Ne parlano padre Michelangelo Piovano, vice Superiore Generale; padre Sandro Faedi, a lungo missionario in Mozambico; padre Gianfranco Graziola, membro della Coordinamento nazionale della pastorale carceraria in Brasile; padre Flavio Pante, missionario in Congo; padre Adolfo De Col, a lungo missionario in Kenya.

Video CAM Cultures And Mission – IMC Torino

Il corso di formazione permanente per i formatori affronta diverse tematiche. “Formati al Carisma dell’Istituto Missioni Consolata” è stato il tema di studio presentato da padre Nicholas Muthoka, IMC, nel pomeriggio di giovedì 5 settembre. Tredici sono i formatori che partecipano al corso che si svolge a Roma dal 2 al 17 settembre.

Padre Nicholas è keniano, sacerdote dal 2011, con una licenza in teologia pastorale. Ha lavorato come animatore missionario nella diocesi di Torino. Dal 2013 vive e lavora nella parrocchia Maria Speranza Nostra, nello storico quartiere di Barriera di Milano, il più multietnico della città de Torino, prima come vice parroco e dal novembre 2017 è stato nominato parroco. Inoltre, collabora insieme a padre Samuel Kabiru, nell’accompagnamento della Comunità Apostolica Formativa (CAF) con cinque studenti professi.

“La formazione e la missione devono essere collegate perché formiamo i seminaristi per la missione”, afferma il Nicholas. In questo video realizzato dal Segretariato per la Comunicazione, il missionario presenta una sintesi della sua relazione condivisa con  i formatori a Roma.

Secondo padre Nicholas, “la formazione deve aiutarci a farci innamorare della missione, e preparando, in questo modo, anche il futuro della Chiesa. Il Signore ha scelto noi formatori e siamo noi che dobbiamo fare innamorare i ragazzi della missione. Perciò dobbiamo riflettere su vari aspetti che sono importanti per aiutare un giovane che vuole essere missionario delle Consolata”:

Siamo abituati ad essere missionari “multitasking”: psicologi, infermieri, portinai, che riceve la gente, idraulici che sistemano la casa, ecc. Dobbiamo imparare ad essere animatori, evitando il clericalismo e a fare tante cose contemporaneamente.

Formatori identificati: appassionati, identificati con il nostro carisma e pieni di zelo.

Umiltà dei seminaristi: vivere una formazione collegata alla missione, formare i ragazzi ad una missione molto esigente. Questo perché dei seminaristi bene formati sono il tesoro della Chiesa. Prepararsi per la missione ad gentes, esige gente forte. “Seminaristi è attivi, lo saranno anche da prete, viceversa dei seminaristi menefreghisti, saranno così anche, e questo vale anche: impazienti, aggressivi, intoccabili…

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Cultura post-moderna: oggi si vive una confusione a livello culturale che è importante conoscere. Usciamo dai villaggi, per studiare nelle grandi città e non assimilano bene la cultura in cui viviamo. Padre Nicholas, ci invita studiare la cultura e farne una lettura critica, “perché i nostri studenti sono già molto influenzati dalla cultura post-moderna. Tutto questo esige un cambiamento interiore, si fanno esperienze che non li toccano con la tendenza è tornare alla loro terra di origine”.

A Livello personale: si constata una grande fragilità a livello umano, vivono un’esperienza familiare di frammentazione, vivono traumi le cui ferite rimangono poi nel tempo. Tutto questo porta ad una difficoltà ad accettare se stessi e nel costruire delle relazioni positive con gli altri. Questa cultura di consumismo, dell’individualismo fa vedere la vita religiosa come un cammino di uscita dalla precarietà che offre una possibilità di conforto importante, e tutto questo può portare a una vita comoda, passiva, a una pastorale minimalista senza zelo missionario.

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Alcuni spunti per cercare delle soluzioni

- fare una lettura critica della cultura contemporanea che aiuti i missionari.

