Nel suo nuovo libro lo scrittore spagnolo racconta il viaggio a Ulan Bator col pontefice nel 2023. Da ateo convinto, ha scoperto la “radicalità” dei religiosi che “aiutano la gente senza proselitismo”. “Incarnano la Chiesa missionaria e povera” del pontefice, ha detto ieri a Roma incontrando la stampa. Nel romanzo narrati gli incontri con il padre Ernesto Viscardi, IMC, e Suor Ana Waturu.

L’incipit è sensazionale. Nel maggio 2023 Javier Cercas, scrittore spagnolo ateo e anticlericale dichiarato, viene avvicinato da Lorenzo Fazzini – responsabile della Libreria Editrice Vaticana – per una proposta inedita e assolutamente inaspettata: seguire papa Francesco in Asia, nel suo 43esimo viaggio apostolico in Mongolia. In una terra di minoranza cattolica (circa 1500 fedeli su 3,4 milioni di abitanti), estrema “periferia” del mondo cristiano. E quindi terra di missione. Nasce così “Il folle di Dio alla fine del mondo” (edito in Italia da Guanda), “romanzo senza finzione”, arrivato nelle librerie di Italia, Spagna e America Latina l’1 aprile 2025.

20250410Mongolia4L’offerta del Vaticano prevede che Cercas di questa “avventura” scriva un libro, con assoluta libertà in merito a contenuti e forma. Lui tentenna per un secondo. “Non lo sapete che sono un tipo pericoloso?”, la sua prima reazione. Poi accetta. Javier Cercas non si converte: non è questo l’epilogo della storia. “Non venderei copie”, scherza. Ma ammette di essere stato toccato in Mongolia dalla “Chiesa missionaria e povera” al centro del pontificato di Bergoglio, che definisce “papa periferico”. L’ha detto ieri a Roma, incontrando la stampa e AsiaNews alla terrazza Caffarelli, sul Campidoglio, nell’ambito del festival internazionale Letterature. “Chi rappresenta questa Chiesa vera, questa radicalità? I missionari, senza dubbio. È impossibile non ammirarli”, ha affermato.

Anche se la fede – persa “molti anni fa”, come spesso racconta – non l’ha riabbracciata, dopo il viaggio (dal 31 agosto al 4 settembre 2023) nello Stato a maggioranza buddista incastonato tra Siberia e Cina, Javier Cercas ha detto ironicamente di aver trovato la soluzione “a tutti i problemi della Chiesa”. “Tutti missionari! Se siete tutti missionari allora il problema è risolto”, ha commentato. Sono loro per lo scrittore “i veri folli di Dio”. Richiamando il santo di Assisi da cui Bergoglio per primo ha preso il nome papale. I “folli” – che Javier Cercas definisce anche “soldati di Bergoglio” – sono p. Ernesto, p. Giovanni, sr. Ana, sr. Francesca, e altri, personaggi del libro, con i quali lo scrittore intrattiene lunghe conversazioni. “Fanno delle cose totalmente anormali – ha raccontato -. Abbandonano la famiglia, la casa, il loro Paese, senza preoccuparsi dei soldi, dell’ambizione professionale… tutto questo per andare in Mongolia, o in Africa”.

“Per fare che cosa?”, ha domandato. “Per aiutare la gente. Nemmeno per convertire la gente. Questo è proibito nella Chiesa di Francesco; non è proselitismo. È aiutare chi ha bisogno. Come non ammirare tutto questo? Una cosa assolutamente rivoluzionaria, sovversiva, folle”. Per Javier Cercas – che da giovane ha ricevuto una ferrea educazione cattolica – il missionario è “il cristiano ideale”. “È quello che prende sul serio il messaggio di Cristo. È la rivoluzione di Francesco, di una radicalità straordinaria, che significa il ritorno al cristianesimo primitivo”, ha affermato.

20250410Momgolia7Nel libro padre Ernesto Viscardi, IMC, compare perché organizza un incontro con i monaci buddisti del monastero di Dashichoilin. Missionario della Consolata, è nel Paese dal 2004 (da prima di lui solo il card. Giorgio Marengo, prefetto apostolico a Ulan Bator). “L’unico missionario cattolico arrivato in Mongolia di sua spontanea volontà, non destinato qui dai suoi superiori”, scrive Cercas. “Sapeva […] che l’Asia era un continente immenso, riluttante al cristianesimo”. Presta servizio al centro “Il Sole che Sorge”, a Chingeltei, periferia della capitale. “Lui e i suoi compagni accolgono bambini e adolescenti poveri e senza famiglia – continua – ai quali offrono riparo, cibo, istruzione, divertimento e affetto”. Dopo di lui, in “Il folle di Dio alla fine del mondo” è narrato pure l’incontro con padre Giovanni, degli Oblati di Maria Immacolata, già missionario in Corea del Sud, “da quasi trent’anni a Pechino”, scrive Cercas.

