Il missionario della Consolata, Padre Jackson Murugara, nominato da Papa Francesco vescovo coadiutore della Diocesi di Meru (Kenya), lo scorso 16 gennaio 2025, sarà consacrato vescovo il 19 marzo 2025 nello Stadium Kinoru della città di Meru alle 10:00 ora locale. Le celebrazioni continueranno poi con la Messa di ringraziamento, domenica 23 marzo, presso la Cattedrale San Giuseppe di Meru.

In questa intervista, in inglese, rilasciata a Capuchin TV in Kenya, che trasmetterà in diretta la Messa di ordinazione, il Rev. Padre Jackson Murugara, si presenta e parla della sua futura missione.

Leggi anche: Padre Jackson Murugara, IMC, nominato vescovo Coadiutore di Meru

* Ufficio Generale per la Comunicazione

Negli ultimi giorni la situazione a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, è stata davvero tesa. Migliaia di manifestanti sono scesi in strada per protestare contro l'immobilismo della comunità internazionale di fronte allo sgretolarsi della sicurezza nell’Est del Paese.

In questa zona i ribelli dell'M23, un gruppo armato antigovernativo sostenuto dal Ruanda, stanno proseguendo la propria avanzata, tanto che la città di Goma si trova stretta in una morsa di violenza e paura. Gli scontri hanno seminato il panico tra i civili, costringendo migliaia di famiglie a lasciare le proprie case.

A Kinshasa sono scoppiate le proteste anti-ruandesi; i partecipanti ai disordini delle scorse ore hanno portato bandiere congolesi e giurato fedeltà al presidente Felix Tshisekedi, bruciando pneumatici e bloccando le strade della capitale.

La situazione è talmente critica da aver spinto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a convocare una riunione d’emergenza per scongiurare il rischio di una guerra regionale.

Il nostro pensiero, in queste ore estremamente difficili per lo stato africano, è andato a Padre Rinaldo Do, missionario della Consolata rientrato in Congo negli scorsi mesi dopo aver trascorso un periodo di riposo nella casa di Via Romitaggio a Bevera.

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Padre Rinaldo Do nella missione a Isiro

''Da martedì sono a Kinshasa capitale. Dalle televisioni state seguendo cosa capita'' ci ha detto il religioso. ''Ieri la città era in subbuglio: migliaia di giovani in strada per appoggiare l'esercito congolese contro l'aggressione del Ruanda. Purtroppo, invece di manifestare in maniera non violenta, hanno iniziato a barricare strade, bruciare ambasciate, saccheggiare negozi e supermercati. La violenza non ci aiuta'' ha aggiunto il missionario originario della provincia di Brescia, ma molto legato al nostro territorio.

Basti pensare che gli Alpini di Casatenovo lo scorso ottobre avevano promosso una cena benefica in oratorio a Valaperta, con il ricavato devoluto proprio alla missione congolese di Padre Rinaldo (ne avevamo parlato QUI).

''Congo e Ruanda: due paesi vicini, ma da tempo in guerra. Nella rivolta dei giovani c'è una rabbia contro il presidente, il governo, i deputati...a causa loro la gente soffre molto. ''Da ieri - ha proseguito - sono nella Nunziatura del Papa in attesa di ritornare a casa quando ci sarà calma nelle strade''.

Per Padre Rinaldo Do, in Congo dal 1991 (QUI avevamo raccontato la sua storia), non si tratta della prima esperienza in un clima di così forte tensione. ''Ho vissuto diverse guerre e saccheggi...a volte abbiamo dovuto addirittura scappare nella foresta, tornare e riprendere la nostra attività da capo'' ci ha detto, riferendosi al periodo tra il 1998 e il 1999. ''Questo Paese è troppo ricco, ci sono diversi interessi. Non si ascolta la Chiesa, nè le parole del Papa che aveva detto: giù le mani dal Congo. Questa è una nazione libera, ma si deve riorganizzare. Purtroppo c'è una grande responsabilità da parte dei politici che non seguono gli interessi del popolo. Stiamo assistendo ad una retrocessione orribile''.

