Le speranze di padre Pietro Han, IMC, di arrivare un giorno alla riconciliazione fra le due Coree

La foto si può considerare un simbolo: si vede padre Pietro Han insieme a due suore che mimano il gesto di un abbraccio che racchiude un paesaggio alle loro spalle. Un’istantanea che potrebbe essere archiviata come la testimonianza di un bel momento di fraternità ma che in realtà nasconde un profondo messaggio.

Quelli che si intravedono alle spalle delle suore e del sacerdote, membro dell’Istituto Missioni Consolata, non sono i luoghi ameni di una felice scampagnata ma i campi verdi e le montagne brulle di uno dei paesi più impenetrabili e misteriosi della Terra: la Corea del Nord. E quell’abbraccio sorridente immortalato in una zona di confine della Corea del Sud sta a significare solo una cosa: il desiderio di riconciliazione dell’intera penisola coreana che dagli inizi degli anni ’50 vive tagliata in due da una guerra congelata che si teme possa riprendere da un momento all’altro.

20240224Corea2Sapere che il religioso e le due suore ritratti nella foto si trovavano al confine per partecipare a un pellegrinaggio per la pace non è un dettaglio di poca importanza ma rappresenta uno dei principali pezzi del complesso puzzle del cammino verso l’unità e la pacificazione che la Chiesa coreana sta tentando da anni di mettere insieme, anche se con difficoltà, accelerate e, molto spesso, brusche frenate. Ne sa qualcosa proprio padre Pietro Hann, della diocesi di Incheon, che è membro della Commissione di riconciliazione nazionale, nata grazie alla partecipazione degli istituti religiosi maschili e le società di vita apostolica: «La commissione, che è in stretta collaborazione con la nostra Conferenza episcopale, è stata fondata nel 2015 dopo l’esperienza di sette organizzazioni religiose impegnate a dare aiuto ai nordcoreani rifugiati al sud e a sostenere la popolazione della Corea del Nord», spiega a «L’Osservatore Romano». Una delle attività fondamentali della commissione, che opera su base diocesana ed è composta da quindici comitati di riconciliazione, è la preghiera. Ed è merito anche di questo organismo se, ormai da qualche anno, alle 21 di ogni giorno, in tutte le chiese si recita un’orazione per la pace seguita da un canto mariano e il Gloria.

«La nostra commissione — aggiunge padre Han — si impegna a portare avanti un costante movimento di preghiera che coinvolge leader e semplici fedeli. Con la nostra testimonianza di fede mettiamo in evidenza la necessità dell’unità e della riconciliazione nazionale. Inoltre, è forte la nostra collaborazione con altre associazioni per condividere le informazioni essenziali necessarie allo svolgimento dei nostri progetti».

Che il lavoro della commissione e di tutta la Chiesa coreana si possa paragonare a un vero e proprio cammino quaresimale lo si capisce, però, da un’altra foto. Quella scattata durante l’annuale pellegrinaggio per la pace al confine con la Corea del Nord che mostra delle suore sedute, forse anche stanche, provate. Davanti ai loro occhi si staglia l’orizzonte abitato da quei fratelli separati per i quali tutte loro, insieme a ogni cristiano del Sud, sono disposte ad affrontare pericoli, sconfitte e dolore, anche nel silenzio e nel nascondimento che la prudenza richiede e come ogni deserto insegna.

Hann è convinto che la Quaresima della Chiesa coreana passi anche attraverso il perdono reciproco dei torti subiti, la cancellazione dell’odio: «Il cammino verso la pace deve eliminare l’ira da ogni cuore seguendo il percorso della Croce di Gesù e mettendo in pratica i suoi insegnamenti: accettare il nemico come fratello». Nel deserto quaresimale che dura ormai da oltre sette decenni, la Commissione di riconciliazione nazionale non lascia indietro nessuno. Le persone che riescono a fuggire dal duro regime dittatoriale — i “defezionisti nordcoreani”, come li definisce la Conferenza episcopale — vengono assistite e sostenute non solo dal punto di vista spirituale ma anche materiale. Inoltre, ricorda il religioso, «portiamo assistenza umanitaria direttamente in Corea del Nord anche se ora, per via del deterioramento delle relazioni, i nostri canali sono stati interrotti». L’educazione all’unificazione è un altro obiettivo essenziale della commissione che sta sperimentando delle borse di studio destinate ai giovani rifugiati nordcoreani.

