I missionari della Consolata celebrano con gioia e gratitudine a Dio, dieci anni di presenza in Angola (2014-2024).
In risposta all'XI Capitolo Generale del 2005 tenutosi a San Paolo (Brasile), si sono aperte nuove strade nel Continente Africano, con l’apertura di una nuova presenza dei missionari della Consolata in Angola. Era il 1° agosto 2014 quando i primi tre missionari, padre Fredy Gomez (Colombiano), padre Dani Romero (Venezuelano) e padre Sylvester Ogutu (Keniano), sono arrivati nella diocesi di Viana. Lì hanno iniziato la loro missione nella neonata parrocchia di Santo Agostinho, situata alla periferia di Luanda, nel quartiere di Capalanga.
Dopo due anni, nel 2016, è stata avviata una seconda missione nella diocesi di Caxito, nella zona agricola di Funda, dove è iniziata la nuova parrocchia della Consolata. Desiderosi di riaffermare il carisma ad gentes dei missionari della Consolata di una missione oltre i confini, nel 2018 fu iniziata una nuova avventura missionaria nella diocesi di Luena nell'Angola orientale, esattamente nel remoto territorio di Luacano, con la creazione della parrocchia di Santa Maria Madre di Dio.
Siamo grati a Dio per le meraviglie di questi primi anni di missione, per le gioie e i dolori, per i sogni e per la grande apertura e accoglienza del popolo Angolano. La missione della Consolata in Angola ha come obiettivo principale l'evangelizzazione e la promozione umana, aiutando a consolidare la Chiesa locale, creando nuove comunità cristiane e accompagnando famiglie e giovani.
"Dieci anni di missione, dieci anni di consolazione, dieci anni di evangelizzazione"
Il Beato Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, ha sempre incoraggiato i suoi figli e le sue figlie a elevare l'ambiente circostante nella loro evangelizzazione. Questa è stata una delle grandi sfide e dei compiti portati avanti in questi anni in Angola. Le attività sociali e umanitarie più importanti della missione in Angola comprendono il prendersi cura dei bambini malnutriti, la formazione e l'emancipazione delle donne in vista di una loro autonomia, l'alfabetizzazione e l'accompagnamento dei giovani.
Nel 2014 abbiamo iniziato la nostra missione in Angola durante l'anno dedicato al Beato Giuseppe Allamano. Ora, nel 2024, mentre celebriamo dieci anni di presenza, abbiamo la grata notizia della canonizzazione del nostro Fondatore da parte di Papa Francesco a Roma il 20 ottobre prossimo. Questo è un grande segno che il nostro Fondatore e la nostra Madre Consolata continuano a benedire, curare e proteggere i loro missionari.
Questa gioia non è solo nostra, dei missionari della Consolata in Angola, ma di tutta la Famiglia della Consolata, che rimane fedele al carisma ricevuto dallo Spirito Santo attraverso la Consolata e il Beato Allamano.
Dieci anni di missione, dieci anni di consolazione, dieci anni di evangelizzazione. Continuiamo il nostro cammino con la stessa fede, dedizione e amore che ci hanno portato fin qui, cercando sempre più di annunciare il messaggio di speranza e consolazione in ogni angolo dell'Angola.
I cattolici della diocesi di Viana a Capalanga e della diocesi di Caxito a Funda si sono riuniti domenica 4 agosto 2024 per celebrare, con gioia e gratitudine a Dio, il decennio di presenza dei Missionari della Consolata in Angola.
La celebrazione di ringraziamento tenutasi nella parrocchia di Santo Agostinho, nella diocesi di Viana, è stata presieduta dal Superiore, padre Sisto Elias, giunto dal Mozambico appositamente per rappresentare la Regione del Mozambico e dell'Angola. Egli ha dato testimonianza della dedizione e del duro lavoro di evangelizzazione e promozione umana svolto dai missionari in questi dieci anni.
Nella sua omelia, padre Sisto ha espresso la sua profonda gratitudine al popolo Angolano per aver accolto i missionari e aver camminato con loro in questa missione fatta di evangelizzazione e promozione umana. Ha evidenziato le sfide affrontate e i risultati raggiunti, sottolineando l'importanza della collaborazione e dello spirito comunitario.
