Padre Stefano Camerlengo è superiore generale dei Missionari della Consolata da 12 anni e ha fatto parte della Direzione Generale da 18. In questi giorni si celebrerà il Capitolo Generale che, fra le altre cose, dovrebbe nominare il suo successore. Nelle prossime quattro settimane il sito ospiterà alcuni sui interventi nei quali ricorderà alcune tappe significative della sua storia e riflessioni sul suo lungo mandato. Parlando del futuro della comunità che ha accompagnato da anni ha sintetizzato il suo atteggiamento carico di speranza dicendo: “il meglio sta ancora per venite”. 

In Repubblica democratica del Congo, o meglio in Zaire, come si chiamava allora, ho fatto la mia prima esperienza di missione, come diacono. Questo percorso è stato così positivo, e grande era il legame con la gente, che ho chiesto di essere ordinato sacerdote in mezzo a loro. La comunità nella quale avevo lavorato, mi aveva accettato come figlio: era la «mia nuova famiglia». 

Dopo l’ordinazione, passai un periodo di missione in Italia, nell’animazione missionaria e nell’accoglienza dei migranti, per tornare poi finalmente in Congo.

Qui ho fatto diverse attività. Ho vissuto in foresta, condividendo la mia vocazione con la gente dei villaggi più sperduti. Ho prestato servizio nella formazione dei giovani missionari e, infine, sono stato responsabile del gruppo dei missionari che lavoravano a Kinshasa, la gigantesca e brulicante capitale. 

L’esperienza in Congo è stata per me un grande dono di Dio. Ho vissuto momenti difficili per la situazione travagliata del paese. Ho sentito forte dentro di me il senso d’impotenza. La missione è anche questo: ti trovi a vivere situazioni nelle quali non hai potere su niente e devi condividere anche questa «inutilità». La missione è stata per me soprattutto «condivisione della debolezza». I pigmei dicono: «Lo scoiattolo è piccolo, però non è schiavo dell’elefante!». Questo per me è il Vangelo: la forza debole dei poveri. 

Poi ci sono esperienze bellissime, autentiche gocce di speranza che ti permettono di andare avanti, anche quando il cammino si fa troppo complicato. Come durante la guerra in Congo, quando ho dovuto abbandonare la missione, scappare con altri abitanti del quartiere, perché ci hanno informato che stavano per bombardare la zona. È un esodo di tristezza, di abbandono, di pianto. Ho vissuto con la gente sulla strada per tre giorni, sfollati. Finiti i bombardamenti ero pronto a tornare a vedere cosa era successo alla missione. Mi alzai, e allora, come per incanto, anche la gente si mise in piedi e decide di rientrare con me. Il missionario come vero pastore che in nome di Gesù riunisce, indica il cammino, marcia con la sua gente, da forza. Una cordata di fraternità e speranza!

Vita di missione

Queste esperienze di vita missionaria mi hanno marcato profondamente e me le porto dentro ancora oggi, in tutti i servizi che sono chiamato a svolgere. In particolare, posso riassumere tre idee-forza che non mi abbandonano mai.

1. Dobbiamo essere «degni» della missione, non dobbiamo aspettarci il ringraziamento della gente per la nostra presenza. Siamo noi che dobbiamo ringraziare perché ci accettano tra loro.

2. Nella missione è sempre di più quello che ricevi rispetto a quello che riesci a dare. Alla fine, ti trovi a essere sempre in debito, sia con la gente che con Dio Padre.

3. Se vuoi vivere e condividere la tua vita con gli ultimi e i poveri, devi accettarli per quello che sono e non come tu li vorresti; questo è l’inizio di ogni servizio e di ogni cambiamento.

La prima guerra del Congo

Durante la prima guerra del Congo, novembre 1996 – maggio 1997, ero vice superiore regionale e direttore del nostro seminario filosofico a Kinshasa. Tenevo i contatti tra la Direzione generale a Roma e cercavo notizie sui nostri confratelli nell’Est del paese, dove i ribelli tutsi Banyamulenge, appoggiati da rwandesi e ugandesi, combattevano le truppe di Mobutu. Questi fu poi rovesciato da questi eserciti arrivati a Kinshasa nel maggio del 1997. 

