I Missionari della Consolata in Colombia inaugurano l'Anno dell'Accompagnamento e del Discernimento Vocazionale e presentano il documento guida con un itinerario di formazione, riflessione ed esperienze di missione.

In un contesto globale segnato da disuguaglianze, crisi ambientali e conflitti sociali, la vocazione cristiana emerge come risposta concreta alle sfide del mondo di oggi. La chiamata a costruire un futuro basato sulla solidarietà, sulla pace e sulla cura del creato diventa sempre più urgente, sia nella vocazione alla vita religiosa che laica, familiare o professionale.

Fedeli al loro carisma di evangelizzazione e promozione umana, i Missionari della Consolata in Colombia hanno assunto questo impegno portando il messaggio della Consolazione alle comunità dove la vita grida giustizia, speranza e amore. Ispirandosi all'insegnamento di San Giuseppe Allamano, il lavoro si concentra sulla formazione di comunità di fede, sulla promozione dei più vulnerabili e sulla costruzione di una società più fraterna e giusta.

In occasione della festa di San Giuseppe sposo della Vergine Maria, la Regione IMC Colombia ha inaugurato l'Anno dell'Accompagnamento e del Discernimento Vocazionale con la presentazione di un documento guida preparato dall'Animazione Missionaria Giovanile Vocazionale (AMGV). Il sussidio contiene informazioni sulle attività programmate, riflessioni sulla vocazione e un calendario dettagliato di incontri ed esperienze che permetteranno ai giovani di avvicinarsi alla missione. Inoltre, il documento contiene i contatti dei missionari disponibili ad accompagnare i giovani che disiderano fare un discernimento vocazionali nelle diverse zone del Paese.

Padre Óscar Medina, coordinatore dell'AMGV a Florencia (Caquetá), ci invita a iniziare questo tempo insieme e ci ricorda che “la nostra risposta e disponibilità sono un segno di speranza per la Chiesa e per l'umanità”.

Tutti gli interessati sono invitati a seguire le attività e i contenuti attraverso i social network all'indirizzo @amjvcolombia su Instagram o sugli account ufficiali dei Missionari della Consolata in Colombia.

Documento guida “Chiamati alla missione: un tempo di discernimento e di accompagnamento”.

* Ufficio Comunicazioni ed Equipe AMJV Colombia.

Anche il diverso è bello

Padre Diego Cazzolato, è un missionario della Consolata nato a Biadene (Tv) nel 1952. Dopo gli studi in Italia e due anni in Colombia, è stato animatore missionario in Italia e Spagna fino al 1988. Quell’anno è partito per la Corea del Sud stabilendo la prima presenza dell’istituto in Asia e sperimentando un nuovo modo di essere missionari.

Con quasi 40 anni di missione in Corea del Sud, la sua è un’esperienza discreta improntata al dialogo con le altre fedi.

«Mi chiamo Diego e “son veneto, ciò!”. Sono nato a Biadene (Tv) nell’ormai lontano 1952, per cui sono un missionario piuttosto stagionato».

Perché hai scelto di essere missionario della Consolata?

«Nella nostra storia non c’è niente di “casuale”, anche se all’inizio può sembrare così. Al mio paese, i Missionari della Consolata avevano allora un seminario minore (medie e ginnasio). Io ho conosciuto i miei compagni seminaristi a scuola, siamo diventati amici e, per stare con loro, sono entrato anch’io in seminario. Poi loro, poco a poco, hanno lasciato, io invece sono andato avanti.

Perché ho deciso di diventare missionario? Perché volevo fare qualcosa di buono con la mia vita, e aiutare a migliorare il mondo, che mi lasciava piuttosto perplesso, con le sue tante ingiustizie e povertà, e diventare missionario mi sembrava il modo migliore di realizzare i miei sogni.

Più tardi ho capito che non ero io a voler costruire un mondo migliore, ma Gesù stesso, e che Lui mi inviava a farlo nel suo nome. Non c’è che dire: un dono immenso, questo della vocazione missionaria!».

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Padre Diego Cazzolato durante un incontro interreligioso in Corea del Sud. Foto: IMC Corea del Sud

Puoi raccontare brevemente la tua storia?

