L’incontro con lo scrittore, filosofo e professore Daniel Munduruku è avvenuto presso la scuola Calamandrei, a Firenze, a fine marzo. Grazie all’impegno della Casa do Brasil di Firenze, realtà ideata dalla ricercatrice e linguista Ana Luiza de Souza, nel 2014, un gruppo di educatrici volontarie tenaci lavora sodo per trasmettere ai bambini italo-brasiliani, attraverso letture e giochi, la storia linguistico-culturale del Brasile, con l’obiettivo di garantire lo sviluppo emotivo e cognitivo dei piccoli, ovviamente nel rispetto della diversità e della società multiculturale in cui vivono.

Daniel Munduruku, circondato da una platea di bambini e genitori attenti, ci saluta nella sua lingua, il munduruku, appartenente al tronco linguistico “tupi”. Utilizzando il linguaggio semplice dei grandi maestri del racconto quando si rivolgono a piccoli lettori e piccole lettrici, lo scrittore spiega che, nella sua lingua, il tempo futuro non esiste, ma si fa fede soltanto al passato e al presente.

20250421Daniel2Con un tono di voce caldo, coinvolgente, accompagnato da un sorriso rassicurante, Daniel riesce a catapultarci in Amazzonia, per approfondire un po’ le dinamiche che tengono salde la società munduruku. Senza alcun bisogno di supporto elettronico o immagini proiettate, ci addentriamo nel cuore della Foresta: siamo accanto a un bambino indigeno, che sta compiendo i primi passi; lo vediamo sorvegliato a vista dagli adulti, tutti responsabili della sua incolumità. Ci immergiamo successivamente nel lato oscuro della notte, cercando di capire i misteri che si celano dietro “quando nessuno esce”; impariamo un po’ di più sul significato profondo dei dipinti cerimoniali sul corpo dei guerrieri e sulle piume colorate, che rallegrano gli ornamenti portati dallo scrittore, sul capo, e che scendono poi, a cascata, tra i suoi capelli.

Daniel ci spiega che, nella cultura indigena, il ballo e il canto hanno un significato profondo, legata al senso di gratitudine verso la Madre Terra. “Cantiamo e dipingiamo i nostri corpi in diversi momenti della nostra vita”, chiarisce lo scrittore, “per imitare la bellezza della Natura, che si esprime negli esseri viventi”. Sottolinea che la gratitudine andrebbe insegnata ai bambini anche nelle scuole, affinché capiscano “l’importanza di vivere in un pianeta così bello” e la propria responsabilità “nella manutenzione di questa bellezza.”

20250421DanielNel suo racconto della quotidianità, all’interno di una comunità indigena, emergono i valori trasmessi dagli anziani ai bambini, affinché resistano alle avversità della vita. “Applichiamo i principi della solidarietà, del mutuo aiuto, della generosità e dell’abbondanza per tutti, da almeno cinquantamila anni, e portiamo un immenso rispetto per la saggezza dei nostri anziani”, ricorda lo scrittore, visibilmente emozionato, aggiungendo che “gli indigeni non si etichettano mai come ‘padroni del mondo’, anzi: si riconoscono come una piccola parte che, unita ad altre, lo sorregge”.

Il viaggio immersivo nelle sue carezzevoli parole cattura adulti e bambini, concludendosi con una spiegazione sul sistema politico-gerarchico delle comunità indigene, oggigiorno, quasi sempre in mano alle donne, per via della migrazione di massa dei giovani maschi verso le città.

Con alle spalle circa 65 libri pubblicati e tre lauree in Filosofia, Storia e Psicologia, oltre a un Phd in Educazione, Daniel Munduruku porta avanti, con coraggio e tenacia, la sua lotta per la decolonizzazione delle menti, fuori e dentro le università, forte della tradizione orale dei popoli indigeni, per i quali “l’oralità non si traduce soltanto nelle parole che escono dalla bocca”, ma in una “coreografia che fa ballare il corpo”. In uno dei suoi libri, riporta che i grandi raccontastorie agiscono come gli sciamani: fanno magie con le loro parole, affinché “corpi fisici e spirituali danzino, al loro suono”.

