Tutti i missionari della Consolata del mondo hanno celebrato la messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano, fatta eccezione per la comunità del New Jersey. Ecco perché il 22 marzo 2025 la comunità missionaria della Consolata di questa parte degli Stati Uniti ha organizzato questa festa.
Per far sì che questa cerimonia fosse ben fatta, il superiore delegato, padre Peter Ssekajugo, ha coinvolto diversi gruppi nella preparazione: i Missionari della Consolata che vivevano nel New Jersey, il team dell'ufficio regionale, il team della parrocchia di St. Augustine guidato dal parroco, padre Bob, i Cavalieri di Colombo dell'Assemblea di O'Grady, di cui padre Peter era cappellano, il gruppo di uomini di Cornerstone e il gruppo di preghiera della Consolata.
Mons. James Checchio presiede la messa di ringraziamento
La messa, iniziata alle 11:00, è stata presieduta dal vescovo James Checchio, della diocesi di Metuchen, ed è stata concelebrata da vari sacerdoti e diaconi permanenti della diocesi. Il vescovo ha chiesto a padre Peter di tenere l'omelia parlando di san Giuseppe Allamano.
Uno degli elementi che ha reso la messa così vivace è stata la partecipazione del coro keniano della diocesi di Metuchen e delle suore di Maria Immacolata di Nyeri, fondate dal vescovo Perlo, che hanno una comunità nel New Jersey, New York e e nella Georgia. Secondo i parrocchiani della parrocchia di St. Augustine, questa è stata la prima volta che è stata celebrata una messa così bella. C'era un mix di canti, inglese, swahili e kikuyu, che hanno ricordato la bellezza della diversità e della cattolicità della nostra chiesa.
Nel suo discorso, il vescovo Checchio ha ringraziato i missionari della Consolata per averlo invitato a celebrare questa messa e li ha lodati per la loro lunga presenza nella diocesi. Padre Bob ha ringraziato i missionari della Consolata per il loro sostegno a St. Augustine e ad altre parrocchie e per aver portato la gioia della festa dell'Allamano nella sua chiesa.
Nella sua omelia, Padre Peter Ssekajugo ha raccontato alla congregazione come San Giuseppe Allamano fondò i due istituti missionari, l'invio in missione, il miracolo e la cerimonia di canonizzazione avvenuta nell'ottobre scorso a Roma, nonché le feste successive a Torino.
“La gioia vissuta a Roma e a Torino durante il pellegrinaggio della canonizzazione è stata un’affermazione che, così come la gioia della buona novella è condivisa, i suoi frutti sono condivisi anche in comunità, nella Chiesa. I missionari della Consolata non potevano e non possono vivere questa gioia da soli. Così come hanno condiviso il Vangelo, devono condividerne la loro gioia.
La canonizzazione dell’Allamano, per noi suoi figli, è un’affermazione di Dio che il suo carisma e la sua missione sono doni che Dio ha dato al mondo tramite il nostro Fondatore. Ciò significa che l’Allamano è stato un canale attraverso il quale Dio ha operato prodigi nelle comunità da noi evangelizzate. Ciò che l’Allamano ha predicato è stato ispirato dallo Spirito Santo. La fondazione e l’invio dei missionari della Consolata è stato il primo miracolo, poi la guarigione di molti malati, come quella dell’uomo indigeno nella foresta amazzonica in Brasile”.
Ora, Dio gli sta dicendo: "Giuseppe Allamano, il bene che hai fatto l'hai fatto bene. Vieni agli altari. Vieni al luogo riservato per coloro che fanno la mia volontà". La sua canonizzazione invita noi suoi seguaci a essere dove si trova la nostra testa, perché ci invita a essere "prima santi, poi missionari".
Il fatto che il miracolo che ha portato alla canonizzazione dell'Allamano sia avvenuto in una delle nostre grandi opzioni missionarie, i popoli indigeni della foresta pluviale amazzonica, è un promemoria che Dio non dimentica mai gli umili, i dimenticati, gli ultimi, i bambini, le donne del mondo. Che la Parola di Dio continua ad assumere carne e ad accamparsi tra il suo popolo. Tuttavia, il verificarsi di questo miracolo nel popolo amazzonico è un promemoria che l'evangelizzazione può essere fatta dalla periferia al centro, dall'Amazzonia a Roma.
Dopo la messa, tutti i partecipanti sono stati invitati a pranzo nella mensa di Sant'Agostino.
* Padre Peter Ssekajugo, IMC, delegato superiore del DCMS.
Le deportazioni aeree di Trump, i tanti emuli e Francesco
Da più parti si sostiene che i democratici statunitensi abbiano perso le elezioni presidenziali del 5 novembre 2024 anche perché Joe Biden non ha saputo affrontare in modo adeguato il problema migratorio. Un dato da poco reso pubblico sembrerebbe confutare questa affermazione: durante i quattro anni di presidenza di Biden ci sono state quattro milioni di persone deportate contro meno di due milioni del primo mandato di Donald Trump.