Alla celebrazione erano presenti i padri Fredy Gomez, Dani Romero, John Kyara e Douglas Getanda, punti di riferimento della missione in Angola, e dalla lontana missione di Luacano, i padri Fernando Chissano e Bernard Maina. Tutto questo simbolizza la continuità e l'impegno dell'Istituto Missioni Consolata nel portare avanti la sua missione evangelizzatrice in questa terra d’Angola.
L’augurio è che la missione dei Missionari della Consolata continui a prosperare, portando speranza
A seguito della Messa, ci fu un momento di agape fraterna, segno della comunione e dello spirito di fraternità che caratterizzano le comunità cattoliche locali. Nel pomeriggio poi, si sono svolti attività ricreative, tra cui esibizioni di canti, e manifestazioni culturali e religiose. Queste attività non sono state solo una rappresentazione delle varie realtà culturali delle nostre comunità, ma hanno anche rafforzato i legami di amicizia e solidarietà tra tutti i partecipanti.
Alla celebrazione ha partecipato anche un gruppo di giovani volontari Italiani del "Servizio Empegnase", la cui partecipazione ha sottolineato il carattere internazionale e interculturale della missione dei Missionari della Consolata. La celebrazione del decimo anniversario è stata un'occasione per ringraziare Dio per le benedizioni ricevute e per rinnovare l'impegno nella missione.
La comunità ha espresso un fervido desiderio che la missione continui a dare frutti a Capalanga, Funda e Luacano, chiedendo a Dio un aumento delle vocazioni missionarie. Questo evento non è stato solo la celebrazione del passato, ma anche uno sguardo al futuro con speranza e determinazione, con il grande desiderio di rafforzare la presenza e l'opera dei missionari della Consolata in Angola.
L’augurio è che la missione dei Missionari della Consolata continui a prosperare, portando speranza, fede e amore alle varie comunità. La celebrazione di questi dieci anni è una pietra miliare significativa, ma anche un promemoria del fatto che c'è ancora molto da fare e molte persone a cui annunciare il Vangelo.
* Padre Dani Romero, IMC, missionario venezuelano in Angola.
Dopo 6 ore di attesa a causa del maltempo, il piccolo aereo a quattro posti è partito da Boa Vista verso la Missione di Catrimani (in linea retta circa 150 chilometri), un'area all'interno dello Stato di Roraima, nella terra degli indigeni Yanomami che fa parte della grande Amazzonia brasiliana.
In questa regione i missionari della Consolata Italiani, Giovanni Calleri e Bindo Meldolesi fondarono, nel 1965, una missione molto speciale sulle rive del fiume Catrimani. Ed è lì che i missionari della Consolata sono presenti tra gli indigeni Yanomami da quasi 60 anni, accompagnando alcune comunità di questa etnia, vivendo in semplicità e vicinanza l'inevitabile incontro tra una cultura basata sulle tradizioni secolari che vive in armonia con un ambiente impegnativo come la foresta amazzonica e una cultura occidentalizzata basata sul consumo e sullo sfruttamento di tutto ciò che può generare profitto e guadagno economico.
Pochi giorni di visita non sono ovviamente sufficienti per comprendere tutte le dinamiche che i missionari hanno sviluppato in tutti questi anni nel territorio, ma ci danno alcuni elementi che illuminano la scelta di questa équipe missionaria di essere presente tra gli Yanomami in semplicità, quasi in silenzio, e senza grandi pretese a livello di successi pastorali (intesi come numero di battesimi nell’anno o nella costruzione di cappelle e centri di culto, etc.).