«Dopo il liceo a Varallo Sesia (Vc) e il noviziato in Certosa di Pesio (Cn), sono stato mandato a studiare filosofia e teologia al nostro seminario di Totteridge, Londra (1972-77).

Ho concluso il ciclo di cinque anni di studio con la professione perpetua e il diaconato.

Avevo chiesto di fare un’esperienza missionaria prima dell’ordinazione, cosa allora del tutto inusuale, ma la mia richiesta è stata accettata e sono stato inviato in Colombia. Un’esperienza di due anni bellissima e… molto utile a purificarmi dai miei “voli pindarici” sulla missione e cominciare ad affrontarne invece con amore la realtà, spesso dura e difficile.

Dopo l’ordinazione al mio paese nel 1979, sono stato destinato all’animazione missionaria e vocazionale, prima a Bevera (Lecco) per due anni, poi in Spagna, a Malaga.

Anche quelli sono stati anni bellissimi, a contatto con tanti giovani, con cui sono ulteriormente cresciuto nell’amore per la missione e nella fede, che ne è la base!

Fin quando non è arrivata la “chiamata della vita”: andare nella Corea del Sud, per iniziare la prima presenza missionaria dell’istituto in terra d’Asia! Era il 1988… e sono ancora qui!».

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Padre Diego Cazzolato nella Casa Generalizia a Roma. Foto: Jaime C. Patias

Puoi dire due parole sulla Corea del Sud? Quali sono le sue principali sfide missionarie?

«La Corea del Sud è un Paese che ha avuto uno straordinario sviluppo economico e tecnologico a partire dagli anni 70, ed è una realtà assolutamente agli antipodi rispetto alle immagini “tradizionali” della missione.

I cattolici nel Paese sono adesso il 10% della popolazione, poi ci sono i protestanti, i buddhisti, i confuciani, i seguaci di un nutrito gruppo di religioni autoctone e un buon 50% della popolazione che dichiara di non aderire a nessuna religione organizzata.

Le sfide missionarie? A mio modo di vedere sono sempre le stesse dappertutto: far conoscere Gesù e il suo vangelo a chi ancora non lo conosce e, in Asia in particolare, il dialogo interreligioso».

Che lavoro svolgi oggi? Quali sono la difficoltà e la soddisfazione più grandi?

«È precisamente nel dialogo interreligioso che consiste il mio impegno missionario, da almeno una ventina d’anni. Quello “ufficiale” che si svolge negli ambiti delle apposite organizzazioni (delle quali sono membro), e quello che si svolge nella vita di ogni giorno, in tanti incontri “casuali”, che di casuale non hanno proprio niente.

Ci sono ovviamente difficoltà: tante iniziative che sembrano non riuscire a incidere; il continuo cambio degli interlocutori del dialogo, che ci obbliga sempre a un nuovo inizio; il generale disinteresse per la cosa; ma ci sono anche grosse soddisfazioni, come il fatto di poter sperimentare un’autentica amicizia anche con persone di fede diversa. E sperimentare che, grazie all’incontro con me, la fede cristiana viene vista con occhi più positivi e benigni».

Puoi raccontare un episodio significativo della tua vita missionaria?

«Un giorno è venuto a trovarmi a casa un signore del buddhismo-won (una delle religioni autoctone della Corea) che mi aveva visto “casualmente” a un incontro ufficiale qualche giorno prima e voleva parlare con me.

Nel dialogo, mi ha rivelato di essere molto ammalato di cancro, e voleva sapere da me, come cristiano, “cosa c’è dall’altra parte” della vita. Abbiamo condiviso la visione cristiana della vita eterna, e quella del buddhismo-won. Alla fine l’uomo se ne è andato visibilmente soddisfatto, ma senza lasciarmi alcun recapito, e io non l’ho visto mai più».

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Quali sono, secondo te, le grandi sfide della missione del futuro? Come pensi di affrontarle?

«Io vedo come grandi sfide della missione del futuro quella di sganciarsi progressivamente dalle “opere” (che pure sono necessarie in tanti contesti), che obbligano il missionario a stare sempre un po’ al “centro”, per dirigersi più direttamente alle “persone”, nel dialogo e nella condivisione della vita.