- studiare e approfondire con i ragazzi in formazione tutto quanto si riferisce alla cultura, perché non potranno fare un vero annuncio quando non c’è chiarezza.

- avere una forte spiritualità.

- non sottovalutare le ferite, facendosi aiutare delle scienze umane per lavorare sulla personalità dei candidati.

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Dopo l’intervento di padre Nicholas, i 13 formatori partecipanti al corso hanno svolto una sessione di lavoro di gruppo guidati dalle seguenti domande:

1. Che cosa sto facendo come formatore per decifrare la cultura dei seminaristi?

2. Nel mio lavoro di formatore, come cerco capire e vivere il contesto dove si trova la comunità formativa?

Il risultato del lavoro di gruppo è stato condiviso nella sessione plenaria con del tempo per alcune riflessioni conclusive.

* Padre José Martín Serna, IMC, Maestro di novizi a Manaus, Brasile.

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I missionari della Consolata che operano in Venezuela si sono radunati per la loro IX Conferenza con il motto "Camminatori della consolazione e della speranza". Il gruppo incontrandosi vuole ricollegarsi alle parole che più volte hanno ispirato il Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano: "Consolate, consolate il mio popolo" (Is 40,1).

Questo momento di grazia si svolge dall'8 al 12 luglio presso il Centro di Animazione Missionaria (CAM) di Barquisimeto con la partecipazione dei membri della Direzione Generale: padre James Lengarin, padre Michelangelo Piovano e padre Juan Pablo De los Rios, arrivati da Roma, i 14 missionari della Consolata insieme a tre LMC, tutti che operano nelle missioni di Caracas, Barlovento, Barquisimeto, Tucupita e Nabasanuka.

È questa anche una un’occasione di gioia dare il benvenuto ai nuovi missionari che si uniscono alla nostra Delegazione. La nostra missione in Venezuela è offrire la consolazione che Dio stesso offre all'umanità.

Il Consigliere Generale per l’America, padre Juan Pablo ha ricordato le parole di Papa Francesco che ci invita a non dimenticare di essere una Chiesa in uscita, sottolineando la necessità di concentrarsi sull'ad gentes del nostro Istituto.

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“L'obiettivo di ogni cristiano è quello di essere discepolo missionario e di rendere discepoli gli altri. Dobbiamo riflettere personalmente sulla capacità di uscire da noi stessi, dai nostri interessi personali, per lasciare agire lo Spirito, lavorare in unità di intenti, concentrando lo sguardo insieme”.

Il relatore ha poi indicato alcuni tratti specifici della nostra spiritualità missionaria:

  1. La convinzione di aver ricevuto una chiamata da Dio e la decisione di rispondere ad essa con libertà e responsabilità. Chiamati ad essere una benedizione e a far crescere la passione per il Regno.
  2. Superare la paura di andare oltre le frontiere, in accordo con il documento del XIV Capitolo generale (n.24). Superare non solo le frontiere geografiche, ma anche quelle religiose, spirituali, esistenziali e sociologiche, accettando l'ignoto con capacità di apertura e lasciandoci sorprendere per incontrare Dio e trovarlo tra i più svantaggiati.
  3. Camminare con l'umanità facendo parte di un popolo, di una comunità che si muove, cresce e cambia.
  4. Essere testimoni di riconciliazione. Le nostre storie personali e sociali sono segnate anche dalla violenza, che ha lasciato molte fratture. Dobbiamo impegnarci a promuovere la riconciliazione che è al centro del Vangelo. La consolazione implica tutto questo e Gesù Cristo è lo strumento per realizzarla.
  5. Apertura al dialogo: un dialogo integrale che cerca ciò che ci unisce e accentua l'esperienza di Dio.

