Preghiamo perché le famiglie divise possano trovare nel perdono la guarigione delle loro ferite, riscoprendo anche nelle loro differenze la ricchezza reciproca.

“Tutti sogniamo una famiglia bella, perfetta. Ma le famiglie perfette non esistono. Ogni famiglia ha i suoi problemi, e anche le sue grandi gioie”, afferma il Papa Francesco nelle intenzioni di preghiera del mese di marzo 2025 sul tema “Per le famiglie in crisi”.

“In una famiglia - spiega il Pontefice - ogni persona ha valore perché è diversa dalle altre, ogni persona è unica. Ma le differenze possono anche provocare conflitti e ferite dolorose. E la migliore medicina per curare il dolore di una famiglia ferita è il perdono”.

Il Video del Papa con l’intenzione di preghiera per ogni mese è diffuso attraverso la Rete Mondiale di Preghiera del Papa.

“Perdonare significa dare un’altra possibilità. Dio lo fa con noi continuamente. La pazienza di Dio è infinita: ci perdona, ci rialza, ci permette di ricominciare. Il perdono rinnova sempre la famiglia, permette di guardare avanti con speranza. Anche quando non è possibile il “lieto fine” che vorremmo, la grazia di Dio ci dà la forza di perdonare e porta pace, perché libera dalla tristezza e, soprattutto, dal rancore. Preghiamo perché le famiglie divise possano trovare nel perdono la guarigione delle loro ferite, riscoprendo anche nelle loro differenze la ricchezza reciproca”.

* Ufficio per la comunicazione con informazioni di Rete Mondiale di Preghiera del Papa

È stata pubblicata dalla Sala Stampa della Santa Sede la catechesi di Papa Francesco preparata per l'udienza generale che si sarebbe dovuta svolgere questo mercoledì, 5 marzo, e che è stata annullata a causa della permanenza del Pontefice al Policlinico Gemelli. Di seguito il testo che, pensato nell'ambito del ciclo giubilare di catechesi su "Gesù Cristo nostra speranza. L'infanzia di Gesù", propone una riflessione sul ritrovamento di Gesù al Tempio (Lc 2,49).

Gesù Cristo nostra speranza
I. L’infanzia di Gesù

8. «Figlio, perché ci hai fatto questo?» (Lc 2,49). Il ritrovamento di Gesù nel Tempio

Dopo tre giorni, lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. […] Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro (Lc 2,46.48-50).

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! In quest’ultima catechesi dedicata all’infanzia di Gesù, prendiamo spunto dall’episodio in cui, a dodici anni, Egli rimase nel Tempio senza dirlo ai genitori, i quali lo cercarono ansiosamente e lo ritrovarono dopo tre giorni. Questo racconto ci presenta un dialogo molto interessante tra Maria e Gesù, che ci aiuta a riflettere sul cammino della madre di Gesù, un cammino non certo facile. Infatti Maria ha compiuto un itinerario spirituale lungo il quale è avanzata nella comprensione del mistero del suo Figlio.

Ripensiamo alle varie tappe di questo percorso. All’inizio della sua gravidanza, Maria fa visita a Elisabetta e si ferma da lei per tre mesi, fino alla nascita del piccolo Giovanni. Poi, quando è ormai al nono mese, a causa del censimento, con Giuseppe va a Betlemme, dove dà alla luce Gesù. Dopo quaranta giorni si recano a Gerusalemme per la presentazione del bambino; e quindi ogni anno ritornano in pellegrinaggio al Tempio. Ma con Gesù ancora piccolo si erano rifugiati a lungo in Egitto per proteggerlo da Erode, e solo dopo la morte del re si erano stabiliti di nuovo a Nazaret. Quando Gesù, divenuto adulto, inizia il suo ministero, Maria è presente e protagonista alle nozze di Cana; poi lo segue “a distanza”, fino all’ultimo viaggio a Gerusalemme, fino alla passione e alla morte. Dopo la Risurrezione, Maria resta a Gerusalemme, come Madre dei discepoli, sostenendo la loro fede in attesa dell’effusione dello Spirito Santo.