20250421Daniel1Per gli sciamani, infatti, la pioggia cade perché si supplica, il fuoco brucia perché “la voce commossa delle mani lo invita a fare” e, infine, il vento porta notizie da lontano, perché ascolta l’appello umano, come se la Natura ne fosse attratta, sedotta dalla parola.

Recatosi in Europa, dietro indicazione dell’Astrid Lindgren Memorial Award, premio letterario internazionale destinato ad autori attivi nel campo della letteratura per l’infanzia, in uno dei suoi tanti libri, dal titolo “O banquete dos deuses: conversa sobre a origem e a cultura brasileira”, Daniel Munduruku scrive: “È comune che si chieda ai popoli indigeni cos’è la vita per loro. Oso dire che l’indigeno non fa questo tipo di domande, perché le congetture portano con sé l’angoscia. Nel pensiero di un popolo, c’è il presente e tutto ciò che esso comporta in termini di costi e benefici. Il presente, però, è legato al passato, e non un passato fisico, bensì uno memoriale, delle gesta dei creatori, degli eroi e dell’inizio dei tempi.”

 Dipingendo il capitalismo come “un mostro” che inghiottisce inesorabilmente interi biomi, veniamo tutti proiettati nel futuro, costretti così ad accumulare ricchezze per un domani ipotetico, al quale forse non arriveremo, facendo fede ai nostri desideri e alle nostre fantasie più recondite.

“Non c’è un’alternativa ambientale alle catastrofi provocate dal capitalismo”, afferma con convinzione, “ma è possibile comunque lavorare sull’alternativa umana, sulla mentalità di persone che considerano, a ogni costo, il progresso una necessità e una virtù” trattandosi, in realtà, “di una strada senza ritorno, con delle conseguenze gravissime per la vita e la salute umana”.

Grazie al supporto di Tucum Italia, un progetto ideato dall’educatrice Nair Pires, incentrato sulla sensibilizzazione e promozione della cultura delle popolazioni indigene, il viaggio di Daniel Munduruku è poi proseguito verso il Veneto, dove ha tenuto conferenze presso l’Università di Padova e alla Ca’ Foscari, a Venezia.

* Claudiléia Lemes Dias è scrittrice e saggista, autrice del libro “Morfologia delle passioni”. Foto: Tucum Italia.

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  Manifestazione nella 21esima edizione dell'Accampamento Terra Livre, la più grande assemblea di comunità indigene del Brasile, che quest’anno ha mobilitato, dal 7 al 13 aprilea Brasilia, circa 10.000 partecipanti, compresi i leader di nove Paesi del bacino amazzonico. Foto: Eline Luz/ANDES-SN

Gli indigeni a raccolta attaccati dalla polizia

Una folta rappresentanza dei popoli indigeni del Brasile si è data appuntamento a Brasilia – dal 7 all’11 aprile – per dare vita alla ventunesima edizione dell’«Acampamento terra livre» (Atl). Il raduno – organizzato dall’«Articolazione dei popoli indigeni del Brasile» (Apib), associazione che comprende sette rappresentanze regionali – è avvenuto in un periodo storico particolarmente grave per i popoli autoctoni a causa dei ripetuti attacchi ai loro diritti, formalmente sanciti dalla Costituzione del 1988 e dai trattati internazionali.

Se da una parte c’è un presidente aperto alle istanze indigene come Lula, dall’altra c’è un Congresso dominato dai «ruralisti» (latifondisti, proprietari terrieri, imprenditori dell’agrobusiness, imprenditori del settore minerario) che vedono nei popoli indigeni un ostacolo ai loro interessi particolari. L’obiettivo di questo gruppo è uno solo: impossessarsi a qualsiasi costo delle terre occupate dalle popolazioni indigene per sfruttarle a piacimento.