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La realtà del Venezuela

Per presentare e riflettere sulla realtà del Venezuela, siamo stati aiutati dall'esperienza del gesuita padre Manuel Zapata, sociologo, ricercatore e amico dell'Istituto. Padre Manuel propone il suo intervento come un discernimento e uno sguardo profondo su ciò che stiamo vivendo nel Paese. "Guardare la realtà può generare angoscia e disperazione, ma può anche aiutare a scoprire le manifestazioni dello Spirito di Dio che accompagna le persone” e continua il relatore: “Ci sono fattori che ostacolano il progresso, ma nel popolo venezuelano c'è anche una forza di resilienza molto elevata che si manifesta nel modo in cui le persone vanno avanti, anche di fronte alle avversità”.

In Venezuela esistono diverse forme di povertà ed esclusione sociale: si può parlare di povertà economica; di povertà sociale risultata dalla mancanza di opportunità e da alti livelli di disuguaglianza sociale; di povertà umana o danno antropologico; di povertà spirituale nel deterioramento dei valori; di povertà educativa che si manifesta, tra le altre forme, nelle lacune nell'accesso alle tecnologie di comunicazione e informazione.

La povertà nelle sue diverse realtà riguarda il 51,9% della popolazione. L'89% soffre di insicurezza alimentare. Ci sono carenze nei servizi pubblici, nell’ l'istruzione e  nella sanità in tutto il paese.

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Il padre Manuel Zapata, SJ, sociologo, ricercatore e amico dell'Istituto in Venezuela

La migrazione continua

Si parla di 8 a 9 milioni di venezuelani, specialmente giovani, che sono emigrati in altri paesi e molti continuano a migrare, nell’attesa di un possibile cambiamento politico. Le conseguenze di questo fenomeno migratorio includono l'invecchiamento della popolazione , l’aumentano dei bambini non accompagnati dai genitori e affidati ai nonni o ad altri parenti. C'è grande risentimento verso lo Stato a causa del problema migratorio. La pornografia digitale è diffusa come conseguenza della vulnerabilità, così come la presenza di situazioni di traffico di esseri umani.

A livello psicosociale, il Venezuela presenta ferite multiple dovute alla frammentazione delle comunità  sociali, delle famiglie e anche delle comunità cristiane. La riconciliazione è una necessità nel Paese, anche se non sappiamo o non c'è una proposta concreta su come attuarla.

Come evidenziato in precedenza, è tuttavia positiva l'alta resilienza dei venezuelani e nonostante il significativo deterioramento della salute mentale e l'aumento dei suicidi, l'ottimismo è ancora alto nel Paese.

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 Superare la paura di andare oltre le frontiere

La storia

I missionari della Consolata sono arrivati in Venezuela nel 1970 con il padre Giovanni Vespertini, inizialmente nella diocesi di Trujillo, assumendo la parrocchia di La Quebrada. Nel 1974, con l'arrivo di padre Francesco Babbini, il Gruppo IMC Venezuela divenne autonomo sotto la responsabilità della Direzione Generale staccandosi dalla Regione Colombia. Nel 1982 il Gruppo è diventato una Delegazione, dedicata alla Vergine di Coromoto, patrona del Venezuela.

Attualmente sono 15 i missionari della Consolata provenienti da diversi Paesi che lavorano in Venezuela: a Caracas (quartiere Carapita e nella sede della Delegazione), Barquisimeto (Centro di Animazione Missionaria), Barlovento (Pastorale afro in quattro parrocchie), Tucupita e Nabasanuka (Pastorale indigena con il popolo Warao). Mons. Lisandro Rivas Durán, IMC, è vescovo ausiliare dell’Archidiocesi di Caracas.

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 La participazione dei LMC alla IX Conferenza: Fatima Contreras, Roger Quiñones e Damari Mujica.

In Venezuela operano  anche le Suore Missionarie della Consolata (MC) e i Missionari Laici della Consolata (LMC) sono presenti in varie attività missionarie.