È nel profondo della sua anima che padre Pietro Han coltiva quella che lui stesso considera più di una speranza: «La possibilità concreta che la maggiore interazione con il Nord possa trasformarsi in uno strumento per diffondere meglio il Vangelo».

Fonte: www.osservatoreromano.va (Pubblicato il 21 febbraio 2024).

Benedetto colui che viene nel nome del Signore! (Gv 12,12-16)

È indescrivibile la gioia con cui è stato accolto il Sommo Pontefice papa Francesco nella Repubblica Democratica del Congo. Erano già passati diversi decenni dall’ultima volta che un papa aveva messo piede in questa nazione e l'ultimo era stato papa Giovanni Paolo II che questo paese l’aveva visitato nel 1985, quando si chiamava ancora Zaire. Per questo è più che comprensibile l’entusiasmo e l’aspettativa che ha circondato questa visita apostolica di papa Francesco della quale mi sembra opportuno sottolineare un prima, un durante e un poi. 

PRIMA. Va ricordato che questo viaggio era inizialmente previsto per il 2-5 luglio 2022 ma poi, come conseguenza dei vari problemi di salute del Vescovo di Roma, non è stato possibile realizzarlo. L’annuncio del rinvio si è abbattuto sul paese dove tutti stavano aspettando il Santo padre come la prima pioggia dopo la siccità: questo momento si stava aspettando come un dono del cielo; per l’occasione erano anche state composte canzoni come “Congo mobimba toyambi yo” (Tutto il Congo ti dà il benvenuto); erano state create diverse commissioni per dare un'accoglienza senza precedenti al successore di Pietro. Quando finalmente il papa è arrivato la mobilitazione è stata totale, nessuno è rimasto inattivo, il paese era in fermento come il giorno dell'ingresso di Cristo a Gerusalemme.

DURANTE. Quando il Papa dei poveri è arrivato è venuto a consolare i cuori di chi per anni non ha smesso di piangere i morti, con la speranza di vedere un giorno la presenza di un buon samaritano disposto a curare le ferite di questa popolazione impoverita. Il suo messaggio, che suona come uno slogan, dice "siamo tutti riconciliati per mezzo di Gesù Cristo". 

Francesco viene come Cristo con una parola di consolazione per tutti i congolesi senza fare nessuna distinzione. Anche il logo utilizzato in occasione della visita raccoglieva vari simboli: una mappa della Repubblica Democratica del Congo con i colori della bandiera nazionale il giallo, il rosso e il blu; il colore giallo indica le molteplici ricchezze che abbondano nel Paese e la natura esuberante; il rosso simboleggia il sangue versato dai suoi figli e dalle sue figlie e il blu il desiderio di pace. All'interno erano rappresentati elementi della biodiversità del Paese, una croce come segno di speranza, una palma e la presenza di esseri umani che simboleggiano la fratellanza. 

Con questa insegna tutta la popolazione si è alzata come un solo uomo per accompagnare il successore di Pietro dall'aeroporto al palazzo della nazione e in quel luogo il papa Francesco ha tenuto il primo discorso alla presenza del Presidente della Repubblica, i membri del governo, il corpo diplomatico, le autorità politiche e militari e la società civile. In sostanza, il Santo Padre ha invitato tutti i congolesi a risollevarsi con coraggio e coloro che li sfruttano a smettere di farlo, perché la vera ricchezza del paese, i veri diamanti, sono le sue persone così ingiustamente castigate.

L’evento più affollato è stata la celebrazione eucaristica del primo febbraio nella quale hanno partecipato più di un milione di persone tra cattolici, protestanti e musulmani. Nell’omelia il Papa ha insistito sul perdono che deve essere il criterio per una vera riconciliazione, una riconciliazione che è poi stata invocata anche nell’incontro con le vittime delle atrocità che si sono registrate soprattutto nella parte orientale del paese. 

Il 2 febbraio, Giornata mondiale della vita consacrata, il papa argentino ha voluto incontrare sacerdoti, religiosi e seminaristi: tutti sono stati invitati a non cedere alla mediocrità o alla superficialità; a cercare l’essenziale della consacrazione religiosa e quindi mettere Cristo al centro della vita per trasformarsi a sua immagine. In una cattedrale piena all’inverosimile i consacrati del Congo hanno rinnovato il loro impegno con la preghiera e la liturgia delle candele propria della festa della presentazione di Gesù al tempio.

