Ricordo aver visto recentemente un video di un oratore motivazionale che parlava a un gruppo di giovani donne. Dirigendosi a loro a proposito di come mantenere le rispettive famiglie al sicuro, dopo tante belle esortazioni e inviti all'unità e alla collaborazione fra loro, questo oratore concluse dicendo: “ma ricordatevi che la vera nemica della donna è la donna stessa; fate quindi attenzione a chi vi avvicinate”. 

Queste parole mi hanno ricordato un altro episodio che mi è personalmente accaduto mentre ero in Tanzania: in una conversazione fra giovani missionari uno di loro disse “non dimenticare che il nemico di un prete è un prete”. Era impossibile non vedere la stretta somiglianza di queste affermazioni. Ma perché dico questo? Perché leggendo una lettera che il nostro Fondatore aveva scritto il 27 novembre 1903 ai missionari in Kenya, mi sono imbattuto anche lì in una riflessione molto simile (Lettere ai Missionari e Missionarie della Consolata, N.40).

In quella lettera Giuseppe Allamano esprimeva la sua gratitudine a Dio per le cose buone che aveva fatto per l'Istituto, e incoraggiava i suoi missionari in Kenya a fare altrettanto. Ma a un certo punto riconosceva che nulla di buono accade senza dover attraversare momenti di prova e per questo esortava i suoi missionari a prepararsi “mediante virtù solide e apostoliche” in modo da essere pronti alle prove e alle sfide che certamente verranno.

In quell’occasione il Fondatore ammetteva di non avere il coraggio di chiedere al Signore di mandare prove, sfide e difficoltà che potessero educare i suoi missionari alla perseveranza nello spirito della loro vocazione, così come aveva espressamente fatto Sant’Ignazio di Loyola per la sua “Compagnia di Gesù” ma, aggiungeva, che se fossero state necessarie prove per il nostro Istituto, il Signore le avrebbe permesse a avrebbe anche dato  a tutti la grazia di sopportarle con fortezza e per il maggior bene dell'Istituto. 

Poi completava dicendo che se per la gloria di Dio e per il maggior bene dell'Istituto le prove fossero convenienti, desiderava almeno che queste “provenissero dal mondo, da fuori del nostro Istituto e non dal di dentro, dai suoi membri, come conseguenza della mancanza delle virtù proprie del nostro Stato”. In altre parole, era suo espresso desiderio che all’Istituto fosse impedita la possibilità di afflizioni e sofferenze causate ai membri dell’Istituto da altri membri dell’Istituto. Lui voleva che ogni membro dell’Istituto valorizzasse non solo la sua vita e vocazione, ma anche la vita, la reputazione e la vocazione del suo confratello. Era anche quello un desiderio legato a quello Spirito di famiglia, da lui instancabilmente instillato nell’Istituto, che doveva essere il collante che avrebbe tenuto unita la Famiglia della Consolata per affrontare le prove, le difficoltà e le sfide del “mondo”. 

Concludeva quella parte della sua lettera dicendo: «non avvenga mai che nei nostri membri manchi lo spirito di fede, di carità, di sacrificio e di umiltà, virtù indispensabili agli autentici missionari». Era convinto che questi fossero la spina dorsale della vita comunitaria e dello Spirito di Famiglia. Senza queste qualità, non aveva importanza ciò che l’Istituto avrebbe potuto fare. Sarebbe stato tutto inutile, e nessun progetto realizzato sarebbe servito alla santificazione dei suoi membri. Per Giuseppe Allamano, solo una famiglia felice e armoniosa sarà anche uno strumento efficace di Dio nel mondo. Quando Giuseppe Allamano scriveva quella lettera l’Istituto aveva in missione 10 sacerdoti, 6 fratelli e 2 seminaristi più un altro piccolo gruppo che a Torino si stava preparando per la prossima partenza... invece oggi siamo attorno ai novecento missionari! Dobbiamo quindi ringraziare il Signore per i passi compiuti dall'Istituto, ma non dimenticare questa ispirazione del Fondatore; quel “desiderio” dovrebbe essere ancora oggi il nostro sogno e il nostro obiettivo; nell’Istituto evitare diventare fonte di lacrime, dolore e sofferenza gli uni per gli altri.