Il programma della IX Conferenza prosegue con un lavoro di gruppo sulle nostre realtà come Delegazione IMC. Le giornate si concludono sempre con un momento di preghiera animata dalle diverse équipe secondo le opzioni missionarie: pastorale indigena, pastorale afro, pastorale urbana, AMJV, ecc.

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* Padre Beni Kapala, IMC, comunicazione IMC Venezuela.

In questo mese di luglio è in programma la Conferenza della Delegazione IMC Venezuela con la partecipazione del Superiore Generale, padre James Lengarin, e di padre Michelangelo Piovano, Vice Superiore Generale e padre Juan Pablo De los Rios, Consigliere Generale per l’America. Pubblichiamo una cronaca della visita scritta da padre Michelangelo.

Partiti da Roma siamo arrivati a Caracas giovedì 5 luglio ed il giorno dopo, guidati dal Superiore, padre Nebyu Elias Gabriel, abbiamo avuto la possibilità di visitare, nel centro della città, la casa natale di Simon Bolivar (liberatore dell'America spagnola - Caracas 1783 - San Pedro Alessandrino, Santa Marta, Colombia 1830) e la Cattedrale di Caracas. La sera, nella nostra casa, un incontro di accoglienza e fraternità con i confratelli arrivati da Nabasanuka, le Missionarie della Consolata ed i Laici Missionari della Consolata, cena e musica popolare che ci hanno fatto entrare nello spirito festivo e di condivisione della gente e dei nostri missionari.

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Comuinità San Giuseppe a Carapita

Il sabato è stato un giorno speciale che abbiamo iniziato con la celebrazione della Messa nella comunità delle Suore di Madre Teresa (Suore della Carità) presieduta da padre James Lengarin e poi, accompagnati dal parroco della Parrocchia dei Santi Gioacchino e Anna di Carapita, padre Charles Gachara Munyu, abbiamo visitato le varie comunità sparse sulle alte colline e montagne che circondano Caracas.

In ognuna di esse alcuni membri della comunità ci stavano aspettando per accoglierci, farci vedere la loro comunità e, in un breve incontro, presentarci i vari lavori pastorali e sociali che stanno facendo. Le varie comunità sono disseminate in un enorme agglomerato di case e casette costruite una sull’altra e arroccate sulle colline. Una realtà molto povera comune nelle periferie delle grandi città dell'America Latina, dove la gente lotta e va avanti dandosi da fare per vivere e sopravvivere.

Il senso delle comunità lì presenti è proprio quello di dare speranza, infondere coraggio e soprattutto dare una testimonianza di presenza e vita cristiana.

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Comunità Consolata a Carapita

Così è per le Comunità di Nostra Signora della Speranza che si trova nella parte più alta della collina, quelle dedicate alla Consolata, a San Giuseppe, alla Madonna Miracolosa e alla Grotta di Betlemme.

In ognuna di esse e nella parrocchia si celebra la Messa ogni domenica, si insegna il catechismo, c’è il gruppo dei giovani e un prezioso servizio caritativo.

Le responsabili di comunità sono per lo più donne che con grande spirito di servizio portano avanti la vita della comunità con le loro attività pastorali.

In particolare, ogni giorno nella sede della parrocchia, vi è una cucina e mensa che prepara il pranzo per 400 bambini ed altri pasti che vengono portati nelle rispettive comunità dove i bambini si ritrovano. È la missione che si fa condivisione, consolazione, partecipazione e alimentazione per chi ha fame ed ha bisogno del pane quotidiano, ma che offre anche il Pane della Parola e dell’Eucarestia.

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Nuova cappella per l’Adorazione nella Parrocchia dei Santi Gioacchino e Anna di Carapita

È quasi un miracolo quotidiano che avviene grazie alla partecipazione e condivisione di molti che rende visibile una chiesa in uscita, missionaria e sinodale.

