Stati Uniti. Volare senza biglietto

  • , Feb 18, 2025
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Le deportazioni aeree di Trump, i tanti emuli e Francesco

Da più parti si sostiene che i democratici statunitensi abbiano perso le elezioni presidenziali del 5 novembre 2024 anche perché Joe Biden non ha saputo affrontare in modo adeguato il problema migratorio. Un dato da poco reso pubblico sembrerebbe confutare questa affermazione: durante i quattro anni di presidenza di Biden ci sono state quattro milioni di persone deportate contro meno di due milioni del primo mandato di Donald Trump.

Il dato è sorprendente, ma ha una serie di spiegazioni. La prima è la legislazione d’emergenza introdotta durante la pandemia di Covid. In particolare, è stato ampiamente utilizzato il Title 42 che consentiva espulsioni facili. Introdotto da Trump nel marzo 2020, la misura è stata mantenuta da Biden fino a maggio 2023. Ci sono poi due ulteriori motivazioni: l’incremento degli arrivi alla frontiera Sud e il fatto che molti migranti espulsi ritentavano più volte l’entrata.

Oggi, pur senza il Title 42, il neoeletto Trump vorrebbe battere ogni record: «Milioni e milioni: sarà la più grande deportazione nella storia dell’America», ha promesso. Il tycoon ha iniziato fin dal primo giorno (20 gennaio) firmando un ordine esecutivo con un titolo molto esplicito: «Proteggere il popolo americano dall’invasione» (Protecting the american people against invasion).

Attualmente, gli immigrati clandestini possono essere espulsi dagli Stati Uniti e rispediti nei loro paesi di origine essenzialmente in due modalità: dopo essere stati individuati e catturati dalle autorità competenti, e a seguito di un ordine da parte di un giudice dell’immigrazione; oppure dopo essere stati fermati a un valico di frontiera o in un aeroporto: in questo caso si parla di «ritorno», non c’è bisogno di un ordine formale e non ci sono sanzioni.

I voli per i migranti illegali catturati dagli agenti dell’Ice (Immigration and customs enforcement) sono iniziati subito dopo l’insediamento di Trump. Venerdì 24 gennaio sono partiti per Città del Guatemala tre aerei militari della U.S. Air Force (dunque, non voli civili come di norma) con 265 guatemaltechi a bordo. Lo stesso giorno 88 brasiliani illegali sono stati imbarcati con destinazione Manaus. Martedì 28, due aerei hanno riportato a Bogotà più di 200 colombiani, comprese molte donne e bambini. Mercoledì 5 febbraio un aereo militare è atterrato ad Amritsar, in Punjab, con un centinaio di migranti indiani. Lunedì 10 febbraio due aerei commerciali hanno riportato a Caracas decine di migrati venezuelani.

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Per motivi di visibilità e di pubblicità, il 28 gennaio 2025 Kristi Noem, segretario della Sicurezza interna (Dhs), ha partecipato a una retata di immigrati illegali a New York

L’ultima novità introdotta da Trump è la deportazione alla base navale Usa di Guantanamo Bay, sull’isola di Cuba, di migranti illegali e detenuti in carcere per reati diversi. Lì sono già iniziati i lavori di ampliamento delle strutture per ospitare fino a 30mila persone. Il primo aereo militare per quella destinazione è partito martedì 4 febbraio.

La questione delle deportazioni di Trump è tanto impattante che papa Francesco si è sentito in dovere di scrivere una lettera – cordiale nella forma, ma forte nei contenuti – ai vescovi degli Stati Uniti (10 febbraio). «Sto seguendo da vicino – ha scritto il pontefice al punto 4 – la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di deportazioni di massa. La coscienza rettamente formata non può non compiere un giudizio critico ed esprimere il suo dissenso verso qualsiasi misura che tacitamente o esplicitamente identifica lo status illegale di alcuni migranti con la criminalità. Al tempo stesso, bisogna riconoscere il diritto di una nazione a difendersi e a mantenere le comunità al sicuro da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi durante la permanenza nel Paese o prima del loro arrivo. Detto ciò, l’atto di deportare persone che in molti casi hanno abbandonato la propria terra per ragioni di povertà estrema, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave deterioramento dell’ambiente, lede la dignità di molti uomini e donne, e di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e incapacità di difendersi».