Le telefonate con Roma avevano tenori del tipo: «Le comunicazioni con i nostri missionari dell’Alto Zaire (Isiro, Doruma e Wamba) sono interrotte. I militari zairesi (l’esercito regolare di Mobutu), fuggendo dai ribelli Banyamulenge, saccheggiano quello che trovano sul loro passaggio. A Isiro per ora hanno confiscato le macchine, con la scusa di mantenere l’ordine nella zona. 

È arrivato a Kinshasa il penultimo volo da Isiro con 180 persone a bordo. Con loro c’è anche il nostro fratel Angelo Bruno. Gli è stato consigliato di ritirarsi perché era continuamente sotto pressione. Essendo meccanico, infatti, i militari zairesi ricorrevano notte e giorno a lui per farsi aggiustare i mezzi. Era andato per qualche giorno nella missione di Neisu e ora si trova a Kinshasa, in attesa di rientrare in Italia. Il vescovo di Isiro, e i missionari, si sono organizzati per nascondersi nella foresta. Hanno identificato alcuni posti e vi stanno portando tutto ciò possa servire per la sopravvivenza. 

A Kinshasa si è costituto un Consiglio dei religiosi, per valutare di giorno in giorno la situazione e prendere eventuali provvedimenti. Inoltre, io sono in permanente contatto con il Nunzio e con le autorità ecclesiali». 

O ancora: « Le comunicazioni via radio con Neisu e Wamba sono interrotte. Le informazioni che si ricevono sono incerte, tuttavia siamo sicuri che la città di Isiro è stata saccheggiata dai militari di Mobutu. Tutte le case dei religiosi sono state depredate, inclusa la nostra casa regionale e il vescovado». 

In quei frenetici giorni di dicembre 1996 e gennaio 1997, la guerra imperversava ad Est e temevamo per la sorte dei confratelli. Altri miei resoconti di quei giorni: «Dal 29 dicembre mi sono potuto mettere in comunicazione via radio con i nostri confratelli di Neisu. Hanno confermato il saccheggio della missione perpetrato durante la notte del 25 dicembre. Silvio Gullino e Rombaut Ngaba sono riusciti a scappare in foresta, dove si erano rifugiati gli altri dei nostri e le suore di Brentana. 

Le comunicazioni con Wamba sono invece più difficili. I Comboniani di Kisangani fanno il ponte radio tra Kinshasa e Wamba. Sappiamo così che in nostri missionari sono rifugiati in foresta».

La Direzione generale era molto preoccupata anche per la situazione di Kinshasa, dove i ribelli sarebbero poi arrivati. In capitale eravamo in sette missionari e quindici seminaristi del seminario teologico, molti dei quali non zairesi. Io restavo in stretto contatto con le ambasciate per un eventuale piano di abbandono del paese.  

I ribelli, appoggiati dagli eserciti rwandese e ugandese, arrivarono a Kinshasa a maggio. Deposero Mobutu, che aveva governato il paese per 27 anni. Al suo posto insediarono Laurent-Désiré Kabila, già guerrigliero in lotta contro il regime da molto tempo. Gli serviva avere un congolese come capo di stato, per nascondere l’occupazione straniera.

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La seconda guerra del Congo

Kabila però cercò rapidamente di sbarazzarsi degli alleati stranieri, troppo scomodi, perché interessati alle enormi risorse minerarie del paese. Di qui il tentativo di colpo di stato e il tragico bagno di sangue del 2 agosto 1998.

Iniziò così la Seconda guerra del Congo (1998-2003), detta anche «Guerra mondiale africana», a causa del numero di eserciti e milizie coinvolte.

In quel periodo mi trovai a gestire situazioni che non avrei mai immaginato.

Ciò che mi spaventava in quei momenti era la rabbia della gente. La guerra trasforma le persone facendo emergere la loro parte peggiore. In quei giorni, se prendevano un ribelle (miliziano o soldato straniero, ugandese o rwandese), non c’era possibilità di salvezza per lui, lo bruciavano vivo: un copertone intorno al collo, un po’ di benzina e un fiammifero.

In queste situazioni di psicosi collettiva, dove si giunge addirittura a misurare il naso della gente per decidere se è un ribelle ugandese oppure no, si perde il senso dell’umanità, e non c’è più niente che possa trattenere dall’assassinare il conoscente, il vicino, l’amico, anche per un minimo sospetto. 