Mentre eravamo nella Cappella della Consolata abbiamo ricordato l’invito che l’Allamano faceva ai nostri Missionari e che abbiamo anche nelle nostre Costituzioni: quello di fare una visita, il sabato, al Santuario della Consolata per chi era a Torino. Non eravamo a Torino, ma a Carapita, nella periferia povera di Caracas nella quale vi lavoriamo da vari anni e dove sono passati tanti missionari e missionarie della Consolata. Abbiamo fatto il nostro pellegrinaggio arrivando ai piedi di questa “Consolata Missionaria”, ringraziando per ciò che anche lì si fa in suo nome con spirito allamaniano e consolatino.

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Una scritta sulla parete della Cappella diceva anche: “La Consolata es especialmente nuestra y tenemos que estar felices de tenerla como protectora” (Beato Giuseppe Allamano).

Non è mancato anche un altro bel momento: quello di benedire la nuova cappella per l’Adorazione nella Parrocchia. Uno spazio di preghiera per chi vuole adorare il Signore e stare un po' alla sua presenza, ma anche, come ci diceva il parroco padre Charles, dove portare la vita della gente, delle comunità e tutto ciò che a volte sembra impossibile poter fare o risolvere in una realtà come questa che presenta tante sfide e necessità.

Preparandoci alla canonizzazione del Beato Giuseppe Allamano il 20 ottobre abbiamo trovato qui quanto a lui stava tanto a cuore per poter essere santi e missionari: l’Eucarestia, la Consolata e lo zelo missionario vissuto con spirito di fede, di sacrificio e di amore e attenzione alle persone.

Alla Consolata e al Beato Allamano affidiamo queste comunità, i missionari e laici che vi lavorano e la Conferenza che inizieremo questo lunedì, 8 luglio nel Centro di Animazione Missionaria di Barquisimeto.

* Padre Michelangelo Piovano, IMC, Vice Superiore Generale.

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“Abbiamo ringraziato il Papa per il suo appoggio durante le guerre e i conflitti nel Paese, siamo una minoranza ma dobbiamo essere luce e sale nella società”, dice il cardinale Berhaneyesus Demerew Souraphiel, acivescovo metropolita di Addis Abeba, che è a Roma ad altri 12 presuli e un sacerdote della Chiesa cattolica etiope in visita ad Limina.

Più di 500 anni fa i cristiani dell’Etiopia viaggiavano fino ad Alessandria, in Egitto, per pregare sulla tomba di San Marco, poi andavano a Gerusalemme per pregare sul Golgota e poi prendevano una nave fino a Roma, per recarsi sulle tombe dei Santi Pietro e Paolo e dei martiri, riposando nel luogo che è ancora il collegio etiopico in Vaticano. “Siamo qui a continuare la storia di questo pellegrinaggio antico”, spiega il cardinale Berhaneyesus, (in un'intervista alla Radio Vaticana). Dopo aver pregato nelle quattro basiliche maggiori a Roma, i vescovi hanno visitato i dicasteri della Santa Sede e, venerdì 28 giugno, sono stati ricevuti da Papa Francesco.

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Il cardinale Berhaneyesus Demerew Souraphiel ospite della Radio Vaticana. Foto: Vatican Media

Eminenza, come è andato l’incontro con il Papa?

Ci ha ricevuto con tanta semplicità e anche umiltà. Eravamo noi, soli con il Papa e abbiamo spiegato la nostra situazione in Etiopia. Lo abbiamo ringraziato anche per il suo appoggio durante le guerre e i conflitti nel Paese, di cui lui ha parlato negli appelli dopo l'Angelus. Lo abbiamo ringraziato e gli abbiamo chiesto di continuare a pregare per noi.

Che cosa avete raccontato della realtà dell'Etiopia?