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La ministra dell'ambiente Marina Silva tra Sônia Guajajara, ministra dei popoli indigeni (a sinistra), e Joênia Wapichana, presidente della Funai (a destra), durante un incontro all'«Acampamento terra livre» (Atl). Foto: Fabio Rodrigues-Pozzebom - Agência Brasil.

Negli ultimi anni, gli attacchi ai diritti costituzionali dei popoli indigeni hanno trovato la massima espressione nell’emanazione della legge 14.701/2023, nota come Lei do marco temporal Legge del limite temporale»), concernente il riconoscimento, la demarcazione, l’uso e la gestione delle terre indigene. Una norma – si noti bene – emanata dal Congresso che prima ha ignorato il giudizio di incostituzionalità del Supremo tribunale federale (Stf) e poi ha respinto i veti posti dal presidente Lula.

La legge è, dunque, vigente trovando su fronti opposti i popoli indigeni e il Congresso a maggioranza ruralista. Per cercare di trovare una soluzione consensuale, il ministro Gilmar Mendes del Supremo tribunale federale ha formato una Commissione speciale di conciliazione. Tuttavia, il Consiglio indigenista missionario (Cimi), organo meritorio legato alla Conferenza episcopale brasiliana (Conferência nacional dos bispos do Brasil, Cnbb), da oltre cinquant’anni a fianco dei popoli indigeni, ha commentato che la conciliazione proposta «potrebbe comportare conseguenze ancora più gravi per i popoli rispetto alla stessa Legge 14.701».

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"Acampamento terra livre 2025". Foto: @edinigfekanhgag

È in questo clima di incertezza e di opposizione frontale che circa ottomila indigeni (questa è stata la stima) si sono ritrovati nella capitale brasiliana. Le giornate sono state però segnate da un brutto evento. Il 10 aprile, durante una marcia programmata («A resposta somos nós», la risposta siamo noi), la polizia (sia quella nota come legislativa sia quella militare) ha attaccato un gruppo di indigeni, colpiti con gas lacrimogeni e spray al peperoncino. Le autorità hanno accusato i manifestanti di aver tentato di occupare spazi non autorizzati. Gli organizzatori hanno respinto l’accusa, replicando che si è trattato di un atto deliberato della polizia. Il fatto è riuscito a sviare l’attenzione pubblica dalle questioni poste dai popoli indigeni, evidenziando nel contempo il pesante clima anti indigeno vigente nel paese.

Tutto questo è stato raccontato anche nel comunicato finale dell’Apib, testo che si apre con un’affermazione e un’accusa incontestabili: «Noi indigeni siamo sempre stati qui! Abbiamo resistito all’invasione dei nostri territori e al genocidio perpetrato contro i nostri antenati e contro di noi per 525 anni». La conclusione è – invece – un grido, forse un po’ enfatico, ma sicuramente pieno di orgoglio e di speranza: «La nostra lotta è per la vita, per la Madre terra, per la Costituzione e per il futuro dell’intera umanità».

* Paolo Moiola è giornalista, rivista Missioni Consolata. Originalmente pubblicato in: www.rivistamissioniconsolata.it

Sostenere i popoli indigeni nel loro impegno di prendersi cura della nostra casa comune. Motivata da questa causa urgente, l’Associazione “Il mondo di Tommaso” ha organizzato il 5 e 6 aprile 2025 la terza edizione del Convegno “Un grido dall’Amazonia”. 

“Ringrazio ‘Il mondo di Tommaso’ e voi tutti presenti per il sostegno che date al Popolo Yanomami di Roraima. Ringrazio in particolare per il sostegno da voi offerto per la promozione di una scuola per i nostri ragazzi e per la formazione dei professori bilingue. Se gli Yanomami, e in modo speciale, i giovani, si reimpossesseranno della loro cultura ancestrale, il nostro Popolo avrà più forza per fare fronte ai continui attacchi dei non-indigeni che vogliono cancellarci dalla nostra casa-foresta”. 

