Il 16 febbraio 2025, l’Istituto inizierà un anno di celebrazioni in occasione del centenario della morte del nostro Fondatore, San Giuseppe Allamano. Forse sarebbe più appropriato dire che inizieremo un cammino per celebrare 100 anni dalla nascita al cielo del Fondatore.

Ci si potrebbe chiedere il motivo per cui questo sia importante, soprattutto se si considera che abbiamo recentemente celebrato la sua canonizzazione, che dovrebbe essere il massimo livello di onore che avremmo voluto vedergli attribuire.

Ebbene, mentre celebreremo i 100 anni dalla nascita del nostro Fondatore celebreremo anche i 125 anni di esistenza dei missionari della Consolata e, nello stesso tempo anche la Congregazione delle Missionarie della Consolata celebra 115 anni di fondazione. Le due cose non possono essere separate, perché l'esistenza oggi delle due congregazioni missionarie fondate da Padre Allamano, dice qualcosa su di lui. La presenza e il lavoro di evangelizzazione dei Missionari e delle Missionarie della Consolata nei quattro continenti che in questi 100 anni ha cambiato la vita di tante persone e popoli, proclama indirettamente i tratti della ricca personalità del Fondatore quando era in vita.

Innanzitutto, la celebrazione del centenario della morte del fondatore è un'occasione per riflettere sulla sua vita. Gli esseri umani passano, ma il fatto che una persona venga ricordata 100 anni dopo la sua morte indica il suo contributo nel mondo, ma soprattutto nella vita delle persone. Coloro che non fanno molto durante la loro vita vengono dimenticati non appena le loro tombe vengono coperte.

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Il funerale di Giuseppe Allamano avvenuto il 18 febbraio 1926 a Torino

Il cammino verso la celebrazione di questo centenario ci ricorda che il nostro Fondatore è stato quindi un uomo santo, mentre viveva, ed è per questo che la sua vita, i suoi insegnamenti e il suo lavoro sono stati al centro di molti sforzi che hanno trasformato la vita delle persone. Ecco perché le sue opere gli sono succedute. Ora possiamo dire con sicurezza di aver scoperto la ragione per cui ha avuto successo: la sua santità. Solo così il suo progetto, che all'inizio non convinceva molti, ha finito per dare vita a due istituti missionari che oggi lavorano in diversi Paesi del mondo.

In secondo luogo, la celebrazione del centenario è un'occasione per riflettere sui 125 anni di esistenza dell'Istituto. È un'opportunità per rivedere il cammino fatto, la sfida affrontata e le pietre miliari raggiunte. Celebrando pubblicamente le pietre miliari raggiunte, l'Istituto non solo rafforzerà la sua reputazione di strumento di Dio nell'evangelizzazione del mondo, ma ispirerà anche i membri attuali e futuri. Una riflessione su tutti questi aspetti onora l'eredità del passato e infonde un senso di orgoglio in coloro che sono ancora in vita. Inoltre, una riflessione sul cammino fatto finora ci ricorda le fondamenta su cui è stato costruito l'istituto, rafforzando i valori e le tradizioni che persistono fino ad oggi.

20250212Centenario5In terzo luogo, le celebrazioni del centenario promuovono lo spirito comunitario. In realtà, l'essenza di qualsiasi evento celebrativo risiede nella sua capacità di riunire le persone. Le celebrazioni del centenario coltivano lo spirito comunitario unendo vari soggetti interessati. La famiglia dei Missionari della Consolata è una vasta rete di entità consolatrici, che comprende i missionari, i genitori e i parenti dei missionari, i gruppi associati alla famiglia della Consolata, i missionari laici della Consolata, il popolo di Dio che serviamo, gli ex alunni delle nostre istituzioni accademiche, i dipendenti delle nostre varie comunità, i benefattori, le persone di buona volontà e gli altri beneficiari delle istituzioni sanitarie e di altri progetti caritatevoli.