* Originalmente pubblicato in: www.casateonline.it (Bevera, Italia)

Nel gennaio 2025, dopo 41 anni di servizio, i Missionari della Consolata hanno chiuso la loro missione a Toribio, nel Cauca, celebrando con gratitudine e commozione un'eredità di fede, resistenza e impegno che continuerà a vivere nel cuore della gente.

Da oltre quattro decenni, i Missionari della Consolata camminano al fianco delle comunità di Toribío, un territorio caratterizzato da un ricco patrimonio culturale indigeno, ma anche da profonde sfide sociali e politiche. La loro presenza in questa regione del Cauca settentrionale non è stata solo un atto di fede, ma anche una testimonianza di resistenza, solidarietà e impegno nei confronti delle comunità indigene, contadine e afrodiscendenti del popolo indigena Nasa.

La partenza da Toribío ha coinciso con la commemorazione del 124° anniversario della fondazione dell'Istituto, un momento storico che è stato celebrato con gratitudine e riflessione.

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Direzione Regionale della Colombia durante celebrazione nella parrocchia di San Juan Bautista di Toribio

Nel video che segue, padre Venanzio Mwangi, Superiore Regionale, ha condiviso un messaggio pieno di emozione: “Cara famiglia vi salutiamo da questa chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, e da questo paese di Toribio, dove siamo riuniti in consiglio per tutta questa settimana. Lo facciamo in occasione della chiusura della nostra presenza in mezzo a queste comunità; a questo punto oggi possiamo dire, come ci ha insegnato nostro Signore Gesù Cristo e San Giuseppe Allamano: “«abbiamo fatto quello che dovevamo fare»”. Questo messaggio, che invitava a “tornare alla prima esperienza di amore” e ad “abbracciare il nuovo che sta arrivando”, ha risuonato profondamente nella comunità.

Nelle celebrazioni di addio tanta gratitudine e speranza

La sera di sabato 25 gennaio, la comunità si è riunita per celebrare una solenne Eucaristia in onore del compleanno di padre John Wafula, l'ultimo parroco dei Missionari della Consolata a Toribío. La celebrazione è stata un momento di gioia e gratitudine, in cui i parrocchiani hanno espresso il loro affetto per padre John con doni e parole emozionanti: “Lo porteremo tutti, insieme agli altri missionari, nel nostro cuore”, sono state alcune delle frasi che sono risuonate in un'atmosfera piena di affetto e riconoscimento.

Il giorno successivo, domenica 26 gennaio, si è svolta l'Eucaristia di ringraziamento per i 41 anni di presenza dei Missionari della Consolata a Toribío. La cerimonia ha riunito una grande folla di fedeli, leader della comunità e rappresentanti delle organizzazioni locali, che hanno espresso la loro gratitudine per il lavoro pastorale e sociale dei missionari. L'Eucaristia è stata presieduta da padre Venanzio Mwangi, Superiore regionale e concelebrata dai membri del Consiglio regionale e da padre John. La celebrazione è stata ricca di dettagli interculturali, tra cui musica, danze e simboli della cultura Nasa, che riflettevano l'inculturazione della fede nella regione.

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Ricezione della targa commemorativa

L'arcidiocesi di Popayán, il Progetto Nasa e altre organizzazioni locali hanno espresso la loro gratitudine ai missionari per il loro lavoro nella regione. Sono state consegnate due targhe commemorative: una sarà affissa all'ingresso della chiesa parrocchiale e invece l’altra sarà conservata negli archivi della comunità. Sono stati donati anche prodotti tipici della regione, come mochilas, chumbes, cappelli e cibo, come simbolo di gratitudine e legame con la terra.

I discorsi hanno ricordato la storia condivisa tra i missionari e la comunità, evocando momenti di gioia e di dolore. Hanno parlato delle lotte per la giustizia sociale, la difesa del territorio e la promozione della pace in mezzo ai conflitti armati. Sono state ricordate anche figure emblematiche come padre Ezio Roattino, padre Antonio Bonanomi e padre Álvaro Ulcué Chocué, il primo sacerdote indigeno Nasa, che ha ispirato il lavoro dei Missionari della Consolata e la la cui eredità continua a vivere nella regione.

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Padre Álvaro Ulcué Chocué con la comunità. Foto: Archivio IMC.