Il problema migratorio è però simile in vari paesi del mondo come simili sono le misure per contrastarlo. In Gran Bretagna, il partito laburista al governo, superato nei sondaggi dal partito anti immigrati di estrema destra Reform Uk di Nigel Farage, sta cercando di recuperare consensi proprio con le deportazioni di migranti illegali, ora anche mostrate in televisione per convincere gli scettici. Tra luglio (mese di entrata in carica del primo ministro laburista Keir Starmer) e dicembre 2024, ci sono stati 13.460 rimpatri, segnando un più 25 per cento. Il ministero degli interni inglese (Home Office) ha organizzato voli di deportazione in almeno sette paesi, tra cui Brasile, Pakistan, Nigeria e Albania.

In Germania, il governo (oggi dimissionario) ha aumentato del 20 per cento le deportazioni (18.384 tra gennaio e novembre 2024) per contrastare l’avanzata di Alternative für Deutschland (Afd), il partito di estrema destra anti immigrazione.

* Paolo Moiola è giornalista, rivista Missioni Consolata. Originalmente pubblicato in: www.rivistamissioniconsolata.it

“Dio cammina con il suo popolo”, il tema scelto per l’edizione 2024 che si celebra domenica 29 settembre

La Chiesa celebra ogni anno, nell’ultima domenica di settembre, la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, una tradizione iniziata nel 1914 e giunta quest’anno alla sua 110ª edizione. Questa giornata rappresenta un’occasione significativa per esprimere vicinanza e solidarietà a tutte quelle persone che, per molteplici ragioni, sono costrette a spostarsi e a vivere in condizioni di vulnerabilità. È un momento per pregare per loro e riflettere sulle opportunità che la migrazione può offrire.

Per l’edizione del 2024, che si tiene il 29 settembre, il tema scelto da papa Francesco è “Dio cammina con il suo popolo”. Il Pontefice, richiamando la dimensione sinodale della Chiesa, sottolinea come l’intera comunità dei fedeli sia in cammino, proprio come i migranti di oggi, verso la nostra patria ultima, il Regno dei Cieli.

Papa Francesco invita i cristiani a riscoprire la natura itinerante della Chiesa, identificando nei migranti un’immagine viva del popolo di Dio in cammino verso la terra promessa. In questo senso, il Papa afferma che “Dio precede e accompagna il cammino del suo popolo e di tutti i suoi figli di ogni tempo e luogo”, non solo camminando con loro, ma anche in loro, specialmente nei più poveri, emarginati e vulnerabili. Incontrare il migrante, dunque, diventa un modo per incontrare Cristo stesso, che bussa alla nostra porta nelle vesti dell’affamato, del forestiero, del malato e del carcerato, offrendoci così un’opportunità di salvezza.

La preghiera di papa Francesco

Dio, Padre onnipotente,
noi siamo la tua Chiesa pellegrina
in cammino verso il Regno dei Cieli.
Abitiamo ognuno nella sua patria,
ma come fossimo stranieri.
Ogni regione straniera è la nostra patria,
eppure ogni patria per noi è terra straniera.
Viviamo sulla terra,
ma abbiamo la nostra cittadinanza in cielo.
Non permettere che diventiamo padroni
di quella porzione del mondo
che ci hai donato come dimora temporanea.
Aiutaci a non smettere mai di camminare,
assieme ai nostri fratelli e sorelle migranti,
verso la dimora eterna che tu ci hai preparato.
Apri i nostri occhi e il nostro cuore
affinché ogni incontro con chi è nel bisogno,
diventi un incontro con Gesù, tuo Figlio e nostro Signore. Amen

Scarica i materiali in diverse lingue (post grafici, sussidi, kit per la celebrazione della GMMR)

Il sussidio liturgico, con le preghiere dei fedeli

Il Messaggio del Papa per la Giornata

* Con informazioni del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale

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Momento di vita" è questa la ricchezza
partire, starci e veder la bellezza
di volti, di sguardi e di sorrisi,
di vite, di storie e cammini condivisi

Ed eccoci qua, undici avventurieri
ritornare indietro non come ieri.
Qualcosa è entrato di grande nel cuore
brivido, gioia, dolore e bagliore.