Oltre a essere presenti sul territorio in un atteggiamento di dialogo e fornendo alcuni servizi come l'assistenza sanitaria o risolvendo alcune delle necessità quotidiane di base, il loro l'obiettivo è quello di aiutare a rafforzare e preservare le loro tradizioni con incontri di formazione su temi specifici che riguardano la comunità, soprattutto con giovani e donne, affinché possano affrontare le sfide che provengono dall'invasione dei "garimpeiros" illegali che causano la distruzione dell’ambiente, l'inquinamento dei fiumi e minacciano la vita stessa delle comunità Yanomami. Tutto ciò, assieme alle difficoltà di fornire assistenza sanitaria, sta creando una disastrosa crisi umanitaria.
Senza dubbio, chi beneficia maggiormente in questo incontro e dialogo di vita è certamente l'équipe missionaria stessa, e i nostri due Istituti, perché arricchisce il nostro carisma ad gentes in un dialogo di spiritualità con un popolo che, pur non avendo la parola "religione", né strutture religiose e liturgiche in senso stretto come le nostre, ha una cosmologia che definisce l'essere umano come colui che porta in sé un tesoro immortale. Gli Yanomami credono che il Trascendente, l'Artigiano (Omama) che ha creato il mondo e tutto ciò che vi coesiste, sia anche il mentore di una vita dignitosa e infinita.
Un grande grazie all'Equipe Missionaria Catrimani (P. Bob Mulega, P. Filbert Nkanga e Fr. Ayres Osmarin; Sr. Mary Agnes, Sr. Suzana Kihoo e Sr. Argentina Paulo) per l'accoglienza e la fraternità che abbiamo sperimentato in questi giorni; anche perché ci incoraggiano a continuare a credere profondamente che il nostro carisma missionario e la spiritualità della consolazione, ereditati dal nostro Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano, che verrà proclamato santo il 20 ottobre, sono ancora validi e attuali per il mondo di oggi. Qui si impara ad accogliere il bene e a riconoscerlo in tutti e in tutto; ma allo stesso tempo a individuare il male attraverso il grido del popolo e della terra, nostra "Casa Comune", perché, come dice Papa Francesco, “tutto è interconnesso”, il mondo visibile e quello invisibile o spirituale.
* Padre Juan Pablo De Los Ríos, IMC, Consigliere generale per l'America.
Visita a Sorino Yanomami che ha ricevuto la grazia della guarigione per intercessione del Beato Allamano
Prima di imbarcarci in questa avventura missionaria, la preparazione va oltre l’aspetto materiale. È un processo di alleggerimento dello spirito, di liberarci da ciò che è superfluo e di aprirci a ciò che è essenziale. Questo viaggio non solo trasforma l’ambiente circostante, ma trasforma noi stessi.
Nel cammino della missione, fare le valigie è più che riempire una valigia. È selezionare ciò di cui abbiamo veramente bisogno: non solo vestiti e medicine, ma anche una spiritualità rafforzata e un cuore aperto. Mettendoci alla presenza di Dio, chiediamo la sua guida costante e la sua compagnia in ogni passo. Riflettiamo su ciò che ci aspetta, lasciandoci alle spalle le aspettative e aprendoci all’ignoto. Questo viaggio è un’opportunità unica per imparare, crescere e scoprire il vero significato della vita nella missione.
Dopo mesi di preparazione, è arrivato il momento di partire. Lasciamo ciò che conosciamo e ci addentriamo nell’ignoto, con un misto di emozione e aspettativa. Ogni passo ci avvicina a incontri che segneranno la nostra vita. In questo cammino, cerchiamo la presenza di Dio in ogni dettaglio, confidando che ci guiderà e ci darà forza. Ci apriamo a nuove culture, a nuovi modi di vedere il mondo, sapendo che in ogni interazione stiamo già vivendo la missione.
La missione ci sfida a mettere in discussione tutto: la nostra vita, le nostre relazioni, le nostre finalità. Ogni incontro è un seme che germina dentro di noi, trasformandoci a poco a poco. Questo è il potere della missione: ci aiuta a crescere, a valorizzare l’essenziale e a liberarci da ciò che ci limita. Ci chiediamo quali tracce vogliamo lasciare nel mondo e come possiamo servire gli altri in modo più significativo.
