Era l'altra domenica a fine ottobre, subito dopo la messa, che siamo partiti. Come inviato dall'assemblea, era un piccolo gruppo di studenti universitari subsahariani di Beni Mellal (Marocco) con le suore Chantale e Clotilde. Più di due ore di viaggio verso le alture del Medio Atlante. Un cammino sinodale originale su per i monti, in minibus. Ci hanno accompagnato nella riflessione e nello scambio le frasi più belle dell'enciclica “Laudato si”. Le parole di papa Francesco preparano, così, la nostra mente a questo incontro sorprendente, una vera esperienza spirituale... Ci aspettava, infatti, "lo spettacolo naturale più bello del Marocco": le cascate di Ozoud (che vuol dire mulino, in berbero, per la presenza di una dozzina di molini per l' olio). Cascate spettacolari di un'altezza di 110 m, che spesso si rivestono di un bell'arcobaleno. L'acqua e i suoi vapori cadono davanti ai nostri occhi in una vallata dove il verde della vegetazione contrasta con il terreno rossastro attorno, in un'oasi di uliveti, di mandorli e di fichi. Una vera meraviglia!
Nella nostra testa risuonano, peró, le parole di papa Francesco: «La terra, la nostra casa, sembra diventare sempre più un immenso deposito di immodizia! " Ma qui, spalancando gli occhi, la sua visione delle cose ci tocca e ci parla: «Tutto l'universo materiale è espressione dell'amore di Dio, del suo eccessivo affetto verso di noi. La terra, l'acqua, le montagne, tutto è carezza di Dio!" Ancora immobili per questo stupore, qualcosa intanto ci accarezza, per davvero, la schiena e il viso… Sono le piccole scimmie che appaiono all'improvviso, a decine, e addomesticano i visitatori di questo luogo magico. Viene in mente, allora, quella bella osservazione della "Laudato si": "Per la tradizione giudaico-cristiana dire 'creazione' è più che dire natura, perché è un progetto dell'amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato! »
Così, perso in mezzo a questo immenso Atlante, il nostro piccolo gruppo è invitato oggi a contemplare,... che è sempre stupirsi di qualcosa più grande di sé. Tuttavia, l'amara osservazione del papa sulla nostra società dei consumi, dal cuore incapace di meravigliarsi o di contemplare, ci intristisce non poco... «Più il cuore di una persona è vuoto, più oggetti ha bisogno di comprare, possedere e consumare. »
Soulaymane, una giovane guida berbera, socialmente impegnato, ci prende quasi per mano per mostrarci e contemplare questi luoghi… Così, Tanaghmelt, un antico e delizioso villaggio berbero, un mulino tradizionale, una cooperativa di tappeti berberi femminili, un centro di economia sociale, ci hanno aperto le loro porte e il loro mistero. Per dirci come cultura locale, economia, attività, uomini e natura,... tutto qui è tenuto insieme in una sinergia e un rispetto invisibili. Come la trama di un tappeto.
Infine, sulla via del ritorno, ci tornava continuamente in mente una domanda dell'enciclica del papa. “La natura è piena di parole d'amore, ma come ascoltarle in mezzo a un rumore costante, una distrazione permanente e ansiosa, o un culto dell'apparenza?" Sì, domanda vera, provocante.
* Renato Zilio è missionario scalabriniano
Sì, con la nostra terra, la gente dei nostri villaggi, come Timoulilte nei dintorni di Beni Mellal e la loro voglia di lavorare insieme. Halima, infatti, ci ha accolto questo martedì mattina nella sua cooperativa Taymate (che significa "fraternità"). Un mondo si è aperto per noi. Fraterno, laborioso, e in cammino verso la dignità di tante donne e uomini di qui. Preparano in questa cooperativa le olive, la loro selezione, la loro meticolosa preparazione con erbe fini, peperoncino o altri ingredienti. Un lavoro artigianale di amore e precisione. Poi, nel pomeriggio, qui si tengono corsi di alfabetizzazione per le donne. Suor Clotilde, poi, viene invitata a tornare per impartire lezioni sugli olii essenziali, di cui ha una lunga esperienza. Sì, qui si coltiva il senso del gusto, ma anche della parola, dell'educazione e della relazione. Tutto dice in questo villaggio ai piedi del massiccio del Medio Atlante la magia di un piccolo miracolo. Poi, si visita la vicina cooperativa che prepara il cous cous, dove lavorano solo donne. I prodotti finiti sono in mostra all'entrata: una vera meraviglia di varietà, colori e qualità per un cous cous reale! Pranzo insieme, poi, attorno a un'enorme tajine di carne e verdure. Ma la preghiera che é sbocciata in quel momento attorno alla tavola comune, - mescolando fede cristiana e quella musulmana, - ha riempito il nostro cuore di gioia! E anche di emozione, seguendo "la Fatiha" (preghiera del Corano) sulle labbra commosse dei nostri vicini. Sì, solo dopo, la gioia... di riempire lo stomaco! "Che bello,- ci siamo dette - questo cammino sinodale con i vicini. In questa terra dell'Islam!"