Celebrando l’eredità condivisa, gli eventi del centenario dovranno aiutarci a superare le sensazioni di isolamento o le frammentazioni a volte presenti nelle nostre comunità, favorendo la rivitalizzazione dello zelo missionario e il senso di appartenenza alla famiglia dell’Istituto. Riunendoci per festeggiare ci aiuterà a portare avanti la missione di consolazione dell’Istituto, rafforzandone l’efficacia per la gente e le prospettive di evangelizzazione.

In quarto luogo le celebrazioni del centenario dovranno stimolarci a guardare al futuro. È proprio nell’onorare la figura del Fondatore e nel celebrare la storia dell’Istituto che siamo chiamati a scoprire gli stimoli e le indicazioni per ridisegnare il futuro della missione ad gentes e del nostro Istituto. I risultati raggiunti, il cammino fatto dall’Istituto, sono un incoraggiamento per lanciare nuove iniziative, rinnovare i nostri progetti missionari continentali, creare nuove collaborazioni che ci aiuteranno a dare forma al nostro futuro. Questa prospettiva lungimirante è fondamentale per garantire la sostenibilità e la continuità della rilevanza in un mondo dinamico.

La riduzione delle vocazioni in Europa e in America, il cambiamento di mentalità nei confronti della Chiesa in Paesi un tempo notoriamente cristiani, l'indebolimento dell'impegno missionario di molti missionari, la crescita dell'importanza dei social media, la disintegrazione dell'istituzione familiare, ecc. sono tra le tante realtà che ci ricordano lo sforzo necessario per essere strumenti efficaci di Dio in futuro.

Mentre procediamo con i preparativi per il centenario, è importante chiedersi quali collaborazioni dobbiamo stringere e con chi. In un mondo che sta ampiamente dimostrando la necessità di persone che lavorano insieme come gruppi e comunità, l'Istituto dovrà probabilmente chiedersi come i Missionari Laici della Consolata, gli ex-alunni della Consolata, gli Amici della Consolata, ecc. possano essere coinvolti molto meglio nello sforzo di evangelizzazione e soprattutto nella missione di consolazione dei Missionari della Consolata.

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Canonizzazione di San Giuseppe Allamano il 20 ottobre 2024. Foto: Jaime C. Patias

In conclusione, è opportuno dire che, sebbene la celebrazione del centenario celebri il traguardo raggiunto, le celebrazioni del centenario sono esse stesse tappe significative che incarnano l'essenza della riflessione, del riconoscimento e del rinnovamento. Esse onorano il percorso del passato, promuovono lo spirito comunitario e celebrano i risultati raggiunti, contribuendo a creare un senso di orgoglio e di appartenenza. Inoltre, questi eventi ispirano le aspirazioni future, assicurando che l'eredità costruita nel corso di un secolo continui a prosperare.

Quando le istituzioni e le comunità si riuniscono per celebrare il loro centenario, abbracciano un ricco arazzo di storia, riconoscono i contributi dei loro membri e guardano avanti verso nuovi orizzonti. Questa duplice attenzione al passato e al futuro definisce lo spirito delle celebrazioni del centenario, rendendole un potente catalizzatore di unità e progresso. Che l'avvio delle celebrazioni del centenario possa motivarci nel nostro sforzo di migliorare il nostro essere strumenti di consolazione nel mondo.

* Padre Jonah M. Makau, IMC, è Postulatore e direttore dell’Ufficio Storico

Il padre Antonio Gabrieli, missionario della Consolata, è deceduto a Buenos Aires all'alba del 7 febbraio 2025, all'età di 76 anni. Ha dedicato 56 anni alla vita religiosa e 51 al sacerdozio, lasciando un'eredità di fede, impegno e dedizione missionaria. 