La missione ci insegna a viaggiare leggeri, sia fisicamente che emotivamente. Liberando le nostre valigie da oggetti inutili, diamo spazio a esperienze indimenticabili e relazioni autentiche. Questo viaggio ci invita a semplificare la nostra vita, a trovare la felicità nelle piccole cose e a condividere generosamente ciò che abbiamo.
Iniziando questo viaggio, ci apriamo a essere trasformati dalla missione e a lasciarci toccare dal maestro Gesù. Che ogni momento vissuto ci ispiri a vivere con un cuore leggero e una mente aperta. Che possiamo imparare a valorizzare la semplicità, a trovare ricchezza nella diversità e a servire disinteressatamente. Che questa esperienza ci segni per sempre e ci spinga a continuare a crescere come persone e come esseri spirituali.
* Francisco Martínez, laico missionario della Consolata colombiano in Kenya.
Il porporato, della congregazione dei Missionari della Consolata, ragiona sugli aspetti positivi e di gratitudine suscitati dall’esperienza missionaria. «Si vede all’opera lo Spirito Santo»
«Una delle parole chiave del cristianesimo, forse la prima, è “grazia”, il ricevere, in Cristo, qualcosa di non dovuto, addirittura la vita divina, la comunione con Dio. Per questo la nostra esistenza diventa graziosa e si accompagna al rendimento di grazie, movimento del cuore che riconosce la grazia originaria, che ci precede». Inizia con queste parole la riflessione sulla gratitudine del cardinale Giorgio Marengo, missionario della Consolata, residente dal 2003 in Mongolia dove per 14 anni è stato parroco nel villaggio di Arvaiheer.
Attraverso l’accompagnamento di uomini, donne, bambini che si volgono al Signore provenendo da esperienze molto lontane dal cristianesimo, si ha la grande grazia di vedere lo Spirito Santo all’opera nella vita delle singole persone e di interi gruppi umani. La considero un’esperienza bellissima, impagabile, che per me è motivo di gratitudine profonda. Il fondatore dei missionari della Consolata, il Beato (presto santo) Giuseppe Allamano, riteneva che la missione ad gentes fosse qualcosa di “eminentissimo”: usava il superlativo proprio per indicare il grado di intensità con cui si coglie lo Spirito all’opera e si assiste allo sbocciare della fede nel cuore delle persone. Vi è anche un secondo speciale motivo per cui essere sommamente riconoscenti: la vita missionaria allarga gli orizzonti del cuore e della mente. Ci si immerge in culture, tradizioni, usi, costumi diversi e ciò costituisce un enorme arricchimento sul piano umano.
Chiesa rotonda a forma di ger a Arvaikheer in Mongolia. Foto: Archivio IMC
Sì: quando le persone incontrano Gesù e cominciano a seguirLo, rileggono tutta la loro vita alla luce del Vangelo e si rendono conto di come il Signore le ha aspettate, come ha preparato le condizioni affinché venissero a Lui, come riscrive il loro sguardo sul futuro. Diventano persone estremamente luminose e infinitamente grate. Ricordo una signora di Arvaiheer, una delle prime a ricevere il battesimo: aveva abbracciato la fede con grande entusiasmo e riconosceva – con immensa gratitudine – come, grazie alla fede, tutto per lei fosse cambiato, come, ad esempio, non temesse più come prima la morte perché ora sapeva Chi e cosa l’attendeva. La riconoscenza spontanea e gioiosa di chi inizia la propria storia con Gesù ci può insegnare a rammentare la reale grandezza del dono della fede.
Penso di sì. Quando si vive con intensità il momento presente riconoscendo in esso il dono della fede e la presenza del Signore, è possibile superare il senso di sconforto e di smarrimento che può nascere per il fatto di essere pochi. Bisogna però riscoprire la profondità, la bellezza, la forza del dono della fede, e la felicità e la gratitudine per averlo ricevuto: così sapremo poi trovare le forme più adatte per adeguarci a una diversa condizione storica. Penso inoltre che sarebbe opportuno ricordare un fatto: quanti patiscono per essere diventati una minoranza rimpiangono un passato di grandi numeri che è stato un fenomeno circoscritto, in Italia, a un periodo determinato, caratterizzato dall’abbondanza di vocazioni sacerdotali, dalla nascita di numerose diocesi e di strutture assistenziali e sociali. Ma nei suoi duemila anni di storia, la Chiesa – nel mondo – è sempre stata realtà piccola, è sempre stata lievito nella pasta. L’importante, appunto, è essere lievito, è la fedeltà al Vangelo.