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Pellegrini nell'Aula Paolo VI

In tutto questo cammino, la Vergine è pellegrina di speranza, nel senso forte che diventa la “figlia del suo Figlio”, la prima sua discepola. Maria ha portato al mondo Gesù, Speranza dell’umanità: lo ha nutrito, lo ha fatto crescere, lo ha seguito lasciandosi plasmare per prima dalla Parola di Dio. In essa – come ha detto Benedetto XVI – Maria «è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio […]. Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo volere è un volere insieme con Dio. Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata» (Enc. Deus caritas est, 41). Questa singolare comunione con la Parola di Dio non le risparmia però la fatica di un impegnativo “apprendistato”.

L’esperienza dello smarrimento di Gesù dodicenne, durante il pellegrinaggio annuale a Gerusalemme, spaventa Maria al punto che si fa portavoce anche di Giuseppe nel riprendere il figlio: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Maria e Giuseppe hanno provato il dolore dei genitori che smarriscono un figlio: credevano entrambi che Gesù fosse nella carovana dei parenti, ma non avendolo visto per un’intera giornata, incominciano la ricerca che li porterà a fare il viaggio a ritroso. Tornati al Tempio, scoprono che Colui che ai loro occhi, fino a poco prima, era un bambino da proteggere, è come cresciuto di colpo, capace ormai di coinvolgersi in discussioni sulle Scritture, reggendo il confronto con i maestri della Legge.

Di fronte al rimprovero della madre, Gesù risponde con disamante semplicità: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Maria e Giuseppe non comprendono: il mistero del Dio fatto bambino supera la loro intelligenza. I genitori vogliono proteggere quel figlio preziosissimo sotto le ali del loro amore; Gesù invece vuole vivere la sua vocazione di Figlio del Padre che sta al suo servizio e vive immerso nella sua Parola.

I Racconti dell’Infanzia di Luca si chiudono, così, con le ultime parole di Maria, che ricordano la paternità di Giuseppe nei confronti di Gesù, e con le prime parole di Gesù, che riconoscono come questa paternità tragga origine da quella del Padre suo celeste, del quale riconosce il primato indiscusso.

Cari fratelli e sorelle, come Maria e Giuseppe, pieni di speranza, mettiamoci anche noi sulle tracce del Signore, che non si lascia contenere dai nostri schemi e si lascia trovare non tanto in un luogo, ma nella risposta d’amore alla tenera paternità divina, risposta d’amore che è la vita filiale.

* Ufficio per la Comunicazione con informazioni di Sala Stampa della Santa Sede.

«Camminiamo insieme nella speranza»: è il tema del messaggio di Papa Francesco per la Quaresima dell’Anno Santo 2025, che è stato pubblicato il 25 febbraio. Il periodo quaresimale quest'anno inizia il 5 marzo, Mercoledì delle Ceneri, e termina il 17 aprile, Giovedì Santo.

In un testo denso di riflessioni, il Pontefice invita i fedeli a vivere questo tempo come un pellegrinaggio di conversione e fiducia, sottolineando l’importanza della sinodalità e della speranza cristiana.

Il Papa richiama il cammino del popolo d’Israele verso la terra promessa, incoraggiando a riflettere sulla propria condizione di pellegrini nella vita. “Siamo tutti chiamati a camminare insieme, senza lasciare nessuno indietro”, scrive Francesco, evidenziando il valore della comunione e della solidarietà nella Chiesa e nel mondo.

Il messaggio si inserisce nel contesto dell’Anno Giubilare, offrendo spunti di meditazione sulla necessità di una conversione che tocchi il cuore delle persone e delle comunità. Tre i richiami fondamentali: camminare, camminare insieme e camminare nella speranza, con l’invito a vivere la Quaresima come un tempo di rinnovamento e fiducia nella promessa della vita eterna.

Di seguito il testo integrale del messaggio di Papa Francesco

È stata pubblicata dalla Sala Stampa della Santa Sede la catechesi di Papa Francesco preparata per l'udienza generale che si sarebbe dovuta svolgere oggi, 26 febbraio 2025, nell'Aula Paolo VI e che è stata annullata a causa del ricovero del Pontefice al Policlinico Gemelli dal 12 febbraio.