Quelle virtù che il Fondatore indicava –lo spirito di fede, di carità, di sacrificio, di umiltà– non solo ci rendono autentici missionari presso il popolo di Dio, ma anche autentici testimoni del Vangelo all’interno delle nostre comunità. Mai dovremmo dire che “il nemico del missionario è il missionario”.

* Padre Jonah M. Makau, Missionario della Consolata (Roma)

Lettera del Papa Pio XI a Giuseppe Allamano in occasione dei 50 anni di ordinazione. Il testo originale latino della lettera, seguito dalla traduzione italiana, fu pubblicato in apertura del fascicolo di settembre 1923 del La Consolata.

Diletto Figlio, salute ed apostolica benedizione.

Ricorrendo il giorno 20 del prossimo mese il cinquantesimo natale del tuo sacerdozio, approfittiamo di quest’occasione veramente bellissima per attestare pubblicamente la Nostra benevolenza verso di te, della quale tu Ci sembri degno in modo particolare per le moltissime benemerenze che, durante questo lungo spazio di sacerdotal ministero ti sei acquistate verso la Chiesa di Dio, nonché nell’umano e civile consorzio. A te, infatti, eletto da 43 anni Rettore del Santuario della Consolata –la qual carica ancor oggi con somma diligenza copri– e all’ardente tua pietà verso la BeataVergine, i Torinesi danno il merito di aver non solo ampliato e quasi dalle fondamenta restaurato cotesto Santuario, ma ancora di esserti adoprato con ogni cura ad ornarlo di opere d’arte e di preziosissimi marmi rivestirlo. 

Questa tua lode, per quanto grande, é tuttavia da porsi in secondo luogo, se confrontata coll’assidua opera e sollecitudine che tu hai spesa per sì lungo tempo, sia per la salute delle anime che per promuovere l’educazione e santificazione del Clero. In te, infatti, cui pare abbia lasciato erede del suo spirito l’illustre zio Giuseppe Cafasso, non appena incominciasti l’esercizio del sacro ministero, ebbero i chierici del seminario di Torino un sapiente maestro di pietà; dal tempo poi in cui Rettore della Basilica della Consolata, assumesti la direzione dell’attiguo Convitto Ecclesiastico, è mirabile quanto tu abbia lavorato e quanto affaticato ti sia ti sia per arricchire di dottrina e di virtù i sacerdoti che quivi sono educati. Cosicché a centinaia e centinaia si contano i sacerdoti - tra i quali molti vescovi ed arcivescovi - che godono d’essere stati da te formati ad una vita degna di uomini ecclesiastici. 

Tutto questo però, che abbiam con lode menzionato, non bastava ancora al grande amore di cui tu ardi per le anime, ed ecco che nell’anno 1901 fondavi l’Istituto dei Missionari, e nel 1910 quello delle Suore missionarie, entrambi denominati “della Consolata”, per le Missioni Estere; e tale è gia il numero dei Missionari e delle Suore partiti per le terre infedeli, e con tale ardore disimpegnano i faticosi doveri dell’apostolato che i tuoi, o diletto Figlio, benché scesi gli ultimi sul campo, non sembrano cederla né poco né punto ai veterani di altri Istituti. 

Considerando dunque tutti questi meriti, Ci è lecito arguire di quanta gioia debba essere apportatore questo prossimo evento sia all’animo dei Torinesi, che ai vecchi e giovani alunni e figli tuoi. Ai voti ed alle felicitazioni dei quali uniamo i voti e le felicitazioni Nostre, con l’augurio che tu abbia a godere per lungo tempo ancora della comune venerazione e del comune amore, e che, quanto ti resterà di vita, tutta possa spenderla a procurare alla Chiesa, con quello zelo che ti e proprio, i maggiori benefizi.