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Era un Davi Kopenawa sorridente e appassionato quello che parlava da Boa Vista, nel corso di un collegamento internet con Vittorio Veneto (Italia) dove, negli stessi giorni di aprile dello scorso anno, aveva partecipato di persona a un grande incontro con diverse associazioni e tanta gente per dare voce al grido della foresta amazzonica. Anche quest’anno l’appuntamento si è riprodotto, e l’intervento del grande sciamano e portavoce dei popoli originari del Brasile ne ha costituto il momento più alto.

Seduto accanto al missionario della Consolata, fratel Carlo Zacquini, che da ben 60 anni vive con gli Yanomami in Roraima, Kopenawa ha ricordato anche l’impegno de “Il mondo di Tommaso” per garantire il controllo dei confini del Territorio Indigeno, un’area estesa oltre 9 milioni di ettari ratifica dal Governo federale nel 1992.

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  Claudio Corazza, fondatore dell’Associazione “Il mondo di Tommaso"

Aprendo il Convegno, sabato 5 aprile, al parco Fenderl di Vittorio Veneto, il fondatore dell’Associazione “Il mondo di Tommaso”, Claudio Corazza, ha rimarcato con vigore il grande impegno dei numerosi aderenti a favore del progetto sostenuto dai Missionari della Consolata, di un Centro di Documentazione Indigena (CDI) sulla storia e la cultura dei popoli indigeni di cui fratel Carlo Zacquini, 87 anni, ha raccolto più di seimila documenti ed oggetti. Un progetto prezioso, sul quale ha parlato all’incontro il padre brasiliano, Jaime C. Patias, direttore dell’Ufficio per la comunicazione dell’Istituto Missioni Consolata, congregazione presente nell’Amazzonia dal 1948, sottolineandone il grande valore educativo e storico, in un orizzonte che va ben oltre i confini del Brasile.

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Padre Jaime C. Patias: "tutto è interconnesso e se gli indigeni muoiono, la foresta scomparirà, e quindi anche noi"

Il popolo Yanomami conta circa 30mila individui sparsi nei territori di Brasile e Venezuela. Si stima che nel 2023 fossero oltre 20 mila i cercatori d’oro (garimpeiros) illegalmente presenti nelle loro terre. “Questo popolo subisce una violenza totale perché, oltre alla degradazione della foresta e all' avvelenamento dei fiumi, aumenta anche la diffusione di malattie, l’epidemia di malaria, la denutrizione, le violenze sulle donne, l'introduzione di armi di fuoco, della droga, ecc. Quindi, è una violenza totale, violenza sociale, ma anche una violenza spirituale” - ha ricordato padre Patias - “questo perché, tutto è interconnesso e se gli indigeni muoiono, la foresta scomparirà, e quindi anche noi”.

Attualmente almeno 15 missionari e missionarie della Consolata sono impegnati nell'accompagnamento delle comunità nella Terra Indigena Raposa Serra do Sol (con circa 1,7 milioni di ettari) e nella Missione Catrimani fondata nel 1965 tra gli Yanomami.

Documentario "La Nuvola" realizzato dall'Associazione "Il mondo di Tommaso"

E proprio a Roraima, Claudio Corazza e altri membri dell’associazione si sono recati lo scorso gennaio per incontrare Carlo Zacquini e l’associazione Hutukara Yanomami (fonda nel 2004 e presieduta da Kopenawa), oltre al vescovo di Boa Vista, don Evaristo Spengler. Un viaggio che ha dato vita a un bel Documentario, che è stato proiettato nel corso del recente Convegno.