Pubblichiamo di seguito il testo, pensato nell'ambito del ciclo giubilare di catechesi. Nel testo, Francesco sviluppa una riflessione sulla presentazione di Gesù al Tempio e invita a essere come Simeone e Anna, “pellegrini di speranza” con occhi limpidi capaci di vedere oltre le apparenze.

Gesù Cristo nostra speranza
I. L’infanzia di Gesù
7. «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,30). La presentazione di Gesù al Tempio

"Mosso dallo Spirito, [Simeone] si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola» (Lc 2,27-29).

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Contempliamo oggi la bellezza di «Gesù Cristo, nostra speranza» (1Tm 1,1) nel mistero della sua presentazione al Tempio.

Nei racconti dell’infanzia di Gesù, l’evangelista Luca ci mostra l’obbedienza di Maria e Giuseppe alla Legge del Signore e a tutte le sue prescrizioni. In realtà, in Israele non c’era l’obbligo di presentare il bambino al Tempio, ma chi viveva nell’ascolto della Parola del Signore e ad essa desiderava conformarsi, la considerava una prassi preziosa. Così aveva fatto Anna, madre del profeta Samuele, che era sterile; Dio ascoltò la sua preghiera e lei, avuto il figlio, lo condusse al tempio e lo offrì per sempre al Signore (cfr 1Sam 1,24-28).

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Il Papa Francesco nell'Aula Paolo VI durante il Giubileo del Mondo della Comunicazione, il 25 gennaio 2025. Foto: Jaime C. Patias

Luca, dunque, racconta il primo atto di culto di Gesù, celebrato nella città santa, Gerusalemme, che sarà la meta di tutto il suo ministero itinerante a partire dal momento in cui prenderà la ferma decisione di salirvi (cfr Lc 9,51), andando incontro al compimento della sua missione.

Maria e Giuseppe non si limitano a innestare Gesù in una storia di famiglia, di popolo, di alleanza con il Signore Dio. Essi si occupano della sua custodia e della sua crescita, e lo introducono nell’atmosfera della fede e del culto. E loro stessi crescono gradualmente nella comprensione di una vocazione che li supera di gran lunga.

Nel Tempio, che è «casa di preghiera» (Lc 19,46), lo Spirito Santo, parla al cuore di un uomo anziano: Simeone, un membro del popolo santo di Dio preparato all’attesa e alla speranza, che nutre il desiderio del compimento delle promesse fatte da Dio a Israele per mezzo dei profeti. Simeone avverte nel Tempio la presenza dell’Unto del Signore, vede la luce che rifulge in mezzo ai popoli immersi «nelle tenebre» (cfr Is 9,1) e va incontro a quel bambino che, come profetizza Isaia, «è nato per noi», è il figlio che «ci è stato dato», il «Principe della pace» (Is 9,5). Simeone abbraccia quel bambino che, piccolo e indifeso, riposa tra le sue braccia; ma è lui, in realtà, a trovare la consolazione e la pienezza della sua esistenza stringendolo a sé. Lo esprime in un cantico pieno di commossa gratitudine, che nella Chiesa è diventato la preghiera al termine della giornata:

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,29-32).

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Simeone canta la gioia di chi ha visto, di chi ha riconosciuto e può trasmettere ad altri l’incontro con il Salvatore di Israele e delle genti. È testimone della fede, che riceve in dono e comunica agli altri; è testimone della speranza che non delude; è testimone dell’amore di Dio, che riempie di gioia e di pace il cuore dell’uomo. Colmo di questa consolazione spirituale, il vecchio Simeone vede la morte non come la fine, ma come compimento, come pienezza, la attende come “sorella” che non annienta ma introduce nella vita vera che egli ha già pregustato e in cui crede.

