Il 3 giugno, nella chiesa cattolica, si celebra la memoria dei martiri dell'Uganda. Sono 22 martiri cristiani cattolici che furono arsi vivi per ordine del re Mwanga II del regno di Buganda tra il 15 novembre 1885 e il 27 gennaio 1887. Per la maggior parte di loro il luogo del martirio fu Namugongo dove attualmente è costruita la basilica in suo onore.

Furono beatificati nel 1920 da papa Benedetto XV e canonizzati il 18 ottobre 1964 da papa Paolo VI. Essendo loro i primi santi canonizzati nell'Africa sub-sahariana, il loro sangue è diventato il seme fecondo del cristianesimo in Africa. In Uganda si celebra una festa nazionale; il loro martirio ha avuto un ruolo enorme nell'unificazione del Paese, nella promozione dell'ecumenismo e del dialogo interreligioso.

La loro influenza sull'evangelizzazione in Africa.

Poiché sono stati i primi martiri riconosciuti dalla Chiesa nell'Africa sub-sahariana, la loro testimonianza ha avuto un impatto significativo sulle società di tutto il continente e la loro influenza può essere evidenziata nei seguenti aspetti:

Una nuova era del cristianesimo nel continente africano. A questo proposito Papa Paolo VI disse: “Questi martiri africani aprono una nuova era, non intendiamo certo di persecuzioni e lotte religiose, ma di rigenerazione cristiana e civile. Il sangue di questi martiri è la primizia di questa nuova era africana” (Omelia in occasione della canonizzazione. 18 ottobre 1964). Al momento del suo martirio, la fede cristiano-cattolica non esisteva da molto nell'Africa sub-sahariana. Nel caso dell'Uganda, i missionari d’Africa, conosciuti con il nome di “padri bianchi” per il colore della loro tonaca, non erano da tempo insediati nel Paese: erano arrivati in Uganda nel febbraio 1879 e avevano subito avviato l'evangelizzazione fra i nobili della corte del re Mwanga II. Martiri furono alcuni dei suoi primi catecumeni e il primo martirio avvenne il 15 novembre 1885 quando San Giuseppe Mukasa Balikuddembe fu condannato a morte.

Il motore della sua testimonianza nell'evangelizzazione. Tutti i martiri sono massimi testimoni della fede in Gesù Cristo. Il martirio è la coerenza più profonda tra professione di fede e vita quotidiana e suggella definitivamente la vita dell'uomo configurata con la vita di Cristo. Nel martirio è un vero battesimo di sangue e si compie in modo reale ciò che nel battesimo avviene in modo sacramentale e simbolico: morire insieme a Cristo per risorgere con Lui (Rm 6, 3-11). Sia in Uganda che nel resto del continente africano, la loro testimonianza di Cristo è stata di inestimabile valore, un seme fecondo per l'evangelizzazione del continente africano.

Le vocazioni autoctone. La Chiesa in Uganda e in varie parti dell'Africa crebbe notevolmente in poco tempo dopo l'arrivo dei primi missionari. In Uganda nel 1913 furono ordinati i primi sacerdoti indigeni dell'allora vicariato di Masaka e il 29 ottobre 1939 il papa Pio XII consacrò il primo vescovo: il padre Joseph Kiwanuka del clero di Masaka. In Kenya i primi sacerdoti cattolici autoctoni furono ordinati nel 1927 nell'allora vicariato di Nyeri e la Chiesa della Tanzania produsse il primo cardinale africano: Mons. Laureano Rugambwa che fu nominato da papa Giovanni XXIII nel 1960.

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Altri martiri del continente africano. Dopo di loro, l'elenco dei martiri africani si è allungato in diverse parti del continente. Vogliamo ricordare, ad esempio, il Beato Isidoro Bakanja, martire congolese beatificato il 24 aprile 1994; il Beato Cipriano Iwene Tansi della Nigeria, beatificato il 22 marzo 1998; i Beati Daudi Okelo e Jildo Irwa, catechisti e martiri ugandesi, beatificati il 20 ottobre 2002. Infine le Serve di Dio Luisa Mafu e le sue Compagne Catechiste e i martiri di Guiúa in Mozambico.

Conclusione

Tertulliano disse nell'anno 197 dopo Cristo che "il sangue dei martiri è il seme dei cristiani". Infatti, la testimonianza di fede in Gesù Cristo dei martiri ugandesi è stata un motore di evangelizzazione in varie parti dell'Africa. Loro oggi sono patroni in molte istituzioni educative, istituti di catechesi e province ecclesiastiche. Dei 22 Carlos, Matia e Kizito sono i più riconosciuti: nel 1934 papa Pio XI nominò Carlos Lwanga patrono dei giovani dell'Africa cristiana; Matia Mulumba è patrono dei catechisti e delle famiglie, e Kizito è patrono delle scuole dell'infanzia e primarie.