L’incontro nello stadio dei Martiri, dedicato a giovani e catechisti, ha visto la partecipazione di più di ottanta mila persone. In questa occasione il Papa che ha esortato i giovani ad abbandonare la strada della corruzione. Per concludere l'ultimo incontro è stato dedicato ai vescovi della Conferenza Episcopale del Congo nel quale il vescovo di Roma ha invitato i pastori del Congo a imitare Cristo, il Buon Pastore che dà la vita, e a essere perseveranti nella testimonianza in ogni momento, anche quando le condizioni non possono essere più complicate.

DOPO. Le parole di Papa Francesco sono state come la pioggia che non ritorna in cielo senza avere fecondato la terra così come dice il profeta Isaia (cfr. Is 55,10). Nella sua visita apostolica ha gettato un seme nel cuore di tutti e, grazie al dono dello Spirito, osiamo credere che i frutti seguiranno. Molti hanno notato con gioia che la sua presenza è stata di conforto nelle situazioni difficili che il Paese sta attraversando; tutta l’umanità ha forse avuto occasione di capire ciò che non voleva capire e vedere ciò che non voleva vedere. Facciamo tutti, con un cuore solo, tesoro dei frutti di questa visita per un nuovo Congo.... tutti finalmente riconciliati in  Cristo Gesù.

Presentiamo la sintesi di una attività giovanile promossa dall’équipe di Animazione Missionaria e Vocazionale della Colombia: il "Congresso giovanile Consolazione e Missione". 75 giovani si sono confrontati con il rapporto finale della Commissione per la Verità che in questi anni ha lavorato per ricucire le ferite di quasi 60 anni di guerra che ha insanguinato il paese.

Sono stati tre giorni intensi di attività guidate da dinamiche pedagogiche, esperienze di spiritualità missionaria e di consolazione-liberazione. I nostri giovani hanno approfondito la verità della Colombia ferita e mutilata, superando il muro del lamento e riconoscendo la verità di una guerra indagata in tutte le sue ferite. Come discepoli missionari del Crocifisso Risorto, si sono impegnati a offrire un cuore compassionevole e misericordioso perché la sofferenza, conseguenza della verità mai riconosciuta, sia liberata e trasformata in consolazione-liberazione.

La storia di Macondo

Ricardo Semillas, inviato dal Grande Tutto, seminò il territorio colombiano, chiamato Macondo. Dopo aver compiuto la sua missione di diffondere i semi in modo armonioso, con generosità e varietà esuberanti, Ricardo Semillas ha consegnato questa terra a delle persone perché la curassero e la coltivassero. Tutti vivevano dei suoi prodotti abbondanti, li scambiavano fra di loro con la moneta chiamata "equità", in modo che a nessuno mancasse il necessario per un "buon vivere" e ce ne fosse anche per gli altri.

La cultura fiorì nella musica e nella danza, nella letteratura e nella scultura, nell'architettura e nell'ingegneria, nella scienza e nella tecnologia. La spiritualità si espanse, riempiendo le generazioni successive di valori etici, umani e divini. Le relazioni umane, pur senza molti abbracci, erano intrise di servizio, rispetto, disciplina e apprezzamento. L'orgoglio di essere di Macondo cresceva mentre la moneta locale, l’equità, si rafforzava. La vita ha cantato e ballato nelle giungle, nelle coste, nelle pianure, nelle valli e nelle montagne. Il morbido odore del caffè permeava l'atmosfera all'alba, mentre mais e grano, con platano e yuca, venivano mescolati nello stufato di carne o di pesce, accanto al focolare familiare.

Questa era la situazione quando alcuni attori violenti, che si spacciavano per saggi, arringarono il popolo e si offrirono come benefattori: posero recinti e confini; regolarono i rapporti con nuove norme; raccolsero la moneta equa e inondarono i mercati di banconote. Così che un bel giorno, mentre tutti dormivano e non si accorgevano di quel che stava succedendo, tutti quelli che volevano negoziare dovevano farlo con queste persone e Macondo perse la sua grazia e la sua armonia. Cristhian, il più giovane della popolazione, guardando ciò che non riusciva a capire disse: "temo che alla fine succederà qualcosa di brutto”.