Sì, la tentazione esiste, specie nel contesto occidentale, dominato dall’efficientismo, che inevitabilmente condiziona la mentalità di tutti. Sono convinto però che questa sia una tentazione radicale che può maturare in qualsiasi contesto sociale: c’è infatti sempre il rischio, nell’opera di evangelizzazione, di concentrarsi sui passi successivi da compiere perdendo così la capacità di apprezzare la pienezza e la ricchezza del momento presente e tutte le abbondanti grazie e consolazioni che il Signore dà ad ogni passo compiuto, anche quando esso è molto faticoso. Inoltre c’è sempre il rischio di trasformare la propria dedizione in un idolo e di credere dunque che tutto dipenda da noi. Per mettersi al riparo dal rischio di perdere la letizia della semina e la gratitudine per l’essere inviati penso sia necessario percorrere una strada: cercare e ritrovare la verità più profonda di noi stessi recuperando e riscoprendo il valore di esperienze come, ad esempio, quella della vera amicizia, della preghiera o di una vita semplice, anche un po’ spartana. Queste esperienze di base aiutano a cogliere la verità più profonda della nostra vita: tutto ciò che siamo lo abbiamo ricevuto, tutto è grazia, è dono.
Il card. Marengo presenta al Papa alcuni malati della Casa della Misericordia in Mongolia.18 settembre 2023. Foto: OSV
Sì. Come si legge in un salmo, noi non potremo mai ripagare il Signore per il dono della vita, non potremo mai onorare completamente quanto riceviamo da Lui, però la forma più adeguata per farlo è cercare di voler bene come, a nostra volta, siamo amati da Dio, quindi con gratuità, fedeltà, perseveranza. E con il per-dono, il super dono che fa realmente rinascere. In Mongolia quando le persone, con la fede, scoprono che la vita non è determinata da un fato immutabile, ma che esiste il perdono, che la vita può sempre ricominciare per la grazia di Dio, provano una grande felicità. Qui il sacramento della confessione è molto amato.
L’icona che mi viene in mente è quella del buon ladrone che sulla croce, con umiltà, dice a Gesù “ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno”. E Gesù risponde: “oggi sarai con me nel paradiso”. Chi sente di non aver onorato come meritavano i doni ricevuti, forse anche di averli sprecati, ha sempre una duplice possibilità: fare questo umile movimento del cuore verso il Signore riconoscendo le proprie mancanze e credere che la Sua misericordia sia più grande degli sprechi fatti. Niente è perduto, finché abbiamo respiro possiamo volgerci al Signore: davanti a Lui un giorno sono come mille anni e mille anni come un giorno. La nostra umiltà e la nostra umiliazione sono la porta aperta al Suo agire, al lasciare che il Signore sia il Signore.
A tre categorie di persone: ai miei genitori, a mia sorella e ai miei familiari, che mi hanno fatto crescere e sostenuto; ai tanti sacerdoti esemplari che ho incontrato e a quanti – insegnanti ed educatori – mi hanno formato; e infine a tutti coloro che, nel corso della vita, mi hanno perdonato. Anche questi ultimi, dandomi una seconda possibilità, hanno avuto un ruolo determinante nella mia vita.
* Cristina Uguccioni, giornalista dell’Avvenire. Originalmente pubblicato in: www.avvenire.it. Mercoledì 24 luglio 2024
I Laici Missionari della Consolata (LMC) del Portogallo si sono radunati questa domenica, 21 luglio, per celebrare il loro 25° anniversario di vita e missione. La celebrazione ha avuto luogo durante l'incontro nazionale che si è svolto questo fine settimana (20 e 21 luglio) presso la sede dei Missionari della Consolata a Lisbona (Olivais).