Anche l'Associazione dei Cabildos Indigeni di Toribio, Tacueyo e San Francisco , conosciuta con il nome di “Proyecto Nasa” ha espresso la propria gratitudine all'Istituto per mezzo di un messaggio.

Leggi il messaggio completo qui.

L'eredità di padre Álvaro Ulcué Chocué

Padre Álvaro Ulcué Chocué (1943-1984) è stato una figura trascendentale non solo per Toribío, ma per tutta la Colombia. Nato nel “resguardo” (riserva) di Pueblo Nuevo nel municipio di Caldono (Cauca), è stato il primo sacerdote indigeno dell'etnia Nasa. Fin da giovane ha dimostrato un profondo impegno verso la sua cultura e la sua fede, integrando la spiritualità cattolica con la visione del mondo indigeno.

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Murale all'interno della chiesa parrocchiale illustra la storia dell'evangelizzazione di Toribi. Foto: Jaime C. Patias

Ordinato sacerdote nel 1973, padre Álvaro ha dedicato la sua vita alla difesa dei diritti dei popoli indigeni. Ha promosso un'evangelizzazione contestualizzata che rispettasse le tradizioni Nasa e ha lottato instancabilmente per il recupero delle terre ancestrali, minacciate dai latifondisti e dagli attori del conflitto armato. È stato anche un fervente sostenitore dell'istruzione e del rafforzamento della leadership indigena, creando spazi di formazione ceh facessero crescere e rafforzare la sua comunità.

La sua vita è stata una testimonianza di coraggio e resistenza di fronte all'ingiustizia sociale. Il 10 novembre 1984 fu assassinato a Santander de Quilichao da sicari, in un delitto che non è mai stato del tutto chiarito. Il suo martirio lo ha reso un simbolo della lotta per i diritti umani e per i diritti territoriali dei popoli indigeni.

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Murale sulla parete della casa parrocchiale. Padre Álvaro ha dedicato la sua vita alla difesa dei diritti dei popoli indigeni

Un cammino di evangelizzazione e impegno sociale

Fin dal loro arrivo nel 1984, i Missionari della Consolata si sono integrati nella vita delle comunità di Toribío, non solo come guide spirituali, ma anche come alleati nella costruzione di un futuro più dignitoso. Il loro lavoro ha incluso la costruzione di parrocchie, la formazione di leader comunitari e il rafforzamento di una spiritualità inculturata che rispetta e valorizza le tradizioni ancestrali del popolo Nasa.

La fine della presenza dei missionari a Toribío ha segnato la fine di una tappa storica, ma non la fine di una missione. Il seme gettato per più di quattro decenni continua a dare i suoi frutti in leader comunitari, famiglie rafforzate nella loro fede e una Chiesa locale impegnata nella giustizia e nella pace. “Grazie per aver camminato con noi, per essere parte della nostra storia”, sono state alcune delle parole che hanno risuonato durante la cerimonia.

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La apertura della presenza IMC a Toribio insieme alle Suore Laurite nel 1984. Foto: Archivio IMC Colombia

Oggi, guardando al passato, rivediamo i volti di coloro che hanno camminato con il popolo toribiano, li ringraziamo per la loro dedizione e per le innumerevoli testimonianze di vita che hanno lasciato in eredità. Che lo spirito missionario continui a illuminare i cuori di chi resta e che la Consolata continui a guidare il suo popolo nella speranza e nell'impegno per la giustizia e la pace.

* Santiago Quiñonez è giornalista dell'IMC nella Regione Colombia.

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Alla fine dell’udienza generale di mercoledì 29 gennaio, il Papa Francesco ha lanciato un forte appello per la pace nella Repubblica Democratica del Congo, in questi giorni nel caos dopo l'assedio dei ribelli sostenuti dal Rwanda alla grande città di Goma nella zona Est del paese innescando poi anche nella capitale Kinshasa tensioni e violenze contro le presenze straniere ritenute in qualche modo conniventi per interessi economici con le milizie ribelli.

Il missionario della Consolata, Fratel Adophe Mulengezi che studia a Roma, in un'intervista a Vatican News, descrive la terribile situazione del Paese.