Noi abbiamo presentato la situazione dell'Etiopia dal punto di vista dei giovani, perché su 120 milioni, il 70% della popolazione è costituito da giovani che vogliono migliorare la loro vita e quella dei loro parenti. Vedono sulla tv e sui social media come vivono in altre parti del mondo e molti vanno nei Paesi arabi e purtroppo lì soffrono perché non sono preparati a lavorare come domestici. Altri vogliono andare in Sudafrica, dove va un po’ meglio, ma anche lì ci sono problemi. Gli altri vanno a nord e attraversando il Sudan e la Libia cercano di arrivare in Europa. Nel XIX secolo molti europei migravano e c’erano alcuni luoghi in Europa disponibili a riceverli e sostenerli, ma tutto questo adesso viene a mancare. Papa Francesco questo lo sa.

Il primo luogo che è andato a visitare, dopo l’elezione, è stato Lampedusa, dove ha offerto dei fiori per tutti quelli che sono morti in mare e dove ha detto a chi governa l’Europa che le migrazioni sono importanti. Dobbiamo fare qualcosa per aiutare la gente, sia in Africa sia in Siria o in altri Paesi. Quando qualcosa riguarda i poveri, ci ha detto, allora dobbiamo essere vicini a loro. Noi siamo accanto ai bambini, che soffrono molto quando non vanno a scuola perché le scuole sono distrutte, siamo vicini alle mamme che non possono andare negli ospedali perché sono distrutti e agli anziani che sono sfollati dai loro villaggi e vivono come stranieri. Gli abbiamo spiegato tutto questo e lui ha detto di continuare a essere vicini alla gente, in mezzo al popolo, così da poter sentire l’odore delle pecore. Un vescovo deve essere così. Non deve scappare ma deve essere tra la gente. Anche se non si possono fare grandi cose, la fraternità e la presenza paterna sono importanti. Lui ha detto così.

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Spazio di amicizia per donne e ragazze vittime dei drammi della guerra in Tigray

Com’è la vita della Chiesa cattolica in Etiopia, che è una comunità minoritaria nel Paese?

Noi siamo minoranza, circa il 2% di 120 milioni di persone. La maggioranza degli abitanti è cristiana: più del 45% sono ortodossi, poi vengono i protestanti, intorno al 18-20%. Abbiamo la responsabilità di essere luce e sale in questo grande Paese. Le sfide sono la povertà e i conflitti e noi, grazie all'appoggio della Chiesa universale, siamo al secondo posto per i servizi sociali che offriamo, come scuole, centri sanitari o centri gestiti dalle suore di Madre Teresa o presidi per lo sviluppo o l’assistenza umanitaria, come la Caritas. In tutto questo siamo chiamati ad essere luce e sale, come Gesù ci ha detto. Non è facile, ma ci stiamo provando.

Lei ha parlato anche dei conflitti che riguardano l'Etiopia, come quello che è avvenuto nel Tigray. Quali sono le ripercussioni per la popolazione?

Il conflitto in Tigray era fra il governo regionale e il governo federale. Una cosa politica, ma chi soffre è il popolo. Grazie a Dio, dopo due anni hanno fatto una pace a Pretoria. L'altro è in Oromia. L’Oromo Liberation Army è in lotta con il governo federale da quattro anni e anche lì chi soffre è il popolo. Hanno cominciato a parlare in Tanzania, ma non sono riusciti ancora a fare la pace. Il terzo fronte adesso, che continua da più di un anno, è nella regione Amhara. Anche lì ci sono i movimenti in conflitto con il governo federale. Speriamo che arriveranno a una soluzione. Noi come Chiesa cattolica non appoggiamo né l’uno né l’altro, ma siamo con il popolo che soffre.

Piuttosto siamo per l’assistenza sociale e per cercare una riconciliazione per il dopo guerra, quando si deve fare non solo la pace, ma anche guarire dai traumi sia chi ha sofferto direttamente nella guerra, come le donne vittime di abusi e i bambini che hanno visto le loro famiglie morire. Questo è importante e non si fa solo a livello di una piccola Chiesa, ma con l'appoggio della Chiesa universale. Si può fare insieme con i tanti missionari che lavorano con noi e che vengono da tutto il mondo.

* Michele Raviart - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: Vatican News

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