E intanto, pegno delle celesti grazie e prova del Nostro paterno affetto a te, Diletto Figlio, al Convitto e agli Istituti di cui sei Superiore, impartiamo di gran cuore l’apostolica Benedizione. 

Dato in Roma presso San Pietro il 5 agosto dell’anno 1923, il secondo del Pontificato nostro.  Papa Pio XI

I fratelli religiosi degli Istituti Missionari di Fondazione Italiana, missionari Comboniani, della Consolata, del PIME e Saveriani, si sono riuniti a Roma per un convegno nazionale. Il convegno aveva come tema: “Fratelli in una Missione comune: in cammino con la Laudato Si”. Il convegno è iniziato il 26 settembre 2023 presso la casa generalizia dei Missionari della Consolata.

Sedici fratelli appartenenti ai quattro Istituti Missionari di Fondazione Italiana hanno partecipato a questo incontro.

È stato un momento di grazia e di condivisione fra noi fratelli”  ha detto uno dei fratelli.

“Siamo sempre impegnati con tante cose da fare e a volte ci dimentichiamo di partecipare ad un incontro come questo nel quale ci si trova e si ha l'occasione di imparare dagli altri. “Questo è un tempo favorevole di aggiornamento dopo la fatica e il peso delle nostre attività missionarie” ha aggiunto un altro  fratello.

L'iniziativa di questo convegno dei fratelli è nato dal desiderio di analizzare insieme le problematiche attuali relative al nostro essere fratelli missionari e dal desiderio di conoscere il cammino dei fratelli all’interno dei diversi Istituti.

Questo convegno è il secondo dopo quello del 2019 che aveva come tema: “Identità e Missione del Fratello Religioso nella Chiesa”.

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Contributi di alcuni esperti

Durante il convegno, per vivere bene questo momento di fraternità e di condivisione, sono intervenuti nella riflessione  alcuni esperti.

Il Dottor Lucio Lamberti, economista e docente, ci ha presentato l’enciclica “Laudato Si” e ha sottolineato che la dottrina sociale della chiesa ha avuto da sempre un focus sul rapporto tra uomo e creato.

Ecco perché l’argomento principale trattato è l’interconnessione tra crisi ambientale della Terra e crisi sociale dell’umanità, ossia l’ecologia integrale. Papa Francesco ha precisato infatti  che “non si tratta di un’enciclica verde ma di un’encicla sociale”

Fratel Alberto Parise, comboniano, nella sua presentazione si è focalizzato sulla piattaforma di azione, percorsi di attuazione dell’enciclica. Ci ha fatto conoscere come possiamo partecipare a questa piattaforma in quanto comunità missionarie, ma anche l’importanza di andare oltre alle singole azioni virtuose per fare sistema.

Don Giacomo Incitti, canonista, ha basato la sua relazione sull’aggiornamento sulla questione “Istituti Misti” e considerazioni riguardo il rescritto di Papa Francesco.

Nel tempo dedicato ai lavori di gruppo si sono condivise le esperienze e le situazioni missionarie.


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Messa di chiusura

“Vi incoraggio a continuare con lo stesso spirito missionario e di fraternità”.

Il 28 settembre 2023, dopo un momento di aggiornamento e di fraternità, siamo giunti alla fine del nostro secondo convegno nazionale dei fratelli degli istituti missionari di fondazione italiana. Abbiamo reso grazie a Dio per il dono della vocazione e per tutto quello che ci ha fatto compiere fino ad oggi.

Con canti di gioia, i fratelli hanno celebrato la Messa di chiusura presieduta da P. James Lengarin Bhola, Superiore generale dei missionari della Consolata e concelebrata da P. Fernando García Rodríguez, Superiore generale dei missionari Saveriani.

Durante la sua omelia, Padre James ci ha incoraggiato dicendo : “ È bellissimo vedere i fratelli riuniti per 3 giorni di convegno; vi incoraggio a continuare con lo stesso spirito missionario e di fraternità”. Dobbiamo essere pronti a cercare l’interesse del Signore nella nostra vita attraverso la nostra consacrazione affinché continuiamo ad essere testimoni veri e credibili del Signore.