In quel giorno, Simeone non è l’unico a vedere la salvezza fattasi carne nel bambino Gesù. Lo stesso succede anche ad Anna, donna più che ottuagenaria, vedova, tutta dedita al servizio del Tempio e consacrata alla preghiera. Alla vista del bambino, infatti, Anna celebra il Dio d’Israele, che proprio in quel piccolo ha redento il suo popolo, e lo racconta agli altri, diffondendo con generosità la parola profetica. Il canto della redenzione di due anziani sprigiona così l’annuncio del Giubileo per tutto il popolo e per il mondo. Nel Tempio di Gerusalemme si riaccende la speranza nei cuori perché in esso ha fatto il suo ingresso Cristo nostra speranza.

Cari fratelli e sorelle, imitiamo anche noi Simeone ed Anna, questi “pellegrini di speranza” che hanno occhi limpidi capaci di vedere oltre le apparenze, che sanno “fiutare” la presenza di Dio nella piccolezza, che sanno accogliere con gioia la visita di Dio e riaccendere la speranza nel cuore dei fratelli e delle sorelle.

* Ufficio per la Comunicazione con informazioni di Sala Stampa della Santa Sede.

Con il ricovero di Papa Francesco al Policlinico Gemelli che prosegue con le cautele spiegate dallo staff medico che lo ha in cura, gli appuntamenti in programma per questa domenica 23 febbraio, hanno seguito la modalità della settimana precedente.

La Santa Messa nella Basilica Vaticana alle ore 9.00 nella VII Domenica del Tempo Ordinario, in occasione del Giubileo dei Diaconi, è stata presieduta dal cardinale Rino Fisichella, Pro-Prefetto del Dicastero per l'Evangelizzazione, Sezione per le Questioni Fondamentali dell'Evangelizzazione nel Mondo, che ha letto l’omelia preparata dal Santo Padre.

Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’omelia del Santo Padre.

Il perdono, il servizio disinteressato e la comunione

Il messaggio delle Letture che abbiamo ascoltato si potrebbe riassumere con una parola: gratuità. Un termine certamente caro a voi Diaconi, qui raccolti per la celebrazione del Giubileo. Riflettiamo allora su questa dimensione fondamentale della vita cristiana e del vostro ministero, in particolare sotto tre aspetti: il perdono, il servizio disinteressato e la comunione.

Primo: il perdono. L’annuncio del perdono è un compito essenziale del diacono. Esso è infatti elemento indispensabile per ogni cammino ecclesiale e condizione per ogni convivenza umana. Gesù ce ne indica l’esigenza e la portata quando dice: «Amate i vostri nemici» (Lc 6,27). Ed è proprio così: per crescere insieme, condividendo luci e ombre, successi e fallimenti gli uni degli altri, è necessario saper perdonare e chiedere perdono, riallacciando relazioni e non escludendo dal nostro amore nemmeno chi ci colpisce e tradisce. Un mondo dove per gli avversari c’è solo odio è un mondo senza speranza, senza futuro, destinato ad essere dilaniato da guerre, divisioni e vendette senza fine, come purtroppo vediamo anche oggi, a tanti livelli e in varie parti del mondo.

Perdonare, allora, vuol dire preparare al futuro una casa accogliente, sicura, in noi e nelle nostre comunità. E il diacono, investito in prima persona di un ministero che lo porta verso le periferie del mondo, si impegna a vedere – e ad insegnare agli altri a vedere – in tutti, anche in chi sbaglia e fa soffrire, una sorella e un fratello feriti nell’anima, e perciò bisognosi più di chiunque di riconciliazione, di guida e di aiuto. Di questa apertura di cuore ci parla la prima Lettura, presentandoci l’amore leale e generoso di Davide nei confronti di Saul, suo re, ma anche suo persecutore (cfr 1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23).

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Ce ne parla pure, in un altro contesto, la morte esemplare del diacono Stefano, che cade sotto i colpi delle pietre perdonando i suoi lapidatori (cfr At 7,60). Ma soprattutto la vediamo in Gesù, modello di ogni diaconia, che sulla croce, “svuotando” sé stesso fino a dare la vita per noi (cfr Fil 2,7), prega per i suoi crocifissori e apre al buon ladrone le porte del Paradiso (cfr Lc 23,34.43).

