci è particolarmente cara come lo fu per i nostri primi Missionari e Missionarie. Dal Cielo continui a guidarci e proteggerci. Buon anno nuovo a tutte e a tutti.
I missionari e le missionarie di Castelnuovo don Bosco.
A cura della Postulazione Generale
Per la festa del Fondatore di quest’anno propongo alcune riflessioni sulla sua “paternità”. Sono idee semplici che fanno sempre del bene a noi, ma che quest’anno possiamo anche proporre alla gente che ci conosce e che festeggia con noi il nostro “Padre”.
Prendo l’ispirazione da un messaggio che il Camisassa ha scritto alle suore in vacanza a S. Ignazio, alla vigilia del suo onomastico, per scusarsi di non potere essere presente, essendosi dovuto fermare a Torino «stante l’assenza del Sig. Rettore (m’è scappata la parola: leggete Padre amatissimo)». Per le missionarie l’Allamano non è il “Rettore”, ma il “Padre amatissimo”. Questa è la convinzione del Camisassa, che coincide con quella dei figli e delle figlie dell’Allamano.
Non è significativo che il Camisassa chiamasse l’Allamano per lo più con il nome di “Padre”, senza l’articolo? Il Camisassa, sia pure con una certa titubanza, pensa di partecipare in qualche misura della paternità del Fondatore. Ecco come si è espresso scrivendo dalla fattoria di Nyeri, il 18 luglio 1911 ad un gruppo di giovani suore, dopo la loro vestizione: «Mie buone figliuole, permettete che io pure vi chiami con questa dolce parola, detta a sei di voi con tanta bontà e tenerezza , come mi scrivete, dal nostro venerato Padre nel bel dì della loro vestizione. Certo che non ho diritto di chiamarvi mie figlie, ma pur qualcosa come un padre putativo vostro vorrei pur esserlo […]». È certo che il Camisassa è entrato in pieno nel clima di famiglia voluto dal Fondatore, in modo non indipendente, ma a seguito di lui.
Il Fondatore, proprio perché era convinto dell’origine soprannaturale dell’Istituto, si è assunto tutta la responsabilità, non solo di fondarlo, ma anche di accompagnarlo nella crescita. In questa risposta coerente alla propria vocazione si colloca la sua coscienza di essere “padre” di due famiglie missionarie. Lo ha espresso con semplicità e convinzione in diverse occasioni. Sia sufficiente rileggere quanto, nel 1904, ha scritto al gruppo dei missionari in Kenya mettendoli al corrente delle feste centenarie del santuario, per assicurarli di averli ricordati: «Lasciai in certo modo da parte le altre mie attribuzioni per non ricordare che la mia qualità di padre di questa nuova Famiglia».1
In forza di questa paternità spirituale, il Fondatore era convinto di dover formare missionari e missionarie conforme al progetto che lo Spirito Santo gli aveva suggerito. Ecco la ragione delle sue numerose insistenze sullo “spirito”. Per circostanze contingenti, ha dovuto difendere la genuinità del suo spirito fin dai primi anni della fondazione. È classico il suo intervento del 2 marzo 1902: «La forma che dovete prendere nell’Istituto è quella che il Signore m’ispirò e m’ispira, ed io atterrito dalla mia responsabilità voglio assolutamente che l’Istituto si perfezioni e viva di vita perfetta».2 È pure classico l’altro intervento nella conferenza del 18 ottobre 1908, quando, parlando della responsabilità che i superiori hanno di formare missionari, concluse: «lo spirito lo dovete prendere da me».3 Non si contano gli interventi a questo riguardo, anche alle suore. Sono molto esplicite le parole scritte il 7 settembre 1921 a sr. Maria degli Angeli superiora in Kenya: «Io desidero, e tale essendo il mio dovere, pretendo, che viviate nello spirito che vi ho infuso».4 Più di così!