Tutto è partito da padre Francesco
che col suo input come un affresco
qui ci ha accolto e tutti ci invita
ad assaporare un "momento di vita".

Dopo di lui, con grande energia
ecco Patrik e la sua simpatia
col suo " Allora ragazzi, tutto è a posto?"
"Certo, siam qui", ciascuno ha risposto!

E di padre Edween che possiamo dire?
Tranquillo, pacato e dolce è il suo agire,
sempre sul campo, col suo PC
accoglie tutti sia la notte che il dì.

Ogni ospite che giunge, qui avventuriero
è per noi un regalo davvero!
Dal Sudan,dal Niger o da altra nazione
alla mia vita chiede qualche ragione.

Che dice Nicola dall' alta sua vetta?
Di gustare la vita ha proprio gran fretta.
Lui corre, pensa e non sta fermo un momento
fra scout e calcetto ha un gran movimento.

De Rroma o lì intorno la bella Anita
la vita zociale se l'lè ben gestita
ha pagato il suo dazio il primo giorno
Poi tutto tranquillo ora lì intorno.

Compagna di banco, nonché di avventure
Giulia sorride con ore un po' dure,
poi via libera, stomaco ochei
ma senza la carne è meglio, direi.

Vittoria è allegra, profonda e attiva
già dei Balcani conosce la riva,
ora è più dentro al tema dei viaggi
e alle storie di tanti miraggi.

Elena, dolce, carina e solare
è sempre pronta ad intavolare
che siano discorsi, oppure giochi
lei volentieri si mette tra i fuochi.

Camilla, Camilla buona e silenziosa
si butta su tutto ed è generosa.
ha trovato canzoni, ha tanta pazienza
di viaggi è esperta, non si può far senza.

Accio Accio, non voglio scordare
lui c'è sempre a partecipare,
Il suo sorriso è sempre radioso
il suo fare sempre gioioso.

Ivan il grande, di nome e di fatto
ha ben sopportato il caldo misfatto
ora lui torna fra i suoi avventurieri
carichi sempre di tanti misteri.

Lasciamo alla fine Don Fabio e don Enrico
è tanto quel che ci han elargito,
compagni di viaggio e guide speciali,
con loro davvero puoi mettere le ali.

Ed io, che dire? Mi sento assai grata
per dove alla fine sono arrivata:
scoprir vite forti, tenaci e belle
assai luminose come le stelle.

Ora il mondo prosegue e va avanti
e nuovi pezzi aggiungo ai Santi:
son questi padri e son questi amici
che fanno dei mondi un po' più felici.

* Diacono Ivan Bartoletti Stella, direttore della Caritas della Diocesi di Cesena.

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A pochi giorni dalla morte di decine di persone al largo delle coste ioniche, la denuncia della Chiesa locale contro l’anestesia delle coscienze e le politiche miopi ed inefficaci. Monsignor Fortunato Morrone, presidente della Conferenza Episcopale della Calabria: “All’Europa chiediamo una governance globale del fenomeno migratorio. L’accoglienza delle nostre strutture di volontariato sopperisce alle carenze delle nostre amministrazioni”

La voce della Chiesa calabrese torna ad alzarsi, sempre più forte. Questa volta per denunciare quella che i vescovi definiscono l’ennesima tragedia del mare anonima ed invisibile. Negli occhi hanno ancora le immagini del terribile naufragio di qualche giorno fa consumatosi a 120 miglia dalle coste ioniche e non possono dimenticare le decine di morti, tra cui molti bambini, e gli sguardi persi ed annichiliti dei superstiti sbarcati nel porto di Roccella. Sono di nuovo scioccati, i presuli, a tal punto che non esitano a gridare contro l’anestesia delle coscienze e contro misure politiche miopi ed incapaci di evitare simili tragedie.

Il veleno dell’assuefazione

Già, l’indifferenza. È uno dei mali che avvelena la politica, anche europea. Lo sostiene con vigore, monsignor Fortunato Morrone, arcivescovo di Reggio Calabria-Bova e presidente della Conferenza Episcopale calabra (Cec). “Queste stragi di migranti si ripetono con troppa frequenza e tutto ciò, purtroppo, crea assuefazione”, dice ai media vaticani. Poi, però, spiega che ad un certo punto l’indifferenza deve fare i conti con il mare che restituisce il suo carico di disastri. E di morti.