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Il giornalista e vaticanista, Raffaele Luise durante il Convegno a Vittorio Veneto

Nel suo intervento, Raffaele Luise (autore del libro “Amazzonia. Viaggio al tempo della fine”), ha riassunto il drammatico quadro geopolitico che sconvolge il mondo, tra guerre guerreggiate, guerre commerciali e aggressione generalizzata all’ambiente, per denunciare come tutte queste dinamiche perverse confluiscano nel peggiorare enormemente l’integrità e la salute della Madre Terra e a rendere sempre più incerta la sopravvivenza dell’umanità. “Un’umanità che, attentando alla vita del pianeta, sta pericolosamente tagliando il ramo sul quale essa stessa è appoggiata”, ha detto Luise. Che ha poi voluto sottolineare l’importanza, tanto più grande in questa temperie drammatica, di un incontro che per il terzo anno consecutivo (nell’aprile del 2023 era presente il portavoce del popolo Mayuruna, Marcos Goncalves; l’anno scorso il portavoce degli Yanomami, Davi Kopenawa; quest’anno, ancora Kopenawa, ma a distanza) sta come tracciando il solco prezioso di una memoria e di un impegno generoso a difesa dei popoli indigeni e dell’Amazzonia. 

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Un concetto questo, ripreso, nelle conclusioni, dall’ambientalista Toio de Savorgnani e dal direttore dell’Ecoistituto Veneto, Michele Boato. E sottolineato a più voci, il giorno successivo, nel “plein air” di una suggestiva camminata dialogata nel cuore della foresta del Cansiglio. Secondo l’agroecologo, Luis J. Carlos Barbato, “la velocità con cui si sta deforestando genera la ‘grande accelerazione’ del cambiamento climatico che spinge la popolazione mondiale a dei capovolgimenti di comportamento: guerre, migrazioni, nazionalismi, autarchie se non ‘dittature’, lotte sociali, abbrutimento e degrado psicologico, ad esempio, sono il ‘campanello d’allarme’ dell’emarginazione dell’homo sapiens verso il ‘collasso’ e la foresta ne è l’attenta antenna”.

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L'intervento dell’agroecologo, Luis J. Carlos Barbato durante la passeggiata nella Foresta del Cansiglio

La forestale e scrittrice, Paola Favero, autrice del libro “La foresta racconta”, ha sottolineato la necessità di “essere ben informati, cercare di sapere da dove vengono le informazioni e capire cosa sta succedendo; intervenire nei processi politici e rimanere uniti lavorando in rete perché la base ha un grande potere. La coscienza si crea dal basso, e quindi bisogna lavorare e protestare per cambiare le decisioni. Abbiamo forza anche se pensiamo di non averne più”, ha avvertito. 

È stata una vera immersione in un incantevole mare verde, molto partecipata, che in cinque tappe ha visto le riflessioni di diversi scienziati della natura, e l’affascinante esecuzione di musiche e danze dall’intenso sapore “ecologico integrale”. Per dirla con Papa Francesco, che lo scorso aprile ha ricevuto in udienza privata Kopenawa e fratel Carlo, accompagnati da Raffaele Luise. I quali hanno poi condiviso quell’ emozionante esperienza con i missionari della Consolata, nella loro casa generalizia a Roma.

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Tutto converge e contribuisce al sostegno dei popoli indigeni che sono i più colpiti dal sistema capitalistico predatorio. In questo senso, il Convegno era in sintonia piena con la 21esima edizione dell'Accampamento Terra Livre, la più grande assemblea di comunità indigene del Brasile, che quest’anno ha mobilitato, dal 7 al 13 aprile, circa 10.000 partecipanti, compresi i leader di nove Paesi del bacino amazzonico. Tra gli obiettivi c'era l'articolazione di un'alleanza internazionale per difendere i diritti dei popoli indigeni durante la COP 30, la conferenza sui Cambiamenti Climatici, che si terrà a Belém in Brasile, dal 10 al 21 novembre 2025.

* Raffaele Luise e padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la comunicazione.

Documentario Convegno "Un Grido dall'Amazzonia", aprile 2024

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Un Manifesto delle donne indigene

Nel cuore dell’Amazzonia, dove il fiume Putumayo bagna le terre peruviane e colombiane, sorge Puerto Leguízamo, in Colombia. È in questa cittadina di confine che, dal 21 al 23 marzo, si sono date appuntamento più di trenta donne indigene (adolescenti, giovani, adulte e nonne), per un incontro dal titolo suggestivo di «Mujer amazonica. Sembrando esperanza – cosechando vida» (Donna amazzonica. Seminare speranza – raccogliere vita).