20 Settembre 2023: celebriamo i centocinquanta anni di Ordinazione sacerdotale del Beato Giuseppe Allamano. Mentre stiamo ancora godendo la notizia dell'approvazione, da parte del Dicastero per le Cause dei Santi, del miracolo che dovrebbe portarlo alla canonizzazione, è importante riflettere sulla connessione dei due eventi: per lui, ma soprattutto sulle loro implicazioni nella nostra vita. 

Vale la pena ricordare che, il 10 agosto 1973, padre Mario Bianchi, allora Superiore Generale dell’Istituto, aveva scritto una lettera commemorativa, nella quale invitava i missionari a celebrare il centenario dell’ordinazione sacerdotale del Fondatore. Aveva, inoltre, invitato tutti, i missionari che condividevano con il Fondatore lo stesso sacerdozio ministeriale, i fratelli e le suore che partecipavano al carisma missionario del Fondatore, e gli studenti, che si preparavano ad essere futuri Missionari della Consolata, a riflettere sul sacerdozio nella vita e spiritualità dell’Allamano e sulla sua presenza nell’Istituto. 

È con grande gioia che noi suoi missionari, cinquant'anni dopo, celebriamo ancora questo evento. Ogni periodo cinquantenario rappresenta un Giubileo, che segna la fedeltà di Dio nella vita di una persona, festeggiando, altri cinquant'anni dopo, lo stretto rapporto tra santità e sacerdozio.

Un santo è una persona che viene identificata dalla Chiesa, dopo la sua morte, come un esempio di fede, morale e impegno cristiano. Il sacerdote è una persona che si offre generosamente nel servizio al popolo di Dio, che offre fedelmente il sacrificio eucaristico e la preghiera per il bene della Chiesa, portando speranza alle persone, in cui il calore dell'amore di Dio, la misericordia e il perdono non si sentono. 

Questo è il motivo per cui Il sacerdozio dell’Allamano è un aspetto da meditare. Fu, con tenacia e passione, un vero sacerdote. La sua vita in seminario fu fatta di esercizi ascetici che prepararono il suo essere al ministero sacerdotale che lo attendeva. Ciò era evidente nel suo impegno generoso e sistematico verso la perfezione e la santità, nel suo duro lavoro e sacrifici quotidiani.

Consapevoli del nostro sacerdozio ‘comune e ministeriale’, ci rendiamo subito conto di quanti passi verso la santità l'Allamano avesse fatto fin dall’inizio del suo cammino verso il sacerdozio. La sua vita sacerdotale fu notevole. Si distingueva per la sua unità, armonia ed equilibrio tra contemplazione e azione. Era un riflesso della sua vita interiore e del suo intimo rapporto con Dio attraverso la preghiera. Era centrato nell'Eucaristia e nell'amore per la Consolata.

Siamo tutti d'accordo sul fatto che la dottrina dell’Allamano sul sacerdozio fosse piuttosto tradizionale, anche se aperta ai problemi del tempo. A differenza di oggi, quando i missionari sono valutati e pesati per il lavoro che svolgono e non per quello che sono, la visione del sacerdozio dell’Allamano metteva in primo piano la persona del sacerdote. Per lui, la dignità del sacerdote era regale, angelica e divina; in quanto tale, non è mai stata concepita in senso trionfalistico, ma in senso dinamico: dall’impegno per la santificazione personale prima, e poi per il ministero pastorale in mezzo al popolo di Dio. Il nostro Fondatore capì questo segreto, e per questo continuava a ricordare ai suoi missionari che se non fossero stati buoni religiosi, sarebbero diventati dei pessimi missionari. 

La celebrazione del sacerdozio del nostro Fondatore ha implicazioni concrete sulla nostra vita e sul nostro ministero, offrendoci ispirazione e orientamenti per la nostra vocazione missionaria. Questo perché, in virtù e con la grazia del carisma di fondazione ricevuto da Dio, il Fondatore è molto presente tra noi, nell’Istituto da lui fondato. La presenza di un padre in una famiglia ha un valore innegabile, come esempio e guida. 