C’è bisogno anche di una missione più caratterizzata dallo spirituale, e dalla contemplazione.

Il contesto coreano delle religioni non cristiane in cui sono inserito da una vita, mi ha convinto sempre più di tutto questo, e mi sembra costituire una sorta di “anticipazione” della missione del futuro».

Padre Diego Cazzolato, Missionario della Consolata dal 1988 in Corea del Sud.

Cosa possiamo offrire al mondo come Missionari della Consolata?

«Al loro primo arrivo in Kenya, i Missionari della Consolata hanno visto necessario fare la scelta di “stare con la gente”. Questa capacità/volontà credo costituisca una nostra grande ricchezza da offrire al mondo. Oltre, naturalmente, alla nostra esperienza personale della fede, di Dio, e alla nostra ricchezza “umana”, di amicizia, il nostro “spirito di famiglia”».

A partire dal tuo contesto, che cosa dovremmo fare, secondo te, per avere più impatto nel mondo giovanile?

«In Corea il mondo giovanile costituisce una realtà complessa, di difficile penetrazione. Eppure, i giovani soffrono di solitudine, di mancanza di punti di riferimento validi nella vita. Bisognerebbe avere il coraggio di dedicarsi veramente all’incontro con loro. Di nuovo: non “opere” ma “incontro personale”».

Ci suggerisci uno slogan per i giovani dei nostri centri?

«Lo slogan che proporrei viene dal mondo e dall’esperienza del dialogo interreligioso: “Anche il diverso è bello!” Aggiungendo: “Prova e vedrai!”»

* Luca Lorusso è giornalista della rivista Missioni Consolata. Pubblicato originalmente in: www.amico.rivistamissioniconsolata.it

Nel marzo 2007 ero in Kenya, a Nairobi. Da lì, poco tempo prima, dopo 43 lunghi anni di servizio, era partito per rientrare in Italia un missionario settantasettenne. Scrissi allora un editoriale per la rivista che curavo laggiù, The Seed (Il seme). Il titolo era «Gone poor, having made rich many…» (Partito povero, dopo aver reso ricchi molti).

Il missionario in questione era padre Giuseppe Quattrocchio. Un gran lavoratore, un prolifico scrittore, un affascinante cantastorie che aveva dovuto ritirarsi dal lavoro in missione nel Meru per una lesione alla spina dorsale. Era arrivato a Nairobi nel 1973. Da lì aveva servito in maniera incredibile tutte le missioni del Kenya trovando per loro ogni cosa di cui avessero bisogno, dalle puntine da disegno ai pezzi di ricambio di qualsiasi macchinario, dalle medicine agli articoli religiosi. Dal suo botteghino per gli amici e visitatori delle missioni, aveva promosso una bellissima iniziativa per far conoscere il Kenya con le sue serie di diapositive e libretti sui vari gruppi etnici, tradotti in diverse lingue e diffusi in tutti i luoghi turistici del Paese.

20250304Quattocchio2Padre Giuseppe, missionario che nel suo servizio aveva maneggiato fior di milioni per il bene di tanti (educazione, salute e sviluppo), era rientrato in Italia con un vecchio vestito, regalo di qualche benefattore, e una grossa valigia strapiena di oggetti di artigianato locale da regalare in Italia ai suoi molti amici, assieme a pochi oggetti personali. Lui che aveva cambiato la vita di tante persone, partiva più leggero di quando era arrivato, lasciando tutto quello che aveva, anche la sua inseparabile bicicletta Graziella con la quale era conosciutissimo in tutta Nairobi. Aveva dato tutto.

In quel testo ricordavo anche i nomi di diversi altri missionari che avevano fatto come lui ed erano rientrati in Italia per i loro ultimi giorni andando via poveri, dopo aver reso ricchi tanti.

Lo scorso 22 gennaio quello stesso padre Giuseppe ci ha lasciato alla vigilia del suo 95° compleanno. È tornato a casa, quella del Padre, dove è arrivato ricco di tutto l’amore che ha vissuto avendo dato tutto con passione, gioia, competenza e umiltà. Al suo funerale, celebrato nel giorno di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, ho ricordato che è stato anche un fior di giornalista  e che questa rivista, per la quale aveva lavorato dal 1954 fino alla sua partenza per il Kenya a fine 1963, a lui deve molto.