In paesi come Uganda, Congo, Kenya, Tanzania, Rwanda, è molto comune trovare in quasi ogni famiglia persone con il nome dai martiri ugandesi.

* Lawrence Ssimbwa è missionario della Consolata e lavora con la popolazione afro della diocesi di Bueventura in Colombia.

L'arcivescovo, assassinato mentre celebrava la Messa.

Oscar Romero, nato a El Salvador nel 1917, fu ordinato sacerdote nel 1942 e nel 1977 Paolo VI lo nominò arcivescovo di San Salvador, in un contesto politico di forte repressione, soprattutto nei confronti delle organizzazioni contadine. L'assassinio del sacerdote gesuita Rutilio Grande è considerato il momento della "conversione" di Romero, che iniziò allora a denunciare la repressione, la violenza dello Stato e lo sfruttamento imposto dai settori politico-militare ed economico, sostenuta dagli Stati Uniti.

La vita di questo discepolo missionario di Gesù Cristo è stata segnata dalla sua incondizionata fedeltà al Vangelo. Come uomo di Chiesa, divenne il grande araldo della fede e l'ammirevole maestro della verità. Le sue omelie, predicate in modo semplice ma profondo, rafforzavano e incoraggiavano il popolo nella sua speranza e denunciavano coraggiosamente le ingiustizie commesse. 

Molto famosa quella del Sabato Santo 1979 nella quale diceva, a proposito del martirio: "Grazie a Dio, abbiamo pagine di martirio non solo nella storia del passato, ma anche nel presente. Ci sono sacerdoti, religiosi, catechisti, umili contadini che sono stati uccisi o perseguitati per essere fedeli all'unico Dio e Signore. Anch'io ho ricevuto spesso minacce di morte. Devo dirvi che come cristiano non credo nella morte senza resurrezione. Se mi uccidono, io risorgerò nel mio popolo salvadoregno. Come pastore, sono obbligato a dare la mia vita per coloro che amo, che sono tutti salvadoregni, così come per coloro che mi uccideranno. Se riusciranno a portare a termine le loro minacce, d'ora in poi offrirò il mio sangue a Dio per la redenzione e la resurrezione del Salvador".

L'arcivescovo Oscar Romero fu assassinato mentre celebrava la Messa il 24 marzo 1980 per aver difeso i poveri. Fu ucciso "per odio verso la fede" per volere della giunta militare che dominava il Paese. Papa Francesco lo ha beatificato il 23 maggio 2015 e canonizzato il 14 ottobre 2018 insieme a Papa Paolo VI e ad altri tre Beati.

Un giorno per ricordare i missionari martiri

Dal 1993, il 24 marzo è stato scelto per celebrare ogni anno la "Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei martiri missionari". Nell'anno 2022, secondo le informazioni raccolte dall'Agenzia Fides, sono stati uccisi nel mondo 18 missionari: 12 sacerdoti, un religioso, tre religiose, un seminarista, un laico. Negli ultimi 20 anni, dal 2001 al 2021, sono stati uccisi in tutto il mondo 526 operatori pastorali, tra cui 5 vescovi.

Sant'Oscar Romero, vescovo e martire, ci ricorda che l'opzione della Chiesa per i poveri e gli ingiusti non è una questione secondaria, ma è il cuore dell'identità cristiana, della sequela di Gesù, del vero significato della missione.

*Padre Jaime C. Patias, IMC, Consigliere Generale per l'America

Se penso a mio marito Luca, la persona che è stato, come è vissuto e anche come è morto...devo dire che in lui hanno prosperato e si sono conservati tanti valori che aveva ricevuto fin da bambino. Lui frequentava l'oratorio ed è cresciuto in un ambiente sano.

Luca non è nessun santo, anche lui aveva i suoi piccoli e grandi difetti, era una persona normale ma dotato di una umanità davvero grande, era quello il suo massimo valore. 

Quando decise di impegnarsi in una carriera diplomatica -quello era sempre stato il suo sogno- non ha mai rinunciato a vivere fino in fondo le cose che aveva imparato fin da bambino. Per lui fare l'ambasciatore significava non lasciare mai indietro nessuno in qualsiasi parte del mondo, in qualsiasi situazione. Le attività diplomatiche erano la sua missione e le viveva con lo stesso entusiasmo dei missionari che, per esempio, aveva conosciuto numerosi in Congo.

L'umanità è la sua eredità. Non ha fatto cose straordinarie ma era straordinario al momento di fare il suo dovere, con precisione, con attenzione, con un grande spirito di servizio.