La sua vita vuole sfidarci, perché anche noi possiamo rendere anche la nostra, via alla santità. Il suo spirito meditativo, strutturato sul silenzio profondo e sul raccoglimento, costituisce la tonalità della sua spiritualità missionaria. Questo ovviamente ci ricorda la necessità di fare bene il bene, senza pubblicizzarlo e senza aspettarsi eloghi, o altro. L’esempio dell’Allamano in questo è limpido ed evidente, era davvero all'altezza del compito. Ecco perché Egli è il nostro miglior esempio di come seguire Gesù fedelmente e come servire il popolo di Dio, con impegno.

In secondo luogo, l’Allamano non poteva immaginare un prete senza la Chiesa. Il suo amore per essa era evidente a tutti, cominciando dalla sua diocesi nella quale ha servito tutta la vita, alla Chiesa universale, alla quale ha offerto i suoi figli come prolungamento di sé stesso. Oggi, quindi, il nostro Fondatore esige amore per la Chiesa. 

L’amore dell’Allamano per la Chiesa era evidente attraverso il suo zelo nel servire in qualunque incarico gli venisse richiesto. Per noi l'amore alla Chiesa non può essere separato dall'amore all'Istituto, perché serviamo la Chiesa negli incarichi particolari che ci vengono affidati.

Terzo, il sacerdozio dell’Allamano dimostra cosa vuol dire essere docili allo Spirito di Dio. Come tale, che attraverso i superiori orienta la volontà di Dio per noi. Come il Fondatore che si aprì alle ispirazioni dello Spirito Santo, dobbiamo imparare che la docilità alla voce di Dio e il coraggio di fare ciò che dice è molto più importante che aderire rigidamente ai propri progetti, che finiscono per diventare monumenti di orgoglio che non durano. La docilità allo Spirito di Dio e il coraggio di compiere la volontà di Dio richiedono flessibilità da parte nostra. Solo chi è sufficientemente flessibile è in grado di sacrificare i propri desideri, sogni e ambizioni per realizzare ciò che lo Spirito gli indica anche se non è ciò che avrebbe desiderato. In altre parole, la docilità allo spirito e il coraggio di fare la volontà di Dio ci chiamano alla disponibilità e alla flessibilità.

Infine, il sacerdozio dell'Allamano ci ricorda l'importanza fondamentale dello spirito di famiglia. La comunità del Santuario della Consolata a Torino ha offerto sia all’Allamano come al Camisassa lo spazio in cui avrebbero servito il popolo di Dio lì presente. Quella comunità è stata il fondamento di quanto ha fatto il nostro Fondatore nella diocesi e nell'Istituto. In altre parole, quella comunità poteva creare o distruggere non solo la serenità vocazionale necessaria per il suo buon lavoro, ma anche il suo servizio al popolo di Dio nel Santuario. Vale a dire, la salute di una comunità determina la possibilità o l'impossibilità della santificazione personale e della prestazione apostolica.

 Grazie a Dio, la comunità del Santuario della Consolata di Torino è stata un ‘forum’ positivo dove è stata apprezzata la correzione fraterna e l'amicizia è maturata in fraternità. Questi finirono per diventare trampolini di lancio verso la santità. Precisamente, il sacerdozio dell’Allamano ci insegna che la vita missionaria è possibile e più facile dove si coltiva lo spirito di famiglia.

Mentre celebriamo questo importante anniversario, chiediamo a Dio che, attraverso l'intercessione del nostro Fondatore e della Consolata, anche noi possiamo trasformare le nostre comunità traballanti in cammini verso la santità.

 

In Africa gli sguardi parlano

Gli sguardi hanno un potere immenso nel rivelare ciò che le parole non possono esprimere. Questi sguardi, carichi di stupore, curiosità e autenticità, mi mostrano che in questo angolo del mondo, la connessione umana si forgia attraverso gli occhi, un linguaggio universale profondo e misterioso.