Il dato è sorprendente, ma ha una serie di spiegazioni. La prima è la legislazione d’emergenza introdotta durante la pandemia di Covid. In particolare, è stato ampiamente utilizzato il Title 42 che consentiva espulsioni facili. Introdotto da Trump nel marzo 2020, la misura è stata mantenuta da Biden fino a maggio 2023. Ci sono poi due ulteriori motivazioni: l’incremento degli arrivi alla frontiera Sud e il fatto che molti migranti espulsi ritentavano più volte l’entrata.
Oggi, pur senza il Title 42, il neoeletto Trump vorrebbe battere ogni record: «Milioni e milioni: sarà la più grande deportazione nella storia dell’America», ha promesso. Il tycoon ha iniziato fin dal primo giorno (20 gennaio) firmando un ordine esecutivo con un titolo molto esplicito: «Proteggere il popolo americano dall’invasione» (Protecting the american people against invasion).
Attualmente, gli immigrati clandestini possono essere espulsi dagli Stati Uniti e rispediti nei loro paesi di origine essenzialmente in due modalità: dopo essere stati individuati e catturati dalle autorità competenti, e a seguito di un ordine da parte di un giudice dell’immigrazione; oppure dopo essere stati fermati a un valico di frontiera o in un aeroporto: in questo caso si parla di «ritorno», non c’è bisogno di un ordine formale e non ci sono sanzioni.
I voli per i migranti illegali catturati dagli agenti dell’Ice (Immigration and customs enforcement) sono iniziati subito dopo l’insediamento di Trump. Venerdì 24 gennaio sono partiti per Città del Guatemala tre aerei militari della U.S. Air Force (dunque, non voli civili come di norma) con 265 guatemaltechi a bordo. Lo stesso giorno 88 brasiliani illegali sono stati imbarcati con destinazione Manaus. Martedì 28, due aerei hanno riportato a Bogotà più di 200 colombiani, comprese molte donne e bambini. Mercoledì 5 febbraio un aereo militare è atterrato ad Amritsar, in Punjab, con un centinaio di migranti indiani. Lunedì 10 febbraio due aerei commerciali hanno riportato a Caracas decine di migrati venezuelani.
Per motivi di visibilità e di pubblicità, il 28 gennaio 2025 Kristi Noem, segretario della Sicurezza interna (Dhs), ha partecipato a una retata di immigrati illegali a New York
L’ultima novità introdotta da Trump è la deportazione alla base navale Usa di Guantanamo Bay, sull’isola di Cuba, di migranti illegali e detenuti in carcere per reati diversi. Lì sono già iniziati i lavori di ampliamento delle strutture per ospitare fino a 30mila persone. Il primo aereo militare per quella destinazione è partito martedì 4 febbraio.
La questione delle deportazioni di Trump è tanto impattante che papa Francesco si è sentito in dovere di scrivere una lettera – cordiale nella forma, ma forte nei contenuti – ai vescovi degli Stati Uniti (10 febbraio). «Sto seguendo da vicino – ha scritto il pontefice al punto 4 – la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di deportazioni di massa. La coscienza rettamente formata non può non compiere un giudizio critico ed esprimere il suo dissenso verso qualsiasi misura che tacitamente o esplicitamente identifica lo status illegale di alcuni migranti con la criminalità. Al tempo stesso, bisogna riconoscere il diritto di una nazione a difendersi e a mantenere le comunità al sicuro da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi durante la permanenza nel Paese o prima del loro arrivo. Detto ciò, l’atto di deportare persone che in molti casi hanno abbandonato la propria terra per ragioni di povertà estrema, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave deterioramento dell’ambiente, lede la dignità di molti uomini e donne, e di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e incapacità di difendersi».
Il problema migratorio è però simile in vari paesi del mondo come simili sono le misure per contrastarlo. In Gran Bretagna, il partito laburista al governo, superato nei sondaggi dal partito anti immigrati di estrema destra Reform Uk di Nigel Farage, sta cercando di recuperare consensi proprio con le deportazioni di migranti illegali, ora anche mostrate in televisione per convincere gli scettici. Tra luglio (mese di entrata in carica del primo ministro laburista Keir Starmer) e dicembre 2024, ci sono stati 13.460 rimpatri, segnando un più 25 per cento. Il ministero degli interni inglese (Home Office) ha organizzato voli di deportazione in almeno sette paesi, tra cui Brasile, Pakistan, Nigeria e Albania.
In Germania, il governo (oggi dimissionario) ha aumentato del 20 per cento le deportazioni (18.384 tra gennaio e novembre 2024) per contrastare l’avanzata di Alternative für Deutschland (Afd), il partito di estrema destra anti immigrazione.
* Paolo Moiola è giornalista, rivista Missioni Consolata. Originalmente pubblicato in: www.rivistamissioniconsolata.it