E anche stavolta, per il suo ultimo viaggio, è partito dopo aver dato tutto portando con sé solo il suo grande amore per la Missione. Mi fa specie ricordare lui, e insieme anche tanti altri missionari e missionarie che hanno dato la vita, in questi tempi nei quali chi fa notizia è quel gruppo elitario di miliardari che pensano di essere i padroni del mondo. Questi, per diventare sempre più ricchi, sfruttano senza ritegno le persone e le risorse del pianeta, manipolano l’informazione, fomentano guerre, chiudono gli occhi davanti ai poveri, ai migranti e agli schiavizzati e si fanno belli come salvatori della patria.

La testimonianza di uomini come padre Giuseppe è una realtà bellissima, carica di speranza. Con la loro vita diventano contestazione di un mondo disumano e ci dimostrano come il «dare tutto», come ha fatto Gesù, è l’unica via per costruire vera umanità.

* Padre Gigi Anataloni, IMC, direttore responsabile rivista MC. Originalmente pubblicato in: www.rivistamissioniconsolata.it

Domenica 23 febbraio 2025, il padre Godfrey Msumange, IMC, è stato insediato come parroco della Parrocchia di Maria Immacolata e San Gregorio Magno, nuova missione dei missionari della Consolata a Londra, Inghilterra.

Il vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Westminster, mons. John Sherrington ha presieduto la celebrazione eucaristica insieme ai padri della Consolata della comunità di Finchley, Enrique Rituerto e Carlo Bonelli, al padre Jean-Pascal dei missionari Spiritani e all’amico della Consolata, il diacono Donal Hopkins.

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Il gioioso evento è stato benedetto anche dalla presenza degli amici provenienti da diverse parti, compresi gli amici della Consolata di diverse comunità africane che vivono a Londra e dall'Alto Commissario della Tanzania nel Regno Unito, SE. Mbelwa Kairuki.

I parrocchiani di Maria Immacolata e San Gregorio hanno riempito la chiesa per accogliere il loro nuovo parroco con grande gioia. È stata letta la Lettera di nomina da parte del Cardinale arcivescovo di Westminster, Vincent Nichols, seguita dalla professione di fede e dal giuramento di fedeltà di padre Godfrey, dalle firme da parte di entrambi, il nuovo parroco e il vescovo, dalla consegna del libro del Vangelo e delle chiavi della chiesa.

Alla processione dell'offertorio si è unita una comunità africana, donne e uomini, con i loro meravigliosi canti e danze fino all'altare portando i doni. È stato un momento gioioso.

Nella sua omelia, il vescovo ha invitato tutti a continuare a “formare una chiesa in cui al centro ci siano la comunione, la partecipazione e la missione”. Padre Godfrey ha chiesto ai parrocchiani di “lavorare insieme per rendere la comunità vibrante e forte nella fede, aperta al mondo tenendo sempre presente che la Chiesa esiste per evangelizzare”.

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La presenza dei Missionari della Consolata a Londra risale al 1952. Numerosi missionari studenti sono passati in questa città come parte della loro formazione e dopo l'ordinazione sono stati inviati in missione nei vari Paesi dove i missionari della Consolata lavorano nel mondo. Dall'anno 2024, oltre all'animazione missionaria che continua, i missionari della Consolata hanno assunto anche questa parrocchia, che si trova nella parte settentrionale, alla periferia della città, il punto più a nord di Londra conosciuto come High Barnet, vicino all’antico Seminario Internazionale IMC di Totteridge.

* Michael Shen e padre Godfrey Msumange, IMC, parroco a High Barnet, Londra.

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 Parrocchia di Maria Immacolata e San Gregorio Magno, nuova missione dei missionari della Consolata a Londra.

I missionari della Consolata sono arrivati in Polonia nel 2008 e si sono stabiliti a Kielpin nella Diocesi di Varsavia con la missione di lavorare nell’animazione missionaria della Chiesa locale. Nel 2022 è stata creata una seconda comunità nella città di Białystok centro della diocesi che porta lo stesso nome, ai confini con la Bielorussia.