Appena arrivato in Africa, sono andato a visitare i giovani italiani che ho accompagnato nella loro formazione e preparazione per la loro esperienza nel continente. Erano già stati diverse settimane nel paese, quindi li ho visitati presso il "Centro Cottolengo", un luogo specializzato per bambini orfani affetti da HIV/AIDS. Tra abbracci, risate e sorprese, mi hanno mostrato il luogo. Dopo aver salutato i bambini e osservato le attività che stavano svolgendo, ho chiesto a alcuni di loro cosa li avesse colpiti di più fino a quel momento. Molti di loro hanno risposto cosí: "il modo in cui le persone, soprattutto i bambini, ti guardano; i loro sguardi hanno uno splendore speciale".

Credo che chiunque abbia avuto l'opportunità di trovarsi in missione si sia imbattuto in uno sguardo affascinante. È difficile spiegare come ti guardino: sono sgardi di stupore, curiosità o novità, ma è certo che ti guardano direttamente negli occhi. È uno sguardo che parla, comunica, trasmette, confonde. Mille pensieri attraversano la tua mente, non puoi tradurre quell'occhiata in parole ma resta impressa nella tua mente e nel tuo cuore. Dietro ogni sguardo, c'è una storia da raccontare. Sono testimonianze silenziose di vite, piene di passione, gioia, tristezza e speranza.

Oggi, nei nostri paesi e nelle grandi città, abbiamo perso la capacità di guardarci negli occhi, qualcosa che un tempo era essenziale per l'umanità. Nella comunicazione digitale, non abbiamo nessuno di fronte a noi; assumiamo una realtà incorporea. Sempre più spesso ci immergiamo in queste rappresentazioni virtuali. Gli sguardi vengono sostituiti da emoticon e GIF, e le parole scritte rimpiazzano l'intonazione della voce e i gesti espressivi. Tra avatar e filtri, costruiamo la nostra quotidianità.

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È vero che la comunicazione digitale ci offre vicinanza e la possibilità di creare reti e condividere idee, il che è qualcosa di magico. È diventata parte fondamentale della nostra vita, specialmente per coloro che sono lontani da casa. Tuttavia, cela un potere silenzioso che tutti utilizziamo; il controllo delle nostre interazioni. Oggi dobbiamo chiedere il permesso per chiamare le persone e allontanarsi dal mondo è diventata una possibilità. Possiamo rispondere ai messaggi quando vogliamo, attivare filtri per i commenti, silenziare i profili e creare liste esclusive, ci immergiamo nella dinamica di accettare o rifiutare, cosa che non accade nella presenza fisica, anche se le tecnologie ci offrono la comodità della comunicazione in qualsiasi momento e luogo, spesso sacrificando la nostra capacità di guardare nel mondo reale.

È difficile tornare indietro nel tempo, poiché non possiamo immaginare una vita senza internet. Allo stesso tempo, sentiamo il bisogno di guardarci, non attraverso uno schermo, ma di persona. Cercando quegli sguardi che creano legami, complicazioni che scatenano amori, quegli sguardi che stabiliscono una connessione unica, una danza invisibile e fugace, sguardi che ispirano, suscitano empatia e ci ricordano che, nonostante le nostre differenze, condividiamo tutti la stessa umanità.

Imparare a guardare senza pregiudizi né supremazie è la grande sfida che l'umanità affronta. Oggi, l'Africa mi invita a imparare di nuovo a guardare, a continuare ad ampliare i miei orizzonti, questa volta non guardando il mare ma contemplando e camminando nella savana africana, con curiosità, stupore e ammirazione, sono le qualità di questi sguardi. È nel percorso che imparo a guardare con il cuore, come diceva la volpe al Piccolo Principe: "Si vede bene solo con il cuore, l'essenziale è invisibile agli occhi".

"Che queste fotografie ti ispirino a coltivare il tuo sguardo, trovando in esse l'autenticità in ogni espressione e scoprendo la ricchezza della connessione umana nel mondo che ti circonda."

* Francisco è laico Missionario della Consolata in Kenya

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