Lo scrittore spagnolo scrive anche dell’incontro con sr. Ana Waturu, kenyana, missionaria della Consolata, direttrice della Caritas in Mongolia. Racconta di uno scambio avvenuto all’interno della cattedrale di Ulan Bator, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, sede della organizzazione umanitaria cristiana. “Dirige un gruppo di venti volontari, non tutti cattolici, in maggioranza fra i trenta e i quarant’anni, impegnati ad assistere persone che lo richiedano, fornendo loro cibo, indumenti, rifugio e aiuti di ogni tipo”, racconta. Lo scrittore ha la possibilità di parlare anche con “la più giovane delle missionarie della Consolata destinate in Mongolia”: sr. Francesca Allasia, 35enne nel 2023. Alla sua prima esperienza missionaria, la religiosa è in Asia da pochi mesi, giunta dopo gli studi a Roma. “Ha iniziato a parlare dei ragazzi del Sole che Sorge come se fossero suoi figli, ma subito capisco che, in realtà, per lei, sono davvero i suoi figli”, scrive Cercas nel libro.

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Il cardinale Giorgio Marengo con il Papa Francesco durante la sua visita in Mongolia. Foto: Vatican Media

AsiaNews ha assistito anche al dialogo dell’autore con i giornalisti italiani Aldo Cazzullo – anch’esso personaggio nel libro – e Sabina Minardi, svolto a Roma all’Auditorium Parco della Musica. In questa occasione Cercas ha spiegato che il suo viaggio è stato segnato da due dimensioni. La prima, quella “geopolitica” (che è in realtà la secondaria), ovvero lo sguardo della Chiesa rivolto verso Oriente, e quindi Pechino. “La Cina è importantissima; infatti non ci sono molte relazioni diplomatiche. È un’ossessione dei gesuiti e del papa. Il viaggio in Mongolia è servito anche per approssimarsi a essa”, ha detto. Papa Francesco al termine del viaggio, alla messa nella “Steppe Arena” di domenica 3 settembre 2023, aveva rivolto “un caloroso saluto al nobile popolo cinese”.

Ma è la seconda dimensione che per Javier Cercas è la fondamentale, “il centro del libro”: quella “religiosa”. L’autore – “più importante scrittore civile d’Europa”, dice Cazzullo – accetta la proposta della Santa Sede ponendo una unica condizione: che il papa gli conceda “cinque minuti” a quattr’occhi. Cercas vuole rivolgere al pontefice una domanda. “Perciò mi sono imbarcato su questo aereo: per chiedere a papa Francesco se mia madre vedrà mio padre al di là della morte, e per portare a mia madre la sua risposta. Ecco un folle senza Dio che insegue il folle di Dio fino alla fine del mondo”, scrive. Questo enigma – “la domanda di un bambino” – accompagna il nuovo romanzo di Javier Cercas. Trasformandolo in un giallo dell’esistenza che verrà risolto (forse) da un “piccolo miracolo”.

Fonte: AsiaNews

La Santa Messa di ringraziamento per la Canonizzazione di San Giuseppe Allamano è stata celebrata il 16 marzo 2025 nella parrocchia Maria Regina Immacolata (Mary Immaculate Queen Parish) di Osizweni, nella diocesi di Dundee, periferia della città di Newcastle in Sudafrica.

Questa comunità è stata l'ultima delle parrocchie che ha visto la presenza dei Missionari della Consolata nella diocesi di Dundee. Era stata riconsegnata alla diocesi il 17 ottobre 2021. In quell’occasione il vescovo della diocesi, mons. Graham Rose, ha ringraziato l’Istituto per il servizio dato alla comunità.

Quattro anni dopo, il parroco, padre Mthokozisi Ndlovu, i leaders e i parrocchiani ci hanno accolti per celebrare insieme il dono alla Chiesa e alla Congregazione della canonizzazione di San Giuseppe Allamano, nostro Fondatore, tenutosi il 20 ottobre 2024 a Roma.