Nell’agosto del 1998 i ribelli erano arrivati in città per conquistarla. Noi siamo rimasti per quasi una settimana alla mercé di tremila soldati nemici, che avevano invaso la nostra collina (sulla quale si trovava il seminario e altre case di congregazioni). I militari regolari di Laurent-Désiré Kabila, visto il numero degli invasori, erano fuggiti a fondovalle, e laggiù avevano organizzato la difesa della città. Hanno continuato a sparare per tre giorni senza sosta e noi eravamo tutti chiusi in casa. 

Gli ugandesi avevano bisogno di mangiare e qualcuno era ferito, così hanno iniziato a visitare i conventi e le fattorie. Sono venuti anche da noi, ci hanno detto di stare tranquilli, che ce l’avevano solo con Kabila. Parlavano swahili e anche io me cavo con questa lingua: grazie a Dio, altrimenti sarei morto!

La gente del quartiere era terrorizzata e nessuno sapeva cosa fare, allora abbiamo cominciato ad accoglierla, per rimanere un po’ uniti. C’erano sbandati e molti bambini soli perché i papà erano fuggiti per paura di essere presi dai soldati. Avevano fame, e abbiamo organizzato un’accoglienza e preparato del riso e altro cibo che rimaneva nelle scorte del seminario. Era poco quello che avevamo, e lo abbiamo condiviso con la gente. 

L’esodo e il pastore

Dopo tre giorni, è arrivata la notizia che i soldati di Kabila avrebbero bombardato la nostra zona, allora la gente ha cominciato a fuggire all’impazzata verso il fondovalle. 

Il tutto è avvenuto in maniera precipitosa, senza avere la possibilità di pianificare niente. Ho preso uno zainetto con quattro documenti dentro e niente altro, né cibo, né biancheria e siamo andati con la gente. C’era una fiumana di persone che scendeva la collina, ciascuno si tirava dietro i bambini, una pentola, due stracci… altro che esodo!

Dovevamo attraversare i posti di blocco militari e ogni volta mi hanno minacciato e molestato più degli altri. Poi non so cosa sia successo, ma mi sono ritrovato in ginocchio sulla strada con un mitra puntato alla testa. Ce l’avevano coi i bianchi (i soldati regolari): «Voi preti avete aperto le chiese, avete accolto i ribelli ...». In effetti erano entrati anche nelle nostre chiese, ma quando ti trovi tremila soldati armati, cosa fai? A quel punto rimasi muto d’incredulità, di stordimento, di paura. E poi mi è entrata una grande pace. Non so quanto sono rimasto in quella posizione, un minuto o un’eternità. So solo che quando ho riaperto gli occhi non ho visto più nessuno e allora ho rincorso la gente e ho continuato il mio esodo, sentendomi… risorto!

Tre giorni dopo, era domenica, quando il bombardamento è cessato, c’è stato un momento molto toccante. La gente mi si avvicinava per dirmi: «Grazie padre, perché sei rimasto con noi» e tante altre parole di amicizia e solidarietà. E poi i confratelli che mi cercavano, insomma è stato bellissimo reincontrarci.

Lunedì mattina, ho preso il coraggio a due mani e ho deciso di tornare alla casa. Mi sono messo in cammino con i tre seminaristi e alcuni amici e, come per miracolo, la gente in massa si è accodata camminando dietro di noi. Più salivamo la collina e più la processione si ingrossava. Se il venerdì la nostra era stata una discesa drammatica, il lunedì è stato un rientro glorioso, pieno di speranza. 

 

Il missionario oggi

Non è facile oggi, nel mondo attuale, guidare un istituto internazionale come il nostro. Saper leggere il segno dei tempi a livello mondiale ed essere profetici per il futuro. Più che certezze, in effetti, mi porto dietro dei desideri.

1. Che tutto sia fatto in nome della missione, in altre parole, che si possa mettere la missione sempre e comunque al primo posto.

2. Che ogni decisione, anche se dolorosa, sia presa nel rispetto delle persone, sia dei missionari, sia della gente locale.

3. Che coloro che camminano con più fatica siano i nostri «preferiti».

4. Che si impari a essere più positivi che negativi, sempre e comunque portatori di speranza in mezzo a tanta disperazione.

Il ruolo del missionario oggi è cambiato, perché la società, la chiesa, il mondo sono cambiati e stanno vivendo un profondo processo di trasformazione.