Cari fratelli e sorelle!
Il senso ultimo del nostro “viaggio” in questo mondo è la ricerca della vera patria, il Regno di Dio inaugurato da Gesù Cristo, che troverà la sua piena realizzazione quando Lui tornerà nella gloria. Il suo Regno non è ancora compiuto, ma è già presente in coloro che hanno accolto la salvezza. La città futura è una «città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (Eb 11,10). Il suo progetto prevede un’intensa opera di costruzione nella quale tutti dobbiamo sentirci coinvolti in prima persona. Si tratta di un meticoloso lavoro di conversione personale e di trasformazione della realtà, per corrispondere sempre di più al piano divino. I drammi della storia ci ricordano quanto sia ancora lontano il raggiungimento della nostra meta, la Nuova Gerusalemme, «dimora di Dio con gli uomini» (Ap 21,3).
«Noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (2 Pt 3,13). La giustizia è uno degli elementi costitutivi del Regno di Dio. Nella ricerca quotidiana della sua volontà, essa va edificata con pazienza, sacrificio e determinazione, affinché tutti coloro che ne hanno fame e sete siano saziati (cfr Mt 5,6). La giustizia del Regno va compresa come la realizzazione dell’ordine divino, del suo armonioso disegno, dove, in Cristo morto e risorto, tutto il creato torna ad essere “cosa buona” e l’umanità “cosa molto buona” (cfr Gen 1,1-31). Ma perché regni questa meravigliosa armonia, bisogna accogliere la salvezza di Cristo, il suo Vangelo d’amore, perché siano eliminate le disuguaglianze e le discriminazioni del mondo presente.
Nessuno dev’essere escluso. Il suo progetto è essenzialmente inclusivo e mette al centro gli abitanti delle periferie esistenziali. Tra questi ci sono molti migranti e rifugiati, sfollati e vittime della tratta. La costruzione del Regno di Dio è con loro, perché senza di loro non sarebbe il Regno che Dio vuole. L’inclusione delle persone più vulnerabili è condizione necessaria per ottenervi piena cittadinanza.
Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati significa anche riconoscere e valorizzare quanto ciascuno di loro può apportare al processo di costruzione. Mi piace cogliere questo approccio al fenomeno migratorio in una visione profetica di Isaia, nella quale gli stranieri non figurano come invasori e distruttori, ma come lavoratori volenterosi che ricostruiscono le mura della nuova Gerusalemme, la Gerusalemme aperta a tutte le genti (cfr Is 60,10-11).
La storia ci insegna che il contributo dei migranti e dei rifugiati è stato fondamentale per la crescita sociale ed economica delle nostre società. E lo è anche oggi. Il loro lavoro, la loro capacità di sacrificio, la loro giovinezza e il loro entusiasmo arricchiscono le comunità che li accolgono Ma questo contributo potrebbe essere assai più grande se valorizzato e sostenuto attraverso programmi mirati. Si tratta di un potenziale enorme, pronto ad esprimersi, se solo gliene viene offerta la possibilità.
La presenza di migranti e rifugiati rappresenta una grande sfida ma anche un’opportunità di crescita culturale e spirituale per tutti. Grazie a loro abbiamo la possibilità di conoscere meglio il mondo e la bellezza della sua diversità. Possiamo maturare in umanità e costruire insieme un “noi” più grande. Nella disponibilità reciproca si generano spazi di fecondo confronto tra visioni e tradizioni diverse, che aprono la mente a prospettive nuove. Scopriamo anche la ricchezza contenuta in religioni e spiritualità a noi sconosciute, e questo ci stimola ad approfondire le nostre proprie convinzioni.
In questa prospettiva, l’arrivo di migranti e rifugiati cattolici offre energia nuova alla vita ecclesiale delle comunità che li accolgono. Essi sono spesso portatori di dinamiche rivitalizzanti e animatori di celebrazioni vibranti. La condivisione di espressioni di fede e devozioni diverse rappresenta un’occasione privilegiata per vivere più pienamente la cattolicità del Popolo di Dio.
Cari fratelli e sorelle, e specialmente voi, giovani! Se vogliamo cooperare con il nostro Padre celeste nel costruire il futuro, facciamolo insieme con i nostri fratelli e le nostre sorelle migranti e rifugiati. Costruiamolo oggi! Perché il futuro comincia oggi e comincia da ciascuno di noi. Non possiamo lasciare alle prossime generazioni la responsabilità di decisioni che è necessario prendere adesso, perché il progetto di Dio sul mondo possa realizzarsi e venga il suo Regno di giustizia, di fraternità e di pace.