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La Diocesi di Dundee occupa un posto molto speciale nel cuore del nostro Istituto, in particolare della nostra Delegazione di Sudafrica-eSwatini. Anche i fedeli cattolici delle varie parrocchie della diocesi hanno sempre apprezzato il contributo dei missionari della Consolata nell'opera di evangelizzazione e promozione umana. Questi ricordi non sono mancati nemmeno durante quest'ultima celebrazione.

Padre Mthokozisi Ndlovu ha sottolineato l'importanza di custodire la spiritualità dei missionari del passato, poiché essa è parte integrante della storia della parrocchia e della diocesi. Ha insistito sul fatto che, il lavoro dei missionari della Consolata nella parrocchia ha contribuito alla crescita e maturità delle parrocchie di Osizweni e della diocesi in generale. “Questa storia, il contributo dei missionari e la crescita in tutti gli ambiti, meritano di essere apprezzati e vissuti. Non possiamo dimenticare la storia e il grande lavoro dei missionari”, ha detto il parroco.

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Di fatto, le celebrazioni sono iniziate il sabato, 15 marzo, quando sono arrivati i rappresentanti dei missionari della Consolata, tra cui sei studenti professi del Seminario Teologico di Merrivale: Fr. Ribeiro Mario Rupeque, Stanley Kiarie, Vincent Odida, Nordinho Andre Waissone, Kouadio Ghislain Kouame e Kelvin Ng'ang'a Gitau. Erano presenti anche, il Superiore delegato, padre Nathaniel Kagwima, il Vice Superiore, padre Didier Sunda, il padre Anthony Muinde, che ha consegnato la parrocchia a padre Mthokozisi e il padre Boniface Ondiek.

Siamo stati accolti nella parrocchia che era in piena attività a causa dei preparativi. Siccome stavano arrostendo la carne per i visitatori, ci hanno invitato ad assaggiare questa delizia. Così la festa è iniziata ancor prima della celebrazione stessa e questo è stato un bel gesto di benvenuto!

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Domenica 16 marzo, abbiamo avuto la gioiosa celebrazione Eucaristica presieduta da padre Nathaniel Kagwima che ha lavorato in quella parrocchia dove era comunemente chiamato padre “Nathi”. L'intenzione della Santa Messa era quella di pregare per tutti i missionari della Consolata e in modo particolare per il riposo eterno del padre Rocco Marra, IMC, e di tutti gli altri missionari deceduti che hanno lavorato nella diocesi di Dundee.

Padre Nathaniel ha richiamato le parole di San Giuseppe Allamano, “Il bene deve essere fatto bene e senza rumore. Questa frase molto nota è la mappa della strada verso la santità come quella del santo Fondatore. Questo percorso - ha affermato padre Nathi - è fatto di ‘cose ordinarie  da realizzare in modo straordinario’. Per San Giuseppe Allamano appunto, fare bene le cose ordinarie in modo straordinario e senza rumore, era la strada sicura per la santità e per il bene comune”. Quindi lui ci è maestro di vita, ha detto Padre Nathaniel, e da lui dobbiamo imparare molto in qualsiasi professione svolgiamo il nostro servizio nella società o nella Chiesa.

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A sorpresa all’offertorio è stata presentata una capra! Chi lavora da queste parti del mondo capisce cosa significa, soprattutto perché le capre non sono un animale qualsiasi che può essere usato o offerto durante la Messa. La capra è un animale utilizzato esclusivamente per le attività tradizionali e soprattutto come offerta agli antenati. Al termine della Messa, la carne della capra è stata divisa tra le comunità della Consolata nella Delegazione.

Il parroco ha ricevuto in dono dai missionari una casula. Parlando a nome del gruppo, padre Didier, ha espresso gratitudine al parroco per il grande atto di amore e di accoglienza che ci ha riservato. Lo ha ringraziato per lo sforzo di organizzare un evento così grande. “Sembra quasi un evento organizzato dagli stessi Missionari della Consolata”, ha detto e ha ringraziato anche i responsabili e i parrocchiani per il loro amore verso la famiglia Consolata. “Cosa abbiamo fatto per meritare tanto amore?”

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Infine, ha chiesto ai parrocchiani di continuare a pregare per i missionari e ha assicurato loro le nostre preghiere e ha concluso con le parole:“Vi vogliamo bene!”

* Padre Ssempala Wakahora, IMC, missionario in Sudafrica. www.consolatasa.blogspot.com

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I Missionari della Consolata in Colombia inaugurano l'Anno dell'Accompagnamento e del Discernimento Vocazionale e presentano il documento guida con un itinerario di formazione, riflessione ed esperienze di missione.