“Con grande dolore, oggi nostro fratello ha concluso il suo pellegrinaggio sulla terra ed è passato alla casa del Padre. Ringraziamo Dio per la sua testimonianza, il suo ministero, il suo servizio, la sua consacrazione e la sua dedizione alla Missione Ad Gentes.” Così recita il comunicato della Regione IMC Argentina a proposito della morte del padre Antonio Gabrieli, avvenuta il 7 febbraio 2025. 

L'Argentina, dove arrivò per la prima volta come missionario nel 1983, divenne la sua casa. “È la mia terra, la porto nel cuore”, dichiarò nel 2023, celebrando i suoi 50 anni di sacerdozio. Durante le sue quattro decadi di missione e servizio pastorale nel Paese, ricoprì numerosi ruoli: parroco, vicario, formatore, maestro dei novizi, superiore di comunità, consigliere e superiore regionale. 

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Nelle ultime settimane di vita, il padre Antonio ebbe accanto non solo i fratelli missionari, ma anche le sue due sorelle che viaggiarono dall’Italia per stargli vicino. L'8 febbraio è stato sepolto nel cimitero “Giardino della Pace” a Luján, in Argentina, lasciando un profondo patrimonio di fede e servizio missionario. 

Fratello tra i fratelli

Il padre Antonio Gabrieli – testimonia il padre José Auletta – è stato “un fratello tra i fratelli, un missionario che ha sempre svolto il suo servizio con moderazione, rispetto e un distinto trattamento umano verso tutti coloro che lo cercavano”. 

Padre Antonio Gabrieli, in visita a Cuore Amico il 18 luglio 2019

Il padre Auletta sottolinea in particolare come il padre Gabrieli lo abbia sempre incoraggiato e sostenuto nel suo lavoro di accompagnamento ai popoli indigeni dell'Argentina, riaffermando la sua fedeltà al carisma missionario. 

Il suo stesso impegno con le comunità indigene di Yuto lasciò un'impronta indelebile: “Mi ha segnato profondamente la sua vicinanza alla gente, in particolare ai fratelli guaraní, che oggi lo ricordano con affetto e gratitudine.” 

20250211Antonio2La serenità e la forza del padre Gabrieli – ricorda Auletta – furono evidenti anche negli ultimi giorni della sua vita. “Pochi giorni prima della sua partenza, durante il ritiro annuale di gennaio, mi colpì la sua pace nell'affrontare la malattia che lo affliggeva. Oggi, con profonda gratitudine, facciamo memoria di questo fratello che è partito verso la tierra sin males, il cielo nuovo e la terra nuova. Il nostro caro padre Antonio Gabrieli lascia un'eredità di fede, impegno e amore per gli altri.” 

Missionario vicino e amico di tutti

Anche la professoressa Diana Sosa, di Mendoza, ricorda il padre Antonio Gabrieli come “una persona molto vicina e amico di tutti, molto vicino al personale delle scuole della Consolata in Argentina dove lei lavora”. 

Secondo lei il padre Antonio fu un missionario con proposte audaci, sempre disposto a incoraggiare la comunità nei momenti difficili oltre che un formatore con una straordinaria visione della missione: “In un momento molto difficile per il Paese, quando la crisi economica colpiva la stabilità degli stipendi e l'incertezza pesava su molte famiglie, ebbe l'iniziativa di fondare il gruppo chiamato ‘Amici della Consolata’. Questo gruppo organizzava, una volta al mese, eventi comunitari per riunirci, condividere e darci coraggio a vicenda”, ricorda Sosa. 

Apprezzava la sua capacità di connettere la formazione con la realtà del momento. “Le sue proposte negli spazi di formazione e ritiri erano sempre aggiornate. Ricordo in particolare come ci avvicinò ad autori che non leggevamo abitualmente, come Pagola, permettendoci di riflettere più profondamente sulle dimensioni divine, storiche e sociali della persona di Gesù” aggiunge. 