Come padre, l’Allamano ha manifestato un tenero affetto per i figli e le figlie. Viveva per loro, come ha confidato scrivendo al p. Filippo Perlo nei primi anni della 5missione in Kenya: «Tante e tante cose a tutti i miei cari missionari, pei quali soli ormai vivo su questa terra. La mia paterna benedizione mattino e sera su tutti […]».6 Ha pure pronunciato parole così intense che ci impressionano ancora oggi: «Il Signore avrebbe potuto scegliere un altro a fondare questo Istituto, uno più capace, con maggiori doti, con più salute, ma uno che vi amasse più di me…non credo».
Proprio perché voleva un mondo di bene ai suoi figli e figlie, l’Allamano non si è accontentato di proporre loro l’impegno missionario, già arduo in se stesso, ma l’ha proposto nella “santità della vita”, chiedendo loro di essere tutti di “prima qualità”. E la ragione della sua continua richiesta di santità era soprattutto di carattere apostolico: «Qualcuno crede che l’essere missionario consista tutto nel predicare, nel correre […]; no, no! Questo è solo il fine secondario: santifichiamo prima noi e poi gli altri. Uno tanto più sarà santo, tante più anime salverà»7; «Dobbiamo prima essere buoni e santi noi, dopo faremo buoni gli altri; altrimenti, non saremo buoni né per gli altri, né per noi»8 Il “prima santi e poi missionari” si inserisce in questo tipo di ragionamenti.
E neppure si è tirato indietro quando è stato necessario richiamare, direttamente o tramite i suoi collaboratori, ad un impegno superiore, come ha fatto abitualmente. Per esempio, ecco le parole scritte alle suore appena dopo un anno dal loro arrivo in Kenya:
«Mentre come padre so compatire l’umana fragilità, non posso, né intendo che si vada avanti con questo spirito. […] Perdonatemi questo sfogo paterno, che stimai necessario per rimettere tutte in carreggiata.[…]. Vi benedico di gran cuore».9 Anche su questo aspetto il Camisassa ha saputo collaborare con il Fondatore, come risulta da una lettera a sr. Margherita de Maria: «Persuaditi che la volontà di Padre è volontà di Dio.[…]. Mi rincresce aver dovuto scriver un po’ forte, ma è proprio Padre che volle così».10
Un aspetto molto interessate della paternità del Fondatore è il seguente: come educatore, oltre ad offrire concetti e principi, ha saputo comunicare se stesso, cioè la propria esperienza interiore. Quasi senza accorgersene, indicava come lui stesso procedeva sul cammino della santità. Questa è stata la sua grande forza di educatore. Ecco perché uno dei giovani di allora ha lasciato scritto, riferendosi alle sue conferenze domenicali: «Prima della sue parole, aspettavamo lui». Con semplicità paterna ha spiegato questo suo metodo agli allievi appena tornato dagli esercizi spirituali: «Ebbene che cosa vi ho portato? Vi ho portato dello spirito, un deposito di spirito, e sapete che cos’è? Qualche buon pensiero che a me ha fatto più impressione e lo porto a voi. […] E così, nelle prediche, meditazioni, esami, con tutto insomma, pensava facendomi buono io, pensava anche a voi. Per voi e per me. Perché non voglio essere solo un canale, ma anche conca. […] Così i buoni pensieri, prima per me, e poi anche penso a voi. I buoni pensieri che hanno fatto effetto a me, lo facciano anche a voi»11.
Infine, la paternità del Fondatore ha fatto crescere nell’Istituto lo spirito di famiglia. Chi non ricorda le sue numerose raccomandazioni al riguardo? Lo spirito di famiglia doveva essere vissuto prima con lui, che era il padre, e poi tra di noi che siamo diventati fratelli e sorelle a motivo della stessa vocazione e della paternità dell’Allamano. La conseguenza sul piano dell’azione apostolica è stata che i suoi figli e figlie dovevano essere capaci di lavorare “insieme” e non ognuno per conto proprio. L’ideale dell’unità nell’Istituto era per l’Allamano un punto fermo, intoccabile, quasi un sogno. Rileggiamo le parole pronunciate in occasione della partenza di missionari: «Vedete la consolazione che si prova a partecipare a questa famiglia […]. E anche se si deve andare in un altro luogo… il luogo è una materialità, è niente l’essere piuttosto in un posto che in un altro…Siamo tutti missionari, siamo tutti insieme, facciamo tutti una cosa sola, come se fossimo tutti qui, tutti al Kenya, tutti al Kaffa, tutti all’Iringa»12. Per lui, un Istituto di missionari deve essere e operare “tutto dappertutto”!