In un contesto globale segnato da disuguaglianze, crisi ambientali e conflitti sociali, la vocazione cristiana emerge come risposta concreta alle sfide del mondo di oggi. La chiamata a costruire un futuro basato sulla solidarietà, sulla pace e sulla cura del creato diventa sempre più urgente, sia nella vocazione alla vita religiosa che laica, familiare o professionale.

Fedeli al loro carisma di evangelizzazione e promozione umana, i Missionari della Consolata in Colombia hanno assunto questo impegno portando il messaggio della Consolazione alle comunità dove la vita grida giustizia, speranza e amore. Ispirandosi all'insegnamento di San Giuseppe Allamano, il lavoro si concentra sulla formazione di comunità di fede, sulla promozione dei più vulnerabili e sulla costruzione di una società più fraterna e giusta.

In occasione della festa di San Giuseppe sposo della Vergine Maria, la Regione IMC Colombia ha inaugurato l'Anno dell'Accompagnamento e del Discernimento Vocazionale con la presentazione di un documento guida preparato dall'Animazione Missionaria Giovanile Vocazionale (AMGV). Il sussidio contiene informazioni sulle attività programmate, riflessioni sulla vocazione e un calendario dettagliato di incontri ed esperienze che permetteranno ai giovani di avvicinarsi alla missione. Inoltre, il documento contiene i contatti dei missionari disponibili ad accompagnare i giovani che disiderano fare un discernimento vocazionali nelle diverse zone del Paese.

Padre Óscar Medina, coordinatore dell'AMGV a Florencia (Caquetá), ci invita a iniziare questo tempo insieme e ci ricorda che “la nostra risposta e disponibilità sono un segno di speranza per la Chiesa e per l'umanità”.

Tutti gli interessati sono invitati a seguire le attività e i contenuti attraverso i social network all'indirizzo @amjvcolombia su Instagram o sugli account ufficiali dei Missionari della Consolata in Colombia.

Documento guida “Chiamati alla missione: un tempo di discernimento e di accompagnamento”.

* Ufficio Comunicazioni ed Equipe AMJV Colombia.

Anche il diverso è bello

Padre Diego Cazzolato, è un missionario della Consolata nato a Biadene (Tv) nel 1952. Dopo gli studi in Italia e due anni in Colombia, è stato animatore missionario in Italia e Spagna fino al 1988. Quell’anno è partito per la Corea del Sud stabilendo la prima presenza dell’istituto in Asia e sperimentando un nuovo modo di essere missionari.

Con quasi 40 anni di missione in Corea del Sud, la sua è un’esperienza discreta improntata al dialogo con le altre fedi.

«Mi chiamo Diego e “son veneto, ciò!”. Sono nato a Biadene (Tv) nell’ormai lontano 1952, per cui sono un missionario piuttosto stagionato».

Perché hai scelto di essere missionario della Consolata?

«Nella nostra storia non c’è niente di “casuale”, anche se all’inizio può sembrare così. Al mio paese, i Missionari della Consolata avevano allora un seminario minore (medie e ginnasio). Io ho conosciuto i miei compagni seminaristi a scuola, siamo diventati amici e, per stare con loro, sono entrato anch’io in seminario. Poi loro, poco a poco, hanno lasciato, io invece sono andato avanti.

Perché ho deciso di diventare missionario? Perché volevo fare qualcosa di buono con la mia vita, e aiutare a migliorare il mondo, che mi lasciava piuttosto perplesso, con le sue tante ingiustizie e povertà, e diventare missionario mi sembrava il modo migliore di realizzare i miei sogni.

Più tardi ho capito che non ero io a voler costruire un mondo migliore, ma Gesù stesso, e che Lui mi inviava a farlo nel suo nome. Non c’è che dire: un dono immenso, questo della vocazione missionaria!».

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Padre Diego Cazzolato durante un incontro interreligioso in Corea del Sud. Foto: IMC Corea del Sud

Puoi raccontare brevemente la tua storia?

«Dopo il liceo a Varallo Sesia (Vc) e il noviziato in Certosa di Pesio (Cn), sono stato mandato a studiare filosofia e teologia al nostro seminario di Totteridge, Londra (1972-77).

Ho concluso il ciclo di cinque anni di studio con la professione perpetua e il diaconato.

Avevo chiesto di fare un’esperienza missionaria prima dell’ordinazione, cosa allora del tutto inusuale, ma la mia richiesta è stata accettata e sono stato inviato in Colombia. Un’esperienza di due anni bellissima e… molto utile a purificarmi dai miei “voli pindarici” sulla missione e cominciare ad affrontarne invece con amore la realtà, spesso dura e difficile.