Nel ricordare la sua partenza, la professoressa Diana sottolinea la sua forza e dedizione incrollabile: “Nonostante la malattia, non si arrese mai. Ebbe sempre una grande volontà di vivere e trasmettere il suo messaggio con forza e speranza. È stato un privilegio conoscerlo e imparare dal suo esempio”. 

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Breve biografia

Il padre Antonio Gabrieli, figlio di Paolo e Patroni Maria, nacque il 13 luglio 1948 a Darfo, Brescia (Italia) e fece il noviziato con i missionari della Consolata, emettendo la sua prima professione religiosa il 2 ottobre 1968. Ordinato sacerdote il 22 dicembre 1973, visse i suoi primi anni di missione in Italia, come formatore nelle case di Gambettola e Bedizzole, e nell'animazione vocazionale a Porto San Giorgio.  Dopo aver raggiunto l’Argentina tutta la sua vita la spese in quel paese eccetto il periodo tra il 1993 e il 1999, quando ricoprì l'incarico di Consigliere Generale dei Missionari della Consolata incaricato del continente americano.

Quando celebrò i 50 anni di ordinazione  disse che l’Argentina era la terra che “portava nel cuore”. Il paese e ognuno dei luoghi nei quali lavorò: San Francisco, Martín Coronado, Jujuy, Mendoza, Yuto, Merlo e Buenos Aires. 

* Padre Julio Caldeira, IMC, missionario a Manaus, Brasile.

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Giubileo nel mondo. Pellegrino è chi si mette in cammino cercando di abbracciare la gente che incontra, come spiega padre Stefano Camerlengo, missionario della Consolata, parlando del suo impegno tra villaggi lontani nel Nord della Costa d’Avorio. “La speranza – afferma a 'Popoli e Missione' - è prima di tutto presenza”

Ha 68 anni padre Stefano Camerlengo, missionario della Consolata a Dianra, in Costa d’Avorio, ma la sua sembra una vita lunghissima, tanto è stata intensa. Ordinato sacerdote nel 1984 nella Repubblica Democratica del Congo, allora Zaire, ci è rimasto per 18 anni; poi, per nove ha svolto animazione missionaria in Italia, prima a Galatina e successivamente a Bevera. Nel 2005, è stato eletto Vice-Superiore generale dell’Istituto dei Missionari della Consolata e, nel 2011, Superiore Generale, riconfermato fino al 2017. Nel 2023 ha concluso il suo servizio presso la Direzione generale e nel 2024 è partito per la missione in Costa d'Avorio.

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Missionari della Consolata in Costa d'Avorio

“E dopo 40 anni di sacerdozio, ti chiedi cosa fare ancora, come missionario”. Per lui, la risposta più logica è stata partire. “Girare il mondo, durante il mio incarico nella congregazione, è stata un’esperienza unica, perché ogni posto diventa casa tua” ammette padre Stefano. “Ma la cosa che più mi è mancata in questi anni è la continuità delle relazioni, la quotidianità con un gruppo con cui condividere la missione, con cui crescere e diventare famiglia”. Oggi, quel desiderio sembra realtà. Dalla diocesi di Odienné, infatti, la sua voce al telefono è carica di entusiasmo.

Una fede dai gesti concreti

“Mi sono reso disponibile e sono stato mandato qui, a Nord della Costa d’Avorio”, spiega. Un territorio grande come le Marche – la sua regione d’origine – con due parrocchie che comprendono 20-25 villaggi ciascuna. Con lui, fin dall’inizio, c’era anche padre Matteo Pettinari, morto in un incidente stradale il 18 aprile 2024: “Un missionario infaticabile, il più giovane italiano del nostro Istituto”.