Il missionario deve essere un «ponte» tra le culture e, soprattutto, tra chiesa e società in mutazione. Una società con la quale la nostra azione deve confrontarsi, che non deve essere vista come la «bestia» da combattere, ma come realtà da capire e luogo «dello spirito», dove Dio parla ancora a uomini e donne. 

Un altro servizio che vedo per il missionario oggi è quello di richiamare l’attenzione sulla presenza, spesso volutamente dimenticata, di coloro che rimangono ai margini della società e, talvolta, anche della nostra chiesa. Il missionario deve mantenere viva l’attenzione all’altro.

Infine, un aspetto che mi sembra importante per il missionario moderno è il suo impegno a proporre cammini di speranza, lavorando in rete con tutti quelli che cercano di costruire un mondo migliore.

Grazie per la pazienza nel leggermi, grazie per il dono grande della missione e della gente. Mi auguro che con questo scritto possa aiutare a guardare all’altro come un fratello, una sorella, in cammino con me, con te sulle strade della vita!

A tutti e ad ognuno: coraggio e avanti in Domino!

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Padre Stefano in occasione della inaugurazione del Polo Culturale Cultures and Mission di Torino. Foto Marco Bello

I Missionari della Consolata hanno iniziato a Roma il XIV Capitolo Generale. L'incontro si svolge dal 22 maggio al 25 giugno con la partecipazione della Direzione Generale, i Superiori e i Delegati delle tredici circoscrizioni di Africa, Asia, America ed Europa.  Il tema centrale dell'incontro è: "Mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra" (At 1,8) come consacrati per la missione ad gentes.

Il Superiore Generale, Padre Stefano Camerlengo, inaugurando il capitolo, ha detto rivolgendosi ai capitolari: “questo è un momento profetico e visionario per affrontare le sfide del mondo di oggi, dove insieme possiamo essere più fedeli al nostro carisma, segnando il nostro comune impegno per la missione ad gentes”. Padre Stefano ha invitato tutti a lasciarsi “guidare dallo Spirito del Risorto”, simboleggiato dalla luce del cero pasquale, che illumina il cammino dei discepoli missionari per essere “una Chiesa in uscita”.

Sinodalità interculturale

Al XIV Capitolo Generale partecipano 41 missionari: 24 africani, 9 europei, 6 latinoamericani e 2 asiatici, in rappresentanza di 13 circoscrizioni. La diversità della provenienza dei partecipanti a questo Capitolo mostra il volto multiculturale dell’Istituto con le sue relative dinamiche interculturali. I rappresentanti hanno diversi volti e storie, ma tutti sono identificati con il Carisma lasciatoci dal Fondatore, il b. Giuseppe Allamano:"consacrati per la missione ad gentes per tutta la vita". Questo è un segno di speranza.

Il cammino di preparazione al XIV Capitolo Generale ha seguito un percorso ispirato alla pratica della sinodalità. È iniziato più di un anno fa con il documento preparatorio inviato a tutti i missionari e alle comunità. L'ispirazione biblica tratta dal libro dell'Apocalisse ci ha invitato ad ascoltare "ciò che lo Spirito dice oggi all'Istituto". Con le risposte e i contributi la Commissione precapitolare e la Direzione generale hanno preparato il documento dei Lineamenta che ha sviluppato due nuclei tematici: a) Identità e Carisma: bere alla propria fonte; b) Missione: un Istituto in uscita.

Con i contributi dello studio dei Lineamenta, è stato preparato l'Instrumentum Laboris per il XIV Capitolo Generale. I temi principali sono: il missionario nella comunità (identità e carisma); un Istituto in uscita (la nostra missione ad gentes); organizzazione ed economia per la missione.

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Momento di grazia e di proiezione

Celebrato ogni sei anni, il Capitolo Generale è un momento di grazia in cui l’Istituto si ferma a riflettere sulla vita e sulla missione ad gentes. Oltre all'elezione del Superiore Generale e del suo Consiglio, è l'occasione anche per valutare il cammino percorso, prendere decisioni sull'organizzazione e proiettare il futuro con creatività e rinnovato slancio missionario.

Coi suoi 122 anni di storia, l'Istituto dei Missionari della Consolata è oggi una Congregazione multiculturale e internazionale che conta  906 missionari provenienti da 30 paesi, che vivono in 231 comunità in 29 paesi in Africa, America, Asia ed Europa.