Dopo l’ordinazione al mio paese nel 1979, sono stato destinato all’animazione missionaria e vocazionale, prima a Bevera (Lecco) per due anni, poi in Spagna, a Malaga.

Anche quelli sono stati anni bellissimi, a contatto con tanti giovani, con cui sono ulteriormente cresciuto nell’amore per la missione e nella fede, che ne è la base!

Fin quando non è arrivata la “chiamata della vita”: andare nella Corea del Sud, per iniziare la prima presenza missionaria dell’istituto in terra d’Asia! Era il 1988… e sono ancora qui!».

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Padre Diego Cazzolato nella Casa Generalizia a Roma. Foto: Jaime C. Patias

Puoi dire due parole sulla Corea del Sud? Quali sono le sue principali sfide missionarie?

«La Corea del Sud è un Paese che ha avuto uno straordinario sviluppo economico e tecnologico a partire dagli anni 70, ed è una realtà assolutamente agli antipodi rispetto alle immagini “tradizionali” della missione.

I cattolici nel Paese sono adesso il 10% della popolazione, poi ci sono i protestanti, i buddhisti, i confuciani, i seguaci di un nutrito gruppo di religioni autoctone e un buon 50% della popolazione che dichiara di non aderire a nessuna religione organizzata.

Le sfide missionarie? A mio modo di vedere sono sempre le stesse dappertutto: far conoscere Gesù e il suo vangelo a chi ancora non lo conosce e, in Asia in particolare, il dialogo interreligioso».

Che lavoro svolgi oggi? Quali sono la difficoltà e la soddisfazione più grandi?

«È precisamente nel dialogo interreligioso che consiste il mio impegno missionario, da almeno una ventina d’anni. Quello “ufficiale” che si svolge negli ambiti delle apposite organizzazioni (delle quali sono membro), e quello che si svolge nella vita di ogni giorno, in tanti incontri “casuali”, che di casuale non hanno proprio niente.

Ci sono ovviamente difficoltà: tante iniziative che sembrano non riuscire a incidere; il continuo cambio degli interlocutori del dialogo, che ci obbliga sempre a un nuovo inizio; il generale disinteresse per la cosa; ma ci sono anche grosse soddisfazioni, come il fatto di poter sperimentare un’autentica amicizia anche con persone di fede diversa. E sperimentare che, grazie all’incontro con me, la fede cristiana viene vista con occhi più positivi e benigni».

Puoi raccontare un episodio significativo della tua vita missionaria?

«Un giorno è venuto a trovarmi a casa un signore del buddhismo-won (una delle religioni autoctone della Corea) che mi aveva visto “casualmente” a un incontro ufficiale qualche giorno prima e voleva parlare con me.

Nel dialogo, mi ha rivelato di essere molto ammalato di cancro, e voleva sapere da me, come cristiano, “cosa c’è dall’altra parte” della vita. Abbiamo condiviso la visione cristiana della vita eterna, e quella del buddhismo-won. Alla fine l’uomo se ne è andato visibilmente soddisfatto, ma senza lasciarmi alcun recapito, e io non l’ho visto mai più».

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Quali sono, secondo te, le grandi sfide della missione del futuro? Come pensi di affrontarle?

«Io vedo come grandi sfide della missione del futuro quella di sganciarsi progressivamente dalle “opere” (che pure sono necessarie in tanti contesti), che obbligano il missionario a stare sempre un po’ al “centro”, per dirigersi più direttamente alle “persone”, nel dialogo e nella condivisione della vita.

C’è bisogno anche di una missione più caratterizzata dallo spirituale, e dalla contemplazione.

Il contesto coreano delle religioni non cristiane in cui sono inserito da una vita, mi ha convinto sempre più di tutto questo, e mi sembra costituire una sorta di “anticipazione” della missione del futuro».

Padre Diego Cazzolato, Missionario della Consolata dal 1988 in Corea del Sud.

Cosa possiamo offrire al mondo come Missionari della Consolata?

«Al loro primo arrivo in Kenya, i Missionari della Consolata hanno visto necessario fare la scelta di “stare con la gente”. Questa capacità/volontà credo costituisca una nostra grande ricchezza da offrire al mondo. Oltre, naturalmente, alla nostra esperienza personale della fede, di Dio, e alla nostra ricchezza “umana”, di amicizia, il nostro “spirito di famiglia”».