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Ora lo affianca un sacerdote ugandese. “è una zona prevalentemente musulmana (il 93%), dove la convivenza è pacifica. I cristiani sono il 3% della popolazione: significa che tu arrivi in un posto dopo più di un’ora di strada e hai tre fedeli in chiesa. È tuttavia interessante essere in minoranza, anche perché la speranza è prima di tutto presenza, far sentire che ci sei. Tu vai ad alimentare una fede con i pochi che ci sono, e lo fai con gesti concreti”. Per esempio, nella missione di Dianra, essendo carente l’aspetto sanitario, è stato realizzato un piccolo ospedale, che è un punto di riferimento per tutti, con campagne di prevenzione, visite nei villaggi, vaccinazioni. O, ancora, sono stati avviati progetti di scolarizzazione, principalmente rivolti a bambini e a ragazze, che sono le categorie meno rispettate.

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Missione di Dianra Village

Le donne rappresentano la speranza

“È incredibile come le donne, la cui dignità non è assolutamente riconosciuta, siano poi quelle che danno veramente speranza alla famiglia, alla comunità e al Paese. Lavorano nel silenzio, ma il loro messaggio arriva a tutti: sono il futuro dell’Africa”. È nell’accompagnare queste situazioni che si realizza il suo essere “pellegrino di speranza”. “Lo sento quando mi accolgono in un Paese che non è il mio o capitano segnali forti che ti toccano dentro e ti cambiano. Me ne accorgo davanti alla meraviglia del cuore della gente, e ogni volta che vedo qualcosa di grande in mezzo a tanta povertà e polvere, in un angolo della Terra dimenticato da tutti”. Per il missionario, già solo una messa è un’iniezione di speranza: “Celebrare è ciò che dà senso alla mia vocazione”.

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E anche nei giorni feriali, quando i suoi parrocchiani vanno a lavorare nei campi fuori dal villaggio (divenendo anch’essi pellegrini), gli bastano pochi e semplici incontri, un grazie, un sorriso, per “ripartire e fare fronte alle difficoltà. Perché la speranza ricomincia sempre. Perché pellegrino è chi si mette in cammino cercando di abbracciare la gente che incontra; è chi lascia gli spazi delle proprie comodità per camminare con Lui verso luoghi sconosciuti e vivere legami significativi”.

Il senso del Giubileo

È, in fondo, il senso di ogni Giubileo, per noi e per la Chiesa essere “l’occasione per un cambiamento vero, la forza dirompente capace di aprire la porta della fede e dell’accoglienza, superando la tentazione di ritirarsi nella propria piccola vita”. Tempi difficili per la speranza, ma il sogno di padre Stefano è quello di “poter dare una mano per costruire una solida comunità cristiana, attenta ai bisogni degli altri”. E intanto fa sue le parole di san Riccardo: “Turista è chi passa senza carico né direzione. Camminatore chi ha preso lo zaino e marcia. Pellegrino chi, oltre a cercare, sa inginocchiarsi quando è necessario”.

* Originalmente pubblicato in Popoli e Missione.

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L’ultima parte della Vista Canonica alla Regione Congo compiuta dal Superiore Generale, padre James Lengarin, accompagnato dal Vice Superiore Generale, padre Michelangelo Piovano e dal Consigliere, padre Erasto Mgalama, si è completata con la visita alle parrocchie di Saint Joseph d’Arimathée, Bisengo Mwambe, Saint Hilaire e al seminario filosofico dal 28 al 31 gennaio.

“La nostra presenza in questa realtà è vera consolazione, forse anche piccola e limitata, ma sostenuta dalla dedicazione dei nostri missionari e anche dal grande esempio di fede, partecipazione e coinvolgimento della gente e dei fedeli delle nostre parrocchie e comunità”.

Parrocchia di Saint Joseph d’Arimathée e Seminario folosofico

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La parrocchia appartiene alla diocesi di Kisantu e si trova nella stessa zona della casa regionale, con la bella chiesa spaziosa e luminosa ormai ultimata ed alcune opere legate alla parrocchia come la scuola, sale per attività sociali di taglio e cucito, informatica, Caritas e il pozzo per vendita e distribuzione dell’acqua.

