"Dio, attraverso suo Figlio, ha stabilito un rapporto di amore e di misericordia verso tutto ciò che ha creato. Questa relazione gli permette di gestire bene tutta la sua creazione”.
Ho avuto la grazia di assistere alla trentanovesima edizione del corso di formazione permanente che si è svolto presso la Pontificia Università Salesiana di Roma, dal 19 febbraio al 31 maggio 2024. Il gruppo dei partecipanti era composto da 52 persone provenienti da quattro continenti: tutti tranne l'Oceania. C’erano religiosi e religiose appartenenti a 19 congregazioni e un certo numero di laici.
Non erano solo per persone in qualche modo legate alla formazione –anche se questi erano una presenza significativa– ma fra i partecipanti c’erano superiori, parroci e sacerdoti legati a un impegno pastorale, amministratori, coordinatori della pastorale giovanile, religiosi che stavano vivendo un anno sabbatico e altri che avevano chiesto di intraprendere questo percorso prima di assumere una nuova responsabilità. Questa varietà dimostra la natura interessante e completa di questo corso.
I participanti del corso di formazione continua nella Pontificia Università Salesiana di Roma. Foto: UPS
Dal punto di vista metodologico il corso è stato ineccepibile e tutti i contenuti li abbiamo ricevuti distribuiti in una ventina di corsi. Le lezioni mi hanno affascinato e tutto è stato davvero arricchente. I temi che abbiamo toccato erano importanti e attuali.
Potrei riassumere il tutto con queste parole: “Dio, attraverso suo Figlio, ha stabilito un rapporto di amore e di misericordia verso tutto ciò che ha creato. Questa relazione gli permette di gestire bene tutta la sua creazione”.
Al centro di questa trentanovesima edizione c’era la figura di Gesù Pantocratore, l'onnipotente, colui che ha tutto nelle sue mani. Egli è Re, Sacerdote e Profeta e, pur essendo di natura divina, ha preso su di se la nostra condizione umana e ha sofferto la passione per portarci alla Pasqua.
Tutta la formazione ruotava attorno alla centralità di Cristo: lui ci ha chiamati e quindi dobbiamo partire da lui, ispirarci a lui e prenderlo come riferimento ultimo. Perché “senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).
Il superiore, il parroco, il vicario, l'economo, il coordinatore di gruppo, il rettore, il religioso,…tutti sono chiamati a costruire, secondo il volere di Dio, buoni rapporti con coloro per i quali hanno una responsabilità pastorale. Curare le relazioni come il buon pastore lo fa con le sue pecore. Per arrivarci dobbiamo prima lavorare su noi stessi e questo significa costruire la nostra identità; vivere una sessualità e una affettività serene; sanare le ferite; riconciliarsi con il nostro passato. Ogni persona è chiamata a seguire la stessa strada di Cristo che ci invita a una lettura positiva del nostro passato anche se caratterizzato da alcune ferite. Fare una lettura integrale della nostra storia e dare senso al nostro passato ci permette di scoprire la presenza di Dio.
Questo è ciò che giustifica l'esigenza di una formazione permanente, che è prima di tutto una conversione personale e quotidiana, che richiede un cambio di atteggiamento e di paradigma. Il corso, facendoci lavorare su noi stessi, ci ha preparato allo stesso tempo a lavorare con gli altri in qualsiasi ambito e responsabilità della vita. È stata davvero una occasione di formazione integrale perché sappiamo che la vita non è altro che una relazione; ogni persona che incontriamo è un mondo che siamo chiamati a esplorare per scoprirne le diverse ricchezze e arricchirci di esse. Ogni giorno devo costruire buone relazioni con tutto ciò che mi circonda.
Anche la vita religiosa deve puntare sulla buona formazione dei suoi membri se vuole affrontare le sfide di un mondo in continuo cambiamento. Tale formazione deve unificare la persona promuovendo la formazione integrale. Bisogna partire dalla realtà di ogni persona –anche e soprattutto dai suoi punti deboli– per aiutare a rimettersi in piedi. Per sapere dove vogliamo andare e cosa fare per arrivarci è necessario un progetto di vita (Lc 14,28) e il formatore deve considerarsi compagno di viaggio per coloro che sta accompagnando.
La formazione deve portare alla maturità, alla responsabilità e alla capacità di discernere e decidere cosa si vuole dalla sua vita; deve condurre all'incontro personale con il Signore.
Questo corso è stato anche un momento di fratellanza: abbiamo condiviso le diverse esperienze e le nostre ricchezze culturali.
Padre Inocent Mbisamulo (centro) con Suor Bruna Zaltron, collaboratrice e Don Carlo Maria Zanotti, direttore del corso. Foto: UPS
Come lavoro finale ho disegnato un progetto di formazione per la tappa della filosofia mostrando l'importanza che questa ha per la formazione di un sacerdote. Come voto finale ho ricevuto una “Summa cum laude”.
Se mi dovessero chiedere una opinione a proposito di questa opportunità formativa direi che è una occasione immancabile se siamo chiamati ad assumerci qualche responsabilità o se vogliamo vivere in pienezza la vita religiosa. Concludo ringraziando la comunità dei Missionari della Consolata che mi ha dato l’opportunità di frequentare questo corso: dopo le fatiche della missione in Venezuela questo corso mi ha confortato e rinnovato.
* Padre Innocent Bakwangama Mbisamulo, IMC, Congolese, è stato missionario in Venezuela per nove anni.
Los scorso 24 di Giugno padre Lorenzo Gómez, Missionario della Consolata, ha difeso presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma una tesi di baccalaureato in Psicologia con il seguente titolo: “Spiritualità e Religione: promotori di senso della vita e resilienza. Suggerimenti psico-educativi alla luce del pensiero di Viktor E. Frankl”.
Oggi viviamo in un mondo segnato da guerre, discriminazioni, ingiustizie, malattie e da tanti altri eventi che producono sofferenza: in questo contesto, ci ricorda padre Lorenzo, la religione e la spiritualità possono essere un faro capace di illuminare il cammino di coloro che sostengono il valore del vivere e combattere nonostante le difficoltà.
Nella sua tesi ricorda che, secondo il modello psicologico esistenziale di Viktor E. Frankl, spiritualità e la religione sono componenti essenziali per intendere il senso degli eventi drammatici dell’esistenza; ci fanno capaci di superare le situazioni limite, comprese quelle di maggiore sofferenza; rafforzano il senso della vita e la resilienza; sostengono atteggiamenti di fiducia, speranza, perseveranza e auto-proiezione, contribuendo così al benessere tanto psico-fisico come esistenziale delle persone.
Per questo motivo -potrebbe essere questa una prima conclusione- risulta evidente il ruolo che la spiritualità e la religione possono avere nella gestione dei momenti più bui dell’esistenza perché aiutano a trovare una risposta alle situazioni sconvolgenti che si affrontano nella vita, inclusa la sofferenza.
Una seconda conclusione ci porta a riconoscere nelle persone la costante ricerca di una vita piena di significato e di valori; una vita degna di essere vissuta, nonostante tutto.
Tutto questo diventa allora punto di partenza, come dice il titolo della tesi, per concreti percorsi psico-educativi che permettono possibilità di cambiamento, guadagno e crescita personale anche quando la sofferenza diventa inevitabile e le situazioni-limite si trasformano in quotidianità.