All'evento hanno partecipato circa 25 persone provenienti dal Nord, dalla regione di Lisbona e anche dall'Irlanda dove è emigrata una coppia di LMC.
Il primo gruppo di Missionari Laici della Consolata è sorto nel 1999, frutto di un cammino di riflessione e formazione con l’accompagnamento dei Missionari della Consolata di Cacém, in particolare del padre Paulino Ferreira.
Il desiderio di vivere la missione ad gentes in prima persona, di stare con i più poveri, di “essere presenti” e di essere presenza di consolazione, ha portato la prima coppia di laici, Ricardo ed Elizabeth, a partire per la missione nel 2000, più precisamente per Mapinhane in Mozambico dove hanno lavorato nella pastorale e nell'educazione presso la Scuola Padre Gerardo Gumiero fondata nel 1996 dai Missionari della Consolata e dalle Sorelle Missionarie Agostiniane.
Ma la comunità dei Missionari Laici della Consolata è nazionale. I frutti non sono nati solo a Cacém, ma anche ad Águas Santas (nel nord), dove ha lavorato padre José Matias, e molti altri missionari della Consolata che sono passati e hanno dato la loro testimonianza alla missione. È stato anche il desiderio di consolare che ha spinto la seconda coppia di laici, Teresa Silva e Paulo Rocha, a partire per la missione nel 2002, più precisamente in Tanzania, dove hanno lavorato nella pastorale e in un orfanotrofio, per poi tornare in Portogallo nel 2005.
La missione è condivisione, è testimonianza, è voglia di essere presenti. Non può essere altrimenti. Come diceva il Beato Allamano: “Dio mi chiama oggi... non so se mi chiamerà domani”. Quindi, con questo spirito, nel 2004, un'altra coppia di laici della nostra comunità di Cacém - Tina e Filipe - è partita per il Mozambico per continuare la presenza dei laici in missione. La comunità rimane viva, cercando di vivere il carisma dell'Allamano nella sua vita quotidiana, rispondendo alla chiamata. Nuovi membri si aggiungono per vivere questa scelta di vita - la missione in forma laicale - e la comunità cresce.
La missione va e viene e si rinnova. Mentre alcuni sono tornati, altri sono partiti e, nel 2008, un'altra coppia è partita per il Mozambico, Rui e Diana, per lavorare nel Centro Catechetico di Guiúa, luogo dei catechisti martirizzati nella diocesi di Inhambane. Lì si sono dedicati ai giovani e ai bambini nella pastorale, nella salute e nell'educazione. In seguito, è partita anche Carina.
Ma la missione è anche qui in Portogallo, dove la famiglia LMC sta crescendo con più vocazioni, frutto di questa animazione missionaria tra i giovani e i volontari. E il lavoro continua. L'invio di volontari, l'animazione missionaria, i progetti educativi come “Estuda Lá” e i progetti di promozione umana come il programma di cucito di “ArteGentes” sono tutte forme di missione dei LMC in Portogallo.
“Non basta iniziare bene un lavoro, bisogna perseverare per raccogliere i frutti”.
E i Laici Missionari della Consolata sono un buon frutto, perché la loro testimonianza ci mostra che la missione è lì dove Dio vuole che sia.
Ovunque ogni membro dei LMC si trovi, fuori o dentro, nell'Associazione Ad Gentes, nel Quartiere di Zambujal, periferia di Lisbona, nella parrocchia di São Marcos, a Lourel o a Linhó, nelle comunità... l'importante è volere essere e vivere la Consolazione come fonte di vita.
Come diceva l'Allamano ai suoi missionari: “Il nostro Istituto appartiene a Dio fin dall'inizio; appartiene a Lui, come un campo appartiene al suo proprietario. La Madonna lo ha fondato e gli inizi vengono da Dio”.
Ci sono molti motivi per essere grati per il 25° anniversario di vita missionaria dei LMC. Congratulazioni.
* Laici Missionari della Consolata del Portogallo. Originalmente pubblicado in: www.facebook.com/consolatapt