Il parroco è padre César Balayulu Otsis. Ci ha anche fatto conoscere un’altra cappella con la chiesa ormai ultimata, dedicata alla Consolata. Accanto ad essa anche il pozzo per la distribuzione dell’acqua ed un grande terreno che viene coltivato in parte dal seminario filosofico.

Il pomeriggio del 28 gennaio vistiamo il Seminario filosofico “Padre Antonio Barbero”. Gli studenti sono 25: sette nell’anno propedeutico e 18 nella filosofia. Vi è un solo formatore padre Toussaint Twite che ci presenta il progetto comunitario e lo svolgimento della vita della comunità che oltre allo studio e agli incontri formativi cerca di mantenersi con i lavori della casa, coltivazioni e con un allevamento di maiali.

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Il giorno seguente, 29 gennaio, Anniversario della Fondazione dell’Istituto, nella celebrazione della Messa, otto studenti del terzo anno fanno il loro ingresso nel postulato. Il superiore generale consegna loro un crocifisso e la Vita Spirituale del nostro Fondatore. Partecipano anche alcuni familiari degli studenti che sono di Kinshasa. In seguito, un momento di festa con la cena, musica, canti e danze.

Parrocchie di Bisengo Mwambe e Saint Hilaire

Il 30 gennaio partiamo per le parrocchie di Bisengo Mwambe e St. Hilaire che si trovano invece nella parte opposta della città, nella diocesi di Kinshasa e nei pressi dell’Aeroporto. Una zona molto popolata e di difficile accesso a causa della strada sabbiosa, soprattutto in tempo di pioggia. Realtà veramente ad gentes e con tante sfide sociali e pastorali.

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Nella parrocchia di Bisengo Mwambe vi lavorano padre Victor Kota come parroco e padre Innocent Bakwangama. Ci portano innanzitutto a conoscere la cappella della Consolata ancor più lontana dalla sede parrocchiale che raggiungiamo con una strada per soli esperti autisti e buone Land Cruiser. La Chiesa si trova in un bel pianoro dove la gente ha anche iniziato a costruire le sue case e vorrebbe che un giorno diventasse parrocchia. Ci accoglie un gruppo di fedeli della comunità.

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Nella stessa zona vi è anche una scuola dedicata alla Consolata con più di 400 alunni suddivisi tra la scuola e primaria e secondaria con frequenza al mattino e al pomeriggio. Oltre a questa anche un piccolo ospedale che al momento funziona solo in parte e conta con la presenza di un medico che è presente tre volte alla settimana. Vi è un buon reparto di maternità e sala operatoria.

Ritorniamo poi alla parrocchia dove anche qui vi è una grande scuola con circa 1200 alunni nella primaria e 400 nella secondaria. Un’opera grande e importante, ma che ha bisogno di costante manutenzione e materiale per le attività scolastiche.

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Alla sera, dopo la Messa animata e partecipata da un bel numero di fedeli, passiamo alla parrocchia di Sait Hilaire dove vi lavorano padre Dieudonné Ambinikosi come parroco e padre Matthieu Kasinzi. La parrocchia è ben strutturata, con una bella chiesa nella quale celebriamo la messa il mattino con un gran numero di fedeli, soprattutto donne. Dopo la Messa un momento di preghiera presso la grotta della Madonna invocando soprattutto il dono della pace.

Anche qui visitiamo le scuole della parrocchia:  primaria e secondaria con quasi 900 alunni. Un numero grande per il quale mancano anche le sale e per questo alcune classi sono numerosissime. La parrocchia ha un buon progetto pastorale, frutto di un lavoro serio fatto lungo gli anni.

La notte, con tre ore di viaggio, sempre a causa del traffico, raggiungiamo la casa regionale.

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Assemblea conclusiva con i missionari della zona sud

Sabato 1° febbraio, tutti i missionari che sono in questa zona di Kinshasa arrivano nella Casa Regionale di Mont Ngafula-Kimbondo per l’assemblea conclusiva della Visita Canonica. Il superiore regionale, padre David Moke, fa una relazione sulla vita della regione di questi ultimi anni e dell’economia.