E veniamo al secondo punto: il servizio disinteressato. Il Signore, nel Vangelo, lo descrive con una frase tanto semplice quanto chiara: «Fate del bene e prestate senza sperarne nulla» (Lc 6,35). Poche parole che portano in sé il buon profumo dell’amicizia. Prima di tutto quella di Dio per noi, ma poi anche la nostra. Per il diacono, tale atteggiamento non è un aspetto accessorio del suo agire, ma una dimensione sostanziale del suo essere. Si consacra infatti ad essere, nel ministero, “scultore” e “pittore” del volto misericordioso del Padre, testimone del mistero di Dio-Trinità.

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In molti passi evangelici Gesù parla di sé in questa luce. Lo fa con Filippo, nel cenacolo, poco dopo aver lavato i piedi ai Dodici, dicendogli: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Come pure quando istituisce l’Eucaristia, affermando: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Ma già prima, sulla via di Gerusalemme, quando i suoi discepoli discutevano tra loro su chi fosse il più grande, aveva spiegato loro che «il Figlio dell’uomo […] non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (cfr Mc 10,45). 

Fratelli Diaconi, il lavoro gratuito che svolgete, dunque, come espressione della vostra consacrazione alla carità di Cristo, è per voi il primo annuncio della Parola, fonte di fiducia e di gioia per chi vi incontra. Accompagnatelo il più possibile con un sorriso, senza lamentarvi e senza cercare riconoscimenti, gli uni a sostegno degli altri, anche nei rapporti con i Vescovi e i presbiteri, «come espressione di una Chiesa impegnata a crescere nel servizio del Regno con la valorizzazione di tutti i gradi del ministero ordinato» (C.E.I., I Diaconi permanenti nella Chiesa in Italia. Orientamenti e norme, 1993, 55). Il vostro agire concorde e generoso sarà così un ponte che unisce l’Altare alla strada, l’Eucaristia alla vita quotidiana delle persone; la carità sarà la vostra liturgia più bella e la liturgia il vostro più umile servizio.

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E veniamo all’ultimo punto: la gratuità come fonte di comunione. Dare senza chiedere nulla in cambio unisce, crea legami, perché esprime e alimenta uno stare insieme che non ha altro fine se non il dono di sé e il bene delle persone. San Lorenzo, vostro patrono, quando gli fu chiesto dai suoi accusatori di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò loro i poveri e disse: «Ecco i nostri tesori!». È così che si costruisce la comunione: dicendo al fratello e alla sorella, con le parole, ma soprattutto coi fatti, personalmente e come comunità: “per noi tu sei importante”, “ti vogliamo bene”, “ti vogliamo partecipe del nostro cammino e della nostra vita”. Questo fate voi: mariti, padri e nonni pronti, nel servizio, ad allargare le vostre famiglie a chi è nel bisogno, là dove vivete.

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Così la vostra missione, che vi prende dalla società per immettervi nuovamente in essa e renderla sempre più un luogo accogliente e aperto a tutti, è una delle espressioni più belle di una Chiesa sinodale e “in uscita”.

Tra poco alcuni di voi, ricevendo il sacramento dell’Ordine, “discenderanno” i gradini del ministero. Volutamente dico e sottolineo che “discenderanno”, e non che “ascenderanno”, perché con l’Ordinazione non si sale, ma si scende, ci si fa piccoli, ci si abbassa e ci si spoglia. Per usare le parole di San Paolo, si abbandona, nel servizio, l’“uomo di terra”, e ci si riveste, nella carità, dell’“uomo di cielo” (cfr 1Cor 15,45-49).

Meditiamo tutti su quanto stiamo per fare, mentre ci affidiamo alla Vergine Maria, serva del Signore, e a San Lorenzo, vostro patrono. Ci aiutino loro a vivere ogni nostro ministero con un cuore umile e pieno di amore e ad essere, nella gratuità, apostoli di perdono, servitori disinteressati dei fratelli e costruttori di comunione.

* Ufficio per la Comunicazione con informazioni di Sala Stampa della Santa Sede.

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