L'appello di Francesco per la pace

“Esprimo la mia preoccupazione - ha affermato il Santo Padre - per l’aggravarsi della situazione nella Repubblica Democratica del Congo”, nazione africana da lui stesso visitata  nel gennaio 2023, dove mercoledì 29, era previsto l’incontro - convocato dal Kenya - tra il presidente Félix Tshisekedi e l’omologo rwandese Paul Kagame per tentare di risolvere la nuova crisi deflagrata furiosamente in questi giorni nella regione del Nord Kiwu, una zona scossa da trent’anni  di violenze tra gruppi armati, violenze mai assopite e ora esplose nuovamente con l’assedio della città di Goma da circa 3.500 ribelli M23 sostenuti dal Rwanda. L’epicentro degli scontri è appunto la città di Goma, dove il Papa – nel primo programma del viaggio, poi rimandato per motivi di salute – aveva espresso il desiderio di recarsi in visita.

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Il Papa Francesco nell'udienza generale di mercoledì 29 gennaio. Foto: Vatican Media

“Esorto tutte le parti in conflitto ad impegnarsi per la conclusione delle ostilità e per la salvaguardia della popolazione civile di Goma e delle altre zone interessate dalle operazioni militari. Seguo con apprensione anche quanto accade nella Capitale, Kinshasa, auspicando che cessi quanto prima ogni forma di violenza contro le persone e i loro beni”, ha dichiarato il Santo Padre. Leggi qui il testo integrale delle parole di Papa Francesco

Cadaveri lungo la strada

Papa Francesco eleva un appello anche per la capitale Kinshasa da dove testimoni e media locali diffondono notizie di una situazione fuori controllo con le ambasciate estere prese d’assalto e manifestazioni per le strade. A Goma la grave situazione ha visto banche e supermercati svaligiati, ospedali che non riescono più a contenere le vittime (oltre cento i morti e un migliaio i feriti, stando a rapporti ospedalieri),  corpi in stato di decomposizione lungo le strade. Molta gente, dopo essere rimasta per tre giorni chiusa in casa, senza elettricità a causa degli incendi, è uscita cautamente in cerca di acqua e cibo.

“Mentre prego per il pronto ristabilimento della pace e della sicurezza, invito le Autorità locali e la Comunità Internazionale al massimo impegno per risolvere con mezzi pacifici la situazione di conflitto”, ha concluso il Papa.

“La vita quotidiana è una lotta per la sopravvivenza”

Il missionario della Consolata, Fratel Adophe Mulengezi che studia comunicazione a Roma, in un'intervista a Vatican News, descrive la terribile situazione del Paese.

Dal 1994, la Repubblica Democratica del Congo è afflitta da combattimenti. L'instabilità ha segnato il Paese, mentre diversi gruppi armati combattono per il controllo di porzioni del territorio della nazione africana ricca di minerali.

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Fr. Adophe Mulengezi, IMC, descrive la terribile situazione di Goma. Foto: Archivio personale

Negli ultimi giorni, il conflitto si è intensificato. A Goma molti, a causa del rapido aumento della violenza, si trovano confinati nelle loro case. È il caso della famiglia di Fr. Adophe Mulengezi che ha raccontato a Vatican News come la gente di Goma stia vivendo in una “paura intensa, con la città ormai in preda al panico”.

Fr. Adophe non è riuscito ad avere alcun contatto con la sua famiglia da lunedì 27ennaio g, quando le forze ribelli dell'M23 hanno dichiarato di aver conquistato la città di Goma. “Continuo a pregare costantemente per la loro sicurezza”, ha detto, “poiché la situazione è incerta e ‘molti vivono in estrema sofferenza”.

Niente comunicazioni, niente acqua, niente elettricità

I ribelli dell'M23 hanno preso il controllo dell'aeroporto di Goma. La situazione in città si sta “deteriorando rapidamente” con interruzioni di internet, di corrente elettrica, mancanza di acqua e saccheggi. Fr. Adophe ha spiegato che queste condizioni hanno “lasciato la popolazione in uno stato di vulnerabilità, tagliata fuori dai servizi essenziali e dalle comunicazioni”.

In cerca di sicurezza, gli abitanti delle zone rurali si sono rriversati in città. Lì hanno trovato “un diffuso senso di paura e impotenza”.