In seguito, il Superiore Generale, padre James Lengarin, fa una relazione finale sulla visita ringraziando la presenza, lavoro e dedicazione di ogni missionario e dando alcune indicazioni per la vita della regione, delle comunità e dei missionari che saranno poi comunicate nella lettera conclusiva. Ne segue anche un dialogo aperto e franco su alcuni aspetti ed in particolare sul valore ed importanza della fraternità e dello spirito di famiglia nel nostro Istituto che in ogni regione è internazionale ed interculturale. La foto di gruppo ed il pranzo chiudono la mattinata di incontro.

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Parrocchia Saint Hilaire

Il giorno seguente, domenica 2 febbraio, si fa l’incontro del Superiore Generale e dei visitatori che lo accompagnano insieme con il consiglio della Direzione Regionale. È un momento importante di condivisione e discernimento sulla vita della regione, delle comunità e dei missionari.

Si conclude così la Visita Canonica a questa Regione che vive in un paese che da anni soffre a causa della guerra e che in questi giorni si è fatta particolarmente forte e violenta nella zona al confine con il Rwanda e nella città di Goma provocando morte, distruzione ed un grande numero di rifugiati.

A Kinshasa, dopo alcune manifestazioni violente, è subito ritornata la calma e anche gli studenti hanno fatto manifestazioni pacifiche, ma questo non vuole dire che non ci siano tensioni e l’incertezza sul futuro. Si vede tanta povertà e tanta sofferenza, tanta gente che lotta ogni giorno per poter vivere o sopravvivere.

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La nostra presenza in questa realtà è vera consolazione, forse anche piccola e limitata, ma sostenuta dalla dedicazione dei nostri missionari e anche dal grande esempio di fede, partecipazione e coinvolgimento della gente e dei fedeli delle nostre parrocchie e comunità.

Che la Consolata e San Giuseppe Allamano intercedano e proteggano il Congo e ogni nostro missionario, questa è la nostra preghiera e ringraziamento per questo mese di visite, dialoghi, incontri e momenti di condivisione e famiglia facilitati e prepararti con amore da ogni comunità ed in particolare dal superiori regionale, padre David, che ci ha condotti nei lunghi viaggi fatti per raggiungere le nostre missioni.

* Padre Michelangelo Piovano, IMC, è Vice Superiore Generale.

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I Missionari della Consolata hanno restituito alla diocesi la missione che avevano iniziato a Toribío nella regione del Cauca, in Colombia. Pubblichiamo di seguito le significative parole di ringraziamento pronunciate dal signor Gilberto Muñoz a nome delle organizzazioni indigene, durante l'Eucaristia del 26 gennaio 2025.

“Vorrei porgere il mio saluto fraterno a tutti voi, alle persone che sono venute qui dai villaggi, alle autorità indigene, ai bambini e ai giovani, a voi missionari.

Sapete che sono originario di Corinto, ma è stato quando sono venuto a lavorare a Toribío che ho imparato ad avvicinarmi alla Chiesa, è stato con i Missionari della Consolata. E questo per un semplice motivo... qui ho visto la Chiesa che raggiungeva la gente, che era ed è stata con la gente. Era la chiesa che trasformava davvero, insegnava la parola di Gesù ma nella pratica e nella vita: condivisione, amore.

Ogni volta che qualcuno arrivava in questa casa, padre Antonio Bonanomi lo portava in cucina e gli diceva: “Hai preso il caffè? Hai fatto colazione?” Questo non l'ho visto fare in nessun’altra chiesa. Forse ci hanno abituati male, ma questa vicinanza ci manca.