Gli attori violenti seminarono questo territorio pieno di vita con paura, mine e morte. I deserti si moltiplicano quando i fiumi e i torrenti si inquinano o si prosciugano. Le montagne, ferite e sfruttate, si sgretolano inondando di fango fiumi e mari. Le piante della coca e la marijuana abbandonarono il campo sacro della salute ancestrale e Macondo, condannata a "100 anni di solitudine", restò vittima del traffico internazionale di narcotici. Poco a poco, i contadini persero la loro terra, i grandi latifondi si espansero e le città si riempiono di senzatetto. 

Ricardo Semillas, che continuava ad accompagnare il processo della vita nella sua lotta contro la morte, mentre rifletteva a voce alta sulla distruzione che vedeva, disse: "hanno danneggiato Macondo; questo non è ciò che è stato dato dal Grande Tutto; gli attori violenti lo hanno imbavagliato e legato; il popolo se ne sta silenzioso, indignato, arrabbiato e impotente. Abbiamo sentito i gemiti della terra maltrattata e i lamenti dei morti, degli scomparsi e degli sfollati”.  

In mezzo al territorio devastato e al corpo sociale sconsolato, improvvisamente una luce brilla in Oriente: "per la tenera misericordia del nostro Dio, il sole nascente viene a visitarci", lo stesso sole, che è stretto fra le braccia della Consolata, divenuto Parola dice: "Macondo non è morto, ma sta dormendo”. Prendendolo per mano, lo solleva e grida: "Non tutto è perduto, oggi vengo a offrirti il mio cuore. Le persone che hanno sperimentato le più grandi sofferenze, conoscono ciò che significa sentirsi desolati, scoraggiati e abbandonati e per questo sono pronte anche loro a offrire il cuore e tutto il loro essere per confortare e aiutare a liberare gli afflitti che la storia di Macondo ha generato”.

Il silenzio è stato rotto e l'atmosfera, intorno alla "tulpa", il focolare ancestrale composto da tre pietre come la Trinità, si è riempita della parola di rigenerazione depositata nella pentola comunitaria. Nel fuoco ancestrale si prepara l’alimento che restituisce salute e genera liberazione integrale. Tutti siamo consapevoli che quando il dolore è condiviso e compreso cessa di essere sofferto.

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La verità che libera

La verità, quando è nascosta, diventa sofferenza; invece quando viene svelata, anche se fa male, libera. Se questa viene accettata con coraggio e umiltà da tutti, promuove la giustizia, permette il perdono e la riconciliazione, libera le vittime che vengono risarcite e i colpevoli che si pentono e non ripetono i loro delitti. Con la verità tutti possono partecipare alla costruzione sociale e politica della pace, con giustizia sociale e ambientale.  

La verità è impegnativa, rilascia adrenalina, una forza interiore che trasforma e da vita ad azioni, programmi, progetti di misericordia, politiche di pace sociale e ambientale. Dobbiamo dare voce e tempo alla verità, per ridurre le disuguaglianze, la corruzione e superare l'inimicizia sociale. Solo così lasceremo questa triste identità di "figli della guerra" per vivere in "amicizia sociale"; abbandoneremo questa "valle di lacrime" per trasferirci sulla collina del "buon vivere", in questa amata "madre terra", paradiso terrestre.  

La verità è un dono per chi è aperto alla vita. Come dice il galileo Gesù di Nazareth: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". Egli, presentato dall'evangelista Giovanni come "la via, la verità e la vita", si propone come nostro manuale di vita di fronte alle ideologie e alle correnti mondane che, quasi sempre, ci allontanano dal senso e le mete della vita.

Con la verità e con Gesù, vogliamo ricreare la nostra realtà e quell'altro “mondo possibile” in cui siamo impegnati e che serviamo. Lo facciamo riconoscendo e valorizzando tutti senza fobie o discriminazioni, ascoltando e dialogando, camminando insieme, in compagnia, andando oltre le nostre diverse frontiere.

Chiediamo al Dio della vita la luce e la forza del suo Spirito per trasformare i nostri sogni e le nostre parole in vita e azione; offriamo i nostri cuori di giovani studenti, universitari, professionisti e industriali, per stare al fianco degli afflitti e degli stanchi. Coerenti con il discorso dell'ecologia e della cura della "casa comune" accompagniamo e consoliamo chi è nel bisogno.

* Équipe di animazione giovanile e vocazionale dei missionari della Consolata nella regione della Colombia.

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