Diamo le ali ai missionari

  • , Apr 19, 2023
  • Pubblicato in Notizie

«Diamo le ali ai missionari» è la parola d'ordine di don Paolo Gariglio, oggi 93enne, e dei suoi amici. Lui ci racconta la nascita della sua peculiare vocazione all’aviazione: “avevo 12 anni e un amico del “Gino Lisa”, l’Aero Club torinese, mi fece sedere sul traliccio dell'aliantino, un trabiccolo trainato da una vecchia Balilla: si elevava a 15 metri e planava in 30 secondi. Io ero un passeggero clandestino ma fu il giorno della mia maxi-felicità: avevo provato il volo. Volevo andare oltre le nubi, con in mano la cloche di un aeroplano vero”. 

Don Paolo Gariglio, nel libro «Missionari con le ali» (Effatà, 2015) racconta la straordinaria avventura. Un volumetto dedicato a padre Aurelio Cannizzaro, missionario in Polinesia, «mio primo allievo pilota nel 1958-60 e poi capo della squadriglia dei piloti missionari Saveriani».

Nel 1958 nasceva il Centro internazionale di Aviazione e motorizzazione missionaria (Ciamm) con due scopi: formare al volo i missionari e le missionarie e aiutarli a procurarsi i vettori. L'Aero Club si schiera subito per avviare la Scuola di volo e accolse i primi preti mentre ci si rivolgeva alla Fiat e all'Aero Club d'Italia per reperire i primi finanziamenti. «Ottenni dalla diocesi l'uso di una parte del Seminario di via XX Settembre per ospitare gli allievi. Gli istruttori Ferruccio Vignoli e Mario Allesi accolsero le prime allieve che furono suore missionarie». Il 23 aprile 1961 il Ciamm è riconosciuto come personalità giuridica. «I primi missionari brevettati piloti e “pilotesse”, raggiunte le missioni, iniziarono l’apostolato con in mano una forza in più: saper volare sopra lande senza fine».

Gli artefici di questo progetto sono due: don Paolo Gariglio, allora viceparroco al Lingotto, e il generale dell’Aviazione militare Francesco Brach Papa. Don Paolo ha la passione per le due ali e nelle ore libere sfreccia nel cielo di Torino su un aereo da turismo con la scritta «Ronzino» sulla fusoliera. Loro due realizzano l’iniziativa pioneristica di dare le ali ai missionari. Il generale è entusiasta e, per finanziarla, scrive ai piloti d’Italia e agli appassionati di volo: «Basta gettare uno sguardo sul mappamondo per scoprire numerose e sterminate regioni. Se venissero costellate da una serie di piccole basi aeree, sarebbero facilmente coperte da una fitta maglia di veloci e tempestive rotte di missionari volanti». 

Le prime allieve sono quattro suore Luigine di Alba: con il velo e l’abito nero lungo seguono con attenzione le lezioni e apprendono velocemente la navigazione aerea. Una di loro dopo il primo volo dichiara: «È più facile che guidare l’auto!». Alla fine del primo corso 21 missionari ottengono il brevetto di volo. Alcuni fanno lezione in Svizzera per allenarsi su velivoli Piper attrezzati con sci, per imparare ad atterrare su campi innevati, corti e accidentati. Durante una cerimonia –con il sindaco Amedeo Peyron e l’avvocato Gianni Agnelli– il cardinale arcivescovo Maurilio Fossati appunta sulle talari l’aquila d’oro. Due delle quattro suore partono per il Bangladesh, un viaggio avventuroso di parecchie settimane a bordo di una nave cargo. Una dichiarerà: «L’aereo ci servì per attraversare il Gange che nel tempo delle piogge, con i suoi rigagnoli, si allargava per 40 chilometri». Il seme rimase attivo e costituì un prezioso servizio per l'evangelizzazione. 

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Peccato che l'avventura del Ciamm dura solo pochi anni a causa dell’improvvida decisione di trasferirlo a Roma, nell'illusione che la capitale della cristianità favorisse il Centro. Non è così: senza la spinta e l’entusiasmo degli ideatori, l’iniziativa finisce per arenarsi. 