Provenienti dalle comunità di confine di Perù e Colombia, le donne appartenevano ai popoli indigeni Kichwa, Murui Muina (noti anche come Huitoto o Witoto) e Siona. L’incontro – organizzato dalla «Misión Putumayo» di Soplín Vargas, in Perù – si è basato su tre pilastri: territorio, cultura e vita.

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Un momento celebrativo del Convegno delle donne indigene del Rio Putumayo, tenutosi a Puerto Leguízamo, in Colombia.

Lo scopo del convegno – arrivato alla terza edizione e ospitato negli spazi del Vicariato apostolico di Puerto Leguízamo-Solano – era quello di condividere i ricordi di lotta e resistenza, discutere delle proprie conoscenze in materia di medicina, agricoltura e arte, sostenere la difesa dei diritti territoriali e impegnarsi nella cura della nostra Casa comune.

Dopo tre giorni di dibattito, le donne indigene, «seminatrici di speranza e mietitrici di vita», con il supporto delle organizzazioni indigene presenti (la peruviana Feconafropu e la colombiana Acilapp), hanno elaborato un Manifesto in nove punti da diffondere quanto più possibile.

Danze delle donne indigene negli spazi messi a disposizione dal Vicariato apostolico di Vicariato apostolico di Puerto Leguízamo-Solano. Foto Fernando Flórez Arias.

Nel primo e nel secondo punto si dice che «i territori delle comunità indigene sono patrimonio collettivo, ancestrale e di gestione esclusiva» e che va fermata l’espansione della «frontiera estrattiva» che minaccia le comunità e gli ecosistemi. Il terzo punto chiede «il rispetto e la difesa dei diritti, della vita e dell’integrità delle donne indigene». Il quarto e il quinto riguardano il diritto alla salute e la richiesta di implementare «un nostro sistema sanitario, basato sulla medicina tradizionale e sulle conoscenze ancestrali». Il sesto punto affronta il problema economico chiedendo ai governi di dare «priorità alla produzione delle famiglie indigene e contadine del territorio» e di formalizzare le piccole imprese comunitarie. Il settimo punto riguarda la questione educativa e con esso si chiede di «formalizzare sistemi educativi indigeni» tali da consentire la sopravvivenza ancestrale come popoli indigeni. Infine, gli ultimi due punti affrontano i problemi della discriminazione e della violenza chiedendo alle autorità di «combattere con risolutezza ogni forma di violenza, discriminazione e violazione dei diritti delle donne, nel rispetto della vita e di Madre Terra».

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Il signor Pablo e la figlia Consuelo. Il passaggio di generazione in generazione dalla connessione con la Madre Terra. Foto: Missione Putumayo

L’appello finale è una dichiarazione di volontà, di amore e d’intenti. «Il nostro impegno – scrivono le donne amazzoniche – come donne native dell’Amazzonia è prenderci cura della Casa comune (il territorio). Restiamo impegnate a rivitalizzare e rafforzare la nostra identità culturale come contributo alla nuova generazione, come gratitudine e riconoscimento ai nostri saggi antenati, nonni e nonne. Continueremo a lottare per il rispetto dei diritti, della giustizia e dell’uguaglianza nei nostri territori e nella società in generale».

* Padre Fernando Flórez Arias, IMC, Misión Putumayo di Soplín Vargas, in Perù. Pubblicato originalmente in: www.rivistamissioniconsolata.it

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Le donne indigene del Convegno in un momento all’aria aperta

Dal 14 al 16 febbraio, il Centro Indigeno di Formazione e Cultura Raposa Serra do Sol (CIFCRSS) ha accolto la popolazione delle quattro regioni che compongono la Terra Indigena Raposa Serra do Sol (TI RSS) nello Stato di Roraima, in Brasile, per fare memoria del loro cammino e celebrare San Giuseppe Allamano. Il centro è una scuola situata nella comunità indigena Barro, nella regione Surumu, un luogo simbolico della resistenza indigena.