“La nostra presenza è anche un segno di consolazione e perciò, in questa comunità si svolgono altri tipi di attività che non sono solo di evangelizzazione e animazione, ma anche di consolazione”, spiega il padre argentino, Juan Carlos Carmona, in una intervista rilasciata all’Ufficio per la Comunicazione durante la sua recente visita a Roma. “La nostra casa a Białystok è diventata anche parte della Caritas ed offre servizi ai migranti, soprattutto quelli che hanno dovuto uscire dell’Ucraina”, dice il missionario che da nove anni opera in Polonia e insieme al suo confratello, il padre Dirick Julius Sanga, visitano diversi luoghi del Paese per “fare animazione nella Chiesa locale con i giovani, con i bambini nelle scuole, realizzare incontri nelle parrocchie e organizzare le Domeniche Missionarie con ritiri spirituali”.

Pellegrini di speranza

In quest’anno del Giubileo della Speranza, la Chiesa in Polonia ricorda la figura del Papa San Giovani Paolo II, che “è ancora viva e continua ad essere per noi quel pellegrino che ci accompagna ed è vicino a noi. Anche noi missionari della Consolata, tutti gli anni, ripetiamo questo bel gesto di fare un pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Czestochowa. È un pellegrinaggio che dura dieci giorni, lo facciamo insieme alla gente ed è ormai una tradizione della Chiesa di Polonia che ogni anno se mette in strada verso la Vergine di Czestochowa. La particolarità di quest’anno come proposto da Papa Francesco, è appunto essere “Pellegrini di Speranza”. Ci troviamo in questa vita in pellegrinaggio verso il Padre, ed è un pellegrinaggio pieno di speranza. La speranza non è una caratteristica che soltanto da un colore al nostro pellegrinare. È anche qualcosa di più. La speranza è proprio il senso, il potere muovere i nostri passi già sapendo dove arriveremo e con chi saremo, con il Padre, il Figlio e con lo Spirito Santo.

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Gruppo del pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Czestochowa reunito nella Cappella dei missionari della Consolata a Kielpin. Foto: IMC Polonia

Questa speranza ha un volto concreto, il Signore nostro Gesù Cristo. Con questo spirito noi in Polonia vogliamo essere pellegrini di speranza nella nostra quotidianità, nel nostro vivere questa vita intensamente, cioè, essere e vivere la presenza del Signore Gesù”.

Leggi anche: Ucraina. In viaggio tra Fastow e Kherson

La santità di Giuseppe Allamano

“Quest’anno abbiamo una grazia in più perché l’Allamano è stato proclamato Santo. La santità dell’Allamano, fin dall’inizio la percepivamo ed eravamo già convinti che lui era con il Signore non soltanto perché era beato, ma anche per le sue stesse parole, quando  ripeteva ai missionari: ‘Prima santi, poi missionari’. Avendo vissuto la sua canonizzazione poco tempo fa, ricominciamo un tempo nuovo, un tempo nel quale diciamo: sì, la santità del nostro Fondatore è confermata, quindi, le radici sono sante e sane; quindi, l’albero da lui piantato e i suoi frutti sono santi. Questo è molto bello perché ci fa percepire ancora di più il carisma ricevuto dell’Allamano: portare la consolazione, essere come Maria, portare il Signore Gesù alla gente. Quindi, con questo augurio di uscire, di andare, di trovare l’altro, di esser portatori di speranza, di essere portatori del Signore Gesù, viviamo questo tempo de grazia insieme con il nostro Padre Fondatore”.

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Padre Juan Carlos è nato nel 1984 in Argentina a San Juan, nella provincia che porta lo stesso nome. Sentendo la chiamata di Dio entra nell’Istituto e dopo la formazione iniziale, nel 2007 ha fatto il Noviziato a Martin Coronado. Di seguito viene destinato a Roma per lo studio della teologia (2008-2013). La sua ordinazione sacerdotale è avvenuta in Argentina il 23 agosto 2014.

* Padre Jaime C. Patias, IMC, Ufficio per la comunicazione.

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 Santuario della Madonna di Czestochowa

 

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