E la ragione di questa unità va cercata nella nostra identità missionaria. L’Allamano immaginava il suo Istituto come un “corpo” apostolico, ben compatto. Lo ha chiesto tante volte ai suoi fin dai primi anni. Basta rileggere quanto ha scritto ai missionari del Kenya nella lettera circolare del 2.10.1910: «Altro carattere del lavoro di missione è la concordia. L’unione di mente e di cuore mentre rende leggera la fatica, fa la forza ed ottiene la vittoria.».13 Lo aveva già riconosciuto, cinque anni prima, rallegrandosi perché la Santa Sede aveva riconosciuto la buona organizzazione e l’unità di azione nelle nostre missioni: «L’unità d azione poi è specialmente merito vostro, perché avete saputo uniformarvi pienamente alle direzioni ricevute».14
La paternità del Fondatore è perenne. L’ispirazione che ha ricevuto e trasmesso non si è interrotta con la sua morte, perché lo Spirito è perenne! L’Allamano era cosciente di conservare la propria paternità anche dal cielo. Lo ha detto in diverse occasioni, in senso di incoraggiamento e di aiuto, ma anche di richiamo. Sia sufficiente risentire queste parole pronunciate in tempi e in circostanze diverse: «Quando io sarò poi lassù, vi benedirò ancora di più: sarò poi sempre dal pugiol [balcone]»15; «Siate buoni anche dopo la mia morte, perché se no chiederò al Signore di venire dal balcone del Paradiso, e vi manderò delle bastonate».16Quando noi faremo il cinquantenario io dal Paradiso vi assisterò; sarà un cinquantenario pieno di meriti»;17 «Dal cielo vi guarderò, e se non farete bene, vi manderò tante umiliazioni finché non rientrerete in voi tessi”»;18 «Dal Paradiso manderò dei fulmini se vedo che mancate di carità».19 «Per il bene che mi volete, dovete essere contenti che io vada in Paradiso a riposarmi. Farò di più là che di qua…farò, farò».20
In parole semplici e schematiche può essere questa: conoscerlo sempre di più e farlo conoscere agli altri; confrontarsi con lui nella vita e proporre la sua spiritualità alle persone che ci sono vicine; sentirlo vivo e presente, pregarlo e suggerire l’efficacia della sua intercessione a quanti collaborano con noi o che serviamo nel ministero. L’Allamano non lascia indifferenti: ci coinvolge e può coinvolgere molte altre persone. L’esperienza dice che anche i laici, quando riescono avvicinare in modo adeguato l’Allamano, sanno apprezzarlo e, in certo senso, lo sentono anche loro “padre”. La paternità del Fondatore non è circoscritta dai confini dell’Istituto.
NOTE:
1 Lett., IV, 276.
2 Conf. IMC, I, 15; si noti che queste parole sono del suo manoscritto. Cf. anche 136-137
3 Conf. IMC, I, 273.
4 Processus Informativus, IV, 220; Lett., IX/1, 140.
5 Processus Informativus, IV, 494.
6 Lett., IV, 23-24.
7 Conf. IMC, I, 249-250. Ricordiamo come abbia modificato di suo pugno il testo del Direttorio del 1910: «Gli alunni […] abbiano sempre di mira […] di farsi santi e di rendersi idonei a salvare molte anime» in «[…] e così di rendersi idonei», sottolineando il legame tra santità e apostolato.
8 Conf. IMC, I, 279.
9 Lett., VI. 683.
10 Arch. IMC.
11 Conf. IMC, II, 634.
12 Conf.IMC, III, 499.
13 Lett., V, 410.
14 Lett., IV, 456.
15 Conf. MC, II, 482.
16 Processus Informativus, II, 526,
17 Conf. MC, II, 282.
18 Processus Informativus, II, 544.
19 Processus Informativus, II, 874.
20 In TUBALDO I, o.c., 675.