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C'erano anche le missionarie qui, li ho conosciute, le missionarie della Madre Laura che accompagnavano il padre Álvaro Ulcué Chocué, (il primo sacerdote indigeno Nasa)... e poi altre missionarie, ricordo la madre Teresa che era francese. Grazie al lavor dell'équipe missionaria, molti di noi abbiamo anche attraversato l’oceano e conosciuto il sostegno di molte istituzioni: la Conferenza Episcopale Italiana, Caritas, Manos Unidas, Fastenopfer, l'Unione Europea. Tutto questo fa crescere le persone. Da tutto questo esercizio, mi è rimasta una cosa molto importante, e vorrei dirla con le parole di padre Antonio: “se trovi un lavoro, non è per essere servito ma per servire”. A volte succede che se raggiungiamo una buona posizione politica o comunitaria pensiamo che dobbiamo essere serviti. No, in realtà dobbiamo servire le persone; io lo dico e lo ripeto sempre ovunque vada e cerco di metterlo in pratica.

In questa chiesa abbiamo vissuto momenti molto felici, belle celebrazioni, ma anche momenti molto tristi. Ricordo la “chiva bomba” quando un asse di quel veicolo era rimasto incastrato in un muro interno della parrocchia. Ricordo quando il padre Ezio Roattino, armato di sua stola, andava di casa in casa in mezzo alla sparatoria per fare uscire la gente ed evitare che divenissero vittime degli attacchi delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia). Io sono stato rapito dalle FARC ma le comunità di questo municipio e di altri, incoraggiate dall'Equipe Missionaria, sono andate a cercarci e ad accompagnarci nel Caquetá dove ci avevano portato ed eccomi qui.

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Gilberto Muñoz Coronado

Questa Equipe Missionaria si è dedicata certamente allo spirituale, ma anche ai progetti comunitari, all'educazione, alla trasformazione che ne deriva. C'è il Cecidic (Centro di Educazione, Formazione e Ricerca per lo Sviluppo Integrale della Comunità) che dice tutto lo sforzo che è stato fatto.

Un'altra frase di padre Antonio che ricordo molto: “chi impara a perdonare ha imparato ad amare”. Qui dobbiamo imparare a perdonare, a riconciliarci l'uno con l'altro. Ci sono tante ferite oggi, c'è tanto dolore in tante famiglie per le persone care che abbiamo perso... ma la parte spirituale ci aiuta e ci insegna.

Io in questa chiesa sono venuto con i miei figli piccoli, ci sedevamo sempre assieme e qui loro sono cresciuti. In questa chiesa, dopo aver conosciuto l'équipe missionaria, ho deciso anche di sposarmi; qui con me c'è anche mia moglie, siamo assieme da 41 anni, ma ci siamo sposati 31 anni fa, era il 9 gennaio 1993. Anche la Consolata celebra il suo anniversario 124, è stata fondata nel 1901, tutta una vita e tutta una storia di servizio. Ho potuto conoscere le loro casi di Milano, Torino, Roma... e anche vedere come, dopo aver offerto tutta la loro vita al servizio della gente, finiscono in una casa dove chiudono la loro vita quando non ce la fanno proprio più.

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Parrocchia di San Giovanni Battista di Toribio

Ci sono molte lezioni che possiamo imparare da loro, ma oggi siamo qua per ringraziarli a nome di tutti e lo vogliamo fare con questa targa che vorremmo collocare da qualche parte in questa chiesa a perenne ricordo della vostra presenza e del vostro servizio. Dice tutta la gratitudine che abbiamo nel cuore e dice: “La nostra gratitudine ai Missionari della Consolata per l'accompagnamento spirituale, l'impegno e il sostegno ai nostri progetti comunitari a favore di bambini, giovani, donne e comunità.

Con affetto, le autorità indigene di Toribío, Tacueyó, San Fracisco, Progetto Nasa, Cecidic e la comunità in generale. Toribío Cauca 1984-2025. Dio vi benedica sempre cari missionari".

* Gilberto Muñoz Coronado, sociologo e membro dell'Assemblea dipartimentale del Cauca.

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