La Chiesa in azione

In pochi giorni, circa 300.000 persone che vivevano nei campi intorno a Goma sono state sradicate a causa della violenza. L'ufficio di coordinamento degli aiuti delle Nazioni Unite, OCHA, ha riferito che sono stati colpiti un magazzino umanitario e strutture sanitarie.

Il vescovo di Goma, William Gumbi ha pubblicato una lettera, datata il 27 gennaio, dove condanna gli attacchi. Ha inoltre denunciato il bombardamento di un'unità neonatale dell'ospedale generale Charity Matano, che ha causato la morte di alcuni neonati. Mons. Gumbi ha incoraggiato la comunità a mostrare la propria solidarietà con gli sfollati offrendo assistenza e pregando.

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Manifestanti davanti all'ambasciata francese danneggiata a Kinshasa durante una marcia. Foto: Vatican Media

Due anni dalla visita papale

Sono passati solo due anni dalla visita di Papa Francesco nel Paese e tuttavia Fr. Adophe ha descritto la situazione come immutata. “È come se stessimo parlando a un contenitore vuoto che non riesce a cogliere il messaggio”, ha lamentato, affermando che, semmai, la situazione è peggiorata.

Per decenni il Paese è stato in guerra e di conseguenza, ha spiegato Fr. Adophe, “non c'è dignità della vita”. “In Congo non si può parlare di dignità della vita”, ha detto: “Non mi è mai piaciuto essere un essere umano in questo Paese che è davvero sommerso nel sangue ovunque”.

Ha chiesto l'aiuto della comunità internazionale per intervenire e sostenere la popolazione della Repubblica Democratica del Congo. La guerra deve finire, ha esortato Fr. Adophe. “Dobbiamo lasciare che Goma e la stessa Repubblica Democratica del Congo, respiri e viva come qualsiasi altra nazione, perché abbiamo il diritto di vivere anche noi. Anche noi abbiamo diritto alla vita come qualsiasi altra nazione”.

* Ufficio Generale per la Comunicazione con informazioni di Vatican News.

Nel 2026 ricorrerà il 25° anniversario della creazione della parrocchia Medalla Milagrosa a Jujuy, nel nord dell'Argentina. I Missionari della Consolata, con il loro particolare stile di vicinanza, sono una vera consolazione per questo quartiere: la costruzione di cappelle, il sostegno scolastico, le aule, la gioia evangelica, il ministero della musica, l'attenta cura pastorale sono attività che producono consolazione per l’estesa e diversificata periferia di Jujuy.

Nel quartiere Alto Comedero di San Salvador de Jujuy si trova la Parroquia “Medalla Milagrosa”. Questa parrocchia si trova in un settore conosciuto come i 30 ettari di Alto Comedero. I Missionari della Consolata, Olivier Bingidimi Sala (41 anni, della Repubblica Democratica del Congo, Parroco), Iga Michel (37 anni, ugandese, Vicario) ed Enrique Blussant (80 anni, argentino, Vicario), sono riusciti a costruire, per mezzo di questa attività di pastorale urbana periferica, un luogo di incontro spirituale e comunitario di fede vibrante che parte dal Centro Parrocchiale e raggiunge anche le sue otto Cappelle: Sacro Cuore di Gesù e di Maria, Santissimo Salvatore, Virgen del Valle, Santa Rosa, San Cayetano, San Roque, Immacolata Concezione e Nostra Signora della Consolata.

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Comunità parrocchiale di Virgen de la Medalla Milagrosa

Alto Comedero è uno dei quartieri più grandi e popolati di San Salvador de Jujuy. Secondo stime recenti, conta più di 100 mila abitanti, una crescita dovuta in parte all'espansione urbana e allo sviluppo di nuovi complessi abitativi nella zona. In questa popolosa periferia convivono numerose espressioni di popoli nativi che mantengono vive le loro tradizioni culturali e spirituali, organizzando cerimonie e feste che rafforzano la loro identità e promuovono la diversità culturale della regione: Kolla, Ava Guaraní, Tupi Guaraní, Qom, Mocoví, Mapuche, Comechingón, Diaguita, Quilmes, Chorote, Aymara, Uitoto, Piratapuyo, Pilagá, Charrúa, Paypaya, Ocloyas e Osas.