L’Aviazione missionaria, comunque, prolifera in diverse regioni. I primi missionari-piloti della scuola torinese costruiscono decine di piccole piste in Africa, Amazzonia e Polinesia e istruiscono altri missionari che piloteranno aerei e idrovolanti. Tra coloro che hanno ottenuto il brevetto c’è il saveriano Siro Brunello: in Amazzonia nel 1964 trova missionari che operano con grande difficoltà: per spostarsi da un villaggio all’altro devono percorrere lunghi sentieri fangosi nella foresta e in canoa lungo i fiumi. La situazione cambia grazie al prete pilota. I missionari riescono a ottenere un «Piper» dall’Aero Club di Paranà, aereo piccolo, due posti stretti, il motore parte facendo roteare a mano l’elica ma svolge egregiamente la sua funzione. Racconta padre Siro: «Tra venti, piogge e la modesta potenza del motore del velivolo abbiamo vissuto qualche avventura».

*Articolo pubblicato in "La voce e il tempo", settimanale della diocesi di Torino.

“Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede!” (1 Cor 15)

“Apparendo agli Apostoli, dopo la risurrezione, Gesù diede loro il saluto della pace. Gran cosa la pace! Bisogna quindi che ci sia la pace con Dio, compiendo la sua volontà; con noi stessi, evitando le distrazioni, regolando le passioni e liberandoci dai desideri inutili; e con il prossimo, soprattutto accettandone i limiti e trattando tutti bene. La pace può stare anche con il sacrificio e con la tribolazione, mentre non può stare con il peccato. Chiedetela a nostro Signore, che è il Principe della pace.” Beato Giuseppe Allamano

“Dunque, il grido che caratterizza la Pasqua cristiana, l'annuncio «Cristo è risorto» (quello che i nostri fratelli ortodossi si scambiano come augurio nel tempo di Pasqua, rispondendo «Cristo è veramente risorto»), è anche l'ultima parola sulla storia impietosa del cosmo e su tutte le tragiche vicende imposte dalla crudeltà dell'uomo. Allora anche le catastrofi naturali ci spingono a far sì che la violenza che è nel cuore dell'uomo sia vinta da un senso più forte di compassione e di pietà.” Carlo Maria Martini

Carissimi Missionari, Missionarie, Laici e Laiche missionarie, Familiari, Benefattori, Amici e fratelli e sorelle tutti, con profonda emozione vi scrivo per dirvi che non c’è mattino più dolce del mattino di Pasqua, fatto di un’alba a lungo attesa, di una corsa trafelata, di un sepolcro vuoto, di un annuncio sconvolgente che passa di bocca in bocca e, prima ancora, di cuore in cuore: Cristo è risorto, è veramente risorto!

Quel sogno che l’uomo da sempre ha cullato e mai potuto realizzare è diventato realtà: la morte è stata sconfitta grazie al sacrificio dell’unigenito Figlio di Dio, Gesù Cristo, nel quale anche noi per grazia siamo diventati figli di Dio. La morte è stata vinta in Gesù e aspetta di essere vinta in ciascuno dei suoi fratelli e delle sue sorelle.

Con il cuore grondante di gioia desidero chiedere al Signore per ciascuno di noi la grazia di entrare in questo mistero di luce o nella luce di questo mistero, accogliendo nella nostra vita l’annuncio della Pasqua e facendone il cardine della nostra testimonianza tra le case degli uomini, in mezzo alle opere e ai giorni della nostra gente, spesso così affaccendata ma pur sempre alla ricerca di Luce nella notte che turba l’esistenza.

Che questa Pasqua ci aiuti ad essere testimoni instancabili della prossimità di Dio Padre verso i suoi figli più poveri, e che le nostre comunità e il nostro Istituto diventino autentica accoglienza in cui nella ferialità della vita si fa esperienza di speranza e di condivisione, promuovendo e animando concreti segni di carità evangelica. Vorrei che il nostro Istituto vivesse e agisse a partire dalla risurrezione di Cristo. 

A tal proposito, desidero far mie alcune espressioni di un autore a me molto caro: «A partire dalla risurrezione di Cristo può spirare un vento nuovo e purificante per il mondo d’oggi. Se due uomini credessero realmente a ciò e, nel loro agire sulla terra, si facessero muovere da questa fede, molte cose cambierebbero. Vivere a partire dalla risurrezione: questo significa Pasqua» (D. Bonhoeffer, A E. Bethge 27 marzo 1944).