Ascolta l'intervista a monsignor Fortunato Morrone

Governance globale

I vescovi calabresi si auspicano che le dinamiche migratorie vengano presto gestite a livello globale da un'unica governance, perlomeno sul territorio europeo. “Lo scrive anche Papa Francesco in un intero capitolo dell’enciclica Fratelli Tutti”, afferma Morrone. E proprio all’Europa il presidente dell'episcopato calabrese ricorda che “l’umanità è sempre stata - e sempre sarà - in continuo movimento e dunque sul fronte migratorio appare inutile lavorare in emergenza. L’Europa deve essere una comunità di nazioni non di nazionalismi. Occorre uno sguardo politico di ampio respiro”.

Chiesa in prima linea

La complessa macchina dell’accoglienza che la Chiesa calabrese riesce a mettere in moto nei porti ogni volta che ci sono uomini, donne e bambini da soccorrere e sostenere testimonia l’impegno concreto di tanti volontari e volontarie che spendono la propria vita per essere fedeli al Vangelo. “A loro va tutto il mio grazie - aggiunge l’arcivescovo - perché portano speranza. Ma ci tengo a precisare anche un’altra cosa: il loro fondamentale lavoro sopperisce alle carenze delle nostre amministrazioni". E questa non è una cosa di poco conto.

*  Federico Piana - Città del Vaticano. Originalmente pubblicato in: www.vaticannews.va

Il racconto di Alex Zappalà, direttore del Centro missionario di Concordia-Pordenone (Italia), che ha guidato un gruppo giovanile a Oujda: "Viviamo in una parte di mondo in cui facciamo tante cose ma non abbiamo il tempo per stare accanto alle persone, la missione è questo. Troppe vittime di tratta, non possiamo più tacere". Padre Patrick Mandondo, missionario della Consolata: fasciamo le ferite di chi attraversa il confine, l'anno scorso 3.800 giovani, e salviamo i prigionieri dei trafficanti. "Venite a visitarci"

Fasciare le ferite di chi percorre i deserti inseguendo il sogno di una vita senza guerre, dittature, privazioni. È quanto da anni fanno i Missionari della Consolata che vivono a Oujda, la città marocchina più vicina, solo sette chilometri, al confine con l'Algeria. Un confine sanguinoso, irto di ostacoli per chi vuole oltrepassarlo, sul quale nel 1963 si consumò la famigerata Guerra delle Sabbie, uno degli apici di quell'antagonismo che separa ostilmente i due Paesi pur accomunati da molti elementi linguistici, religiosi, etnici. Differenze storiche, politiche e ideologiche dalla loro rispettiva indipendenza influenzano tutt'ora pesantemente i rapporti e a farne le spese sono proprio le persone migranti che tentano di risalire dalle regioni subsahariane verso la Spagna scegliendo, o costretti a scegliere, quella rotta in cerca di un futuro vivibile.

Lunghi cammini con i piedi rotti: l'arrivo a Oujda di migranti stremati

A gettare luce su una realtà di cui poco si parla è stato negli ultimi giorni Alex Zappalà, direttore del Centro missionario diocesano di Concordia-Pordenone che, su Popoli e Missioneha raccontato l'esperienza di accompagnamento, dal 21 al 29 aprile, di una quindicina di giovani del gruppo "Missio Giovani" fino a Oujda. Un viaggio di spiritualità missionaria a contatto con le vite stremate di persone che qui trovano un luogo di sosta, di cura, di ripartenza. Un viaggio di conoscenza sul campo dopo un anno di lavoro sui temi dell'accoglienza e della migrazione, che ha fatto riscoprire il vero senso della missione: "stare con", al di là del "fare".

Ascolta l'intervista ad Alex Zappalà

Quando Alex e i suoi ragazzi sono giunti a Oujda, un'ottantina di altri giovani africani erano presenti dai padri della Consolata. E subito è partito uno scambio, un ascolto di storie anche "impronunciabili", tanto il dolore. "Quasi tutti venivano anche da quattro anni di cammino, attraverso il deserto, o nelle prigioni della Libia. Ci hanno raccontato di violenze, abusi visibili dentro i loro occhi. C’era però anche tanta forza e desiderio di proseguire il viaggio per inseguire il loro sogno. Pochi fanno marcia indietro. Se tornano indietro è perché non hanno più soldi, per esempio. Oppure pensano che il loro sogno non è più alla propria portata".