Nella mia religione islamica il martire è colui che diventa testimone di vita. Se Luca fosse ancora in vita forse non saremmo qui a parlare di lui, ma adesso che non è più fra noi diventa testimone credibile di quei valori che ha vissuto e che servono per fare di questo mondo una casa più accogliente. 

La vita è un dono prezioso e bisogna difenderla in ogni modo ma per chi come Luca la sa dare diventa un dono ancora più prezioso, un modello, un testimone, un martire appunto, che può ispirare il cammino di tutti.

Con Luca sono morte due persone, l'autista era di religione islamica e anche lui ha lasciato una famiglia, ma sono oggi i nostri testimoni che ci animano a non arrenderci.

*Zaquia Seddaki è la vedova dell'ambasciatore italiano Luca Attanasio, ucciso in Congo nel 2021 Presidente e fondatrice dell'associazione "Mama Sofia" voluta per difendere il valore della pace e dare voce a chi non ha voce.

Una vita dedicata alla missione

  • , Jul 12, 2022
  • Published in Notizie

Suor Luisa Dell’Orto, originaria di Lecco, era “l’angelo dei bambini di strada”. Dopo l’esperienza di missione in Camerun e in Madagascar, la religiosa delle Piccole sorelle del Vangelo di Charles de Foucauld, da oltre 20 anni, si trovava ad Haiti, nella capitale Port au Prince. È stata uccisa la mattina di sabato 25 giugno durante una rapina.

Era la figura di riferimento di Kay Chal, la “Casa di Carlo”, sorta in un sobborgo poverissimo della capitale, grazie ai fondi raccolti dalla Caritas italiana e ricostruita, grazie al suo impegno, dopo il disastroso terremoto del 2010. Il centro è una “casa” per centinaia di bambini del poverissimo quartiere, disseminato da baracche di mattoni e lamiere e viuzze sterrate: «non c’è un solo spazio per i bambini, né per studiare né per giocare - raccontava a Lucia Capuzzi, inviata di Avvenire- Kay Chal è l’unica oasi dove possono incontrarsi, stare insieme, fare i compiti, vivere la loro infanzia troppo spesso rubata o ridotta in catene», sono accolti in uno spazio sicuro, animato anche dai volontari di Caritas Ambrosiana.

«Vengono dopo la scuola, a fare i compiti e sanno che fino alle 17 si studia. Poi facciamo altre attività: dal ballo al basket. E ad organizzare i gruppi sono i nostri ex alunni cresciuti che vogliono restituire quanto hanno ricevuto».

L’aggressione armata, ancora tutta da chiarire, che ha interrotto tragicamente tutto il bene che stava seminando con la sua fondamentale missione, è avvenuta nella mattina di sabato 25 giugno. Gravemente ferita, suor Luisa è stata portata d’urgenza all’ospedale Bernard Mevs, dove si è spenta poco dopo, due giorni prima di compiere 65 anni. La notizia ha sconvolto la comunità di Port au Prince, che ha perso così brutalmente “l’angelo” che sapeva portare loro un sorriso e una speranza.

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Suor Luisa, Foto Vatican Media

Il messaggio di cordoglio dell’Arcivescovo di Milano, mons. Delpini.

«Non vanno a cercare i pericoli, ma i segni del Regno di Dio che viene, in mezzo ai poveri, tra coloro che sono importanti solo per Dio e ignorati da tutti.

Amano la vita, non vanno a cercare la morte là dove quattro spiccioli contano più di una santa donna; vanno a seminare parole di Vangelo, perché anche ai Paesi disperati si aprano via di speranza.

Non vanno con programmi e presunzioni, con dottrine e pretese, vanno a offrire amicizia, in nome del Signore, vanno a dire la loro impotenza perseverando nella preghiera.

Non scelgono dove andare, vanno dove sono chiamate dal gemito meno ascoltato, vanno dove sono mandate per diventare preghiera, offerta, amiche, seme che muore per portare frutto.

Così vanno tante donne che percorrono le strade più pericolose del mondo, che abitano le case più indifese. Vanno e non fanno notizia.

La morte di suor Luisa Dell’Orto, piccola sorella del Vangelo, ci lascia straziati e sconcertati, diventa rivelazione del bene che ha compiuto e della vita santa che ha vissuto, diventa dolore e preghiera.

Esprimo a nome della Chiesa Ambrosiana la partecipazione al lutto dei familiari, al ricordo grato e sofferto di quanti l’hanno conosciuta, la certezza che la sua morte, così simile alla morte di Charles de Foucauld, unita alla morte di Gesù possa essere seme di vita nuova per la terra di Haiti e per lei ingresso nella gloria».

Il ricordo di Maria Adele Dell'Orto, sorella di Suor Luisa

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