Il 14 e il 15 si è svolta la “Giornata con l'Allamano”, durante la quale i missionari e i catechisti hanno presentato riflessioni sulla vita di San Giuseppe Allamano, con l'obiettivo di alimentare la fede e rinvigorire la speranza per assumere con maggiore impegno e zelo la missione che il Signore ci ha affidato.

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La giornata è iniziata con la Santa Messa presieduta da padre Luiz Carlos Emer della missione di Maturuca, che, ispirandosi alla liturgia del giorno, ha presentato l'Allamano come una persona preoccupata della fame di Vangelo nel mondo. “Di fronte a questa fame, non si è lasciato sconfiggere dalla fragilità della sua salute e, pur non potendo lasciare l'Italia, ha creduto di poter collaborare a soddisfare la fame del mondo. San Giuseppe Allamano continua a distribuire pane e pesce agli affamati di oggi attraverso i missionari che vengono inviati in tutto il mondo come portatori della Buona Novella”.

Chi è San Giuseppe Allamano?

La vita di San Giuseppe Allamano è stata presentata da padre Julius Masere, missionario keniota che opera nella regione Raposa, insieme al seminarista congolese, Tamwele Severin, studente di teologia a San Paolo. “L'Allamano è come un granello di senape. Così piccolo, quasi insignificante. 'Fai del bene, ben fatto e in silenzio', era uno dei suoi motti. Il seme gettato nel terreno attraverso il dono di sé e la fiducia incrollabile in Dio è germogliato e oggi l'albero dà rifugio a molti uccelli, portando la Consolazione ai pellegrini di questo mondo in 35 Paesi di quattro continenti”.

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Padre Luiz Carlos Emer, missionario a Maturuca

Padre James Murimi, che lavora nella Missione di Maturuca, ha parlato di “Giuseppe Allamano e la missione”, invitando l'assemblea a contemplare l'immagine del santo, che, ha detto, “mostrava uno sguardo sereno ma penetrante”.

Popoli indigeni

Per contestualizzare il percorso storico dei popoli indigeni seguiti dai missionari e delle missionarie della Consolata, il leader del popolo macuxi, Jacir José de Souza e la catechista, Deolinda Melchior da Silva hanno presentato il tema: “L'Allamano tra i popoli indigeni”. Jacir è uno dei maggiori leader indigena di Roraima. Con il sostegno dei missionari della Consolata, insieme ad altri leader, ha iniziarono la lotta per la demarcazione del loro territorio.  Nella sua missione, Jacir ha viaggiato per il mondo portando il grido dei popoli indigeni contro la violenza e la discriminazione.

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Il leader del popolo macuxi, Jacir José de Souza

Durante i suoi viaggi, ha avuto la grazia di essere ricevuto in udienza da due pontefici: San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. La lotta iniziata nel 1977 è durata fino al 2005, quando la demarcazione del territorio è stata finalmente ratificata con un decreto del Presidente della Repubblica, Luiz Inácio Lula da Silva. Oggi, con un cuore profondamente grato, Jacir già anziano, continua a formare nuovi leader, trasmettendo loro la storia della lotta e della conquista del territorio. “I missionari sono stati gli unici compagni fedeli che ci hanno sostenuto, soprattutto nei momenti decisivi della nostra storia”, ha sottolineato Jacir.

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La catechista, Deolinda Melchior da Silva

Deolinda Melchior da Silva è la prima donna indigena a essere istituita catechista dalla Conferenza episcopale brasiliana nell'aprile 2024. La catechista ha espresso gratitudine a Dio per la presenza di “questi uomini (missionari) che sono venuti da così lontano per annunciare il Vangelo”, ha detto, chiedendo la collaborazione di tutti per rendere più efficace il lavoro missionario.