A partire dal tuo contesto, che cosa dovremmo fare, secondo te, per avere più impatto nel mondo giovanile?

«In Corea il mondo giovanile costituisce una realtà complessa, di difficile penetrazione. Eppure, i giovani soffrono di solitudine, di mancanza di punti di riferimento validi nella vita. Bisognerebbe avere il coraggio di dedicarsi veramente all’incontro con loro. Di nuovo: non “opere” ma “incontro personale”».

Ci suggerisci uno slogan per i giovani dei nostri centri?

«Lo slogan che proporrei viene dal mondo e dall’esperienza del dialogo interreligioso: “Anche il diverso è bello!” Aggiungendo: “Prova e vedrai!”»

* Luca Lorusso è giornalista della rivista Missioni Consolata. Pubblicato originalmente in: www.amico.rivistamissioniconsolata.it

Nel marzo 2007 ero in Kenya, a Nairobi. Da lì, poco tempo prima, dopo 43 lunghi anni di servizio, era partito per rientrare in Italia un missionario settantasettenne. Scrissi allora un editoriale per la rivista che curavo laggiù, The Seed (Il seme). Il titolo era «Gone poor, having made rich many…» (Partito povero, dopo aver reso ricchi molti).

Il missionario in questione era padre Giuseppe Quattrocchio. Un gran lavoratore, un prolifico scrittore, un affascinante cantastorie che aveva dovuto ritirarsi dal lavoro in missione nel Meru per una lesione alla spina dorsale. Era arrivato a Nairobi nel 1973. Da lì aveva servito in maniera incredibile tutte le missioni del Kenya trovando per loro ogni cosa di cui avessero bisogno, dalle puntine da disegno ai pezzi di ricambio di qualsiasi macchinario, dalle medicine agli articoli religiosi. Dal suo botteghino per gli amici e visitatori delle missioni, aveva promosso una bellissima iniziativa per far conoscere il Kenya con le sue serie di diapositive e libretti sui vari gruppi etnici, tradotti in diverse lingue e diffusi in tutti i luoghi turistici del Paese.

20250304Quattocchio2Padre Giuseppe, missionario che nel suo servizio aveva maneggiato fior di milioni per il bene di tanti (educazione, salute e sviluppo), era rientrato in Italia con un vecchio vestito, regalo di qualche benefattore, e una grossa valigia strapiena di oggetti di artigianato locale da regalare in Italia ai suoi molti amici, assieme a pochi oggetti personali. Lui che aveva cambiato la vita di tante persone, partiva più leggero di quando era arrivato, lasciando tutto quello che aveva, anche la sua inseparabile bicicletta Graziella con la quale era conosciutissimo in tutta Nairobi. Aveva dato tutto.

In quel testo ricordavo anche i nomi di diversi altri missionari che avevano fatto come lui ed erano rientrati in Italia per i loro ultimi giorni andando via poveri, dopo aver reso ricchi tanti.

Lo scorso 22 gennaio quello stesso padre Giuseppe ci ha lasciato alla vigilia del suo 95° compleanno. È tornato a casa, quella del Padre, dove è arrivato ricco di tutto l’amore che ha vissuto avendo dato tutto con passione, gioia, competenza e umiltà. Al suo funerale, celebrato nel giorno di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, ho ricordato che è stato anche un fior di giornalista  e che questa rivista, per la quale aveva lavorato dal 1954 fino alla sua partenza per il Kenya a fine 1963, a lui deve molto.

E anche stavolta, per il suo ultimo viaggio, è partito dopo aver dato tutto portando con sé solo il suo grande amore per la Missione. Mi fa specie ricordare lui, e insieme anche tanti altri missionari e missionarie che hanno dato la vita, in questi tempi nei quali chi fa notizia è quel gruppo elitario di miliardari che pensano di essere i padroni del mondo. Questi, per diventare sempre più ricchi, sfruttano senza ritegno le persone e le risorse del pianeta, manipolano l’informazione, fomentano guerre, chiudono gli occhi davanti ai poveri, ai migranti e agli schiavizzati e si fanno belli come salvatori della patria.

La testimonianza di uomini come padre Giuseppe è una realtà bellissima, carica di speranza. Con la loro vita diventano contestazione di un mondo disumano e ci dimostrano come il «dare tutto», come ha fatto Gesù, è l’unica via per costruire vera umanità.

* Padre Gigi Anataloni, IMC, direttore responsabile rivista MC. Originalmente pubblicato in: www.rivistamissioniconsolata.it

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