Con questi sentimenti di profondo affetto e amore per ciascuno di voi, auguro a tutti di vivere la gioia sconvolgente della Pasqua. Il Crocifisso risorto continui a sedurre i nostri cuori perché possiamo continuare a spendere la nostra vita nel mondo e nella Chiesa nella misura del dono totale di sé. 

Buona e Santa Pasqua a tutti! A tutti e a ciascuno: coraggio e avanti in Domino!

* Stefano Carmerlengo è Superiore Generale

Leggi e scarica il messaggio completo in ITALIANO e INGLESE 

Cari fratelli e sorelle!

Queste parole appartengono all’ultimo colloquio di Gesù Risorto con i suoi discepoli, prima di ascendere al Cielo, come descritto negli Atti degli Apostoli: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (1,8). E questo è anche il tema della Giornata Missionaria Mondiale 2022, che come sempre ci aiuta a vivere il fatto che la Chiesa è per sua natura missionaria. 

Fermiamoci su queste tre espressioni-chiave che riassumono i tre fondamenti della vita e della missione dei discepoli: «Mi sarete testimoni», «fino ai confini della terra» e «riceverete la forza dallo Spirito Santo».

1. «Di me sarete testimoni» 

È il punto centrale, il cuore dell’insegnamento di Gesù ai discepoli in vista della loro missione nel mondo. Tutti i discepoli saranno testimoni di Gesù grazie allo Spirito Santo che riceveranno: saranno costituiti tali per grazia. Ovunque vadano, dovunque siano. L'identità della Chiesa è evangelizzare.

La forma plurale sottolinea il carattere comunitario-ecclesiale della chiamata missionaria dei discepoli. Ogni battezzato è chiamato alla missione nella Chiesa e su mandato della Chiesa: la missione perciò si fa insieme, non individualmente, in comunione con la comunità ecclesiale e non per propria iniziativa. Non a caso il Signore Gesù ha mandato i suoi discepoli in missione a due a due; la testimonianza dei cristiani a Cristo ha un carattere soprattutto comunitario. Da qui l’importanza essenziale della presenza di una comunità, anche piccola, nel portare avanti la missione.

Ai discepoli è chiesto di vivere la loro vita personale in chiave di missione: sono inviati da Gesù al mondo non solo per fare la missione, ma anche e soprattutto per vivere la missione a loro affidata; non solo per dare testimonianza, ma anche e soprattutto per essere testimoni di Cristo. I missionari di Cristo non sono inviati a comunicare sé stessi, a mostrare le loro qualità e capacità persuasive o le loro doti manageriali. Hanno, invece l'altissimo onore di offrire Cristo, in parole e azioni, annunciando a tutti la Buona Notizia della sua salvezza con gioia e franchezza, come i primi apostoli.

Perciò il vero testimone è il “martire”, colui che dà la vita per Cristo, ricambiando il dono che Lui ci ha fatto di Sé stesso. «La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più» (Evangelii gaudium, 264).

Infine, a proposito della testimonianza cristiana, rimane sempre valida l’osservazione di San Paolo VI: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Evangelii nuntiandi, 41). Perciò è fondamentale, per la trasmissione della fede, la testimonianza di vita evangelica dei cristiani.

Nell'evangelizzazione, perciò, l'esempio di vita cristiana e l'annuncio di Cristo vanno insieme. L'uno serve all'altro. Sono i due polmoni con cui deve respirare ogni comunità per essere missionaria. Esorto pertanto tutti a riprendere il coraggio, la franchezza, quella parresia dei primi cristiani, per testimoniare Cristo con parole e opere, in ogni ambiente di vita.

2. «Fino ai confini della terra» 

Esortando i discepoli a essere i suoi testimoni, il Signore risorto annuncia dove essi sono inviati: «A Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). Emerge ben chiaro qui il carattere universale della missione dei discepoli. Si mette in risalto il movimento geografico "centrifugo", quasi a cerchi concentrici, da Gerusalemme, considerata dalla tradizione giudaica come centro del mondo, alla Giudea e alla Samaria, e fino "all'estremità della terra". Esso ci dà una bellissima immagine della Chiesa "in uscita" per compiere la sua vocazione di testimoniare Cristo Signore, orientata dalla Provvidenza divina mediante le concrete circostanze della vita. 