Il miracolo di Sorino Yanomami

Attraverso San Giuseppe Allamano, Dio ha visitato i popoli indigeni in un modo singolare. Il tema “San Giuseppe Allamano e il miracolo” è stato presentato dall'insegnante Ingrid de Souza Menandro, catechista e coordinatrice dei catechisti della TI RSS. Ingrid ha raccontato come l'indigeno Sorino sia stato guarito dopo essere stato attaccato e gravemente ferito da un giaguaro nel 1996. Le missionarie della Consolata pregarono Dio per la sua guarigione con la novena al Beato Allamano. Sorino guarì miracolosamente e 30 anni dopo conduce una vita normale, senza conseguenze, nella sua comunità di Catrimani. Questo miracolo, riconosciuto dalla Chiesa, ha aperto il cammino per la canonizzazione di Giuseppe Allamano avvenuta il 20 ottobre 2024 a Roma.

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Ingrid de Souza Menandro, catechista e coordinatrice dei catechisti della TI RSS

Messa di ringraziamento

Il 16 febbraio, la Santa Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano è stata presieduta da Mons. Evaristo Spengler, OFM, vescovo di Roraima, e concelebrata da Mons. Zenildo Luiz Pereira da Silva della diocesi di Borba, oltre che dalla maggior parte dei padri della Consolata che operano nel territorio indigeno RSS. Erano presenti due seminaristi della Consolata, Wilbroad Akampurira e Tamwele Séverin, e Djavan André da Silva della comunità di Maturuca, che sarà ordinato diacono della Chiesa di Roraima in aprile.

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 Mons. Evaristo: “Dio ha amato ciascuno di voi e ora vi manda in missione”

Surumu è un luogo di grande importanza storica per i popoli indigeni. Mons. Evaristo ha ricordato che nel 2005, sono stati bruciati la chiesa, la casa delle Suore e l'ospedale, in rappresaglia per l'omologazione della Terra Indigena RSS. “Stiamo quindi celebrando in questo luogo la resistenza dei popoli indigeni nella lotta per la liberazione della terra ereditata dagli  antenati. Questo luogo è anche un punto di forte alleanza tra la Chiesa e i popoli indigeni nella lotta per il loro pieno diritto a questa terra Raposa Serra do Sol”, ha detto il vescovo. È anche importante ricordare il giorno storico in cui i popoli indigeni, hanno fatto un'opzione preferenziale per la comunità dicendo no alla bevanda alcolica. Il 26 aprile 1977 è stato registrato come il “giorno della decisione” (ou vai ou racha).

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Con sguardo sereno e voce ferma, Mons. Evaristo rifletteva: “Dio vi ha amato. Dio ha amato ciascuno di voi e ora Dio vi manda in missione. Come Vescovo di questa diocesi, voglio ringraziare molto per la presenza dei missionari della Consolata. Le missionarie oggi, non sono qui, ma le ringrazio ugualmente per il lavoro che hanno fatto e stanno facendo nella nostra diocesi”.

La terra di Makunaima ha tante storie da raccontare. Come nella storia del roveto ardente (Es 3,2), quando si arriva qui bisogna togliersi i sandali perché questa è terra santa. Il messaggio del Vangelo permea la storia di questo popolo, segnata da lotte e resistenze. “Il metodo di evangelizzazione assunto dai missionari è il metodo dell'incontro che implica l'apprendimento della lingua e il rispetto alla cultura. Che il Vangelo trasformi la vita minacciata in una vita più dignitosa, una vita rispettata e valorizzata. Fin dall'inizio i missionari e le missionarie della Consolata hanno avuto questa chiarezza e hanno fatto questa opzione molto esplicita per le popolazioni indigene”, ha detto il vescovo. “Il riconoscimento del miracolo compiuto attraverso San Giuseppe Allamano della guarigione di Sorino Yanomami è un segno forte che Dio sta benedicendo la missione dei missionari della Consolata e conferma che questa è la strada da seguire”.

* Padre Victor Mbesi Wafula, IMC, missionario nella Tarra Indigena RSS a Roraima.

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Padre Victor Mbesi Wafula e padre James Njimia Murimi

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18-04-2025 Missione Oggi

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