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La missione tra i migranti aiuta a ricucire cicatrici . Vite che recuperano una dignità

C’è un continuo via vai, racconta Alex. I missionari stanno accanto ai migranti, li sfamano, li curano. Questi arrivano con gambe rotte, ferite. I religiosi, che sono aperti ad accoglierli 24 ore su 24, li portano in ospedale, se necessario. L’anno scorso sono passati da qui 3.800 persone, il 10 percento sono donne e bambini. Arrivano per lo più ragazzi maschi, minorenni non accompagnati e giovani. La maggioranza proviene dalla Guinea Conakry, circa il 60 percento. Poi arrivano dal Sud Sudan, costoro preferiscono intraprendere la rotta verso il Marocco pur di evitare la Libia. Arrivano anche da Camerun, Costa D’Avorio, Mali, Ciad, Burkina Faso. Alcuni anche dal Congo, dal Benin, dal Togo, dal Senegal. Chi ha attraversato la Libia, ha tentato più volte, è stato maltrattato nelle carceri, vittima di ogni genere di abusi. C'è chi ha provato la via verso la Tunisia, se falliscono quella tentano in direzione Marocco nella speranza di raggiungere Melilla, altra dura frontiera tra l'Africa e l'Europa.

Padre Mandondo: fasciamo le ferite e diamo un luogo di sosta

"Il nostro lavoro è di testimonianza cristiana e sostituisce la mancanza di operatori capaci di portare avanti questa realtà di accoglienza", spiega a radio Vaticana, padre Patrick Mandondo, IMC, parroco di San Luigi, responsabile della pastorale migratoria del Centro parrocchia Accueil migrants Oujda (AMO). Originario della Repubblica Democratica del Congo, si è specializzato in Teologia pastorale e Mobilità umana a Roma, dove nel 2020 è stato ordinato sacerdote.

Dal 2022 è in Marocco dove porta avanti, insieme ai suoi due confratelli, questo progetto assunto dalla diocesi di Rabat e avviato da un prete locale nel 2018. "È una esperienza molto ricca e sfidante - racconta - abbiamo pochi mezzi, viviamo di provvidenza e non abbiamo possibilità economiche adeguate, considerato che si tratta di un progetto che richiede molti soldi, fino a 300 mila euro l’anno". Spiega come tanti ragazzi arrivano con i piedi spaccati, "se un giorno venite a trovarci lo vedrete con i vostri occhi". 

Ascolta l'intervista a padre Patrick Mandondo

Per i minori soli i missionari hanno creato un programma di alfabetizzazione e per i più grandi uno professionale (elettricista, panettiere…). "Valutiamo caso per caso come aiutarli", afferma Patrick da questa città di transito dove, precisa, non ci sono strutture di accoglienza, né statali né delle associazioni. "Qui la Chiesa è proprio un ospedale da campo, come dice Papa Francesco. È una Chiesa che si apre alle sofferenze". Quella di San Luigi è l’unica parrocchia di una città di 600 mila abitanti, dove i cristiani non arrivano all'1 percento della popolazione. "La nostra piccola comunità è formata in maggior parte da giovani dell’Africa sub-sahariana venuti qua per studiare con borse di studio del Marocco. Frequentano la messa domenicale, quasi un centinaio, poi durante la settimana non li vediamo perché impegnati nelle loro attività. Noi dunque portiamo avanti il progetto con i migranti applicando il nostro carisma di missionari ad gentes. Per noi la promozione umana è molto importante". E insiste nel descrivere il confine tra i due Paesi, un fossato con due muri presidiati da ingenti forze di polizia che spesso usano violenza nei confronti di chi intende attraversarli. 