Ho conosciuto lo Stato brasiliano del Roraima grazie ai Missionari della Consolata che hanno inviato due laici ad accompagnare la loro “Équipe Itinerante”, impegnata da tempo nel servizio ai migranti del Venezuela con una attenzione speciale alla popolazione indigena. Questa “fortuna” è toccata a una psicologa e a me che sono comunicatore sociale della Pastorale Afro di Cali. Per mezzo della nostra professionalità vogliamo aiutare a dare un servizio più completo che aiuti a difendere i diritti di questa popolazione vulnerabile in termini di salute, istruzione, alloggio, occupazione e accesso all'informazione.
Ci siamo impegnati soprattutto con alcune comunità Warao che hanno fatto parte di questa grande ondata migratoria ma che hanno anche cercato di lottare per avere spazi propri per così resistere alla negazione dei loro diritti culturali.
Nel mio caso per esempio la società del Roraima e altre in situazioni simili hanno bisogno di iniziative di comunicazione per aiutare la popolazione locale a comprendere la situazione di queste popolazioni sorelle e allo stesso tempo ogni migrante deve essere reso più consapevole dell'offerta delle istituzioni, delle chiese e delle organizzazioni sociali.
Negli anni scorsi in Brasile i migranti venezuelani sono arrivati a migliaia e il governo di Jair Bolsonaro, fermo oppositore di tutta l’organizzazione indigena brasiliana, ha affidato ai militari l’incarico di organizzare l’accoglienza di queste persone: molte famiglie sono state collocate in campi o grandi aree, chimati rifugi, dove sono state assistite e controllate con regole severe; molti altri invece sono stati lasciati per strada in condizioni precarie; tutti condividono serie difficoltà di trasporto e accesso a quasi tutti i servizi indispensabili.
Non dobbiamo dimenticare che gli effetti economici della migrazione sono importanti e ambigui al tempo: molto spesso il migrante è visto come un competitore ma allo stesso tempo si dimentica che la maggior parte della popolazione del Roraima ha avuto il beneficio di una manodopera più economica, come per esempio nel settore della costruzione, dove molti migranti sono pagati la metà o incluso meno di quanto viene pagato un lavoratore brasiliano. Eppure molte persone, spesso completamente ignare della realtà di questi benefici, sfruttano e persino umiliano profondamente questa popolazione.
Un giovane indigeni Macuxi registra un incontro con i Missionari nella sua comunità.
Le sfide dell'Amazzonia
È grande la sfida che le regioni dell'Amazzonia e dell'Orinoco propongono alle società che vivono in questi territori. La concentrazione di terre, l'estrazione mineraria incontrollata e persino aggressiva dal punto di vista ambientale e il duro razzismo, soprattutto nei confronti delle popolazioni indigene, regnano sovrani. Si favorisce un capitalismo duro e ingannevole, che considera sacra la proprietà della terra e delle imprese, ma non quella dei popoli indigeni. A Boa Vista, la capitale del Roraima, i mezzi di comunicazione sono poveri e scarsi; i giornalisti locali preferiscono collaborare con organizzazioni esterne anche perché, dopo la pandemia, non è sopravvissuto nessun giornale stampato e i servizi di internet, quando ci sono, sono in uno stato deplorevole.
Probabilmente è arrivato il momento di unificare gli sforzi di tutti perché nella grande conca amazzonica i problemi sono quasi ovunque gli stessi. La chiesa cattolica, per mezzo della REPAM (Rete Ecclesiale Panamazonica) sta guardando più seriamente e da vicino ai problemi di questi popoli ma certamente le più di mille popolazioni indigene del Brasile avranno maggiori possibilità di successo se riusciranno a collegarsi anche con altre esperienze di lotta e organizzazione, come quelle del popolo afro così numeroso nella vasta geografia del subcontinente americano.
Solo se costruiamo una lotta comune, con una voce unita e fraterna, saremo in grado di contrastare la mania suicida che distrugge, come fuoco nella giungla, la ricchezza biologica e culturale di questo polmone verde del mondo. Quando vengono attaccate impunemente culture che sanno usare piante e animali in modi che noi non possiamo nemmeno immaginare, è il momento di lavorare assieme: tutti noi, popoli marginali di questo continente, vogliamo presentare a Dio una terra libera, prospera e piena di frutti di felicità.
* Rodrigo Alonso Daza Jiménez, del gruppo di comunicazione della Pastorale Afro Cali, lavora con i Missionari della Consolata che nello stato del Roraima assistono i migranti indigeni del Venezuela. Articolo pubblicato su “La Voz Católica” di Cali (Colombia).
Bambini migranti venezuelani alla mensa dei poveri delle Suore della Carità a Boa Vista, Roraima, Brasile.