L’indicazione “fino ai confini della terra” dovrà interrogare i discepoli di Gesù di ogni tempo e li dovrà spingere sempre ad andare oltre i luoghi consueti per portare la testimonianza di Lui. Malgrado tutte le agevolazioni dovute ai progressi della modernità, esistono ancora oggi zone geografiche in cui non sono ancora arrivati i missionari testimoni di Cristo con la Buona Notizia del suo amore. D’altra parte, non ci sarà nessuna realtà umana estranea all’attenzione dei discepoli di Cristo nella loro missione. La Chiesa di Cristo era, è e sarà sempre “in uscita” verso i nuovi orizzonti geografici, sociali, esistenziali, verso i luoghi e le situazioni umane “di confine”, per rendere testimonianza di Cristo e del suo amore a tutti gli uomini e le donne di ogni popolo, cultura, stato sociale. 

3. «Riceverete la forza dallo Spirito Santo» 

Annunciando ai discepoli la loro missione di essere suoi testimoni, Cristo risorto ha promesso anche la grazia per una così grande responsabilità: «Riceverete la forza dello Spirito Santo e di me sarete testimoni» (At 1,8).

(Il giorno di pentecoste comincia) l'era dell'evangelizzazione del mondo da parte dei discepoli di Gesù, che erano prima deboli, paurosi, chiusi. Lo Spirito Santo li ha fortificati, ha dato loro coraggio e sapienza per testimoniare Cristo davanti a tutti.

Come «nessuno può dire: "Gesù è Signore", se non sotto l'azione dello Spirito Santo» (1 Cor 12,3), così nessun cristiano potrà dare testimonianza piena e genuina di Cristo Signore senza l'ispirazione e l'aiuto dello Spirito. Perciò ogni discepolo missionario di Cristo è chiamato a riconoscere l'importanza fondamentale dell'agire dello Spirito, a vivere con Lui nel quotidiano e a ricevere costantemente forza e ispirazione da Lui.

Cari fratelli e sorelle, continuo a sognare la Chiesa tutta missionaria e una nuova stagione dell’azione missionaria delle comunità cristiane. E ripeto l’auspicio di Mosè per il popolo di Dio in cammino: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore!» (Nm 11,29). Sì, fossimo tutti noi nella Chiesa ciò che già siamo in virtù del battesimo: profeti, testimoni, missionari del Signore! Con la forza dello Spirito Santo e fino agli estremi confini della terra. Maria, Regina delle missioni, prega per noi!

Messaggio completo in ITALIANO e INGLESE

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“Facciamo pace”, il corso di formazione promosso dal Centro Missionario della Diocesi di Roma. L'intervento del professor Marco Massoni. Quando...

Suor Lígia Cipriano: La missione tra gli Yanomami, un atto di grande amore

19-03-2025 I missionari dicono

Suor Lígia Cipriano: La missione tra gli Yanomami, un atto di grande amore

All’età di 42 anni Lígia Cipriano ha chiesto di entrare nell'Istituto delle Suore Missionarie della Consolata. Oggi vive la sua...

RD Congo: Nord Kivu, una guerra nell’indifferenza

18-03-2025 Notizie

RD Congo: Nord Kivu, una guerra nell’indifferenza

Il conflitto nel Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo, ha raggiunto nuovi vertici di violenza, con oltre 3mila morti e...

“Andate e invitate”. Giornata dei Missionari Martiri 2025

18-03-2025 Missione Oggi

“Andate e invitate”. Giornata dei Missionari Martiri 2025

Materiale per la celebrazione della Giornata e del tempo di Quaresima Il 24 marzo 2025 celebriamo la trentatreesima Giornata dei Missionari...

L'interesse di San Giuseppe Allamano per la missione

18-03-2025 I missionari dicono

L'interesse di San Giuseppe Allamano per la missione

Il nostro fondatore, San Giuseppe Allamano, aveva un interesse speciale e concreto per le missioni. Padre Lorenzo Sales nota, infatti...

“Il commercio delle armi. Una minaccia alla pace”

16-03-2025 Missione Oggi

“Il commercio delle armi. Una minaccia alla pace”

l Centro Missionario della Diocesi di Roma promuove, presso la Sala della Conciliazione nel Palazzo Lateranense, un corso di formazione...

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