Secondo il censimento nazionale del 2001, Jujuy è la provincia con la più alta percentuale di famiglie discendenti da popoli nativi, con quasi l'11% della popolazione. Basta vedere alcuni numeri della catechesi sacramentale dell'anno 2024, per misurare l'intensa attività di questo importante centro di evangelizzazione: 219 battesimi, 215 comunioni, 149 cresime, 15 matrimoni.

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Padre Enrique Blussant amministra i battesimi

Nella chiesa parrocchiale si celebra l'Eucaristia ogni giorno e nelle cappelle le celebrazioni sono settimanali. Per la catechesi sacramentale c'è un'équipe conformata da 116 catechisti che si impegnano in una capillare catechesi familiare accompagnando i genitori dei bambini nella formazione dei loro figli in incontri che si svolgono nelle case in cui vivono le famiglie.

L'animazione missionaria di questa comunità non si limita alla catechesi sacramentale; c'è un'équipe di coordinatori laici che lavorano con i Missionari della Consolata. “Il ruolo dei laici è fondamentale: la maggior parte delle attività sono programmate da loro e noi, come missionari, li accompagniamo. Sono persone molto responsabili e coscienziose. Posso dire con certezza che la parrocchia è loro”, dice p. Olivier. “Dietro questa gestione c'è un grande lavoro di pianificazione, di valutazione a metà anno e di studio di nuove proposte. Il Consiglio pastorale, i coordinatori dei diversi gruppi e le parrocchie si incontrano mensilmente per procedere coordinati. Esiste anche una équipe incaricata della comunicazione, chiamata “Voci mariane”, che per mezzo dei social e di Facebook si incarica di diffondere proposte che aiutano la popolazione a crescere nella fede.

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 Padre Olivier Bingidimi Sala con gruppo di parrocchiani

I laici di Alto Comedero sono corresponsabili di molteplici proposte che arricchiscono la vita cristiana di questa comunità: i responsabili della pastorale della salute, per esempio, oltre a portare l'Eucaristia ai malati, accompagnano gli anziani in stato di abbandono e, quando necessario,  sono loro che li portano ai centri medici. Caritas gestisce una mensa dove si offrono dei pasti –50 famiglie che ricevono il pranzo ogni giorno– ma anche prodotti alimentari di prima necessità e capi di abbigliamento. Anche le coppie hanno uno spazio per condividere aspetti della loro esperienza di vita, si riuniscono nel gruppo “Nuova Alleanza” e quelli che non sono sposati partecipano del gruppo “Nuovi focolari domestici”.

Il ricordato e amato Padre Rubén López ha iniziato un progetto pastorale con le persone che sono vittime di qualche tipo di dipendenza. L’ha fatto per offrire qualche segno di consolazione tra i giovani, e padre Olivier continua questa eredità. Si tratta di uno spazio di ascolto in cui si cerca di riavvicinare i genitori di questi giovani che, a causa delle loro dipendenze, vivono spesso come senzatetto. Si tratta di ristabilire quel sostegno che è necessario per garantire la frequenza alle relative terapie. Attualmente sono 15 i ragazzi inseriti in questo programma con l'accompagnamento di laici.

Esistono anche vari gruppi di giovani ed è lodevole notare come si integrino e collaborino in diversi servizi che la parrocchia offre.

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Padre Iga Michel in processione a Tumbaya

San Giuseppe Allamano era un fervente difensore della collaborazione tra sacerdoti, religiosi e laici nella missione della Chiesa: “Siamo tutti missionari: alcuni con la loro vita, altri con il loro lavoro, altri con la loro preghiera e i loro sacrifici”; in Lui era chiara l’idea che ogni persona, secondo il suo stato di vita, ha un ruolo essenziale nell'opera missionaria della Chiesa.

Papa Francesco non ha mai smesso di motivare la corresponsabilità dei laici: “Un buon pastore non si mette al di sopra del gregge né lo lascia indietro, ma cammina con esso, a volte davanti, a volte in mezzo o dietro, sempre ascoltandolo e accompagnandolo” (P. Francesco, omelia 2018). La Parrocchia della Medaglia Miracolosa materializza in modo testimoniale e provvidenziale questo segno di sinodalità, nello stile Allameno.

* Padre Olivier Bingidimi Sala, IMC, e Diana Sosa, insegnante presso la Scuola della Consolata a Mendoza.

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