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 Vite che non ce la fanno. La missione non è solo 'fare', è soprattutto 'stare accanto'

I missionari sfidano le insidie e i ricatti della tratta

"Ci raccontano le difficoltà vissute, come hanno attraversato il deserto, come sono stati venduti da trafficanti, deportati nella foresta abbandonati a se stessi, depredati di tutto, privati di cibo e acqua. Raccontano in lacrime questi ricordi", prosegue Patrick che insiste sul rischioso lavoro che i religiosi fanno per salvare i migranti dalle minacce dei trafficanti. "Noi facciamo un lavoro molto pericoloso perché andiamo nei quartieri a liberare questi ragazzi maltrattati dai mafiosi". Racconta di persone al di qua e al di là dei del confine che prelevano questi ragazzi vittime di una vera e propria tratta. "Sono merce, valgono circa 300 euro a testa". Arrivati in Marocco vengono bloccati nelle "case" dei trafficanti i quali, riferisce Mandondo, cominciano a ricattare le loro famiglie di origine. Il sacerdote ricorda quando una volta ne ha quaranta di ragazzi lasciati in una stanza di tre metri per quattro. Una volta intercettati, i religiosi cercano di fare un'opera di mediazione non senza il rischio di essere picchiati. "Spesso capita. Alla fine riusciamo". L’appello che il parroco fa alla comunità internazionale è di non considerare la migrazione come un problema. "La gente non cerca di sapere perché la gente si muove. Dobbiamo andare alla radice delle questioni. Dobbiamo dare dignità".

Zappalà: assicurare canali regolari di migrazione

Su questo impegno di ridonare una dignità persa insiste molto Zappalà. "Questa cosa ci ha spiazzato. Bisognerebbe creare, e non vale solo per l’Italia, dei canali regolari attraverso i quali questi ragazzi possano giocarsi una chance", sottolinea. "I visti o non ci sono o sono pochissimi. Sono persone dentro una tratta che sta facendo morti su morti. Non possiamo più tacere. Chiudersi per paura significa innazitutto perdersi la ricchezza dell’incontro con l’altro". E ricorda come i ragazzi ventenni e trentenni che ha guidato a Oujda abbiano potuto condividere i sogni dei loro coetanei. "Un giovane tra loro, Jacob, quattro anni di cammino alle spalle ha il sogno di fare lo chef. Non ha mai smesso di sorridere con noi pur raccontando il dramma del suo percorso. L’ultimo giorno, al momento dei saluti, si è tolto la maglietta con i colori della sua terra di origine, la Guinea Conakry, e l’ha data a una ragazza dei nostri. 'Voglio che tu non ti dimentichi', le ha detto. Lei ha donato la sua felpa, era quella della Gmg in Portogallo. Da allora ci sono canali di comunicazione tra i giovani che sono diventati amici. 

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Dopo la sosta

La missione non è solo 'fare', è soprattutto 'stare accanto' 

"Se ci perdiamo l’umanità dell’altro allora non avremo più freno nello schiacciare un bottone e far saltare tutti per aria", conclude Alex che sintetizza il frutto più prezioso di questo viaggio. "Noi siamo partiti senza un progetto particolare da fare. Ma siamo stati con loro. Spesso alla parola missione associamo solo la dimensione del ‘fare’. Ma lo ‘stare’ vale ancora di più, anche quando non puoi fare nulla. Viviamo in una parte di mondo in cui facciamo tante cose ma non abbiamo il tempo per stare accanto alle persone. Le nostre giornate sono scandite, fin da piccolissimi, da agende pienissime. Abbiamo perso il gusto di stare e raccontarci, di incrociare lo sguardo dell’altro".

Alex osserva come l'esperienza alla frontiera abbia fatto riscoprire il valore profondo dell’umanità. "Non è una lettura 'moderna' del Vangelo, questa, è sempre stato così al tempo di Gesù che chiedeva appunto di ‘stare con’, di mettere al centro l’altro per avere uno sguardo più tenero. Che loro possano credere - è il suo auspicio - che da questa parte di mondo non è vero che ci sono solo persone che non ti vogliono ma che ci sono persone che si aprono. La paura porta solo distorsione della verità. C’è una parte di mondo di cui ci possiamo ancora fidare e che deve vincere in qualche modo: è il profumo del Regno di cui ci ha parlato Gesù".

* Antonella Palermo Fonte - Città del Vaticano. Pubblicato originalmente in: Vatican News

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